Informazione

Come ti ridestabilizzo la FYROM

Articoli e dispacci d'agenzia in lingua italiana sulle attivita'
terroristiche nella Repubblica ex-Jugoslava di Macedonia (FYROM) nel
corso dell'ultimo anno.

I materiali qui riportati in ordine cronologico non hanno alcuna
pretesa di completezza e vengono diffusi al solo scopo di segnalazione
e commento.

Nelle ultime due settimane in particolare si e' registrata una
escalation della violenza scatenata dall'"Esercito Nazionale Albanese"
(ANA), che vuole la creazione della Grande Albania dopo una fase
transitoria di protettorato NATO.
Per una analisi sulla situazione fino alla fine del 2002 si veda:
LA REPUBBLICA EX-JUGOSLAVA DI MACEDONIA DOPO LE ELEZIONI (di A.
Martocchia)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2006
(articolo pubblicato su L'Ernesto - http://www.lernesto.it ).

Per altra documentazione in lingua italiana suggeriamo in particolare -
pur con tutte le cautele necessarie dal punto di vista
dell'interpretazione delle notizie - i siti:
http://www.osservatoriobalcani.it e
http://www.ansa.it/balcani/macedonia/macedonia.shtml
(da quest'ultimo sito sono tratti i dispacci ANSA riportati di seguito).

(a cura di Andrea)

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MACEDONIA: GUERRIGLIA ALBANESE PREPARA NUOVA GUERRA, STAMPA

(ANSA) - PRISTINA, 18 DIC - Gli estremisti dell'Armata
nazionale albanese (Ana), movimento di guerriglia basato in Kosovo e
Macedonia, si preparerebbero a scatenare un nuovo conflitto in
Macedonia per rivendicare maggiori diritti etnici: lo afferma il
quotidiano di Pristina 'Koha Ditore'. Nell'articolo si afferma che ''un
gran numero di combattenti si trova gia' nei villaggi della regione di
Likova e altri sono apparsi in pubblico sulle montagne di Sharra'',
entrambe localita' della Macedonia
nordoccidentale al confine con il Kosovo. Il giornale non fornisce in
verita' elementi di riscontro, limitandosi a citare dichiarazioni
anonime di ex combattenti del disciolto Esercito di liberazione
nazionale (Uck) che scatenarono il conflitto lo
scorso anno e nel frattempo confluiti nelle fila del nuovo movimento.
L'Ana (Aksh per gli albanesi) ha diffuso proprio oggi un comunicato nel
quale indica nel 2003 ''l'anno decisivo per raggiungere i nostri
obiettivi nazionali'', che prevedono tra l'altro l'unificazione
dell'Albania ai territori della regione abitati da albanesi e che
ricadono (oltre che in Kosovo) nella Macedonia nordoccidentale, nella
Serbia e nel Montenegro meridionali.
L'Ana contesta l'accordo di pace firmato a Ocrida (Macedonia
meridionale) il 13 agosto dello scorso anno [2001] tra albanesi e
macedoni. Tra le sue fila militerebbero ex guerriglieri dell'Uck
rimasti delusi dall'intesa politica. Molti analisti continuano a
mettere in dubbio la reale esistenza e consistenza dell'Ana anche se
appena due giorni fa una corte internazionale di Gjilane (Kosovo
orientale) ha rinviato a giudizio due albanesi del Kosovo proprio con
l'accusa di essere tra gli organizzatori del nuovo gruppo armato. Il
Dipartimento di Stato americano ha infine inserito l'Ana nella lista
dei gruppi terrostici stilata all'indomani dell'attentato dell''11
settembre.(ANSA). BLL
18/12/2002 17:52

MACEDONIA: EX CAPO UCK PER PRIMA VOLTA IN PARLAMENTO

(ANSA) - SKOPJE, 19 DIC - Per la prima volta dalla vittoria
elettorale dello scorso settembre, l'ex comandante politico della
guerriglia albanese (Uck), Ali Ahmeti, ha partecipato oggi ad una
seduta del parlamento macedone alla quale e' intervenuto anche il
presidente della repubblica, Boris Trajkovski.
Colpito da un mandato di cattura della procura di Skopje per
presunti crimini di guerra, Ahmeti aveva avuto difficolta' durante la
campagna elettorale persino a raggiungere la capitale per svolgere i
comizi. Insieme ad Ahmeti e' entrato nell'aula del parlamento anche suo
zio, Fazli Veliu, anch'egli eletto deputato e considerato l'eminenza
grigia del movimento armato che lo scorso anno dichiaro' guerra allo
Stato macedone.
Oggi Ahmeti e' a capo dell'Unione democratica per
l'integrazione, partito che siede al governo accanto all'Unione
socialdemocratica macedone del primo ministro Branko Crvenkovski. Il
premier ha tuttavia chiesto ed ottenuto che nessun ex membro della
guerriglia entrasse a far parte
dell'esecutivo, e la stessa presenza in aula degli ex leader dell'Uck
era stata in un primo momento messa in discussione.
Dubbio superato oggi dall'arrivo in parlamento di Ali Ahmeti.
Alla seduta e' intervenuto il capo dello Stato che nel corso
del suo intervento ha tra l'altro chiesto la definzione dei confini
della Macedonia, questione irrisolta sin dalla sua separazione dalla
federazione jugoslava. ''Non si deve accettare la tesi - ha detto
Trajkovski - che i confini si possano demarcare solo dopo la
definizione dello statuto del Kosovo, e in questo io mi aspetto
l'appoggio degli albanesi di Macedonia''. Proprio un accordo sui
confini raggiunto lo scorso anno tra Skopje e Belgrado (che
coinvolgeva anche il territorio del Kosovo) fu tra le cause del
conflitto armato. Trajkovski ha promesso il suo impegno nel
rafforzamento della sicurezza del Paese, nella piena integrazione delle
zone abitate da albanesi coinvolte nella crisi armata dello scorso
anno, nell'applicazione
dell'accordo di pace e nei progetti di integrazione euro-atlantici.
Assenti dall'aula i deputati del partito nazionalista Vmro-Dpmne
dell'ex primo ministro Ljubco Gerogevski, oggi principale forza
dell'opposizione. (ANSA). BLL-COR
19/12/2002 13:33

MACEDONIA: BOMBA A MANO ESPLODE IN CASSONETTO, VITTIME

(ANSA-AFP) - SKOPJE, 25 DIC - Un passante e' stato ucciso e
altri quattro sono stati feriti da un attentato compiuto vicino a
una scuola nella citta' di Kumanovo, nel nord della Macedonia. La
polizia ha riferito che un ordigno, probabilmente una bomba a mano, e'
esploso in un cassonetto nel centro citta' coinvolgendo persone che
passavano per caso. Si tratta della prima esplosione da diversi mesi in
questa regione
settentrionale della Macedonia che e' stata teatro di scontri tra le
forze governative di Skopje e gli estremisti albanesi dell'Uck
(Esercito di liberazione nazionale) tra febbraio e agosto 2001.
Kumanovo e' la citta' piu' importante della Macedonia settentrionale.
(ANSA-AFP). BA
25/12/2002 19:52

MACEDONIA: GRANATE CONTRO ABITAZIONE, TRE FERITI A SKOPJE

(ANSA) - SKOPJE, 3 FEB - Tre persone sono rimaste ferite
la notte scorsa a Skopje dopo che sconosciuti hanno lanciato alcune
granate contro la loro abitazione. Secondo Mirjana Kostevska, portavoce
del ministero dell'Interno, i feriti sono due di nazionalita' jugoslava
e uno serbo-bosniaca. L'attentato e' avvenuto nella centrale via
Kostadin Kirkov. Le indagini
vengono condotte dai nuclei anti-terrorismo della polizia. Gli
investigatori non hanno fornito al momento indicazioni sul possibile
movente. (ANSA) BLL-COR
03/02/2003 11:58

MACEDONIA: GUERRIGLIERI 'ANA' RIVENDICANO ATTENTATO STRUGA

(ANSA) - SKOPJE, 17 FEB - I guerriglieri dell' 'Ana' (armata nazionale
albanese), sedicente movimento armato che minaccia un nuovo conflitto
in Macedonia, ha rivendicato l'attentato avvenuto sabato scorso contro
la sede del tribunale di Struga, nella zona meridionale del paese.
L'ordigno aveva provocato solo danni all'edificio e nessuna vittima.
Con un comunicato diffuso via internet, l''Ana' (Aksh per gli albanesi)
afferma che l'attentato e' stato compiuto dall'''unita' Skanderbeg, in
risposta al colonialismo delle autorita' slavo-macedoni che hanno
arrestato decine di albanesi solo a causa della loro origine''. Il
movimento di guerriglia ha annunciato nuove azioni. Sull' 'Ana' si sa
pochissimo al di la' delle dichiarazioni diffuse sempre via internet e
che teorizzano la creazione della ''grande Albania''. Rinnegata da
gran parte dei partiti albanesi di Macedonia, Kosovo e Albania, l'Ana
e' stata inserita dal dipartimento di Stato americano nella lista dei
movimenti terroristici stilata all'indomani della strage dell'11
settembre. Molti osservatori nutrono dubbi persino sulla sua effettiva
struttura para-militare ritenendolo piuttosto un movimento politico
incapace di compiere azioni armate.
Nelle scorse settimane tuttavia un kosovaro-albanese e' stato
incriminato come uno dei presunti comandanti del movimento di
guerriglia.(ANSA) BLL
17/02/2003 13:14

GUERRIGLIERI IN UNIFORME SU STRADA VICINO A TETOVO

(ANSA) - SKOPJE, 18 FEB - Guerriglieri in uniforme militare sono
comparsi questa mattina per la prima volta lungo la
strada che da Tetovo conduce al posto di confine con il Kosovo di
Jazince, nella Macedonia nord-occidentale. Secondo il racconto di
testimoni oculari due gruppi di paramilitari hanno organizzato posti di
blocco all'altezza del villaggio di Drenovec fermando le vetture in
transito e chiedendo agli occupanti i documenti di identita'. Del
fatto e' stato informato il ministero dell'Interno che sta inviando sul
posto unita' antiterrorismo. Nei
giorni scorsi la sedicente Armata nazionale albanese (Ana, o Aksh per
gli albanesi) aveva rivendicato un attentato nel sud del paese
preannunciando nuove azioni. Il nuovo movimento di guerriglia sostiene
di voler combattere per la creazione della ''Grande Albania''. Nel 2001
in Macedonia esplose una guerra civile innescata dall'Esercito di
liberazione nazionale (Uck) che inizio' le sue azioni proprio con
blocchi stradali presieduti da uomini in uniforme.(ANSA) BLL-COR
18-FEB-03 12:36 NNNN
18/02/2003 18:13

MACEDONIA: ALBANESI INIZIANO GUERRA, MA VIA INTERNET

(ANSA) - SKOPJE, 21 FEB - La nuova guerriglia albanese
minaccia una ''primavera calda'' in Macedonia e nel sud della Serbia,
ma per ora la sola guerra che sta davvero combattendo e' quella via
internet. L'Armata nazionale albanese (Ana, o Aksh per gli albanesi)
sta cercando di imporsi sulla scena politico-militare della regione
balcanica rivendicando attentati (l'ultimo una settimana fa contro il
tribunale di Struga, nella
Macedonia meridionale) e lanciando un'intensa campagna di propaganda. I
colpi piu' decisi li assesta tuttavia in modo virtuale contendendosi,
con l'impiego di hacker, alcuni siti in internet sui quali di volta in
volta appaiono proclami e
comunicati di quelle che sembrano essere due frange interne al
movimento estremista albanese.
All'indirizzo ''shqiperiaebashkuar.com'' (che vuol dire ''Albania
unita'') erano apparse nei giorni scorsi le rivendicazioni per la bomba
di Struga firmate da Valdet Vardari, sedicente 'alto commissario
politico' dell'Ana. Ieri e' pero' avvenuto un primo 'blitz' e nello
stesso sito si leggeva un nuovo comunicato nel quale si affermava che
''da oggi questa pagina internet e' tornata sotto il controllo del
settore propaganda e informazione dell'Ana dopo che per lungo tempo e'
stata utilizzata da piccoli leader politicamente morti che hanno
usurpato il nome dell'Ana''. Nello stesso comunicato si avverte che
Vardari e i suoi amici ''si sono impossessati anche dell'indirizzo
www.aksh.org ma presto anche questo tornera' sotto il nostro
controllo''. A compiere il blitz informatico e' stata l'ala del
movimento che si identifica in tale Alban Berisha, a sua volta
duramente sconfessato via internet dai rivali interni.
All'indirizzo ''shqiperiaebashkuar.cjb.net'' Vardari sfida il rivale
con toni tragici e grotteschi: ''Dica Berisha, quanti slavi ha
ucciso col suo 'esercito'? E dove sono i 2.000 soldati con i quali
avrebbe dovuto cominciare la guerra il 15 gennaio del 2002 come aveva
annunciato?''. Ma l'annuncio oggi non si leggeva piu': sia questo sito,
sia l'altro, sono stati improvvisamente e misteriosamente oscurati. La
lotta virtuale intrapresa tra i due gruppi albanesi, e soprattutto le
argomentazioni utilizzate, rilanciano i sospetti sulla reale esistenza
dell'Ana come movimento armato. Eppure il
dipartimento di Stato americano l'ha inserita tra i nuovi gruppi
terroristici internazionali, e la Nato nelle scorse settimane ha
arrestato in Kosovo un giovane che e' stato incriminato proprio come
uno dei presunti comandanti dell'Ana. Sui rispettivi siti le due
formazioni mostrano uomini in uniforme, gagliardetti (peraltro
identici) e uguali progetti politici che teorizzano la
creazione di una ''grande Albania''. Oggi il ministro della difesa
macedone, Vlado Buckovski, pur escludendo il rischio di una nuova
guerra in primavera come minacciato dalla guerriglia, ha invece
riconosciuto il pericolo di imminenti ''provocazioni armate compiute
dall'Ana. Che ci siano gruppi armati in Kosovo in Macedonia e nella
Serbia meridionale e' sicuro'' ha
concluso, citando le testimonianze del vice premier serbo Nebojsa
Covic, del governatore Onu in Kosovo Michail Steiner e del comandante
generale della Kfor Fabio Mini. Da chi siano composti questi gruppi,
chi li comandi davvero e quale reale minaccia rappresentino resta
invece un mistero. (ANSA). BLL
21/02/2003 16:31

il manifesto - 05 Marzo 2003
BOMBA IN MACEDONIA

L'esplosione di un ordigno a bordo di un fuoristrada della Nato in
Macedonia ha ucciso ieri due militari della missione di pace e ha
ferito altre tre persone. Il portavoce della Nato, Craig Ratcliff, ha
confermato la morte dei due soldati che erano rimasti gravemente
feriti dalla deflagrazione che ha ferito due civili e un'interprete.
Secondo una prima ricostruzione, i militari - che secondo un'emittente
televisiva privata erano polacchi - sono incappati in un gruppo di
persone che cercava di disfarsi di una certa quantità di esplosivo e lo
hanno fatto brillare per errore.
Quello che il portavoce Ratcliff definisce «un incidente» si è
verificato nel pomeriggio sulla strada che collega Kumanovo a Sopot e
Susevo, al confine con il Kosovo.
La missione Nato, che conta 400 soldati (tra cui anche truppe
italiane), ha il compito di garantire la sicurezza degli osservatori
che devono vigilare sull'adempimento degli accordi di pace firmati
nell'agosto del 2001 tra la maggioranza slava e la minoranza albanese.

il manifesto - 22 Aprile 2003
MACEDONIA
«Morti gli accordi di pace»

Il pericolo del ritorno del conflitto inter-etnico in Macedonia è stato
ventilato dal capo del Partito democratico degli albanesi, Arben
Xhaferi, il quale chiede alla comunità internazionale di stabilire in
Macedonia un «protettorato più efficace di quello vigente nel Kosovo».
Il partito degli albanesi di Macedonia si asterrà dai lavori del
parlamento, ha annunciato Xhaferi, per protestare contro il modo in cui
si sta dando attuazione all'accordo di pacificazione della repubblica
ex jugoslava, sottoscritto dal partito stesso nell'agosto 2001 dopo
sette mesi di guerra fra la maggioranza slava e la minoranza albanese.
«L'accordo di pace è morto - ha detto il vice-presidente del partito
degli albanesi, Menduh Thaci - e l'unica soluzione praticabile è
quella di stati etnici, per la cui realizzazione lavoreremo
alacremente».

MACEDONIA: DUE BOMBE ESPLOSE NELLA CAPITALE SKOPJE

(ANSA-REUTERS) - SKOPJE, 22 GIU - Due bombe sono esplose nel tardo
pomeriggio di oggi nel centro di Skopje, la capitale della Macedonia,
provocando un ferito leggero e danni di varia entita' ad una decina
di negozi. Le due deflagrazioni, avvenute intorno alle 19, sono
state quasi simultanee: la prima nei pressi della piazza principale
della citta' e la seconda in un complesso commerciale distante poco
piu' di un chilometro. Una portavoce della polizia ha detto che
finora non vi sono state rivendicazioni. La zona e' stata circondata
da agenti dell'anti-terrorismo. Nel paese balcanico, da qualche
settimana si e' registrato un aumento della tensione in seguito ad
una serie di sporadici episodi di violenza. Il piu' grave risale
alla settimana scorsa, quando un soldato e' rimasto ucciso
dall'esplosione di una mina. L'esercito ritiene che si sia trattato
di un atto di terrorismo. Due anni fa la Macedonia e' stata a
lungo sull'orlo della guerra civile a causa dell'occupazione di vari
villaggi da parte dei guerriglieri di etnia albanese, poi
riconquisati dalle forze governative. Dopo la firma di un accordo
di pace, nella ex repubblica jugoslava venne schierato un contingente
di pace della Nato che lo scorso aprile e' stato sostituto da unita'
della Eurofor, la forza di reazione rapida della Ue. (ANSA-REUTERS).
ZU
22/06/2003 21:43

MACEDONIA: ATTENTATI A SKOPJE, PER POLIZIA ATTI TERRORISTICI

(ANSA) - SKOPJE, 23 GIU - Il ministero dell'interno macedone ha
definito oggi ''atti di terrorismo'' i due attentati avvenuti ieri
sera nel centro di Skopje, uno dei quali ha provocato un ferito. ''Si
tratta dell'azione di un piccolo gruppo terrostico - ha detto il
ministro Hari Kostov - lo stesso che ha gia' colpito in altre
citta'''. Kostyovo sembra fare riferimento alla sEdicente Armata
nazionale albanese (Ana, o Aksh per gli albanesi), gruppo estremista
albanese che ha in passato rivendicato attentati e che ha
recentemente minacciato l'inizio di un nuovo conflitto in Macedonia.
Il portavoce della Vmro-Dpmne, partito nazionalista macedone che
guida le fila dell'opposizione, ha detto che ''ormai in Macedonia e'
iniziato il terrorismo urbano'' ed ha sostenuto che le bombe di ieri
sera ''hanno un movente politico'' pur non precisando quale.
Intorno ale 19:30 di ieri due ordigni sono esplosi davanti ad un
centro commerciale e all'ingresso della sede delle Poste
macedoni.(ANSA) BLL-COR
23/06/2003 17:04

MACEDONIA: ATTENTATO IN QUARTIERE ALBANESE, VITTIME

(ANSA) - SKOPJE, 9 LUG - Un attentato e' avvenuto questa mattina in
quartiere di Skopje abitato in maggioranza da albanesi. Lo ha detto
la radio macedone secondo cui ci sono stati tre morti e alcuni
feriti. Da bordo di un'auto e' stato aperto il fuoco contro un
centro commerciale, e subito dopo e' stato lanciato un ordigno che e'
esploso nella fontana di un vicino bar. La radio della capitale
macedone ha riferito un primo bilancio di tre morti e alcuni feriti
fra cui anche un bambino. Altre fonti parlano invece di un morto
accertato e di sette feriti. (ANSA). BLL-COR 09/07/2003 13:17

MACEDONIA: ATTENTATO A SKOPJE, SALE A CINQUE NUMERO VITTIME

(ANSA) - SKOPJE, 10 LUG - Si aggrava il bilancio dell'attentato
avvenuto ieri nel quariere albanese di Cair, a Skopje: un ragazzo di
16 anni, rimasto ferito nel corso della sparatoria alla quale era
seguita l'esplosione di una bomba a mano, e' morto nelle prime ore di
questa mattina in ospedale. Sale cosi' a cinque il numero dei
morti e passa a tre quello dei feriti. Restano ancora gravi le
condizioni di una bambina di sei anni che passeggiava insieme alla
madre al momento dell'epslosione, rimasta a sua volta uccisa.
Obiettivo dell'attentato, secondo la polizia, era Ridvan Neziri, 31
anni, una delle vittime, ex esponente della guerriglia albanese
ritenuto dagli investigatori a capo di una potente gang criminale che
operava nella zona. (ANSA) COR-BLL
10/07/2003 13:57

MACEDONIA: DUE POLIZIOTTI RAPITI DA COMMANDO A KUMANOVSKO

(ANSA) - BELGRADO, 27 AGO - Due poliziotti macedoni sono stati rapiti
nella regione di Kumanovo, a ridosso della frontiera con il Kosovo, da
un commando armato. Lo riferisce l'agenzia serba Beta, precisando
che il rapimento e' stato rivendicato in una dichiarazione
all'emittente locale A1 da un gruppo dell'Armata nazionale albanese
(Ana) guidato da tal Abdula Jakupi detto 'Ccakala'. Il ministero
degli interni macedone ha inviato un ultimatum per l'immediata
liberazione degli ostaggi, sottolineando che non intende aprire
negoziati ''con criminali e terroristi come Ccakala, ne' scambiare i
poliziotti rapiti con persone sotto processo''. La dichiarazione
lascia intendere che i sequestratori abbiano proposto uno scambio con
esponenti dell'Ana in carcere. Le autorita' hanno invitato la
popolazione della zona, in grande maggioranza albanesi, alla ''calma e
alla cooperazione'', in vista di una probabile azione contro il
commando. Negli anni scorsi l'Ana e' stata molto attiva nella
regione, e in alcuni momenti lo scontro fra forze macedoni e
estremisti albanesi ha rasentato la guerra civile. Una sigla Ana
e' attiva anche nel sud della Serbia, pure abitato da una maggioranza
albanese, ma non e' chiaro se vi siano e quali possano essere i
rapporti fra le due organizzazioni. (ANSA). OT
27/08/2003 19:20

MACEDONIA: TENSIONI, IN FUGA CIVILI DA DUE VILLAGGI ALBANESI

(ANSA) - SKOPJE, 1 SET - Centinaia di civili albanesi, in gran parte
donne e bambini, stanno fuggendo da due villaggi della Macedonia
settentrionale dove sarebbe in corso una vasta operazione della
polizia e dell'esercito macedoni per catturare guerriglieri albanesi
presenti nella zona. I due villaggi, Vaksince e Lojane, si trovano
nel distretto di Kumanovo e furono tra le roccaforti della guerriglia
albanese durante il conflitto di due anni fa. Nella zona si
nasconderebbero gruppi di estremisti appartenenti alla sedicente
'Armata nazionale albanese' (Ana, o Aksh per gli albanesi) che in
questa stessa zona una settimana fa avevano preso in ostaggio due
agenti di polizia, in seguito liberati. In una dichiarazione
diffusa dall'Ana via Internet, gli stessi guerriglieri hanno lanciato
un ultimatum intimando alla polizia e all'esercito macedoni di
ritirarsi dalla zona. Non si ha notizia fino a questo momento di
scontri armati. (ANSA). BLL-COR/IMP 01/09/2003 15:52

MACEDONIA:CARRI ARMATI E ELICOTTERI CONTRO GUERRIGLIERI/ANSA

(ANSA) - SKOPJE, 1 SET - Carri armati, elicotteri e mezzi blindati
sono in azione nella Macedonia settentrionale nella piu' grossa
operazione anti-guerriglia lanciata dal governo di Skopje dalla fine
della guerra di due anni fa. Esercito e polizia hanno circondato
alcuni villaggi del distretto di Kumanovo, fra le cui case si
nascondono gli uomini del ''comandante Cakalla'', capo di un
sedicente gruppo di estremisti albanesi che sostengono di lottare per
l'unificazione delle terre albanesi. ''Non mi consegnero' vivo
agli occupatori macedoni'' ha detto ''Cakalla'' (il cui vero nome e'
Avdyl Jakupi) raggiunto telefonicamente dall'Ansa nel villaggio di
Vaksince che insieme a quello di Lojane e' da tre giorni sotto
assedio. Circa un migliaio fra donne e bambini sono fuggiti dai
centri abitati temendo l'imminenza di una battaglia. Jakupi sostiene
di essere al comando di un gruppo imprecisato di combattenti, tutti
armati e vestiti in uniforme. Il dispiegamento di forze deciso dal
governo (oltre ad una decina di carri armati e mezzi blindati vengono
impiegati anche elicotteri da combattimento), lascia intendere che le
autorita' macedoni non sottovalutano il nemico. ''Tutte le unita'
impiegate nell'operazione sono composte da agenti e militari sia
albanesi che macedoni - ha precisato il vice primo ministro Musa
Xhaferri - e la loro missione e' solo quella di catturare alcuni
individui ricercati dall'autorita' giudiziaria che si sono resi
responsabili di crimini''. In testa alla lista dei ricercati c'e'
proprio il ''comandante Cakalla'', accusato di aver preso in ostaggio
la scorsa settimana due agenti di polizia, in seguito rilasciati.
Il governo macedone si e' riunito oggi in seduta d'emergenza per
discutere la situazione. Dell'esecutivo, oltre al partito
socialdemocratico macedone del premier Branko Crvenkovski, fa parte
anche l'Unione democratica per l'integrazione guidata Ali Ahmeti, che
due anni fa era a capo della guerriglia albanese (Uck). Ahmeti
viene accusato dagli estremisti della sua stessa etnia di aver
tradito la causa nazionale e di non essere riuscito ad ottenere,
nonostante la guerra combattuta per sei mesi nel 2001 e
sostanzialmente vinta, maggiori diritti per la propria minoranza. In
realta', oggi la comunita' albanese della Macedonia (che costituisce
oltre il 30 per cento della popolazione) gode, almeno sulla carta, di
eguaglianze ottenute proprio grazie all'accordo di pace firmato da
Ahmeti nell'agosto del 2001. ''Ma le guerre in tutto il mondo si
combattono per i territori e non solo per i diritti umani'' ha
tentato di spiegare ''Cakalla'' nel suo colloquio con l'Ansa. Il
sedicente comandante e' stato in passato combattente dell'Uck di Ali
Ahmeti, ma ha deciso di tornare ad imbracciare le armi proprio per
perseguire l'utopia di un'unificazione delle terre abitate da
albanesi, che comprendono una parte di Macedonia, il Kosovo,
l'Albania, la Serbia meridionale ed una porzione di Montenegro.
Resta da capire se le velleita' di 'Cakalla' sono in grado di
scatenare nella fragile repubblica ex jugoslava un nuovo conflitto
armato, le cui sorti potrebbero coinvolgere, come accade due anni fa,
anche la stabilita' del Kosovo e della Serbia del sud.(ANSA)
BLL-COR 01/09/2003 20:15

MACEDONIA: TENSIONI; FORZE ARMATE REPINGONO ULTIMATUM ANA

(ANSA) - SKOPJE, 2 SET - Le forze di sicurezza macedoni hanno
respinto l'ultimatum lanciato dalla guerriglia albanese che aveva
chiesto il loro ritiro dalla zona di Kumanovo, nella Macedonia
settentrionale. ''Noi non prendiamo neppure in considerazione
richieste e ricatti di questo tipo - ha dichiarato alla stampa il
portavoce del governo, Saso Colakovski - e non intendiamo negoziare
con gruppi di criminali, di terroristi o di estremisti''. La zona
di crisi resta concentrata intorno ai villaggi di Vaksince e di
Lojane, circondati da ingenti forze di polizia e dell'esercito ed al
cui interno si trovano asserragliati i guerriglieri albanesi. ''Sono
quasi tutti ex combattenti del disciolto Esercito di liberazione
nazionale (Uck) - ha detto all'Ansa un testimone di ritorno dal
villaggio di Vaksince - sono tutti armati, ma quelli che ho visto io
erano senza uniforme''. Secondo il testimone, gli estremisti sono
pronti a dare battaglia alle forze di sicurezza macedoni ''nel caso
in cui tentassero di entrare nel villaggio''. Il centro abitato e'
in pratica sotto il controllo degli estremisti, che hanno detto
tuttavia di non riconoscersi nell'Armata nazionale albanese (Ana, o
Aksh per gli albanesi), il movimento di guerriglia che aveva lanciato
attraverso Internet l'ultimatum al governo. I guerriglieri
insistono nel chiedere il ritiro dalla zona di polizia ed esercito e
sollecitano l'applicazione dell'amnistia prevista per gli ex
combattenti dell'Uck dall'accordo di pace firmato a Ocride fra
macedoni e albanesi nell'agosto del 2001. ''Il villaggio e' ancora
circondato - ha detto il testimone - ho visto carri armati e mezzi
blindati, e le forze di sicurezza hanno detto che non si ritireranno
fino a quando a Vaksince resteranno uomini armati''. BLL
02/09/2003 20:30

MACEDONIA: TENSIONI; PRIMO SCONTRO A FUOCO CON GUERRIGLIA

(ANSA) - SKOPJE, 3 SET - Uno scontro a fuoco fra guerriglieri
albanesi e forze di sicurezza macedoni, il primo dall'inizio di
questa nuova crisi armata, e' avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri
intorno al piccolo villaggio frontaliero di Breze, nell'estrema
Macedonia settentrionale a ridosso della frontiera con il Kosovo.
Lo ha detto all'Ansa Najm Halili, uno degli ex combattenti dell'Uck
(movimento ormai disciolto) che sono tornati a imbracciare le armi e
che attualmente controllano il villaggio di Vaksince, altro centro
rurale abitato da albanesi che si trova nello stesso distretto di
Kumanovo. ''Le forze macedoni hanno aperto il fuoco con
mitragliatrici mentre gli elicotteri sorvolavano la zona - ha detto
Halili - noi abbiamo risposto''. Secondo lo stesso Halili si e'
trattato tuttavia di ''combattimenti sporadici'' che non avrebbero
provocato vittime. La notizia dell'incidente armato e' stata
confermata anche dal sindaco del comune di Lipkovo, Hysamedin Halili,
che ieri ha partecipato ai negoziati fra estremisti e deputati
albanesi per tentare di raggiungere un accordo e scongiurare
un'escalation della crisi. Gli estremisti chiedono il ritiro
dalla zona delle forze di polizia e dell'esercito macedoni e
l'applicazione dell'amnistia per gli ex guerriglieri dell'Uck
prevista dall'accordo di pace firmato a Ocride fra macedoni e
albanesi nell'agosto di due anni fa. La portavoce del ministero
dell'Interno, Mirjana Kontevska, ha intanto annunciato che le forze
di polizia stanno iniziando il ritiro dalla zona di Vaksince,
epicentro della crisi, ma che continueranno la loro caccia agli
estremisti ricercati. (ANSA). BLL 03/09/2003 13:11

MACEDONIA: SI COMBATTE NELL'ANNIVERSARIO INDIPENDENZA/ ANSA (di Carlo
Bollino)

(ANSA) - SKOPJE, 7 SET - Si torna a combattere in Macedonia, alla
vigilia del dodicesimo anniversario della sua indipendenza. Mentre il
parlamento si prepara a celebrare domani la pacifica secessione dalla
Jugoslavia, avvenuta l'8 settembre del 1991, polizia ed esercito
hanno lanciato un massiccio attacco contro gruppi di estremisti
albanesi che nel nord del paese minacciano di innescare un nuovo
conflitto. La zona degli scontri e' concentrata intorno al
villaggio di Breze (Brest) nel distretto di Kumanovo, a ridosso del
confine con il Kosovo. Fu qui che due anni fa inizio' il conflitto
fra nazionalisti albanesi e forze governative macedoni, poi dilagato
in gran parte del nord-ovest del Paese e concluso dopo sei mesi con
la firma dell'accordo di pace di Ocride. Un piano rimasto in parte
ancora inapplicato e che continua a non soddisfare alcune delle
frange piu' estreme della comunita' albanese, che in Macedonia
rappresenta oltre il 30 per cento della popolazione. ''La polizia e
l' Esercito hanno iniziato la seconda fase delle operazioni che punta
a neutralizzare i gruppi di criminali e terroristi che minacciano la
sicurezza nel nord del paese'' hanno detto i portavoce del ministero
dell'Interno. In testa alla lista dei ricercati c'e' Avdyl Jakupi,
conosciuto come ''comandante Cakalla'', un ex combattente dell'
Esercito di liberazione nazionale (Uck, disciolto con la fine del
conflitto di due anni fa) e che oggi si sarebbe rimesso a capo di un
gruppo di ex guerriglieri che pretendono la piena applicazione
dell'amnistia prevista dal piano di Ocride. Nella stessa zona
sarebbe attiva anche l'Armata nazionale albanese (Ana, o Aksh per gli
albanesi), un altro movimento di guerriglia (classificato come
''organizzazione terroristica'' dalla missione delle Nazioni Unite in
Kosovo) che sostiene di lottare per l'unificazione delle terre
albanesi che comprendono la Macedonia nord-occidentale, la Serbia del
Sud, il Kosovo, una porzione del Montenegro e l'Albania. In
realta' nessuno sa ancora valutare con esattezza la forza di questa
nuova guerriglia, mentre numerosi osservatori occidentali sono
concordi nel ritenere che finora i gruppi di estremisti agiscono in
proprio, senza un coordinamento centrale e soprattutto senza quel
vasto supporto popolare di cui due anni fa ha invece goduto l'Uck.
Nelle operazioni lanciate questa mattina vengono impiegati
elicotteri da combattimento e mezzi blindati, ma il governo di Skopje
ha piu' volte sottolineato che tutte le pattuglie sono etnicamente
miste, cioe' composte da militari sia macedoni che albanesi. Gli
scontri sono iniziati nelle prime ore della giornata e si sono
intensificati nel primo pomeriggio quando infine il ministero dell'
Interno e della Difesa hanno diffuso un comunicato congiunto
annunciando che l' operazione ''si e' conclusa con successo''. Il
bilancio degli scontri e' ancora incerto. Le autorita' macedoni
parlano di ''morti e feriti'' fra gli estremisti albanesi, senza
precisarne il numero. Hysamedin Halili, sindaco del piccolo comune di
Lipkovo che si trova non distante dall'area della crisi, ha detto
all'Ansa che almeno tre albanesi sono morti e altri quattro sono
rimasti feriti. ''A Breze molte case sono in fiamme e la popolazione
e' in fuga'' ha aggiunto Halili. Fonti militari internazionali hanno
indicato che il ''comandante Cakalla'' potrebbe essere fuggito in
Kosovo. Finora sono stati recuperati due cadaveri (gia' trasferiti a
Skopje), ed entrambi indossavano l'uniforme nera del gruppo di
''Cakalla''. Non distante dalla zona degli scontri stazionano team
di osservatori dell' Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa (Osce) e di ''Concordia'', la missione
militare delle Euroforze alla quale aderiscono 26 Paesi per un totale
circa 430 uomini. Gli italiani presenti in Eurofor sono 26, con il
colonnello Antonio Amato che e' Capo di stato maggiore della
missione. Resta ora da capire se la conclusione delle operazioni
annunciata dalle autorita' macedoni significhi davvero la
neutralizzazione dei gruppi estremisti, o se non segni piuttosto l'
inizio, come invece si teme e come accadde due anni fa, di una lunga
serie di scontri armati e di una conseguente escalation della
tensione. (ANSA). BLL 07/09/2003 19:14

MACEDONIA: TENSIONI, ESPLOSIONE A TETOVO CONTRO CONDOMINIO

(ANSA) - SKOPJE, 8 SET - Una bomba e' stata fatta esplodere la notte
scorsa a Tetovo, capoluogo della Macedonia nord-occidentale abitata in
maggioranza da albanesi. L'ordigno, che non ha provocato vittime, e'
stato piazzato davanti ad un grande condominio in cui risiedono civili
macedoni.
L'attentato e' avvenuto a 24 ore dalla massiccia operazione
condotta ieri da polizia ed esercito contro gruppi di estremisti
armati nel nord del paese. Almeno tre albanesi sono rimasti uccisi e
altri quattro feriti nel corso dell'azione definita dalle autorita'
macedoni ''un successo''.
Temendo una possibile reazione degli estremisti, oggi la polizia a
Skopje e' stata posta in stato di allerta. Gli agenti armati e con
indosso i giubbotti antiproiettile presidiano gli edifici governativi
nel giorno del dodicesimo anniversario della sua indipendenza dalla
Jugoslavia.
Contravvenendo alle regole nazionali, nella zona di Tetovo la
popolazione ha esposto le bandiere albanesi stese a sventolare per le
strade al posto di quelle macedoni. Un altro segnale della tensione
che serpeggia fra le due comunita'.
L'operazione condotta ieri sta producendo anche strascichi
politici. L'Unione democratica per l'integrazione (Udi) guidata
dall'ex leader della guerriglia albanese Ali Ahmeti, ha preteso un
incontro urgente con il primo ministro Branko Crvenkovski (con il
quale governa in coalizione), protestando per non essere stata
informata dell'avvio delle operazioni militari nel nord.(ANSA)
BLL 08-SET-03 14:15 NNNN
08/09/2003 15:18

MACEDONIA: TENSIONI; RISPUNTA 'CAKALLA', GUERRIGLIA CONTINUA

(ANSA) - SKOPJE, 8 SET - A ventiquattr'ore dalla fine delle
operazioni militari nel Nord della Macedonia che puntavano alla sua
cattura, rispunta il ''comandante Cakalla'', l'estremista albanese
super-ricercato che minaccia di scatenare un nuovo conflitto nell'ex
repubblica jugoslava. ''Cakalla'', il cui vero nome e' Avdyl
Jakupi, e' stato raggiunto telefonicamente dalla televisione di
Tirana 'News24' che lo ha intervistato. ''Loro volevano uccidermi -
ha detto l'uomo - ma come vedete non ce l'hanno fatta, e adesso le
lotta di guerriglia continuera'''. L'ex combattente dell'Uck ha
accusato duramente il blocco politico albanese della Macedonia di
aver ''tradito'' la causa nazionale, ''dando luce verde'' alle forze
di polizia e all'esercito per lanciare l'attacco di ieri mattina
costato la vita a tre albanesi, due dei quali appartenenti al gruppo
di Cakalla. L'uomo ha detto di trovarsi ancora nel villaggio di
Breze, teatro dei duri scontri di ieri, ma la circostanza appare poco
verosimile visto che la zona e' ormai sotto un rigido controllo
delle forze di sicurezza macedoni. Le autorita' di Skopje oggi hanno
negato l'impiego di artiglieria pesante nel corso delle operazioni
militari e il coinvolgimento della popolazione civile, ma al tempo
stesso hanno preannunciato una ''terza fase'' della loro azione che
puntera' alla cattura di tutti gli estremisti ricercati. (ANSA).
BLL 08/09/2003 18:39

il manifesto - 09 Settembre 2003
MACEDONIA
Tre morti Torna la guerriglia

Tre morti albanesi e una bomba contro un palazzo a Tetovo, ieri hanno
riacceso la Macedonia. Dopo i trionfali accordi del 2001, che avevano
siglato la tregua tra la minoranza albanese e il governo macedone,
torna a parlare il comandante Cakalla, l'estremista albanese super
ricercato da Skopje, capo dell'Ana, l'esercito nazionale albanese.
L'attacco, compiuto nel nord della Macedonia, ha provocato la morte di
tre militanti e il ferimento di altri albanesi. L'obiettivo era proprio
Cakalla, alias Jakupi, che minaccia vendetta. L'azione, definita un
successo dal portavoce della Difesa, è la prima contro i militanti
albanesi da due anni. Reazione immediata, dopo quella politica di
protesta da parte dei rappresentanti albanesi in parlamento per non
essere stati avvertiti, è stata l'attentato a Tetovo, che non ha
causato vittime. Qualcosa comunque si è rotto proprio mentre la
Macedonia, riqualificatasi con Europa e Usa dopo gli accordi, è
impegnata anche sul fronte iracheno con migliaia di uomini.

MACEDONIA: MINISTRO DELEGA AD ALBANESI CATTURA ESTREMISTI

(ANSA) - SKOPJE, 11 SET - Il ministro dell'Interno macedone, Hari
Kostov, con un ordine scritto ha delegato oggi a funzionari e
dirigenti albanesi della polizia e dei servizi segreti la cattura
degli estremisti albanesi che minacciano di scatenare un nuovo
conflitto nella parte settentrionale del paese. L'incarico di
arrestare il ''comandante Cakalla'' e il suo vice, ''comandante
Breza'', entrambi a capo di un gruppo di estremisti e tuttora
latitanti, e' stato cosi' affidato al vice ministro dell'Interno
Hasbi Lika, al vice capo dei servizi di sicurezza Besir Deari e al
vice direttore dell'ufficio per la sicurezza pubblica Fatmir Deahr.
I tre appartengono all'Unione democratica per l'integrazione
(Udi), il partito guidato dall'ex capo della guerriglia albanese Ali
Ahmeti che partecipa al governo del premier Branko Crvenkovski.
''La cattura dei ricercati deve avvenire entro un mese - ha detto
Kostov - ed io mi aspetto entro domani un piano operativo insieme
alla conferma che la mia delega e' stata accettata''. In questo caso
Kostov ha detto di essere pronto ''ad andare in ferie'', ma ha poi
aggiunto che ''ogni mattina alle 9:00'' attendera' un rapporto dei
tre alti funzionari sull'andamento delle operazioni. L'idea di
delegare a funzionari albanesi la cattura degli estremisti albanesi
appare come un espediente per allentare la tensione cresciuta
all'interno del governo, dopo la massiccia operazione militare
lanciata domenica scorsa e le dure proteste che ne sono seguite da
parte di Ali Ahmeti e del suo partito. Osservatori occidentali
interpretano tuttavia la ''delega'' come un metodo per verificare da
parte dei componenti macedoni del governo se gli alleati albanesi
sono davvero decisi a combattere l'estremismo cosi' come hanno
affermato pubblicamente.(ANSA) BLL-COR 11/09/2003 18:43

Macedonians in Iraq

http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=138

(notice: the balkanalysis.com website is run by C. Deliso)

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Risky business: Brown & Root scoops up Macedonia’s youth

Date: Saturday, September 06 @ 03:05:00 EDT
Topic: Macedonia Articles

When the elderly Kumanovo mother boasted about the special care her son
was receiving from his new employer, one would have thought she was
talking about some bonus or health care plan. Actually, she was
speaking- in glowing terms- of the funeral arrangements that America’s
largest military contractor, Brown & Root, had made for him.
Apparently, if the man was to be killed “in duty” while servicing the
troops in Iraq, he would be cremated (so as not to take up so much
space on the plane) and sent back to Kumanovo in a little urn.

“See? They care about him so much!” pronounced the proud mother.

Over the past few months, hundreds of young people from Kumanovo
(among other places) have been recruited for Brown & Root’s imperial
support missions in the Middle East. The military logistics giant,
formerly run by Vice President Cheney, is in reality the civilian wing
of the Pentagon, thriving off of never-ending government grants for
military missions the world over.

Around the time of the Kosovo bombardment Brown and Root set up shop
near Kumanovo, a small city in northern Macedonia, to back up NATO and
later KFOR missions in Kosovo. Over the past four years, the company
has employed a few thousand local people, pumping a lot of money into
the economy in the process. Macedonians worked 12-14 hours a day for
what Westerners would consider a pittance. Nevertheless, it
represented a big improvement over normal wages. Additional
procurement fraud and other kinds of corruption allowed workers to
milk small fortunes out of the company. Some cases have been reported
in local media, but most are still unpublished.

Since 9/11, however, American interests have been diverted far from
the Balkans. And the Brown & Root operation has been dramatically cut
to basically a skeleton staff. Yet this does not spell the end for our
local indentured servants. Enticed by real Western-style paychecks,
Macedonians are being encouraged to work in countries like
Afghanistan, Djibouti, Kuwait and Iraq.

What does this all mean? First of all, it suggests that there is
little confidence in the local economy. Young people don’t want to
stay and make a better future for themselves and their country; they
would prefer to become the servants of American empire, serving in
extreme heat and very dangerous locales, far from their loved ones,
all in the pursuit of money. When criticized, such people inevitably
say that, “oh, I’ll just earn some money for one year, and then come
back and start a business.” However, they typically return from one
mission only until they get their marching orders for the next. When
asked, “why go to Iraq?” Macedonians are more and more replying, “why
not?”

For the first time, there is the very real possibility for Macedonians
to spend their entire professional lives posted in one American
outpost or the other. One young man who’d previously worked for B & R
in Oman, for example, just shipped out for Iraq. At this rate, we
could end up with a whole generation of Macedonians spending their
entire careers away from home.

The social implications are equally profound. Because Brown & Root
requires its Macedonian employees to send the bulk of their paychecks
home, millions of dollars are being funneled monthly back to Kumanovo.
Women left alone by their hard-working husbands have quit their jobs,
preferring a life of cafés, beauty salons and illicit affairs. “Brown
& Root wives,” as they’re known, are enjoying all the creature
comforts that sudden opulence brings. This is not necessarily either
good or bad, but it is changing the local social dynamic, family
structure and horizon of expectations- the consequences of which will
be long-term. In addition, reliance on foreign generated funds does
little to inspire Macedonians to create new businesses. Thus any
economic gains made by remittances will probably be- as before-
ephemeral and limited largely to the service sectors.

The Macedonian devotion to empire has its bizarre twists, like the
aforementioned mother who was very impressed when Brown & Root
explained how her son would be returned to her if killed.

That said, it is looking increasingly possible that such a fate could
befall the Macedonian and other foreign workers employed by Brown &
Root and other companies in Iraq. On 5 August, one month ago today, it
was reported that an American Brown & Root worker was killed by a bomb
while driving in Iraq. News that civilian workers are now being
deliberately targeted by the Iraqi resistance can scarcely come as a
comfort for the workers’ loved ones back home. Although the first such
targeted killing claimed an American life, it could just as easily have
taken the life of a worker from Macedonia, Poland, Bulgaria or
anywhere else.

If such foreign indentured servants start dying- not to mention allied
soldiers- then these nations may start wondering whether serving
American empire was really worth it after all. Especially considering
that the Iraqi resistance has begun attack civil installations and
institutions like the UN, the chances of such fatalities can only
increase. Sadly, Macedonian mothers may get their urn burials after
all.

Intellettuali di servizio: Predrag Matvejevic (3)

Trascrizione dell'Intervista al prof. Predrag Matvejevic
rilasciata nel mese di luglio 2003 a Radio 3 RAI, una mattina,
nell'ambito degli "approfondimenti" delle notizie.

La trascrizione del nastro è qui riportata con interruzioni e lacune,
ed alcune note nostre tra parentesi quadre. A suo tempo fu inviata in
merito una lettera di protesta alla Radio e per conoscenza a
Matvejevic, si veda:
"Una lettera di protesta a Radio Tre"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2655

(a cura di Ivan)

---

Su Matvejevic si veda anche:
* Matvejevic, il solito. Dopo un articolo sul ponte di Mostar:
lettera di protesta al "Messaggero"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2753
* ed anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1462
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1280
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1093
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/345
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/32
* dedicata a Matvejevic: la poesia VIDJEH CUDO...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2600

---

Intervista al prof. Predrag Matvejevic su Radio 3 RAI,
luglio 2003

D.: Sul contrasto dei Balcani reali e i Balcani immaginari, sentiamo
adesso uno scrittore che ormai vive in Italia, ed è si slavo ma è molto
italiano, Predrag Matvejevic. Buon giorno!
R.: Si, brava, brava, sei una dei rari che pronunciano bene il mio nome.
D.: (voce maschile) Questo programma ha trattato fino adesso un tema
che in se ha una sorta d’ironia tragica. Ossia i Balcani che dalla
caduta della fine dell’ Impero ottomano in poi, sono diventati luogo di
grandissimi conflitti. Stranamente nel teatro leggero, nell’operetta e
poi nel cinema degli anni venti e trenta è diventato una specie di
luogo di…
(interrompe Matvejevic)
R.: Anche nell’opera di Agata Christie sa, c'è anche nel romanzo giallo
questo.
D.:…Infatti la signora scompare nel film di A. Hitchcock che è tratto
da un romanzo di A. Christie, appunto. Perché secondo lei questo strano
contrasto?
R.: Innanzitutto direi questo avviene nello scontare di definire i
Balcani. Anche la gente dei Balcani non riesce a mettersi d’accordo
fino dove arrivano i Balcani. In questa ultima guerra, per esempio,
abbiamo visto che i croati accusano i serbi: voi siete balcanesi, noi
non abbiamo niente a che fare coi Balcani. Anche forse l’Europa in
questo momento, facendo una scelta, prendendo la Slovenia che è fuori
dall’ambito balcanico, c'è qualche cosa di questo. E c'è una
bellissima, direi, nello stesso tempo, idea e barzeletta, che viene
raccontata da Claudio Magris e un pò da me stesso, nei nostri libri,
che spiega un pò questo spostamento della frontiera e nel contempo la
definizione. Colui che parte dalla Germania dice, quando si ferma a
Monaco di Baviera o Vienna, da qui cominciano i Balcani. Anche un
grande Metternich che tagliava l’Europa, come un grande statista
diceva, sì, alle mura di Vienna iniziano i Balcani. I viennesi e gente
di Monaco di Baviera si sono offesi, e dicono no. Cominciano da
Zagabria, da Lubiana. Anche lì sono offesi. Malgrado che il grande
scrittore croato, il più grande [si riferisce probabilmente a Krleza,
ma perché non lo nomina?], diceva, proprio "da questa stazione iniziano
i Balcani". Anche qui si sono offesi. Dicono: iniziano a Belgrado,
Sarajevo, Pristina, Tirana... E la gente più, diciamo, colta, più
saggia, dice: ma ancora un po’ più a Est comincia la culla della
cultura Europea. E come vede questo spostamento, queste…talvolta
determina vari approcci e varie definizioni infatti. Possiamo chiedere
a seconda vecchie storiografie e vecchie geografie che dicono i Balcani
si stendono fino al Golfo di Quarnaro, alcuni dicono al faro del Golfo
di Trieste.
… e qui infatti, bisogna riconoscere una cosa; è sui Balcani che è nata
l’idea dell’Europa, è sui Balcani che è nata la cultura europea, e non
soltanto nella Grecia antica. Bisanzio era un’erede straordinario di
questa vecchia cultura. E dunque così che è una difficoltà. Per
esempio, c'è questa immagine di polveriera, Balcani polveriera
d’Europa. Si aggiunge un’ immagine simile di termometro d’Europa. Si
vede come va l’Europa secondo il termometro balcanico. Poi c'è un’idea,
una battuta di Churchill fatta durante la II Guerra mondiale, quando ha
visto la situazione dei Balcani. In quel momento Churchill si trovava
in Italia e disse in un incontro con Tito: "I Balcani sono uno spazio
che produce più di storia, che non può consumare" questo che rimane,
che non può consumare la storia. Ecco, questo fa la parte fantasiosa,
la parte folle e la parte, diciamo, esotica dei Balcani.
D.: Quindi, è il luogo più adatto per il nostro programma, è un
iperluogo per eccellenza, un luogo con un eccesso di connotazione…
R.: Assolutamente, e se mi permette vorrei fare, una… non una difesa,
non credo che i Balcani hanno bisogno di me che sono "fra asilo ed
esilio" [sic], che non ho… ma una difesa diciamo storica di alcune cose
crudeli dei Balcani. Nel libro forse più caratteristico, più tradotto
nel mondo, di Ivo Andric [premio Nobel per la letteratura, jugoslavo],
"Il ponte sulla Drina" …Abbiamo fatto recentemente, con la mia
prefazione, con la mia scelta dei testi una bellissima collana dei
"Meridiani" di Mondadori... Allora all’inizio di questo libro c'è una
scena che è forse una delle più crudeli della letteratura mondiale;
l’impalamento del cristiano ribelle. Viene uno specialista di anatomia
con un lungo palo che passi attraverso tutto il corpo, per non toccare
nessun organo vitale perché la vittima sopravviva, che schiuma da
questo palo per dare esempio agli altri. Bisogna immaginare centinaia
di crocevia variopinti nei Balcani in cui sono questi uomini impalati.
[sic]
Non hanno mai preso Vienna. Ci sono venuti fino a Vienna. Esauriti e
non potevano prenderla. Questa grande sofferenza, un grande contributo
dei Balcani nella storia dell’Europa.
D.: (voce femminile) Matvejevic, pochi giorni orsono Le è stato
conferito, insieme ad alcuni altri scrittori europei, i più importanti
del momento, il "Premio Strega europeo", che è stato istituito ora, in
occasione del semestre di Presidenza italiana in Europa. Lei ha vinto
questo premio, questo riconoscimento, per l’ultimo dei suoi libri che
si chiama "L’altra Venezia", edito da Garzanti, e in questo libro Lei
inizia praticamente una sorta di visione e poi d’immaginario. Stiamo
sempre parlando di Venezia vista dai Balcani. Che tipo di rapporto tra
queste due vicinanze, tra queste due culture?
R.: Io cercavo di conciliare qualche cosa che era stesso opposto in
modo arbitrario. Infatti come sa, c'è la Riva dei Schiavoni… nella
Venezia stessa, schiavoni voleva dire slavi … Parola slavo, schiavo, si
sono cambiate per dare questi schiavoni. C’era una visione dei storici
slavi, (che) era un rifiuto di Venezia, e c'è una sottovalutazione
dalla parte di Venezia stessa. Io ho cercato di far incontrare alcuni
momenti che sono completamente diversi. Nel momento in cui Venezia
viene occupata prima dalla Polonia, poi dall’Austria... Gli ultimi che
volevano difendere… E proprio Ippolito Nievo ha scritto questo testo,
questo elogio dei schiavoni che si sono messi sulla Riva dei Schiavoni:
Vogliamo difenderla... E le campane suonavano a morte di Zara, di
Spalato, Sebenico, fino alle Bocche di Cattaro. E dunque anche in un
altro momento del ’48, erano con Tommaseo schierati questi schiavoni
per difendere Venezia. E poi ho trovato, ricercando... la mia passione
sono le carte geografiche, e anche nel "Breviario mediterraneo", e
soprattutto nell’ "Altra Venezia" [Matvejevic cita se stesso in
continuazione], c'è un capitolo sulle carte veneziane. Ci sono tanti in
queste botteghe di cartografi, ci sono tanti slavi, croati, sloveni, di
Dalmazia, che venivano a lavorare, che hanno fatto ottime opere con i
cartografi veneziani. Dunque era una guerra balcanica, lo spazio che
era sotto Venezia, che ha vissuto e si è confrontato in qualche modo
soltanto col Rinascimento non ha visto queste crudeltà che si sono
manifestate nell’ultima guerra balcanica. E per questo è una delle
ragioni che io ho scritto questa "Altra Venezia". Devo dire, temendo
che Venezia non accetti facilmente. Al contrario, il libro è stato
molto ben accettato, accolto a Venezia e tutti i giornali veneziani.
D.: Matvejevic, durante la dominazione turca che poi è durata
lunghissimo quasi…
R.: … quasi cinque secoli
D.: … cinque secoli appunto. C’è stata una bassa conflittualità tra
diverse comunità per cinquecento anni. Conflittualità che poi si
accentua dopo la caduta dell’Impero.
R.: Bisogna dire che l’Impero turco aveva una politica nazionale, nei
confronti delle nazionalità che non erano nazioni ancora ben definite,
diciamo nei confronti delle etnie e delle religioni, abbastanza
tollerante [vedi i "crocevia variopinti con gli uomini impalati" di cui
sopra]. Questo bisogna… [mormorii da parte dell’intervistatore] e
d’altra parte, una parte della gente ha preso l’Islam. I bosniaci,
infatti, che erano vittima proprio nell’ultima guerra… e voglio dire
c’è una bellissima idea di uno grande scrittore tradotto in Italia,
slavo, bosniaco, si chiama Mehmed Selimovic… [si odono ancora mormorii
dell’intervistatore] Il suo romanzo analizza la morte, che presenta
questa bellissima idea che da, che presenti questa realtà della etnia
islamica [sic] in Europa… [ancora "hm hm" in sottofondo]. Diceva:
"Siamo stati troppo pochi per diventare un lago, e siamo stati troppi
per essere inghiottiti dalla sabbia"... [Mesha Selimovic, scrittore
proviene da una famiglia di religione musulmana, in realta' si
considera serbo].
... E comunque troppi per essere inghiotiti dalla sabbia. E dunque
questo nella ultima guerra, proprio quando parliamo dei luoghi
balcanici che è capitato. Devo dire io sono di una famiglia doppiamente
cristiana, mio padre russo, mia madre cattolica croata, dunque non sono
musulmano. Mi sono schierato coi musulmani di Bosnia ed Erzegovina, e
sono andato durante l’assedio di Sarajevo ["...hm, hm..."] a vivere un
tempo di questo assedio coi nostri fratelli bosniaci musulmani, molto
laici. [sic! Matvejevic non è stato dunque "dall’altra parte", cioè ad
esempio a Nedjarici, quartiere a maggioranza serba fino allora,
assediato dalle truppe di Izetbegovic. E per quanto riguarda i "laici",
Matvejevic "dimentica" la "Dichiarazione islamica" di Izetbegovic,
"dimentica" il proclama "Cosa fare dei serbi nella Repubblica islamica
di Bosnia ed Erzegovina" pubblicato su "Vox" nel 1990, "dimentica" i
volontari mujaheddin dai paesi islamici accorsi in Bosnia ad aiutare
Izetbegovic, Osama bin Laden compreso, e "dimentica" anche il progetto
di "trasversale verde". Si ricorda soltanto di quello che gli pare]
Devo dire adesso in questo momento, quando parliamo solennemente
dell’Europa, il ruolo dell’Italia, che spero sarà migliore di questi
ultimi tempi che abbiamo visto queste nostre dispute. L’Europa ha fatto
l’errore di non riconoscere lì l’Islam laico europeo, che avrebbe
potuto servire come esempio agli altri Islam, di tipi di deviazioni
islamiche, ideologiche, religiose.
D.: Predrag Matvejevic, grazie di aver partecipato al nostro viaggio
attraverso i Balcani…
R.:Grazie a voi, spero che continueremo questo viaggio.
D.:Si, grazie tante.

Trascrizione a cura di Ivan, per il CNJ

1. 11 SETTEMBRE: UN REICHSTAG AMERICANO
Fulvio Grimaldi / L'Ernesto

2. The war on terrorism is bogus
Michael Meacher / The Guardian


Siti consigliati:

http://globalresearch.ca
http://www.hintergrund.de
http://www.americanstateterrorism.com
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http://www.911questions.netfirms.com
http://www.911truth.org

Libri consigliati:

Andreas von Bülow
DIE CIA UND DER 11. SEPTEMBER
Internationaler Terror und die Rolle der Geheimdienste
Piper Verlag, München 2003
ISBN 3492045456, Kartoniert
272 Seiten, 13,00 EUR
http://www.piper.de/web/books/3492045456.html

Michel Chossudovsky
THE TRUTH BEHIND SEPTEMBER 11
Global Outlook(TM) and the
Centre for Research on Globalisation (CRG),
Shanty Bay, Ont. 2002,  ISBN 0-9731109-0-2  
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html

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pp. 200 - 15 euro
Fandango Libri
http://www.fandango.it/ita/libri/menzogna/menzogna.htm


=== 1 ===


Per il prossimo numero de "L'Ernesto" (http://www.lernesto.it)

11 SETTEMBRE: UN REICHSTAG AMERICANO

A due anni dal più grave attentato terroristico mai compiuto,
che ha fornito l'alibi per la guerra preventiva e infinita,
la commissione d'inchiesta, sabotata dalla Casa Bianca,
finisce nella sabbia, mentre gli interrogativi e documenti contrari
alla versione ufficile si moltiplicano,
gettando un'ombra agghiacciante sull'amministrazione Bush

di Fulvio Grimaldi

Fu Walid Jumblatt, uno dei più esperti politici del Medio Oriente,
profondo conoscitore dell'Occidente e degli USA, leader del Partito
Socialista Libanese, più volte ministro, a sparare senza esitazione
l'indicibile: "Se lo sono fatti loro". Me lo dichiarò a Beirut il
giorno dopo l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, sebbene a un
mondo sconvolto dall'orrore e dalla pietà i dirigenti statunitensi
avessero immediatamente e senza il minimo dubbio indicato una pista, Al
Qaida, di cui fin lì nessun aveva sentito parlare. E il mondo bevve.
Ogni interpretazione alternativa appariva irrealistica, peggio,
impensabile. Fuorché nel mondo arabo e, più in generale, nel cosiddetto
Terzo Mondo, quello delle brutalità coloniali, delle cento guerre per
procura o dirette sofferte dagli USA dal 1945, dei colpi di stato,
delle provocazioni sanguinarie, delle operazioni coperte della CIA. Da
Baghdad a Buenos Aires, da Teheran a Caracas, da Gerusalemme a
Mogadiscio, dal Cile a Cuba sentii rieccheggiare le parole e la
convinzione del leader druso libanese: ognuno, da quelle parti, aveva
ben presente il ricordo di capacità terroristiche quali Sabra e
Shatila, lo stadio di Santiago, il Piano Northwood (vedi dopo), Pearl
Harbour, il Golfo del Tonchino. Da noi, qualche pensiero, inaudito, da
esprimere se non nella cerchia più intima, si insinuò nelle riflessioni
di coloro che avevano memoria di Piazza Fontana, di Brescia,
dell'Italicus, delle stragi mafiose del '93, di Ustica, di Bologna e
che avevano metabolizzato il termine "terrorismo di Stato". Pensieri
subito sepolti, magari a covare sotto la cenere, obliterati dal rullo
compressore della "guerra al terrorismo", dell'"integralismo islamico",
della difesa dell'Occidente, dei diritti umani, della democrazia, di
tutto il ciarpame razzista che ci viene inflitto nel nome della
"superiore civiltà". E mentre l'imprendibile Osama e l'indefinibile Al
Qaida imperversavano nei titoloni di giornali rimpinzati di velinari e
agenti, nelle segnalazioni delle questure, nei terrorismi allarmistici
degli Scajloa, Martino, Pisanu, pappagallini sul trespolo dei Rumsfeld,
Cheney, Rice, Powell, nei mandati di cattura di immigrati
immancabilmente "cellule" di Al Qaida, ma poi sistematicamente rimessi
in libertà perché semplici venditori di tappeti; e ogni paese
significativo veniva bombardato a tappeto da minacce terroristiche a
ponti, grattacieli, bocciodromi, stadi, metropolitane, mamme e bimbi,
l'umanità si giocò un paio di "stati canaglia" e un'altra fetta di
popolazione palestinese. E a parte il rifiuto della guerra come tale,
da parte di qualcuno pure dell'imperialismo senza se e senza ma,
attenuati però dal disgusto, coltivato da un meccanismo di diffamazione
senza precedenti, per le "belve sanguinarie" che infestavano il mondo,
da Belgrado a Baghdad, da Kabul a Teheran, da Pyongyang all'Avana,
pacificamente e passivamente passò la falsa dicotomia "guerra e
terrorismo" E dunque il corollario ineluttabile della "guerra al
terrorismo" portato in vetta a tanti cortei per la pace e al centro di
tanti articoli, ad avvallo di un equivoco grande come il pianeta.

La controinformazione USA mina il gigante d'argilla

Dappertutto, ma non negli Stati Uniti. Nella "pancia del mostro",
organizzazioni antimperialiste, protagonisti dell'antagonismo sociale e
pacifista, gruppi di ricerca, studiosi della levatura di un Chomsky o
di un Chossudovsky, quest'ultimo con il suo gruppo di superesperti di
"operazioni sporche" Global Research, giornalisti investigativi,
dettero vita a una formidabile campagna di informazione non subalterna
all'immane apparato di propaganda messo in piedi dalla lobby
neoconservatrice al potere. Produssero documenti, dossier, libri di
denuncia delle infinite contraddizioni, bugie, depistaggi messi in
opera dal governo, tutti basati su documenti ufficiali e su dati
incontrovertibili che minarono alla base il teorema dell'attacco
terroristico esterno, ma infelicemente e colpevolmente, non trovarono
che scarsissima e timida eco nei mezzi d'informazione europei, in
particolare italiani. Materiale sconvolgente, ma ripreso in termini
minimalistici e con un ampio alzare di spallucce.

Il dilagare, quanto meno negli USA e in ambienti minoritari di altri
paesi, di questa informazione di contrasto e disvelamento, impose ai
dirigenti statunitensi, dopo lunghe esitazioni, una contromossa,
esplicitatasi ora, a poche settimane dal secondo anniversario degli
attentati, nel rapporto della Commissione parlamentare d'inchiesta,
quella che in un primo momento Bush aveva inteso affidare al famiglio
Henry Kissinger, candidatura subito sepolta dall'irrisione universale
e, soprattutto, dall'indignazione dei congiunti delle 2800 vittime.
Furono le incessanti denunce di costoro a imporre alla fine una
commissione cosiddetta "indipendente", ma che Bush seppe comunque
infarcire di commissari di sicuro affidamento. Il risultato furono 858
pagine di sostanziale conferma della versione ufficiale - complotto
islamico e dirottatori arabi di Al Qaida teleguidati da Osama in una
grotta dell'Afghanistan - con qualche riserva, pronunciata in
particolare in un protocollo aggiuntivo, firmato da deputati
democratici, circa il boicottaggio dell'amministrazione,
inesorabilmente impegnata a negare collaborazione e accesso a documenti
dell'Intelligence, in particolare ai vitali rapporti quotidiani forniti
al presidente. Più le ormai note contestazioni circa i numerosissimi
avvertimenti che servizi di tutto il mondo, compresi CIA e FBI,
autorevoli inchieste giornalistiche, come una, sconvolgente, della BBC,
avevano fatto pervenire alla Casa bianca circa addirittura piani in
fieri di attacchi alle Torri Gemelle con aerei di linea, tutti ignorati
e archiviati dal governo. Capri espiatori alcuni dirigenti di questi
servizi, subito perdonati e confermati nel ruolo, come ben ironizzato
da Alessandro Ribecchi sul Manifesto:"La CIA non lo disse all'FBI,
l'FBI non lo disse alla CIA. Nessuno dei due lo disse alla NSA
(National Security Agency) e la NSA non disse nulla a nessuno". E
soprattutto Echelon, che intercetta e analizza tutte le comunicazioni
di tutto il mondo, nulla riferiva su battaglioni di "terroristi" che,
individuati e seguiti, circolavano e operavano tranquillamente negli
USA, in tranquilla tolleranza dell'Intelligence. E cosi', in quelle
quasi 900 pagine, un silenzio tombale copre gli annosi rapporti,
strettissimi e assai redditizi, tra famiglia Bin Laden e famiglia Bush,
sui soggiorni americani dei presunti kamikaze, sulla colossale
defaillance della difesa antiaerea del militarmente più agguerrito e
tecnologicamente più avanzato paese del mondo, sull'insider trading,
operato da chi sapeva, sui titoli in borsa da vendere o comprare alla
vigilia dello sconvolgimento determinato dagli attentati
(assicurazioni, linee aeree), sulle gigantesche incongruenze della
versione sui voli dirottati e sul crollo di torri e Pentagono.

Cent'anni di "torri gemelle"

All'attualità si aggiunge la storia. Una storia che sanziona gli USA
come lo Stato - nell'ultimo secolo inseguito con accanimento da Israele
- più terrorista del mondo, quanto meno a partire dalla fine del XIX
secolo. Basta un elenco limitato degli episodi confermati dagli stessi
documenti ufficiali oggi declassificati e reperibili nei National
Security Archives di Washington. 1898, tempo per la cacciata
dell'ultimo paese europeo dalle sue colonie nello spazio
Latinoamerica-Pacifico, guerra ispano-americana scatenata
dall'esplosione della corazzata "Maine" nel Golfo dell'Avana, con
centinaia di marinai nordamericani a bordo, attribuita agli spagnoli,
ma provocata dai servizi USA per mobilitare l'opinione pubblica
statunitense in favore della guerra. Cacciata degli spagnoli da Cuba,
Portorico, Filippine, colonizzati da Washington al costo di 250.000 e
passa vittime nei paesi aggrediti e di alcune migliaia di soldati
statunitensi caduti. 1915: la nave-ospedale Lusitania viene affondata
al largo delle coste americane, muoiono feriti, sanitari, equipaggio,
colpa attribuita agli U-Boot tedeschi che, però, si dimostrò non
avevano l'autonomia per arrivare fin lì, dichiarazione di guerra agli
imperi centrali. 1941, 9 dicembre, attacco giapponese alla flotta USA
del Pacifico, attacco più volte segnalato da agenti statunitensi a
Tokio, segnali ignorati, compreso quello che alle 9 del mattino del 9
dicembre giunse nelle mani del generale Marshall (quello del Piano
famoso, i cui doni furono elargiti agli europei dai partiti affiliati
ai "liberatori", onde imporre un dominio perenne, a partire dalle
elezioni del 1948 in Italia). L'attacco era annunciato per le ore 13 e
fino a quell'ora il ministro della Difesa si tenne il dispaccio in
tasca. Finirono ai pesci 2800 marinai, tanti quanti furono le vittime
dell11/9...Ma si poterono giustificare la guerra al Giappone, le zampe
sull'Asia. 1962 (Robert Stinnett, "Il giorno dell'inganno", Il
Saggiatore): fallita l'invasione della Baia dei Porci, occorre una
rivalsa. Il Pentagono approva il Piano Northwood (National Security
Archives) redatto dai capi di stato maggiore riuniti. Prevede il
bombardamento della base di Guantanamo da parte di statunitensi
travestiti da cubani, l'affondamento di navi di esuli cubani in
navigazione tra Cuba e la Florida, una serie di attentati dinamitardi
in tutti gli States con stragi di vittime e, ciliegina sulla torta,
l'abbattimento di un charter USA carico di centinaia di studenti
nordamericani in volo di vacanze-studio verso il Cerntroamerica, nello
spazio aereo di Cuba, ad opera di un Mig cubano che non sarebbe stato
un Mig cubano, ma un caccia USA ridipinto. Kennedy, ansioso di evitare
un confronto nucleare con l'URSS, rinvia il piano. Mesi dopo viene
assassinato, con ogni probabilità dalla mafia cubana di Miami. 1964,
Golfo del Tonchino: la flotta USA finge un totalmente inesistente
attacco nordvietnamita e ne trae il pretesto per radere al suolo il
Vietnam del Nord e lanciare una guerra, chimica, che costerà la vita a
3 milioni di vietnamiti e a 50.000 GI's. 1993 e 1995, Sarajevo: gli
ascari musulmani degli USA, sotto Izetbegovic, fanno saltare per aria
due volte una fila di donne e bambini al mercato, colpa attribuita ai
serbi (ancora oggi dal "convertito" Adriano Sofri), bombardamenti Nato.
Inchieste ONU e giornalistiche provano la responsabilità del presidente
bosniaco.
1999, gennaio, Racak, Kosovo: i tagliagole UCK addestrati dagli
emissari USA di Al Qaida, allestiscono la messa in scena di 45 corpi di
"civili" uccisi a freddo e mutilati "dai serbi", l'inchiesta dimostra
la falsità dell'assunto, ma l'opinione pubblica mondiale è pronta a
sostenere l'aggressione e lo squartamento della Jugoslavia.

Dai nazisti ai Bush, dai Bush ai Bin Laden

Una campagna di terrore e genocidi che costa la vita a centinaia di
milioni di persone, la sovranità e libertà a decine di paesi e che
raggiungerà l'acme con l'ultimo rampollo della dinastia Bush. Quel Bush
minore che ha per nonno un signore istruito da modelli di prima
qualità: Prescott Bush, socio del magnate dell'acciaio nazista Von
Thyssen, autore e profittatore per miliardi di marchi del riarmo di
Hitler. Avevano in comune una banca con filiali ad Amsterdam e New York
(Union Banking Corporation), nelle quali il fornitore delle guerre
naziste riversava i suoi utili, poi trasferiti al crollo del nazismo
negli Stati Uniti a perpetua fortuna dei Bush. Lo stesso Prescott
possedeva poi una compagnia di navigazione grazie alla quale scienziati
tedeschi, soprattutto genetisti, poterono rifugiarsi negli USA e da lì
curarne il riarmo biologico. Continuità associativa col presunto nemico
che arriva alle sbalorditive partnership della famiglia del presidente
con la famiglia Bin Laden, soci nella società petrolifera "Arbusto";
nella Banca BCCI (governata dal comune banchiere Khaled Bin Mafouz),
condannata come principale riciclatrice di narcodollari e strumento per
il finanziamento dei contras in Nicaragua, grazie alle armi vendute da
Israele e dagli USA all'Iran nel corso della guerra Iraq-Iran; nel
gruppo Carlyle, la più grande multinazionale di armamenti, fornitrice
delle FFAA nordamericane e con un'associata, Bioport, che, unica
produttrice negli USA del vaccino anti-antrace, ha intossicato
centinaia di migliaia di soldati statunitensi traendone superprofitti.
Superprofitti poi esaltati dal panico antrace (5 morti e decine di
destinatari di lettere all'antrace, quasi tutti democratici da
persuadere alla guerra infinita) che ha promosso l'acquisto di milioni
di dosi di vaccino. Non solo petrolio, dunque. Noam Chomsky: "La più
rilevante forma di terrorismo è, di gran lunga, il terrorismo di Stato,
cioè terrorizzare complessivamente la popolazione tramite azioni
sistematiche eseguite dalle forze dello Stato stesso. Questo tipo di
terrorismo costituisce parte essenziale di un progetto sociopolitico
imposto dal governo, finalizzato a soddisfare le prerogative dei
privilegiati".

Quanto a partnership tra dirigenti USA e Al Qaida, all'origine di quel
"Reichstag americano" (i nazisti bruciano il parlamento e danno la
colpa ai comunisti, ne segue la liquidazione di ogni opposizione) che
per molti sono gli attentati dell'11/9, utilizzati come lasciapassare
per guerre finalizzate all'eliminazione di avversari potenziali
(Europa, Cina, Russia, India) e al dominio imperiale sul mondo, nonché
alla riduzione a stati di polizia delle democrazie occidentali sotto
perenne minaccia dell'insubordinazione delle proprie classi
lavoratrici, gli elementi di prova sono innumerevoli e
incontrovertibili. Per quanto rapidamente accantonata dai media
ufficiali, resta in molti la memoria della creazione, ad opera della
CIA, di Al Qaida, punta di diamante di un estremismo fondamentalista
che ovunque è stato istigato dagli USA (fino al recente episodio,
denunciato dai responsabili della sicurezza palestinese e da
collaborazionisti confessi, di Israele che ha tentato di allestire un
gruppo Al Qaida nei territori occupati e allo sforzo, finora vano, di
attivare elementi Al Qaida in Iraq per convertire in terrorismo quella
che è una grandiosa resistenza di popolo). I testi delle madrassa
islamiche (scuole coraniche) in Afghanistan e Pakistan, zeppi di
incitamenti alla guerra santa e al terrorismo bombarolo, furono redatti
e stampati negli USA e distribuiti a cura della CIA e del servizio
pakistano fratello, ISI (Interservices Intelligence), per alimentare
quel fanatismo che avrebbe poi portato carne da cannone ad Al Qaida,
prima per la guerriglia contro l'Armata Rossa, giunta negli anni '80 in
Afghanistan a sostegno del governo progressista dei comunisti, poi per
l'addestramento e il sostegno ai secessionisti bosniaci e kosovari
(guidati direttamente da Osama agli ordini degli USA) e, infine, ai
vari focolai della sovversione terroristica in Indonesia, Filippine,
Kashmir, Algeria. Ogni tentativo delle agenzie di sicurezza USA di
intervenire sui patrimoni e canali di finanziamento dei Bin Laden dopo
l'11 settembre viene bloccato da Bush. Osama stesso è visitato in una
clinica di Dubai, nel luglio precedente gli attentati, dal caposervizio
CIA della regione. La sua estradizione, offerta nel 1997 dal Sudan,
viene respinta da Washington, che chiede di spedirlo... in Afghanistan.

Occorre un "trauma di massa"

La necessità di disporre di uno strumento di provocazione - che
ovviamente sarebbe surrealistico pensare possa sfuggire a tutti i 12
servizi di spionaggio degli USA, compreso Echelon, e rivoltarsi contro
i propri padrini e foraggiatori, uscendo dalle caverne afgane per
sbattere 4 aerei contro i più difesi obiettivi dello Stato
nordamericano - è stata del resto teorizzata ampiamente dai padri del
Programma per il nuovo secolo americano (PNAC), che dagli anni di
Reagan riunisce un think tank di estremisti evangelici in stretto
rapporto con gli integralisti del sionismo israeliano, oggi al comando
della nave d'assalto statunitense (Perle, Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld,
Rice, Ledeen, Brzezinski, Abrams, in buona parte anche alla vetta
dell'JINSA, Istituto Ebraico per gli Affari della Sicurezza Nazionale).
Brzezinski inneggia agli Stati Uniti impero mondiale e, per
neutralizzare la minaccia a questa ascesa costituita
"dall'atteggiamento molto più che ambivalente della cittadinanza
statunitense riguardo alla proiezione esterna del potere degli Stati
Uniti", raccomanda un "trauma collettivo". Per Brzezinski, maestro del
neofascista Ledeen, ammiratore ed emulo di Mussolini, coloro che
prediligono le libertà individuali e la sovranità della propria nazione
rappresentano "le forze del disordine globale" che devono essere
sconfitte. Quindi "l'opinione pubblica deve essere manipolata,
ricordandosi che l'opinione pubblica ha appoggiato l'impegno degli
Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale in gran parte a causa
dell'effetto sconvolgente dell'attacco giapponese a Pearl Harbour".
Aggiunge, a scopo di chiarezza: "Il consenso di massa potrebbe essere
agevolato da un trauma di massa", suscitato da "una minaccia esterna
davvero rilevante".

Il "fallimento" dei più potenti servizi del mondo

Il trauma di massa più efficace in questo senso dei nostri tempi è
stato indubbiamente l'attacco dell'11/9. Gli Stati Uniti dispongono
della Central Intelligence Agency, del Federal Bureau of Investigation,
della National Security Agency, del National Reconnaissance Office, del
Secret Service e di una schiera di altre agenzie d' intelligence e per
la sicurezza. Queste agenzie utilizzano Echelon, che controlla la
maggior parte delle comunicazioni elettroniche mondiali, Carnivore, che
intercetta la posta elettronica, Tempest, una tecnologia in grado di
leggere lo schermo di un computer alla distanza di vari isolati, i
satelliti Keyhole, che hanno una risoluzione di 4 pollici, più altre
tecnologie di spionaggio delle quali in parte non sappiamo nulla. In
più sono alla loro totale dipendenza i servizi segreti della maggior
parte dei paesi alleati o vassalli e, con buona pace di Rossana
Rossanda e di tutti i fautori dell'autenticità integrale delle Brigate
Rosse, i servizi USA e israeliani hanno dimostrato di saper infiltrare
direttamente o con servizi alleati le formazioni antagoniste di molti
paesi. Nel 2001 gli Stati Uniti hanno speso 30 miliardi di dollari per
la raccolta di informazioni di intelligence e altri 12 miliardi per
l'antiterrorismo. Con tutto ciò dovremmo credere che il governo non
abbia avuto il minimo sentore di terroristi che stavano progettando di
attaccare gli Stati uniti dirottando aerei e schiantandoli sugli
obiettivi più importanti del paese. Sappiamo ora che ne hanno avuto
sentore e che non hanno mosso un dito. O ne sono stati i burattinai?
E' stato Giulietto Chiesa a riassumere i termini del primo, in ordine
di tempo (dopo gli avvertimenti ignorati), episodio che dimostra una
consapevolezza e, dunque una connivenza, per quanto si è abbattuto su
New York e Washington tra i più alti livelli dell'establishment
statunitense: l'insider trading alla borsa di New York sui titoli che
avrebbero subito fortissimi ribassi o rialzi in seguito agli attentati.

Giocando in borsa su 2800 vittime

Qualcuno fece montagne di dollari scommettendo in anticipo sul crollo
delle azioni delle due compagnie aeree - American Airlines e United
Airlines - che sarebbero state coinvolte nell'attacco dell'11/9. Furono
oggetto di queste attività speculative anche la Morgan Stanely Dean
Witteer & Co, che occupava 22 piani del WTC, e la Merrill Lynch & Co,
che aveva i suoi uffici nelle immediate vicinanze. Dalle operazioni
furono colpite anche Axa Reinsurance (che possiede il 25% di American
Airlines), Marsh & McLennan, Munich Reinsurance, Swiss Reinsurance e
Citigroup. Tutta questa attività si svolse tra il 6 e il 10 settembre
2001. Chi la gestì? Non arabi, né musulmani, bensì bianchi, cristiani,
cittadini statunitensi, in particolare, secondo un'indagine FBI subito
insabbiata, alti dirigenti di un'importante banca americana, la Bankers
Trust (BT) che piazzarono un grosso pacchetto di put options
(contratti futures che consentono all'acquirente di guadagnare se le
azioni stanno per crollare) e call options (azioni che si acquistano in
previsione di forti rialzi). Sorpresa: la BT acquistò nel 1997 la
A.B.Brown, una banca minore presieduta da A. Buzzy Krongard, che
divenne dunque vicepresidente della BT. Subito dopo, nel 1998, Krongard
entrò nella CIA, della quale è oggi numero tre, direttore operativo.
Chi lo promosse? George-il minore-Bush e proprio nel marzo del fatale
2001. Senza contare che la BT-AB Brown è stata denunciata in Senato
come una delle maggiori banche implicate nel riciclaggio del denaro
sporco. Torna il fantasma della BCCI. E si afferma oltre ogni dubbio la
preconoscenza di un altissimo dirigente CIA, se non del suo sponsor, di
quello che sarebbe successo. Niente di strano per un presidente che,
dopo aver polverizzato l'Afghanistan con la scusa dell'11/9, ha
governato con i suoi proconsoli il ritorno delle coltivazioni di oppio
in quel paese, estirpate dai Taleban, con subito un raccolto record di
2800 tonnellate nel 2002. Da quest'oppio arriva l'85% dell'eroina
consumata in Europa, nonché un utile di 500 miliardi di dollari che
entrano nel circuito finanziario ufficiale, soprattutto degli USA, e
sono indiziati di sostenere la campagna elettorale di chi le elezioni
peraltro non le vince, ma arriva alla presidenza grazie al conteggio
della Corte Suprema, Corte nominata dal papà. Ma anche il fratello Jeb
Bush, governatore della Florida, si è dato da fare, cancellando
abusivamente 90.000 elettori dalle liste elettorali della Florida,
elettori perlopiù neri e perciò in maggioranza favorevoli al partito
democratico. Oggi 15 miliardi di dollari ottenuti tramite l'insider
trading pre-attentati attendono ancora di essere ritirati. Chi li ha
vinti aspetta tempi più tranquilli.

Aerei fantasma al Pentagono e piloti elettronici contro le torri
Gli interrogativi più drammatici, però, riguardano quello che è
successo al Pentagono e alle Torri Gemelle e, soprattutto, quello che
non è successo. I dirottatori, secondo quanto dichiarato per certo
dagli investigatori - che in un battibaleno ne hanno comunicato nomi e
nazionalità per quanto nè tali nomi, né corrispettivi falsi apparissero
nelle liste dei passeggeri imbarcati - avevano frequentato scuole di
pilotaggio per piccoli apparecchi turistici monomotore, tipo Chessna.
Quanto agli enormi aerei di linea Boeing 747 e 757 che si sono
schiantati, tutti i comandanti di aviazione civile più esperti
(compresi quelli italiani, in una trascurata trasmissione di Corrado
Augias) hanno negato categoricamente che avrebbero mai potuto essere
pilotati da persone con simile primitiva preparazione, perlopiù con
manovre umanamente quasi irrealizzabili, come quelle del sorvolo delle
Torri, la virata di 360 gradi, la discesa a bassissima quota in pochi
secondi e il centro, in virata, su edifici equivalenti per tali
proiettili a un fiammifero. L'aeronautica USA ha la capacità di
sequestrare in aria grandi velivoli di linea e di guidarli con comando
a distanza, annullando i comandi dei piloti. Esperimenti in questo
senso con Boeing e Global Hawk della Northrop Grumman (simile al
Boeing 737), fatti decollare, volare e atterrare elettronicamente tra
Edwards in California e Edimburgh in Australia, sono stati coronati da
successo. Del resto si tratta di una tecnologia ampiamente impiegata
con i Predator, aerei senza pilota, in Afghanistan. Nel caso specifico,
dirottatori a terra sono in grado di inviare all'aereo un segnale che
si sostituisce al codice del transponder e di impostare al millimetro
la nuova rotta, senza che i piloti a bordo possano fare alcunché.
Inoltre la tecnologia "Home Run" si sovrappone alla trasmissione dei
dati delle scatole nere, cancellandoli irreversibilmente dopo mezz'ora
dall'uso. Quanto alle telefonate fatte dagli aerei a congiunti e
addirittura politici, scoop mediatico di grande impatto emotivo, tutti
i tecnici interpellati negano che si possano fare comunicazioni a terra
con cellulari, alla velocità e all'altezza a cui volavano gli aerei
Come dimostrato con documenti esclusivamente ufficiali da Thierry
Meyssan, giornalista investigativo francese, nel libro "L'incredibile
menzogna" (Fandango Libri), nessun Boeing 757 può aver colpito il
Pentagono. Tutte le fotografie e riprese scattate subito dopo l'impatto
mostrano la totale assenza, fuori e dentro il Pentagono, del più
piccolo rottame di un aereo con 39 metri apertura alare, 12 metri di
altezza della carlinga, quattro grandi motori. Non vi sono tracce di
carburante. L'apertura causata dall'impatto nei tre cerchi
dell'edificio è larga tra i 5 e i 6 metri per una lunghezza di 100m:
esattamente quella che verrebbe provocata da un missile Cruise. Solo
due testimoni, entrambi dipendenti del Pentagono, affermano di aver
visto avvicinarsi un Boeing, tutti gli altri parlano di oggetti
metallici lucenti, simile a missili o a piccoli aerei. Del resto
nessuno ha mai potuto conoscere quanto rivelato dalle scatole nere
ricuperate da alcuni degli aerei dirottati, definite "inutilizzabili".
Nessun pilota al mondo crede possibile che un aereo di linea possa
scendere in picchiata o a spirale da alcune migliaia di metri fino a
rasentare il suolo, procedere tra alberi e case senza toccarli e poi
colpire un edificio senza...lasciar tracce.
Nel corso dell'ora e mezza circa (dalle 8.48 del volo 11 sulla Torre
Nord, alle 10.10 della caduta del volo 93 in Pennsylvania) che è
durata l'impresa dei quattro aerei, l'intero apparato di difesa
antiaerea statunitense è rimasto bloccato, inevitabilmente per un
ordine arrivato dal comando supremo del NORAD (lo stato maggiore
dell'aeronautica militare). E' procedura standard dell'aeronautica USA
e della Guardia Nazionale, collaudata in occasioni di centinaia di
intrusioni involontarie, o di prova, di tenere pattuglie di caccia
pronte al decollo nel giro di 2,30 minuti, capaci di raggiungere dalle
loro basi ogni punto del cielo statunitense in 8 minuti. I quattro
aerei dirottati hanno circolato fuori rotta, segnalati in tempo reale
dai radaristi alle basi a terra per oltre 90 minuti e nemmeno dalla
base Andrews, 50 km e un minuto di volo da Washington, si è alzato
alcun velivolo per l'intercettazione. Né sono entrate in azioni le
batterie di fuoco automatico poste attorno alla Casa Bianca, al
Pentagono e al Centro Commerciale Mondiale. Queste ultime dovrebbero
intervenire qualora un intruso si avvicinasse a 5km dalle Torri e
avesse ignorato l'ordine di invertire la rotta comunicatogli a distanza
di 12 km dalle Torri. Nessuna inchiesta hai mai voluto approfondire la
ragioni di questo straordinario annullamento delle più elementari
procedure di difesa.
L'autorità dell'aeronautica civile, Federal Aviation Administration,
aveva allertato il comando della difesa aerea nazionale
sull'avvicinamento del voloAmerican Airlines 77 a Washington (tutti
gli aerei dirottati trasportavano passeggeri per meno del 25% della
loro capacità e del numero imbarcato nei giorni precedenti). Mancavano
dodici minuti all'impatto: nessuno trasmise l'allarme all'aeronautica
militare o al Pentagono, l'edificio non fu evacuato, ma, grazie a
un'acrobatica virata finale di 270 gradi, il presunto "Boeing" evitò il
lato del Pentagono dove si trovano gli uffici del segretario alla
Difesa e del capo di Stato Maggiore e colpì l'area piena di dipendenti
civili. Sarebbero bastati meno di tre minuti per intervenire dalla base
Andrews.

Bush nella scuola e nessun dirottatore sugli aerei

Il presidente Bush, pur considerando le attenuanti da riconoscersi al
suo quoziente d'intelligenza, ha tenuto un comportamento che neanche il
direttore di Gardaland. Ha mentito sulla sua prima esperienza della
tragedia, quando affermò in Tv che aveva visto lo schianto alla
televisione alle 8.45, ora in cui nessuna emittente aveva ancora
trasmesso immagini della tragedia. Il presidente stava visitando una
scuola elementare in Florida. Alle 9 meno 5 un suo collaboratore gli
comunica il primo schianto. Bush rimane tranquillo e allegro e continua
a conversare con i bambini. Stesso comportamento dopo che gli viene
comunicato il secondo impatto, per interi 30 minuti. Regola
imprescindibile per un capo di Stato, perfino nel Nagorno Karabach,
sarebbe stata chiamare immeditamente i suoi collaboratori più stretti,
organizzare la difesa, mettersi al sicuro. Niente di tutto questo. Del
resto, grazie ai servizi, conosceva i dettagli dell'operazione
terroristica in corso da almeno 7 settimane. Se non, in quanto in
cabina di regia, da molto prima.
Di tutti i 19 dirottatori - sette sono stati segnalati in vita nei
loro paesi - non esiste immagine tranne quella di Mohammed Atta, il
presunto capo, su un passaporto di plastica e cartone, miracolosamente
scampato a schianti, fiamme e fumi e volato fino a quattro isolati
dalle Torri. I dirottatori si sarebbero ovviamente imbarcati nei
rispettivi aeroporti dove li avrebbero filmati le innumerevoli
telecamere che in ogni aeroporto statunitense riprendono tutti, dal
momento del parcheggio all'imbarco sull'aereo. Dove sono tali filmati?
Quale prova migliore per convincerci dell'esistenza dei dirottatori che
l'esibizione su tutte le tv, infinite volte, dei nastri che mostrano i
terroristi? E' che di dirottatori non ce n'erano.

Pompieri inascoltati, torri esplose

Le torri sono implose, crollando su se stesse, esattamente come quando
si intende abbattere un edificio con cariche esplosive. Tutti i
costruttori di edifici verticali interpellati hanno negato che questi
crollerebbero venendo colpiti lateralmente da oggetti come i Boeing.
Molti testimoni, di cui si è perso traccia, compreso un giornalista
della BBC, hanno distintamente udito il botto di esplosioni successive
agli impatti. Per effettuare un circostanziato esame del crollo,
sarebbe servita l'analisi dei rottami di ferro. Ma le 2800 tonnellate
di questi rottami sono stati immediatamente rimossi e fatti sparire da
ditte che la stampa ha collegato alla mafia, le stesse che si
occuparono delle rimozioni delle macerie dell'edificio dell'FBI a
Oklahoma City, dopo l'esplosione attribuita al singolo matto Timothy
Weigh. Esistono registrazioni di pompieri di New York giunti al piano
dove si era verificato l'impatto e quindi l'incendio. Le dichiarazioni
registrate parlano di incendi modesti, domabili e che richiedevano al
massimo il rinforzo di un paio di squadre. Eppure si è parlato di
incendi furiosi che avrebbero fatto fondere le strutture d'acciaio.
Peccato che il kerosene brucia a 800 gradi e l'acciaio fonde solo a
1250-1500. Quei pompieri, sui quali calde lacrime hanno versato Rudolph
Giuliani e lo stesso Bush, sono morti nel crollo presumibilmente
causato da esplosivi. Nessuna inchiesta neanche qui.

Cui prodest

Lo spazio impone un limite all'elenco di assurdità, menzogne, inganni,
depistaggi, inasabbiamenti. Ma la logica richiede un minimo di esame
del decisivo cui prodest, degli effetti ricavati da ciò che Condoleezza
Rice, Consigliere Nazionale per la Sicurezza, aveva auspicato potesse
avverarsi: "una grande occasione" per lanciare la guerra
all'Afghanistan e, soprattutto all'Iraq, i cui piani erano sul tavolo
di Bush molto prima che presunti terroristi costringessero gli Stati
Uniti e i loro vassalli alla "guerra contro il terrorismo". La Cia ha
visto aumentare i propri poteri interni ed esterni fino alla
supervisione sul meno affidabile FBI e il suo budget del 42%, le forze
armate hanno goduto di un incremento finanziario del 37% fino alla
cifra siderale di 400 miliardi di dollari. Le "guerre stellari" di
Reagan sono uscite dal coma e hanno oggi (vedi Chossudovsky,
www.intermarx.com/ossinter/clima.htlm) messo a punto l'arma suprema,
HAARP, lo strumento di onde ad altissima frequenza che agisce sulla
ionosfera e modifica il clima provocando siccità e alluvioni in intere
regioni da destabilizzare. Con il "Patriot Act", legge promulgata
nell'atmosfera di panico successiva agli attentati, il governo dei
manipolatori delle elezioni in Florida e degli estremisti della
dominazione bianca e biblica ha drasticamente ridotto le libertà civili
negli Stati Uniti, a partire dall'eliminazione dell'habeas corpus e a
finire con i tribunali militari, le detenzioni senza imputazione,
processo, difesa, Guantanamo, l'impunità universale dei propri killer
dall'Afghanistan a Cuba, dall'Iraq alla Jugoslavia. Sulle ali delle
satanizzazioni personali e della demonizzazione di culture e religioni,
da molto tempo praticate sugli avversari dell'imperialismo, da Nasser a
Milosevic, da Ho Ci Min a Castro, da Boumedienne a Saddam, ma
rilanciate con formidabile vigore e la complicità di un sistema
informativo ridotto a totale obbedienza, ci si è mossi a disintegrare
Afghanistan, Iraq, Palestina, Colombia e ci si appresta alla resa dei
conti con altre "realtà canaglia", da Cuba al Venezuela, dalla Corea
del Nord alla Cina, all'Indonesia, ovunque si pretenda che agisca il
tentacolo CIA chiamato Al Qaida, fino all'antagonismo nazionale e di
classe nei paesi industrializzati.

L'inerzia dell'informazione "antagonista"

A questa minaccia si è risposto, fatta eccezione per i coraggiosi
centri di controinformazione presenti negli Stati Uniti e in pochi
altri paesi, con imperdonabile timidezza e pigrizia. Servono le
mobilitazioni per la pace, ma serve di più l'individuazione della
natura mostruosa dell'imperialismo e della sua attuale classe
dirigente, fantocci locali compresi. E' solo delegittimando questa
classe dirigente, rivelandone i crimini e le strategie genocide,
identificando il terrorismo con le classi dirigenti occidentali, che il
rullo compressore della guerra e della fascistizzazione può essere reso
visibile alle grandi masse e, dunque, neutralizzato. Le stesse
sconvolgenti scoperte fatte dai ricercatori nordamericani e da tanti
altri dovrebbero trovare ampio spazio nella comunicazione e nella
mobilitazione delle forze di sinistra, anche se questo dovesse
significare la perdita di uno strapuntino nel "salotto buono" della
politica. Qualcuno dovrebbe gridare, come nei "Vestiti dell'imperatore"
di Andersen: "Il re è nudo".

"Il potere costituito si ammanta di una mimetizzazione culturale,
utilizzando tattiche per le quali mantiene senza soluzione di
continuità una logica di plausibilità. Una sottile, onnipresente e
spesso non esplicita propaganda (non di rado placidamente condivisa da
chi dovrebbe opporsi) promuove presso l'opinione pubblica un'estesa
fiducia ed accettazione dell'autorità dell'establishment, nonché delle
definizioni di quest'ultimo di bene e male, impedendo così al pubblico
di valutare seriamente la realtà per cui è lo stesso establishment il
male per definizione. Un pubblico distratto attribuisce i risultati
delle intriganti attività dell'establishment ad eventualità fortuite,
oppure a motivazioni considerate essenzialmente innocue o oneste (non
siamo dopottutto in democrazia?). Il progetto diviene irrefutabilmente
chiaro solo nel contesto degli esiti, oppure indicando le effettive
prove dell'ingerenza criminale. Il pubblico è stato sistematicamente
condizionato ad ignorare tali contesti (chi parla più della
Jugoslavia?) e a condannare coloro che richiamano l'attenzione su di
essi (deridendoli e biasimandoli come "teorici della cospirazione" e
"dietrologhi"). Così, il controllo dell'accesso e della diffusione
delle informazioni, che costituiscono il riscontro dell'ingerenza, in
larga parte bastano a proteggere il programma dell'establishment dallo
smascheramento. Dalla delegittimazione". (Paul David Collins, "The
hidden face of terrorism, the dark side of Social Engineering, from
antiquity to September 11", email: thefaceunveiled@...)

Fulvio Grimaldi

Siti consigliati: hattp://freebooter.da.ru,
http://austin.indymedia.org, http://www.americanstateteerrorism.com,
http://www.americanfreepress.net, http://whatreallyhappened.com,
http://www.unansweredquestions.net, http://globalresearch.ca,
http://fromthewilderness.com, http://truthout.com. Il Manifesto,
17/5/3. La Repubblica, 11/4/2, "11 settembre, una strage evitabile".


=== 2 ===


Former Labour cabinet minister Michael Meacher, writing in the
Guardian, has become the first public official to suggest the Bush
administration may have allowed 9/11 to happen in furtherance of its
global agenda. After reviewing the controversial blueprint for world
domination drawn up by the neoconservative clique around Dick Cheney
and Paul Wolfowitz which predated Bush’s election, Meacher raises the
same questions that have previously been raised in the alternative
press and, in a more fragmentary way, in commercial outlets like the
Daily Telegraph and Newsweek. These concern the advance notifications
of an impending attack sent to the US by the Mossad and other
intelligence agencies, the refusal of the FBI and CIA to act against
suspicious activity in the US despite the advice of their agents, the
puzzling delay in scrambling fighter aircraft to intercept the hijacked
airliners on the morning of September 11, and the subsequent apparent
dithering in the search for bin Laden. Meacher’s allegations,
predictably, have stirred up a firestorm of controversy and are being
curtly dismissed as nonsensical conspiracy theory by British and US
officials.   
-Supporting facts


http://www.supportingfacts.com/


The war on terrorism is bogus

By Michael Meacher

The Guardian
September 6 2003

Massive attention has now been given - and rightly so - to the reasons
why Britain went to war against Iraq. But far too little attention has
focused on why the US went to war, and that throws light on British
motives too. The conventional explanation is that after the Twin Towers
were hit, retaliation against al-Qaida bases in Afghanistan was a
natural first step in launching a global war against terrorism. Then,
because Saddam Hussein was alleged by the US and UK governments to
retain weapons of mass destruction, the war could be extended to Iraq
as well. However this theory does not fit all the facts. The truth may
be a great deal murkier.

We now know that a blueprint for the creation of a global Pax Americana
was drawn up for Dick Cheney (now vice-president), Donald Rumsfeld
(defence secretary), Paul Wolfowitz (Rumsfeld's deputy), Jeb Bush
(George Bush's younger brother) and Lewis Libby (Cheney's chief of
staff). The document, entitled Rebuilding America's Defences, was
written in September 2000 by the neoconservative think tank, Project
for the New American Century (PNAC).

The plan shows Bush's cabinet intended to take military control of the
Gulf region whether or not Saddam Hussein was in power. It says "while
the unresolved conflict with Iraq provides the immediate justification,
the need for a substantial American force presence in the Gulf
transcends the issue of the regime of Saddam Hussein."

The PNAC blueprint supports an earlier document attributed to Wolfowitz
and Libby which said the US must "discourage advanced industrial
nations from challenging our leadership or even aspiring to a larger
regional or global role". It refers to key allies such as the UK as
"the most effective and efficient means of exercising American global
leadership". It describes peacekeeping missions as "demanding American
political leadership rather than that of the UN". It says "even should
Saddam pass from the scene", US bases in Saudi Arabia and Kuwait will
remain permanently... as "Iran may well prove as large a threat to US
interests as Iraq has". It spotlights China for "regime change", saying
"it is time to increase the presence of American forces in SE Asia".

The document also calls for the creation of "US space forces" to
dominate space, and the total control of cyberspace to prevent
"enemies" using the internet against the US. It also hints that the US
may consider developing biological weapons "that can target specific
genotypes [and] may transform biological warfare from the realm of
terror to a politically useful tool".

Finally - written a year before 9/11 - it pinpoints North Korea, Syria
and Iran as dangerous regimes, and says their existence justifies the
creation of a "worldwide command and control system". This is a
blueprint for US world domination. But before it is dismissed as an
agenda for rightwing fantasists, it is clear it provides a much better
explanation of what actually happened before, during and after 9/11
than the global war on terrorism thesis. This can be seen in several
ways.

First, it is clear the US authorities did little or nothing to pre-empt
the events of 9/11. It is known that at least 11 countries provided
advance warning to the US of the 9/11 attacks. Two senior Mossad
experts were sent to Washington in August 2001 to alert the CIA and FBI
to a cell of 200 terrorists said to be preparing a big operation (Daily
Telegraph, September 16 2001). The list they provided included the
names of four of the 9/11 hijackers, none of whom was arrested.

It had been known as early as 1996 that there were plans to hit
Washington targets with aeroplanes. Then in 1999 a US national
intelligence council report noted that "al-Qaida suicide bombers could
crash-land an aircraft packed with high explosives into the Pentagon,
the headquarters of the CIA, or the White House".

Fifteen of the 9/11 hijackers obtained their visas in Saudi Arabia.
Michael Springman, the former head of the American visa bureau in
Jeddah, has stated that since 1987 the CIA had been illicitly issuing
visas to unqualified applicants from the Middle East and bringing them
to the US for training in terrorism for the Afghan war in collaboration
with Bin Laden (BBC, November 6 2001). It seems this operation
continued after the Afghan war for other purposes. It is also reported
that five of the hijackers received training at secure US military
installations in the 1990s (Newsweek, September 15 2001).

Instructive leads prior to 9/11 were not followed up. French Moroccan
flight student Zacarias Moussaoui (now thought to be the 20th hijacker)
was arrested in August 2001 after an instructor reported he showed a
suspicious interest in learning how to steer large airliners. When US
agents learned from French intelligence he had radical Islamist ties,
they sought a warrant to search his computer, which contained clues to
the September 11 mission (Times, November 3 2001). But they were turned
down by the FBI. One agent wrote, a month before 9/11, that Moussaoui
might be planning to crash into the Twin Towers (Newsweek, May 20 2002).

All of this makes it all the more astonishing - on the war on terrorism
perspective - that there was such slow reaction on September 11 itself.
The first hijacking was suspected at not later than 8.20am, and the
last hijacked aircraft crashed in Pennsylvania at 10.06am. Not a single
fighter plane was scrambled to investigate from the US Andrews airforce
base, just 10 miles from Washington DC, until after the third plane had
hit the Pentagon at 9.38 am. Why not? There were standard FAA intercept
procedures for hijacked aircraft before 9/11. Between September 2000
and June 2001 the US military launched fighter aircraft on 67 occasions
to chase suspicious aircraft (AP, August 13 2002). It is a US legal
requirement that once an aircraft has moved significantly off its
flight plan, fighter planes are sent up to investigate.

Was this inaction simply the result of key people disregarding, or
being ignorant of, the evidence? Or could US air security operations
have been deliberately stood down on September 11? If so, why, and on
whose authority? The former US federal crimes prosecutor, John Loftus,
has said: "The information provided by European intelligence services
prior to 9/11 was so extensive that it is no longer possible for either
the CIA or FBI to assert a defence of incompetence."

Nor is the US response after 9/11 any better. No serious attempt has
ever been made to catch Bin Laden. In late September and early October
2001, leaders of Pakistan's two Islamist parties negotiated Bin Laden's
extradition to Pakistan to stand trial for 9/11. However, a US official
said, significantly, that "casting our objectives too narrowly" risked
"a premature collapse of the international effort if by some lucky
chance Mr Bin Laden was captured". The US chairman of the joint chiefs
of staff, General Myers, went so far as to say that "the goal has never
been to get Bin Laden" (AP, April 5 2002). The whistleblowing FBI agent
Robert Wright told ABC News (December 19 2002) that FBI headquarters
wanted no arrests. And in November 2001 the US airforce complained it
had had al-Qaida and Taliban leaders in its sights as many as 10 times
over the previous six weeks, but had been unable to attack because they
did not receive permission quickly enough (Time Magazine, May 13 2002).
None of this assembled evidence, all of which comes from sources
already in the public domain, is compatible with the idea of a real,
determined war on terrorism.

The catalogue of evidence does, however, fall into place when set
against the PNAC blueprint. From this it seems that the so-called "war
on terrorism" is being used largely as bogus cover for achieving wider
US strategic geopolitical objectives. Indeed Tony Blair himself hinted
at this when he said to the Commons liaison committee: "To be truthful
about it, there was no way we could have got the public consent to have
suddenly launched a campaign on Afghanistan but for what happened on
September 11" (Times, July 17 2002). Similarly Rumsfeld was so
determined to obtain a rationale for an attack on Iraq that on 10
separate occasions he asked the CIA to find evidence linking Iraq to
9/11; the CIA repeatedly came back empty-handed (Time Magazine, May 13
2002).

In fact, 9/11 offered an extremely convenient pretext to put the PNAC
plan into action. The evidence again is quite clear that plans for
military action against Afghanistan and Iraq were in hand well before
9/11. A report prepared for the US government from the Baker Institute
of Public Policy stated in April 2001 that "the US remains a prisoner
of its energy dilemma. Iraq remains a destabilising influence to... the
flow of oil to international markets from the Middle East". Submitted
to Vice-President Cheney's energy task group, the report recommended
that because this was an unacceptable risk to the US, "military
intervention" was necessary (Sunday Herald, October 6 2002).

Similar evidence exists in regard to Afghanistan. The BBC reported
(September 18 2001) that Niaz Niak, a former Pakistan foreign
secretary, was told by senior American officials at a meeting in Berlin
in mid-July 2001 that "military action against Afghanistan would go
ahead by the middle of October". Until July 2001 the US government saw
the Taliban regime as a source of stability in Central Asia that would
enable the construction of hydrocarbon pipelines from the oil and gas
fields in Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, through Afghanistan and
Pakistan, to the Indian Ocean. But, confronted with the Taliban's
refusal to accept US conditions, the US representatives told them
"either you accept our offer of a carpet of gold, or we bury you under
a carpet of bombs" (Inter Press Service, November 15 2001).

Given this background, it is not surprising that some have seen the US
failure to avert the 9/11 attacks as creating an invaluable pretext for
attacking Afghanistan in a war that had clearly already been well
planned in advance. There is a possible precedent for this. The US
national archives reveal that President Roosevelt used exactly this
approach in relation to Pearl Harbor on December 7 1941. Some advance
warning of the attacks was received, but the information never reached
the US fleet. The ensuing national outrage persuaded a reluctant US
public to join the second world war. Similarly the PNAC blueprint of
September 2000 states that the process of transforming the US into
"tomorrow's dominant force" is likely to be a long one in the absence
of "some catastrophic and catalyzing event - like a new Pearl Harbor".
The 9/11 attacks allowed the US to press the "go" button for a strategy
in accordance with the PNAC agenda which it would otherwise have been
politically impossible to implement.

The overriding motivation for this political smokescreen is that the US
and the UK are beginning to run out of secure hydrocarbon energy
supplies. By 2010 the Muslim world will control as much as 60% of the
world's oil production and, even more importantly, 95% of remaining
global oil export capacity. As demand is increasing, so supply is
decreasing, continually since the 1960s.

This is leading to increasing dependence on foreign oil supplies for
both the US and the UK. The US, which in 1990 produced domestically 57%
of its total energy demand, is predicted to produce only 39% of its
needs by 2010. A DTI minister has admitted that the UK could be facing
"severe" gas shortages by 2005. The UK government has confirmed that
70% of our electricity will come from gas by 2020, and 90% of that will
be imported. In that context it should be noted that Iraq has 110
trillion cubic feet of gas reserves in addition to its oil.

A report from the commission on America's national interests in July
2000 noted that the most promising new source of world supplies was the
Caspian region, and this would relieve US dependence on Saudi Arabia.
To diversify supply routes from the Caspian, one pipeline would run
westward via Azerbaijan and Georgia to the Turkish port of Ceyhan.
Another would extend eastwards through Afghanistan and Pakistan and
terminate near the Indian border. This would rescue Enron's beleaguered
power plant at Dabhol on India's west coast, in which Enron had sunk
$3bn investment and whose economic survival was dependent on access to
cheap gas.

Nor has the UK been disinterested in this scramble for the remaining
world supplies of hydrocarbons, and this may partly explain British
participation in US military actions. Lord Browne, chief executive of
BP, warned Washington not to carve up Iraq for its own oil companies in
the aftermath of war (Guardian, October 30 2002). And when a British
foreign minister met Gadaffi in his desert tent in August 2002, it was
said that "the UK does not want to lose out to other European nations
already jostling for advantage when it comes to potentially lucrative
oil contracts" with Libya (BBC Online, August 10 2002).

The conclusion of all this analysis must surely be that the "global war
on terrorism" has the hallmarks of a political myth propagated to pave
the way for a wholly different agenda - the US goal of world hegemony,
built around securing by force command over the oil supplies required
to drive the whole project. Is collusion in this myth and junior
participation in this project really a proper aspiration for British
foreign policy? If there was ever need to justify a more objective
British stance, driven by our own independent goals, this whole
depressing saga surely provides all the evidence needed for a radical
change of course.


Michael Meacher MP was environment minister from May 1997 to June 2003.

---

Meacher sparks fury over claims on September 11 and Iraq war

Fury over Meacher claims

Ewen MacAskill, diplomatic editor

Saturday September 6, 2003
The Guardian
http://www.guardian.co.uk/guardianpolitics/story/0,3605,1036525,00.html

Michael Meacher, who served as a minister for six years until three
months ago, today goes further than any other mainstream British
politician in blaming the Iraq war on a US desire for domination of the
Gulf and the world.
Mr Meacher, a leftwinger who is close to the green lobby, also claims
in an article in today's Guardian that the war on terrorism is a
smokescreen and that the US knew in advance about the September 11
attack on New York but, for strategic reasons, chose not to act on the
warnings.

He says the US goal is "world hegemony, built around securing by force
command over the oil supplies" and that this Pax Americana "provides a
much better explanation of what actually happened before, during and
after 9/11 than the global war on terrorism thesis".

Mr Meacher adds that the US has made "no serious attempt" to catch the
al-Qaida leader, Osama bin Laden.

He also criticises the British government, claiming it is motivated, as
is the US, by a desire for oil.

The US government last night expressed abhorrence at Mr Meacher's
views. An embassy spokesman in London said: "Mr Meacher's fantastic
allegations - especially his assertion that the US government knowingly
stood by while terrorists killed some 3,000 innocents in New York,
Pennsylvania and Virginia - would be monstrous, and monstrously
offensive, if they came from someone serious or credible.

"My nation remains grateful for the steadfast friendship of the British
people and Her Majesty's government as we face, together, the serious
challenges that have arisen since September 11 2001."

Downing Street also distanced itself from the views of an MP who only a
few months ago was in the government. "The prime minister has responded
to those who argue it was about oil," a spokeswoman said, adding that
oil profits from Iraq are to be fed back into the country's development.

Former ministers such as Robin Cook and Clare Short have criticised the
British government for misleading the public over the reasons for going
to war. But Mr Meacher has gone much further in his analysis of US and
British motives.

He says that the plans of the neo-conservatives in Washington for
action against Afghanistan and Iraq were well in hand before September
11. He questions why the US failed to heed intelligence about al-Qaida
operatives in the US and the apparent slow reaction of the US
authorities on the day, as well as the subsequent inability to lay
hands on Bin Laden.

He argues that the explanation makes sense when seen against the
background of the neo-conservative plan.

"From this it seems that the so-called 'war on terrorism' is being used
largely as bogus cover for achieving wider US strategic geopolitical
objectives."

He adds: "Given this, it is not surprising that some have seen the US
failure to avert the 9/11 attacks as creating an invaluable pretext for
attacking Afghanistan in a war that had clearly already been well
planned in advance."

Mr Meacher, who was environment minister, says: "The overriding
motivation for this political smokescreen is that the US and the UK are
beginning to run out of secure hydrocarbon energy supplies."

He is critical of Britain for allegedly colluding in propagating the
myth of a global war of terrorism. He asks: "Is collusion in this myth
and junior participation in this project really a proper aspiration for
British foreign policy?"

"Processo" Milosevic:

Verso una nuova MANIFESTAZIONE
l'8 Novembre all'Aia (Olanda)

1. Convocazione della manifestazione

2. Lettera della Central General dos Trabalhadores (Brasile, Affiliata
alla Federazione Mondiale dei Sindacati – FSM) al "Tribunale" dell'Aia,
29/8/2003

3. Lettera di SLOBODA al Segretario Generale dell'ONU, 3/9/2003


=== 1 ===


SLOBODA udruzenje – Associazione LIBERTA’

Comitato jugoslavo per la liberazione di
SLOBODAN MILOSEVIC

Belgrado, Rajiceva 16, tel/fax 381 11 630549

In occasione della manifestazione del’28 giugno 2003 all’Aja abbiamo
consegnato le nostre richieste al “tribunale” e all’ONU, sotto il cui
formale patrocinio quell’istituzione agisce. Non solo le nostre
richieste non sono state accolte, ma le violazioni dei diritti umani da
parte del “tribunale” si sono ulteriormente aggravate. Per questo
motivo l’Associazione SLOBODA-LIBERTA’ appoggia l’appello del Comitato
organizzativo serbo-internazionale per organizzare una nuova

MANIFESTAZIONE ALL’AJA, l’8 NOVEMBRE 2003

“Mediante terrore e tirannia tentanto di impedire, o almeno
minimizzare, l’evidente fallimento del tribunale-fantoccio, un
tribunale che serve da arma di guerra contro il nostro paese e il
nostro popolo. Non è nulla di nuovo. Già nel 1742 Montesquieu scrisse:
“Non v ‘è tirannia più crudele che quella perpetrata sotto lo scudo
della legge e nel nome della giustizia”.” Slobodan Milosevic, 17 agosto
2003-09-06

-        Il “tribunale” dell’Aja, è non uno strumento di giustizia, ma
di aggressione e guerra

-        Il “tribunale” dell’Aja tenta di falsificare la storia della
Serbia, come rappresaglia contro i combattenti della libertà e per
proteggere i responsabili di politiche di guerra e colonialismo,
condannati in tutto il mondo.

-        Il “tribunale” dell’Aja, mediante il suo terrorismo contro il
popolo serbo e contro il presidente Milosevic, e, con la persecuzione
della sua famiglia e dei suoi sostenitori, tenta di sopprimere la
verità.

-        Una corte che viola i diritti umani nel modo in cui li viola
il “tribunale”, non dovrebbe poter esistere in nessun paese democratico
e civile.

-        Sono massimi responsabili dell’esistenza di tale “tribunale” i
governi degli USA e del Regno Unito, ma anche gli altri paesi membri
permanenti del Consiglio  di Sicurezza dell’ONU.

-        Nell’autunno di 70 anni, il “Terzo Reich” “processò” Dimitrov.
L’8 novembre di 65 anni fa, fu commesso uno dei massimi crimini del
nazismo: il pogrom della “Notte dei cristalli”. Uccidere nazioni, MAI
PIU’.

LIBERIAMO L’EUROPA E IL MONDO DAI FALSI “TRIBUNALI”!

LIBERTA’ PER SLOBODAN MILOSEVIC!

LIBERTA’ PER SERBIA E JUGOSLAVIA!

FACCIAMO APPELLO A TUTTE LE FORZE E ORGANIZZAZIONI PROGRESSISTE IN
EUROPA E IN TUTTO IL MONDO A UNIRSI A NOI.

Le manifestazioni e la lotta per questi obiettivi richiede aiuti
finanziari. Inviate le vostre offerte a “Sloboda”, Rajiceva 16, 11000
Belgrado, Serbia e Montenegro, Jugoslavia.

Per trasferimenti bancari, vedere istruzioni in www.sloboda.org.yu


=== 2 ===


CENTRAL GENERAL DOS TRABALHADORES

Affiliata alla Federazione Mondiale dei Sindacati – FSM

Sao Paolo, 29 agosto 2003

Mr. Hans Holthuis
Ufficio del Registro
Tribunale Criminale Internazionale per la Jugoslavia
L’Aja
Paesi Bassi

Signor Holthuis,

La Confederazione Generale dei Sindacati del Brasile – CGTB – ritiene
necessario esprimere la propria indignazione contro la recente
decisione del Tribunale dell’Aja di proibire le visite al Presidente
Milosevic.
Questa decisione arbitraria rafforza l’opinione, condivisa da vasti
settori dell’opinione pubblica internazionale, che il Tribunale
dell’Aja fu creato con l’esclusivo scopo di condannare il Presidente
Milosevic e di giustificare l’aggressione contro la Jugoslavia e i
crimini commessi da USA/NATO quando, in meno di 90 giorni, gettarono
25.000 tonnellate di bombe sulla Jugoslavia, assassinando 5000 civili e
ferendone altri 10.000, dei quali il 40% erano bambini.
Al terzo Congresso della nostra Confederazione, nel marzo 2002, i
lavoratori brasiliani manifestarono la propria consapevolezza dei
crimini attuati da USA/NATO. Condannarono gli aggressori stranieri e
misero in discussione il tribunale dell’Aja, giudicandolo un ulteriore
strumento controllato dal governo degli Stati Uniti.
Oggi, dopo l’attacco all’Iraq, tutti nel mondo siamo coscienti della
farsa messa in atto dall’amministrazione nordamericana per giustificare
l’invasione di un paese sovrano allo scopo di assicurare i propri
interessi. Di conseguenza, se il tribunale dell’Aja insiste nell’agire
in modo fazioso ed arbitrario, come ha fatto in passato, corre il
rischio concreto di finire nel discredito totale.
Alla luce di ciò, giudichiamo indispensabile che il tribunale dell’Aja
rispetti i diritti alla difesa e alle visite del Presidente Milosevic e
gli garantisca immediatamente il diritto al pieno accesso ai mezzi
d’informazione, un diritto che oggi è concesso costantemente ed
esclusivamente alla sola Pubblica Accusa.

In fede,

Antonio Neto
Presidente CGTB
Vicepresidente della Federazione Sindacale Mondiale

Maria Pimentel
Segretaria per i Rapporti Internazionali della CGTB

R. Mario de Andrade 61  CEP 01154-060
Sao Paolo/SP, Brasil,
Tel. 55 11 3663 0473, Fax 3824 5601


=== 3 ===


AL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN

Ai governi di: Repubblica popolare di Cina, Repubblica di Francia,
Federazione Russa, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Italia.

(tramite le rispettive ambasciate a Belgrado)

L’associazione di cittadini “SLOBODA” – Comitato jugoslavo per la
liberazione di Slobodan Milosevic – esprimendo l’opinione di un vasto
settore della società, denuncia  gravi violazioni dei diritti umani e
di norme giuridiche e morali, universalmente riconosciute, da parte del
cosiddetto Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (attivato su
mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), nel corso del
processo che tale tribunale sta conducendo contro Slobodan Milosevic,
il quale per molti anni è stato presidente della Repubblica Federativa
di Jugoslavia e della Repubblica di Serbia.
Nel corso della sua cosiddetta riunione statutaria, svoltasi il 2
settembre del 2003, il tribunale dell’Aja ha nuovamente dimostrato la
sua indisponibilità ad attenersi anche in misura minima al principio
della parità tra pubblica accusa e diritto alla difesa, che pur
formalmente riconosce. Se questa dimostrata indisponibilità fosse
mantenuta, qualsiasi osservatore imparziale sarebbe costretto a
concludere che nel quadro delle Nazioni Unite sta operando una nuova
inquisizione, con l’unico scopo di sostenere gli interessi della Nato
nel Balcani. Se ne devono assumere la responsabilità i membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza.
Il tribunale si è anche dimostrato indisponibile ad accogliere la
proposta del presidente Milosevic di un’interruzione del processo per
due anni, allo scopo di permettergli di preparare la propria difesa
tramite l’esposizione dei fatti e la chiamata di testimoni, onde
neutralizzare con la verità i due anni trascorsi nella presentazione,
da parte della cosiddetta Procura, con l’aiuto dei servizi segreti di
alcuni importanti Stati, di faziosità, menzogne e travisamenti,
raccolti con il lavoro annoso di centinaia di persone e l’utilizzo di
cospicui fondi tratti dal bilancio delle Nazioni Unite. La procura,
oltre a risorse illimitate, ha avuto a disposizione almeno quattro anni
e mezzo (dal maggio 1999) ed è anche noto il fatto che abbia utilizzato
materiali raccolti fin dal momento della creazione del tribunale nel
1993.
Va inoltre denunciato che il tribunale, con l’utilizzo di tempi
processuali estremamente onerosi per l’imputato e la negazione di
un’adeguata assistenza medica, attenta alla salute e alla vita del
presidente Milosevic.
Al presidente Milosevic sono state pesantemente limitate le visite dei
membri della sua famiglia e, in seguito a decisioni recenti, non gli è
consentito ricevere le visite neppure dei suoi più stretti
collaboratori, membri del Comitato per la sua difesa e membri del suo
partito, annullando così altri elementari diritti della difesa. Infine,
al presidente Milosevic è stato rigorosamente proibito qualsiasi
contatto con i mezzi d’informazione, mentre, dal canto suo, la procura
esercita quotidianamente le sue frequentazioni con i media.
Chiediamo, alla luce delle condizioni di salute del presidente
Milosevic, al fine della parità tra i diritti delle parti e
nell’interesse della verità, che il processo all’Aja venga interrotto
per la durata di due anni e che il presidente Milosevic venga posto in
libertà, onde consentirgli di curarsi e garantirgli condizioni minimali
per la preparazione della sua difesa attraverso i documenti e i
testimoni che riterrà necessari, ponendo fine a una costante e
gravissima violazione dei diritti della difesa.
Unica alternativa a quanto sopra denunciato e richiesto sarebbe lo
scioglimento immediato del tribunale dell’Aja, onde evitare di
ulteriormente offuscare il prestigio e la rispettabilità di questa
organizzazione mondiale e dei governi che assumono le maggiori
responsabilità per le sue decisioni.

Belgrado, 3 settembre 2003

Per l’Associazione Sloboda
(Comitato Jugoslavo per la liberazione di Slobodan Milosevic)

Il presidente Bogoljub Bjelica

Telekomica con personaggi

1. Telecomica con personaggi.
I dettagli della piu' fallimentare impresa del colonialismo economico
italiano nei Balcani. Da "Il Manifesto" del 2/9/2003.
2. Telekom, gli Usa dissero no.
La voce del padrone, incarnata dall'ex inviato Gelbard, chiarisce una
volta per tutte: guai ai sudditi che cercano di fare affari con i
nostri nemici. Da "Panorama" del 4/9/2003.


=== 1 ===

il manifesto - 2 Settembre 2003

Telecomica con personaggi

Le verità sotto il cielo sono sempre più numerose di quante alcuni ne
sappiano contare. Il caso di Telekom Serbia è esemplare da questo punto
di vista. Forse gli italiani sono andati in Serbia per sfruttarla.
D'altro canto quale può essere il fine di un investimento all'estero se
non guadagnare il più possibile?
GUGLIELMO RAGOZZINO


Nel giugno del 1997 la società olandese Stet International Netherlands
N. V. (per gli amici, Sin) acquistò per un miliardo e 517 milioni di
marchi tedeschi dall'ente delle poste locale il 49% della Telekom
serba. Il 20% venne girato contestualmente per 624 milioni di marchi
alla società telefonica greca Ote. Il pagamento della Sin era previsto
in tre rate: 702 milioni di marchi subito, 117 entro sei mesi e il
resto «all'atto della licenza per la telefonia mobile (versati nel
marzo del 1998)». Il virgolettato è tratto dalla famosa inchiesta di
Repubblica del febbraio 2001 (Carlo Bonini e Giuseppe d'Avanzo) che ha
dato la stura alla tenebrosa vicenda. L'acquisto balcanico di Sin era
fatto per conto della casa madre di allora, di nome Stet, poi mutato in
Telecom Italia. E per questo la vicenda ha suscitato e suscita grandi
passioni in Italia pur essendo allora allora e rimanendo ancor oggi per
molti aspetti oscura, nonostante la bravura di Bonini&D'Avanzo,
nonostante la causa aperta al tribunale di Torino, nonostante
l'inchiesta del parlamento italiano tuttora aperta. Per non dire della
copertura generosamente offerta (la prima pagina tutti i giorni, per
mesi e mesi) da parte del Giornale, un quotidiano autorevole essendo in
parte del fratello di Silvio Berlusconi e in parte di una società dello
stesso presidente del consiglio.

L'oscura vicenda interessa ancora molto, anche se il proprietario di
Sin, dopo molte giravolte e cambi di gruppi dirigenti e proprietari -
dall'Iri al Tesoro, al mercato, a Colaninno, a Tronchetti
Provera/Pirelli - ha rivenduto la propria partecipazione, ridotta al
29%, in Telekom Serbia, nel febbraio del 2003 per 193 milioni di euro.
Anzi lo scarto tra il prezzo di vendita e quello d'acquisto ha
aumentato ancora di più i sospetti sull'operazione di allora. Perché
comprare in Serbia? Perché pagare una cifra così elevata? Perché
vendere a prezzo tanto vile?

Va detto subito che delle due l'una: o era maledettamente alto il
prezzo d'aquisto, o era stracciato quello di vendita. Ma era davvero
così elevata la cifra d'acquisto? I serbi dell'opposizione a Milosevic
si sono lamentati per la svendita subìta, e hanno pubblicato cifre
almeno doppie, sui 3 miliardi di marchi, attribuendole a banche
internazionali come l'Ubc svizzera o la Nat West inglese. Anche
trascurando la visione patriottica dell'opposizione di Belgrado, è
certo che in quel tempo le telecom europee occidentali e le compagnie
telefoniche del resto del mondo ricco stavano svolgendo campagne
d'acquisto nei paesi minori in tutto il globo; in particolare c'era una
corsa nei Balcani e dintorni dove erano attivi tedeschi e francesi. I
prezzi erano in grande tensione. La new economy trascinava le borse al
rialzo, quindi ogni nuova attività era promettente; le telecom dei
paesi forti avevano poi in corso programmi di privatizzazione che
liberavano decine di miliardi di dollari mettendoli a disposizione dei
dirigenti più dinamici. Per citare soltanto la nostrana Stet-Telecom,
la vendita di un terzo del capitale in mani pubbliche aveva fruttato al
Tesoro una cifra nell'ordine dei 30 mila miliardi delle vecchie lire.
Ma Telecom Italia, così ricca e piena di sé ha serie difficoltà per
affermarsi. Tenta di aprirsi una strada in Russia, me è respinta;
intanto francesi e tedeschi fanno altri affari. Per le avanguardie di
Telecom si apre uno spiraglio in Serbia, offerto proprio dalle
difficoltà politiche di Milosevic che rischia di perdere le elezioni
nell'autunno del 1997. Anni dopo, rispondendo in parlamento dopo le
rivelazioni di Repubblica, il ministro degli esteri Dini accennerà a
Siemens e Alcatel, due giganti della telefonia che hanno contratti per
300 milioni di marchi con Telekom Serbia. E' evidente che faranno da
tramite per la vittoria in Serbia delle loro compagnie telefoniche
nazionali. E allora si potrà dire addio al corridoio otto e a tutte le
speranze italiane di inserimento nei Balcani, infine pacificati. Così
c'è il blitz degli italiani, una volta tanto.

Gli Usa approvano, anzi, secondo Dini, gli chiedono di intercedere
presso Telecom per avere certi collegamenti telefonici all'ambasciata,
giù a Belgrado.

L'avventura serba dei telefonisti italiani resta sepolta dalla onde
successive di amministratori e gruppi dirigenti che si susseguono,
scalata dopo scalata, alla Telecom. E a ragione, probabilmente: nessuno
se ne vuole occupare, molti se ne vergognano come delle sregolatezze di
un antenato finito male. Occorre dire che la gestione italiana della
Telekom serba è vergognosa. Ci sono le clausole segrete dell'accordo,
quelle che consentono agli italiani comportamenti da occupanti. Gli
italiani impongono (secondo le informazioni dell'opposizione serba)
tecnologia propria e se la fanno pagare, ma installano centrali
arretrate, probabilmente dismesse, che portano indietro, invece che
avanti, il livello dei telefoni di Serbia. Circola una lettera di
protesta da parte di centinaia di ingegneri dell'impresa che non ne
possono più. Contro la gestione, avara e contro le commesse italiane,
scadenti, si arriva perfino a uno sciopero a oltranza.

Finisce il bel tempo; a Belgrado c'è guerra umanitaria per il Kosovo e
l'Italia bombarda le «sue» centrali telefoniche. La distruzione del
capitale non è estranea all'aumento dei tassi di profitto. Bisognerà
ricostruire e se nel frattempo Belgrado vorrà telefonare, dovrà
triangolare, a pagamento, con l'Italia.

Finisce il bel tempo anche per le grandi Telecom; l'ultimo acquisto è
nel 2000. I francesi prendono il controllo della Telecom polacca per 4
miliardi di dollari (oltre 8 miliardi di marchi). Gli italiani hanno
comprato grosso in Austria, pagando, nel novembre 1998, 1,9 miliardi di
euro per il 25% di quella Telekom. Quanto a dire 7,6 milioni di euro
per ogni 1%. Quando nel 2003, Telecom Italia rivende un 15% della
società comprata meno di 5 anni prima, il prezzo che ne ricava è di 559
milioni di euro, pari a 3,7 milioni per ogni 1%. Anche nella felix
Austria, senza bombardamenti, il prezzo si è più che dimezzato.

Dunque, tutto finito. Ora ci interessa il corridoio cinque e sono
altre e più modeste le nostre manie di grandezza. Resta dell'avventura
una traccia nelle tabelle dell'Onu. Nel World Investment Report del
2001, dal titolo evocativo Promoting Linkages cioè un invito a
promuovere legami, c'è un elenco di paesi che, tra il 1996 e il 2000,
hanno effettuato investimenti in Jugoslavia (Serbia-Montenegro). E' un
elenco breve, in milioni di dollari, su dati della banca centrale di
Jugoslavia. Al primo posto i Paesi bassi con 560, poi la Grecia con
481, poi il Lussemburgo con 102. Più sotto Cipro con 82 milioni,
Bahamas 14, Bulgaria 10, Italia 10, Stati uniti 8, austria 8 e Ungheria
4. Sappiamo già chi è nascosto dietro i Paesi bassi e del resto una
nota lo esplicita: sono gli italiani della Sin-Telecom, un po'
travestiti, ma non troppo. Poi, dopo i greci, Lussemburgo e Cipro
coprono evidentemente altri personaggi che non vogliono farsi
riconoscere. Un'altra tabella mostra i flussi di investimenti esteri
nel corso del decennio. Gli investimenti esteri oscillano tra i 250
milioni e i 90 fino al 1996. Si può immaginare che vi sia interesse a
investire dall'estero e resistenza, all'interno. Poi l'esplosione del
1997, con un dato che supera i 1.100 milioni di dollari. Poi, negli
anni seguenti, una repentina ricaduta ai livelli di prima del boom. Del
resto se gli investimenti esteri sono come certi italiani, è meglio
perderli che trovarli.


=== 2 ===

http://www.panorama.it/italia/politica/articolo/ix1-A020001020620

Telekom, gli Usa dissero no

di  Marco De Martino

4/9/2003  

Era l'inviato di Clinton nei Balcani all'epoca dell'acquisto della
società serba da parte della Telecom Italia. E smentisce con forza le
dichiarazioni di Dini e Fassino: «Eravamo contrari all'operazione ed è
falso che l'America incoraggiasse investimenti a favore di Milosevic"


Telekom Serbia: quella storia Robert Gelbard se la ricorda bene. Nel
1997 era l'uomo di punta della diplomazia americana nei Balcani. Il suo
titolo ufficiale era quello di inviato speciale del presidente Bill
Clinton per l'attuazione degli accordi di Dayton: durante la crisi del
Kosovo fu lui il rappresentante più alto del dipartimento di Stato Usa
nella regione, lavorando per lunghi periodi a stretto contatto con
Richard Holbrooke, l'artefice della pace nei Balcani. Gelbard oggi è un
consulente d'affari a Washington.
Di quella storia, di quell'operazione che portò la Stet ad acquistare
il 29 per cento della compagnia serba per 878 miliardi di lire, non ha
mai parlato. Ma basta riferirgli una frase che lui non conosce. Si
tratta dell'ultima dichiarazione di Piero Fassino, attuale segretario
italiano dei Ds e all'epoca sottosegretario alla Farnesina, sul
discusso affaire: "Dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di
tentare di favorire un'evoluzione democratica nei Balcani. Via le
sanzioni, via l'embargo. Le imprese europee e statunitensi furono
incoraggiate a investire".
Gelbard, evidentemente sorpreso, fa una pausa. E comincia le sue
rivelazioni a Panorama con un moto di rabbia: "Dire che noi americani
incoraggiavamo altre nazioni a investire in Serbia è ridicolo:
completamente falso. La notizia dell'investimento italiano fu anzi
accolta con grande preoccupazione dal governo americano: avevamo
ragione di ritenere che l'accordo contenesse elementi di illegalità".

Si ricorda quando veniste a conoscenza della trattativa?

No. Ma ricordo bene che ne fummo informati a cose fatte: non venimmo
mai consultati. E la cosa non ci rese certo felici.

Che reazione provocò la notizia?

Parlammo di quella vicenda in varie riunioni, ad altissimo livello.
Quei soldi italiani diedero una boccata di ossigeno a Milosevic, gli
permisero di comprare nuove fedeltà, di continuare a pagare gli
stipendi dei militari. Ma avevamo anche la preoccupazione che l'accordo
fosse stato condotto secondo modalità che poco hanno a che fare con
l'onestà.

A che cosa si riferisce?

Mi lasci solo dire che qualsiasi accordo stretto con la Serbia
all'epoca doveva essere fatto passando attraverso Milosevic e i suoi
compari.

Avevate informazioni dalla vostra intelligence che motivavano i
sospetti?

Su questo non posso rispondere.

Quali organismi del governo americano erano a conoscenza del problema?

Soprattutto il dipartimento di Stato.

E quindi anche l'allora segretario di Stato Madeleine Albright...

Lo ha detto lei. Quello che posso dirle è che si trattava di una
preoccupazione largamente condivisa.

Tentaste di capire dove finirono tutti quei miliardi?

Sì, e giungemmo alla convinzione che la maggior parte del denaro fosse
stato rubato. Si ricordi che a questo punto, nel 1997, Milosevic era
nei guai: la Serbia era al collasso economico, lui aveva bisogno di
nuovi investimenti sia per ragioni politiche sia per ragioni
economiche. Noi non volevamo che si rafforzasse politicamente e, per
questa ragione, mantenevamo le sanzioni.

È vero. Però l'Onu aveva tolto le sanzioni e quindi l'accordo non era
formalmente illegale.

Ma noi americani, ripeto, mantenevamo quello che chiamavamo "il muro
esterno delle sanzioni". Ci opponevamo cioè ai prestiti del Fondo
monetario e della Banca mondiale. E non esistevano relazioni con le
repubbliche della ex Jugoslavia, che non avevano ancora alcuna
rappresentanza alle Nazioni Unite.

Quindi non è esatto che dopo gli accordi di Dayton gli americani
guardavano con favore a investimenti che favorissero il processo di
pace (come ha dichiarato Fassino)?

È completamente falso. Completamente falso. Non avevamo alcuna ragione
al mondo per incoraggiare le aziende a dare soldi a Milosevic: volevamo
investimenti in Bosnia, non certo in Serbia. Ma il governo italiano
dell'epoca aveva una posizione diversa e la divergenza di opinioni era
profonda. In particolare con il ministro degli Esteri Lamberto Dini,
che era la persona con cui avevamo più contatti. L'accordo della
Telekom Serbia non aiutò certo le nostre relazioni con il vostro Paese.
Come risultato dell'affare pensammo anzi che gli italiani volessero
mantenere un rapporto di amicizia con Milosevic. Il problema turbò le
relazioni tra Stati Uniti e Italia per un certo periodo: ovviamente il
rapporto è talmente solido che una questione del genere non lo avrebbe
mai potuto incrinare.

Dini ha di recente dichiarato: "Nessuno ha avvertito che era
un'operazione a rischio".

È un'affermazione a cui è difficile credere.

Gli esponenti del governo italiano dell'epoca dicono di avere saputo
dell'accordo dopo che era stato siglato: a questo crede?

Non ho informazioni specifiche, ma anche questa è un'affermazione a cui
è difficile credere.

Di nuovo Dini: "A quell'epoca, dopo il trattato di Dayton che divideva
in tre l'ex Jugoslavia, c'era l'orientamento, in Europa e negli Usa, di
cercare di rendere più democratico e responsabile il regime di
Belgrado. Nel 1997 non c'erano preclusioni politiche". È vero?

Non esattamente. Il governo statunitense era contro ogni tipo di
accordo che portasse soldi nelle tasche di Milosevic. È vero che
appoggiavamo il processo democratico, è falso che appoggiavamo
Milosevic. Noi anzi appoggiavamo gruppi di opposizione come Zajedno,
che alle elezioni municipali vinsero molte poltrone di sindaco. Ma
pensavamo che l'investimento in Telekom Serbia avrebbe aiutato
Milosevic, che era il contrario di quello che volevamo.

Questa posizione americana era valida anche nel 1996, quando venne
architettato l'investimento in Telekom Serbia?

Ho assunto il mio ruolo solo l'anno dopo. Ma le posso dire che anche
prima di quella data non ha mai fatto parte della nostra politica
rinforzare Milosevic. Guardi, mi permetta di essere chiaro. L'accordo
di Dayton fu siglato nel novembre del 1995: nel gennaio del 1996 vidi
Milosevic, prima di assumere il mio ruolo, e già allora la sua non
collaborazione all'accordo di Dayton era chiara. Nel corso di
quell'anno anzi Milosevic fece molto poco per ridurre il potere di
Radovan Karadzic e Ratko Mladic (criminali di guerra serbi ancora
ricercati, ndr). E all'inizio del 1997 la nostra insoddisfazione nei
suoi confronti era ai massimi livelli. Albright fece allora la sua
unica visita a Belgrado per vedere Milosevic: fu un incontro di estrema
difficoltà a cui io fui presente.

Torniamo al punto che più ci interessa: l'accordo della Telekom Serbia.
Che cosa attirò la vostra attenzione?

Era una totale anomalia. Assieme agli italiani, erano i francesi i più
attivi nella regione. Ma questo contratto venne subito notato,
soprattutto per la quantità di soldi versati nelle casse della Serbia.

Prendeste provvedimenti?

Non avevamo alcuno strumento per farlo, l'Italia è un Paese sovrano.

Vi lamentaste con gli italiani?

Sì.

Chi lo fece, Madeleine Albright?

Di questo non voglio parlare.

Ripeterebbe le sue dichiarazioni davanti alla commissione parlamentare
d'inchiesta italiana?

A Roma vado sempre volentieri...


RISPOSTE E SILENZI DEI PROTAGONISTI
Come si sono difesi i responsabili del governo Prodi dalle accuse di
aver sottovalutato l'affaire

I "misteri" sono stati svelati la scorsa settimana. Allora, nel giro di
pochi giorni, Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino hanno
raccontato la loro verità sulla Telekom Serbia. Nel 1997, all'epoca
della vicenda, erano rispettivamente presidente del Consiglio, ministro
degli Esteri e sottosegretario alla Farnesina. Panorama ha riassunto
l'affaire in sei domande chiave. Eccole, seguite dalle risposte date
dai tre politici a quotidiani e settimanali.

Avete saputo della trattativa per l'acquisto della Telekom Serbia da
parte della Stet prima del 9 giugno 1997, giorno della conclusione
dell'affare?

Prodi: "Mai, da nessuno e in alcuna forma, l'acquisto di una quota di
Telekom Serbia da parte di Stet fu sottoposto alla mia attenzione, né
come privato cittadino, né come presidente del Consiglio".

Dini: "Non mi sono mai occupato, né nessuno mi ha mai parlato di questo
affare Telekom. Seppi dell'acquisizione dai giornali, a contratto
firmato. E me ne rallegrai. La considerai una scelta di Belgrado
favorevole all'Italia".

Fassino: "La trattativa era nota".

È possibile che la Stet, un'azienda statale, potesse concludere un
affare da 878 miliardi di lire con il regime serbo senza l'assenso del
governo italiano?

Prodi: "Non vi era alcuna ragione né formale né sostanziale perché ciò
dovesse avvenire".

Dini: "Il governo dell'Ulivo è estraneo alla vicenda. Non ha
partecipato in alcun modo alla vicenda perché Stet non ha chiesto
aiuto. E ha condotto la trattativa da sola. Il ministero degli Esteri
interviene solo se è interpellato".

Fassino: "Il governo non ha avuto alcun ruolo perché non doveva averlo.
Se a livello internazionale la strategia fosse stata quella di isolare
Milosevic, allora si sarebbe dovuto intervenire. Ma poiché non era
così, il governo non lo fece".

Dopo l'accordo di Dayton del 1995, l'atteggiamento politico di Europa e
Usa nei confronti di Milosevic poteva giustificare un investimento di
questa entità in Serbia?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Dopo il trattato c'era l'orientamento, in Europa e negli Usa, di
cercare di rendere più responsabile e democratico il regime di
Belgrado. Nel 1997 non c'erano preclusioni politiche. Nessuno poteva
immaginare quello che sarebbe accaduto dopo, Kosovo compreso".

Fassino: "Nel 1995, dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di
tentare di favorire un'evoluzione democratica nei Balcani. Via le
sanzioni, via l'embargo. Le imprese europee e statunitensi furono
incoraggiate a investire".

Francesco Bascone, ai tempi dell'affare ambasciatore italiano in
Jugoslavia, mandò al ministero degli Esteri 14 dispacci in cui veniva
denunciata la pericolosità dell'operazione e il fatto che non vi fosse
"nessuna assicurazione sulla destinazione dei soldi dell'affare". Come
mai nessuno tenne conto dei suoi avvertimenti?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Bascone riferiva soltanto quello che la stampa locale diceva e
quanto emergeva con i leader dell'opposizione. Le lettere di Bascone,
come era normale, furono prese in considerazione dai direttori
generali".

Fassino: "Le parole dell'ambasciatore alla commissione dimostrano la
mia assoluta correttezza e la mia totale estraneità alla vicenda". Il 9
ottobre del 2002, il diplomatico aveva raccontato alla commissione
parlamentare d'inchiesta che l'attuale segretario dei Ds "durante una
sua visita a Belgrado, aveva manifestato un forte disagio per questa
trattativa, che si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare
l'ambasciata e il ministero".

La Telekom Serbia fu pagata dalla Stet 878 miliardi e rivenduta a meno
della metà cinque anni dopo: fu un cattivo affare?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Lo vedremo. Se hanno agito così, avevano tutte le ragioni per
pensarlo".

Fassino: "Sono decisioni aziendali, non dell'autorità politica. È
un'azienda a decidere il prezzo di un acquisto o di una cessione".

Accetterà di essere ascoltato dalla commissione d'inchiesta?

Prodi: "Sono disposto a essere ascoltato per fornire ogni utile
chiarimento agli organi legittimamente deputati ad accertare la verità".

Dini: "Ho già dichiarato anche in passato la mia disponibilità a essere
ascoltato dalla commissione quando essa lo ritenga opportuno".

Fassino: "Se la commissione vuole, sa dove trovarmi. Certamente, se mi
convocano andrò, come chiunque è tenuto a fare".

La dittatura della borghesia (3)

(la puntata precedente su
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2754 )

1. Ancora sul caso di David Pecha:
raccolta U R G E N T E di firme per solidarieta'

2. Ancora sulle scuole russe in Lettonia


=== 1 ===


* raccolta U R G E N T E di firme per solidarieta' *

Le opinioni del giovane Pecha

Appello

Il prossimo 24 settembre, verrà processato a Praga un giovane di 26
anni, David Pecha. La sua colpa è quella di aver scritto su un piccolo
giornale di sinistra della Repubblica Ceca che "di fronte alle grandi
ingiustizie sociali, l'alternativa resta la dittatura del proletariato".

Il giovane Pecha, residente in Moravia, la zona economicamente e
socialmente più povera della Repubblica Ceca e militante del Partito
Comunista Cecoslovacco (una scissione del Partito Comunista di Boemia e
Moravia, presente in parlamento e seconda forza politica del paese)
nell'esprimere la sua opinione sulla grave situazione economica e
sociale del suo paese e del mondo, ha fatto proprie le tesi di Karl
Marx comparse sul "Manifesto" più di centocinquanta anni fa e ritenute
dal giovane Pecha ancora attuali.

L'accusa intende portarlo in tribunale per i reati di "apologia del
comunismo" e "istigazione all'odio di classe" ossia i classici reati di
opinione con cui i tribunali speciali hanno processato gli oppositori
politici in ogni quadrante del mondo.

Noi riteniamo grave che nella Repubblica Ceca, la quale si appresta ad
entrare nell'Unione Europea, si possa processare per reati di opinione
un oppositore politico. Tantopiù in un paese dove il partito comunista
è la seconda forza politica ed ha una consistente rappresentanza in
Parlamento.

Intendiamo inoltre denunciare l'ondata di isteria anticomunista che, a
quattordici anni di distanza dal 1989, sta dilagando come una sorta di
"vendetta postuma" in molti paesi dell'Europa dell'Est. Partiti di
sinistra vengono messi fuorilegge in Romania, ex Jugoslavia,
Repubbliche Baltiche. Dirigenti e militanti politici vengono
perseguitati. Le secessioni avvenute in questi paesi continuano a
provocare processi di apartheid e di pulizia etnica come in Lettonia o
nel protettorato NATO in Kossovo.

L'Unione Europea, così attenta a segnalare le violazioni dei diritti
umani e politici in ogni quadrante del mondo, sembra non voler vedere
cosa accade dentro di essa o nei paesi che si apprestano ad entrare
nell'Unione.

L'allarme che intendiamo lanciare con questo appello ha la pretesa di
voler inserire nell'agenda della costituzione politica dell'Unione
Europea un "buco nero" che rischia di approfondire il deficit
democratico con cui questo processo continua ad andare avanti.

Chiediamo che il processo al giovane David Pecha venga monitorato da
osservatori e giuristi a livello europeo per impedire che le opinioni
politiche diventino oggetto di persecuzione.

11 settembre 2003


Primi firmatari:

Sergio Cararo (giornalista)
Cynthia D'Ulizia (giornalista)
Fulvio Grimaldi (giornalista)
Rita Martufi (ricercatrice)
Emidia Papi (sindacalista)
Luciano Vasapollo (docente universitario)


Appello promosso da La Rete dei Comunisti

INVIARE LA PROPRIA ADESIONE A:
segreteria@...

Radio Citta' Aperta 
SITO: http://www.radiocittaperta.it


=== 2 ===


IN LETTONIA 10.000 PERSONE HANNO MANIFESTATO IN DIFESA DELLE SCUOLE
RUSSE

http://www.kprf.ru/actions/17997.shtml

 
Il sito internet del PCFR ha ripreso dal giornale “Sovetskaja Rossija”
del 6 settembre la seguente notizia

 
Giovedì sera nel centro di Riga si è svolta una manifestazione di massa
in difesa delle scuole russe, in cui dovrebbe essere reso obbligatorio
l’insegnamento nella sola lingua lettone. Circa 10.000 cittadini di
lingua russa della capitale lettone, studenti e insegnanti delle scuole
russe, rispondendo all’appello del “Centro per la difesa delle scuole
russe”, si sono raccolti nel parco “Esplanada” nel centro della città,
per affermare il proprio diritto a ricevere l’istruzione nella lingua
madre.

I partecipanti alla manifestazione hanno innalzato striscioni, in cui
era scritto in russo, lettone ed inglese: “La nostra lingua è il nostro
futuro”, “Le scuole russe sono la nostra Stalingrado”, “Lettonia:
vergogna dell’Europa”.

Dal momento che la Duma di Riga si è rifiutata di concedere il permesso
per lo svolgimento del meeting dei cittadini di lingua russa nel centro
della città, la manifestazione si è svolta sotto forma di incontro con
i loro elettori dei deputati al Seim e alla Duma di Riga appartenenti
al gruppo “ Per i diritti dell’uomo nella Lettonia unita” (il
raggruppamento di sinistra, di cui fanno parte i compagni del Partito
Socialista di Lettonia, nota del traduttore).

 
Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Fassino e il fardello della modernizzazione

(commento al libro di Piero Fassino "Per passione")

di Claudio Grassi

Liberazione, 5 settembre 2003

Questo di Piero Fassino è un libro interessante e autentico, scritto
davvero con passione, quella profonda passione per la politica che ha
sin qui contraddistinto tutta la vita dell'attuale segretario dei Ds.
Sono pagine pensate, nelle quali si riflette un profilo culturale
coerente, precisatosi, nel segno di una sostanziale continuità, in
lunghi decenni di impegno militante. Quale sia il connotato di fondo è
presto detto. Fassino dichiara
senza remore la propria ispirazione socialdemocratica: di una
socialdemocrazia - conviene precisare - peculiare, figlia della
sconfitta del movimento operaio battuto dalla rivoluzione conservatrice
reaganiano-thatcheriana. Per cui mai nel libro emerge, nemmeno in
chiave problematica, la riflessione sulle responsabilità del
capitalismo in ordine ai devastanti problemi politici, sociali,
ambientali e persino morali che l'umanità si trova di fronte.
Ma veniamo ad alcuni snodi salienti della narrazione. Colpisce, in
primo luogo, come in tutte le fasi dello scontro politico richiamate
nel libro Fassino si sia collocato regolarmente su posizioni assai
prossime a quelle dell'avversario. Un caso appare tra tutti
paradigmatico. 1980, la
mobilitazione della Flm contro i licenziamenti decisi dalla Fiat. La
lotta si protrae per 35 lunghi giorni durante i quali Enrico Berlinguer
è vicino agli operai in sciopero, che lo festeggiano ai cancelli di
Mirafiori. Oggi Fassino ricorda e non lesina critiche. Gli appare
sbagliata la posizione oltranzista dei lavoratori e del sindacato dei
meccanici. Giudica errata
anche la scelta del segretario del Pci che avalla quella lotta e non si
pronuncia contro l'occupazione della fabbrica.
Sono pagine dure, come duro fu allora quello scontro. Vi è consegnata,
in sintesi, la tesi portante del libro. Fassino non è critico di
Berlinguer nell'intero arco della sua segreteria. Al contrario, ne
condivide le scelte degli anni Settanta: il compromesso storico,
l'opzione per la Nato, il governo di solidarietà nazionale, la
condivisione della linea dell'Eur e dei
sacrifici imboccata nel '77 dalla Cgil di Luciano Lama. Il problema è
però, ai suoi occhi, che quelle scelte non furono condotte sino in
fondo: si tentennò, non si ebbe il coraggio di “assumere un compiuto
profilo riformista di stampo socialdemocratico”. Questo è il punto,
assunto come un dogma. Poco o nulla rilevano i contraccolpi di quelle
scelte strategiche: il disastro elettorale dell'80 (quando il Pci si
fermò al 26%, otto punti in meno rispetto al '75), il tracollo del Pds
al primo test elettorale (16% nel '92).
Ovvia, poste queste premesse, la requisitoria nei confronti dell'ultimo
Berlinguer. Ovvia anche, benché non per questo meno sconcertante, la
celebrazione di Bettino Craxi, nel quale Fassino scorge un lucido
interprete di quella fase storica e politica. “Craxi interpreta le
domande di dinamicità di una società che cambia e chiede alla politica
di stare al passo. Il Pci invece vede nei cambiamenti un'insidia,
anziché un'opportunità”. Tradotto in volgare: Craxi ha il merito di
capire che la centralità operaia ha fatto il suo tempo, che il
conflitto di classe è una patologia distruttiva, che la
“modernizzazione” impone alla sinistra di riconoscere la centralità
dell'impresa e di farsi carico delle “compatibilità” del capitalismo.
Poco importano, ancora una volta, la dure repliche della storia: il
dilagare della corruzione tra le file del Psi craxiano e la sconfitta
storica della sinistra post-comunista che nei primi anni Novanta,
gettata alle ortiche la cultura classista, assumerà su di sé il
fardello della “modernizzazione” a suon di privatizzazioni, tagli del
welfare, riforme istituzionali e leggi maggioritarie.
Fassino non si limita alla politica interna, il libro è ricco di
riferimenti a questioni e vicende internazionali. Ma, giunti a questo
punto, sarebbe temerario attendersi sorprese. Non ce n'è. Il socialismo
reale è tutto un fallimento: ovviamente sui fallimenti delle
socialdemocrazie al governo in Europa dagli anni Ottanta in poi (e
tanto più sulle odierne porcherie di Blair) il silenzio è assoluto.
Maastricht? Rose e fiori, peccato solo che il centrosinistra al governo
non abbia completato la riforma delle pensioni e sia stato troppo
timido con la flessibilità. E i milioni di disoccupati, i nuovi poveri,
i bilanci terremotati delle famiglie? Inevitabili contraccolpi della
modernità. Gli Stati Uniti? Un modello di democrazia, e pazienza per la
dottrina della guerra preventiva e permanente (di cui invano si
cercherebbe traccia). Israele? “Non possiamo non amar[lo]. Non possiamo
non riconoscere Israele come una forte e libera democrazia”: dunque
nessun problema di occupazione militare di territori altrui, di
discriminazioni etniche, di violazioni di diritti umani.
La perla è, naturalmente, la parte dedicata alla guerra nella
ex-Jugoslavia. Fassino ci tiene a rivendicare un primato: “Nel governo
italiano, i più determinati nell'auspicare un intervento militare siamo
io e Andreatta”. Poi, però, dà a Massimo quel che è di Massimo:
“D'Alema rivela qui la sua parte migliore di uomo di stato: con
freddezza e lucidità gestisce i rapporti interni dell'Ulivo e si fa
apprezzare [.] dai generali della Nato”. E la distruzione della
Zastava? La pulizia etnica ancora in corso contro il popolo serbo? La
disoccupazione dilagante, l'uranio impoverito? Quisquilie, polvere
impalpabile sotto il
carro trionfale della Storia.
Non servono lunghi commenti né faticose interpretazioni. Fassino è
onesto, non si maschera, non stempera le proprie convinzioni. Del
resto, perché mai si dovrebbe volere occultare quanto si considera
titolo di merito? Senonché il punto è proprio questo. Come mai non si
avverte la problematicità di una metamorfosi ideologica e politica che
ribalta di 180 gradi una lunga storia e impedisce qualsiasi presa di
distanza dal neoliberismo, dall'attacco al lavoro e ai diritti sociali,
dalle nuove guerre imperialiste? Questo libro è uno specchio della
mutazione genetica subita dal Pci nel corso degli ultimi
vent'anni e della cui portata è indice proprio la concezione della
modernità di cui Fassino è entusiasta alfiere. Moderno non è il
processo, potenzialmente rivoluzionario, di espansione della
cittadinanza e di costruzione dell'universalità: moderna è la
“razionalizzazione” del
capitalismo, la controffensiva dei poteri forti (a mezzo di
compressione dei salari e flessibilità, di tagli alla spesa e
privatizzazioni) idonea a salvaguardare sufficienti margini di
profitto. Non c'è metro migliore della devastazione prodottasi a
sinistra nei due decenni alle nostre spalle.

Claudio Grassi

L'AMICO RITROVATO

“Lo devo dire al mio amico D'Alema. Hai faticato tanto a cercare di
costruire un rapporto con la borghesia e oggi la borghesia non c'è più”

Fausto Bertinotti citato dal "Corriere della Sera" del 8.9.2003

RITORNO DALLA ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
Viaggio del 5 – 8 settembre 2003

(a cura di G. Vlaic; per contatti: gilberto.vlaic@...)


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Resoconto di viaggio a cura Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA Trieste

Questa relazione e' suddivisa in cinque parti:
A) Introduzione
B) Materiale trasportato, cronaca del viaggio, assemblea con i
lavoratori
C) Il microprogetto artigianato
D) Stato attuale della Zastava
E) Informazioni generali e conclusioni


Introduzione


Vi inviamo un resoconto del viaggio appena concluso alla Zastava di
Kragujevac per consegnare le adozioni a distanza, fatto dal
Coordinamento Nazionale RSU e dal Gruppo Zastava di Trieste.

Per i titolari delle nuove adozioni: le schede del bambino che vi e'
stato affidato vi saranno spedite per posta quanto prima.
Segnalateci eventuali problemi.

Questo resoconto si lega alle altre relazioni scritte con cadenza
praticamente trimestrale. Sono tutte reperibili su diversi siti, tra i
quali

- il sito del coordinamento RSU, all'indirizzo:
http://www.ecn.org/coord.rsu/
seguendo il link: Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:
http://www.ecn.org/coord.rsu/guerra.htm
dove sono anche descritte in dettaglio tutte le iniziative in corso, e
riportati i resoconti anche di altre associazioni.
L'ultimo del maggio 2003 e' all'indirizzo
http://www.ecn.org/coord.rsu/doc/altri2003/2003_0509kragujevac_rel.htm

Gli stessi resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages
che contiene inoltre centinaia di articoli sulla situazione nei Balcani
difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.

Si consiglia inoltre, a chi non lo avesse gia' fatto, la letture dei
resoconti dei viaggi delle seguenti associazioni:
ABC –ONLUS di Roma (maggio 2003) all'indirizzo
http://www.ecn.org/coord.rsu/doc/altri2003/2003_0530abc_relazione.htm

Zastava Brescia (giugno 2003) all'indirizzo
http://www.ecn.org/coord.rsu/doc/altri2003/2003_0603brescia.htm

e ALJ di Bologna (luglio 2003) all'indirizzo
http://www.ecn.org/coord.rsu/doc/altri2003/2003_0718_ali_bologna.htm

poiche' tutte contengono interessanti informazioni e descrizioni.


Materiale trasportato e cronaca del viaggio


Siamo partiti da Trieste venerdi' 5 settembre 2003 maggio alle 6 di
sera, in tre macchine.
Purtroppo il pullmino a nove posti, che ci e' sempre stato prestato da
un'associazione di solidarieta' internazionale triestina era stato
"vandalizzato" circa un mese fa, nel senso che gli erano state
asportate le targhe e danneggiato all'interno; dovremo quindi aspettare
la sua re-immatricolazione per poterlo usare di nuovo.
Questo ha comportato un notevole aumento delle spese di viaggio e una
ridotta capacita' di trasporto di materiali.
La delegazione era formata da 7 persone: Enzo, Renata, Mario e Luisa da
Padova, Alessandro da Fiumicello (Udine), Roberto e Gilberto da Trieste.
Un'altra macchina e' partita da Firenze con a bordo Alma da Firenze,
Lino da Lodi e Valerio da Milano. Ci siamo incontrati a Kragujevac il
sabato mattina.

Avevamo complessivamente una quarantina di scatole di aiuti alimentari
e vestiario. Per gli alimentari si trattava di regali alle famiglie
jugoslave da parte delle famiglie adottanti italiane, il vestiario era
frutto di una raccolta operata a Padova.

Avevamo ricevuto una generosa sottoscrizione (950 euro) dalle
associazioni culturali slovene di Trieste, in occasione della
manifestazione "Non bombe ma solo caramelle" che era stata organizzata
a Trieste il 7 giugno 2003, finalizzata
all'acquisto di materiale scolastico.
Fortunatamente il materiale e' stato comperato da un grossista
direttamente a Kragujevac, altrimenti non saremmo mai riusciti a
trasportarlo con noi, stanti le difficolta' del viaggio. Con tale cifre
abbiamo acquistato 1500 quaderni, 700 penne, 200 gomme, 200 squadrette
e 200 compassi.

Inoltre portavamo con noi cinque fiale di linfoglobuline, una
confezione di immunoglobuline e dieci flaconi di chemioterapici per un
valore complessivo di circa 4.000 euro, provenienti da un donatore
privato, per il reparto sterile dell'Ospedale pediatrico di Belgrado.

Le adozioni da distribuire erano 85, di cui 9 nuove, per un valore
complessivo di 12.650 euro

Infine avevamo 600 euro frutto della vendita dei prodotti di uncinetto
di sei operaie licenziate, che ci avevano affidato i loro lavori in
conto vendita a maggio scorso, all'interno del microprogetto
artigianato.

Ricordiamo che le spese di viaggio sono state direttamente sostenute
dai partecipanti, senza alcuno storno dai fondi ricevuti per le quote
di adozione a distanza da distribuire in questa occasione (come del
resto in tutti i precedenti viaggi effettuati).

Siamo arrivati a Kragujevac alle 8 del mattino, senza alcun problema
durante il viaggio; sorpresa positiva l'abolizione del visto di
ingresso, e le relative spese.

Dopo la verifica con Rajka e Milija delle liste delle adozioni e del
loro ammontare abbiamo visitato alcune famiglie, e quindi pranzato con
i rappresentanti dei lavoratori.

Poiche' Alessandro ed Enzo compivano gli anni, tutti gli incontri sono
stati particolarmente festosi ed pieni di allegria, con musica di
fisarmonica e canti fino a perdere la voce.

Nel pomeriggio abbiamo visitato un monastero ortodosso nei dintorni
della citta'.

Cena veramente straordinaria presso la famiglia il cui bambino e'
adottato da Alessandro, dove abbiamo gustato una vastissima serie di
piatti tradizionali.

Il mattino di domenica abbiamo distribuito le quote delle adozioni.
Durante l'assemblea e a cui hanno partecipato alcune centinaia di
persone c'e' stato il solito scambio di regali tra famiglie italiane e
jugoslave e viceversa.

Alla fine dell'assemblea abbiamo consegnato il ricavato della vendita
dei prodotti di artigianato e ricevuto in conto vendita alcune decine
di centrini, tovaglie e arazzi.
Pranzo a casa della bambina adottata da Enzo; cibo ottimo, in quantita'
gigantesche, musica e canti.
Nel pomeriggio abbiamo visitato altre tre famiglie e raccolto dai
delegati Zastava i dati aggiornati sulla fabbrica e alcune informazioni
generali della situazione economica e sociale complessiva del Paese;
sono riportate di seguito.

La sera abbiamo ascoltato il telegiornale regionale diffuso dalla rete
RTK, controllata dal comune di Kragujevac; per la PRIMA volta in
quattro anni di delegazioni italiane in citta' la nostra presenza e'
stata data come prima notizia nel palinsesto, ed il servizio e' durato
circa quattro minuti; inoltre sono stati trasmessi sia in Italiano che
in Serbo alcuni pezzi dell'intervento iniziale in assemblea, da dove
risultano chiarissime le motivazioni della nostra iniziativa: non
generica solidarieta' caritatevole ma specifico sostegno materiale di
lavoratori a lavoratori. I nostri amici delegati erano veramente
sorpresi!

Il mattino dopo a Belgrado abbiamo consegnato i chemioterapici;
l'incontro con la dottoressa che dirige questo reparto e' stato come al
solito estremamente toccante.
Abbiamo poi attraversato il viale delle ambasciate, che ospita tutta
una serie di ministeri completamente distrutti dai bombardamenti del
1999, e quindi siamo ripartiti per Trieste, dove siamo arrivati verso
le 10 di sera del 8 settembre.


Il microprogetto artigianato


Avevamo preso durante il viaggio di maggio scorso, su prezzi decisi
dalle donne di Kragujevac, una valigia intera di prodotti di
artigianato tessile, prodotti a uncinetto o ricamo da un gruppo di sei
operaie licenziate.

Durante le sagre e le feste estive a cui partecipiamo siamo riusciti a
vendere tutto il materiale ricevuto, grazie soprattutto alla
caparbieta' di Marvida del gruppo Zastava Trieste.

Si tratta di un salto di qualita' all'interno della campagna di
solidarieta'. Nel campo delle adozioni infatti c'e' inevitabilmente la
differenza tra chi da' e chi riceve; qui invece c'e' un rapporto
assolutamente paritario tra chi produce una merce e chi la compra. Puo'
essere l'inizio di una cooperativa femminile di lavoro artigiano.

Continueremo la vendita di questi prodotti nelle forme a noi consuete,
ma intendiamo anche verificare se e' possibile mettere in diretto
contatto questo gruppo di donne con la rete dei negozi del commercio
equo e solidale, in modo da allargare le possibilita' di vendita.
Vi terremo informati dell'evoluzione del progetto.


Stato attuale della Zastava


Nelle relazioni dei nostri viaggi precedenti, soprattutto a partire da
ottobre 2002, sono state fornite ampie e dettagliate informazioni sulla
situazione occupazionale, salariale e sindacale dei lavoratori.
Gli indirizzi a cui ritrovare queste relazioni sono riportati
nell'introduzione di questo documento.

La relazione scritta da Paola Ferroni di ALJ Bologna del luglio 2003
all'indirizzo
http://www.ecn.org/coord.rsu/doc/altri2003/2003_0718_ali_bologna.htm
integra ulteriormente questi dati.

Si rimanda quindi a queste relazioni per avere una panoramica
dell'evoluzione della situazione della Zastava negli ultimi due anni

I dati non presenti nelle relazioni precedenti sono riportati di
seguito.

Una sola unita' produttiva delle 38 in cui e' stata smembrata la
Zastava (nell'agosto del 2001) e' stata al momento privatizzata: si
tratta della Jugomedica, che impiega 13 lavoratori e produce
attrezzature per studi dentistici.

Per quanto riguarda Zastava automobili (4300 lavoratori impegnati) la
produzione prevista per il 2003 era di 1800 vetture/mese; nel primo
trimestre del 2003 il consuntivo e' di 425 vetture prodotte.
Precedentemente ai bombardamenti la produzione era di 220.000
vetture/anno.

Zastava IVECO, produzione di camion (46% di capitale FIAT al momento
attuale), produceva negli anni '90 10.000 camion/anno con 4.500
lavoratori; nel 2002 sono stati prodotti 480 camion impegnando 2.800
lavoratori.
Nel 2003 nessun camion prodotto; la FIAT avrebe dovuto fornire i motori
EURO3 completi di cambio ma richiede il pagamento anticipato a prezzi
di mercato, e non all'ingrosso.

La centrale termica, che era stata totalmente distrutta dai
bombardamenti NATO del 1999 e ricostruita nell'estate dello stesso
anno, e' attualmente gestita dal comune di Kragujevac.
Ricordiamo che la centrale, oltre a rifornire di energia e fluidi la
Zastava, riscaldava la maggior parte degli edifici pubblici e dei
condomini della citta'. Una gestione completamente fallimentare delle
forniture di combustibile ha portato alla situazione paradossale di
continue interruzioni di fornitura di energia alle unita' produttive e
ad un abnome aumento dei costi (che sono addirittura quadruplicati).

Prima dello stato di emergenza dichiarato a marzo i lavoratori della
Zastava avevano intrapreso tutta una serie di lotte sotto le parole
d'ordine:
Pane, lavoro, diritti sindacali.
Riprenderanno nel corso di questo mese.


Informazioni generali e conclusioni


La situazione economica in Jugoslavia è ovviamente molto problematica.
Oltre alla Zastava sono centinaia le fabbriche che sono state
bombardate e non ricostruite.
Su una popolazione complessiva di 10.500.000 persone il numero di
disoccupati e' ufficialmente di un milione; il dato reale e' pero'
molto piu' elevato poiche' vengono considerati occupati anche i
lavoratori in cassa integrazione.

Ci sono 300.000 lavoratori occupati che non ricevono il salario da mesi.

Lavorano in nero circa 700.000 persone.

I pensionati sono circa un milione, con pensione media di 2.000 dinari
(circa 30-35 euro).

La legge sulle privatizzazioni ha fino ad oggi interessato 700 imprese
con un totale di circa 25.000 dipendenti.

Ricordiamo che una famiglia media di 4 persone ha bisogno di almeno 250
euro contando solo i generi di primissima necessita'.

I dati ufficiali affermano che circa i 2/3 della popolazione serba
spende meno di 1 euro al giorno pro-capite, e che un terzo spende meno
di mezzo euro al giorno; il 60% della spesa e' per il cibo.

Alcune informazioni sullla situazione in Kosovo.

Ad agosto 4 bambini serbi sono stati uccisi mentre facevano il bagno
nel fiume nel paese di Gorazdevac.
E' stato dichiarato il lutto nazionale per il 26 agosto scorso; la
K-FOR ha dichiarato la sua incapacita' a garantire l'incolumita' di chi
partecipava ai funerali, compresi esponenti del governo centrale.

Le scuole sono iniziate il primo settembre, ma non in Kosovo per i
bambini serbi, in quanto la K-FOR ha dichiarato di non poterli
proteggere.

Una delle famiglie appena adottate e' originaria di Pec; piu' di 20 dei
loro parenti sono profughi in Serbia e Montenegro; anche se volessero
tornare non potrebbero in quanto le loro case sono state bruciate.

La Classe lavoratrice jugoslava è oggi in condizioni di oggettiva
debolezza e deve fare i conti con la necessità di una ricostruzione
post-bombardamenti che ha ormai da due anni assunto una chiara
direttrice iper-liberista.
Lo Stato, governato da una coalizione di centro destra e fortemente
allettato e subordinato alle promesse di aiuto occidentali, ha lasciato
al libero mercato ogni decisione. Così i prezzi aumentano, le scuole e
la sanità diventano prestazioni disponibili solo per i più ricchi, le
fabbriche, le zone industriali sono all'asta di profittatori
occidentali che comprano tutto a prezzi bassi e ponendo condizioni di
lavoro inaccettabili.

Le famiglie che aiutiamo materialmente esprimono la loro gratitudine
per questi aiuti che sono indispensabili, ma la loro fondamentale
preoccupazione e' di non rimanere soli, abbandonati ed invisibili al
resto del mondo.

Dobbiamo intensificare i nostri sforzi affinche' giunga a loro la
nostra solidarieta' e fratellanza materiale e politica.


---


Intervento, a nome del coordinamento RSU e gruppo ZASTAVA Trieste,
svolto da Gilberto Vlaic di ZASTAVATrieste all'assemblea dei lavoratori
della Zastava di Kragujevac il 7 settembre 2003 in occasione della
consegna delle adozioni a distanza raccolte a favore delle famiglie dei
lavoratori tutt'ora senza lavoro e senza salario a causa dei
bombardamenti NATO delle fabbriche della Jugoslavia nel 1999.


Carissimi bambine e bambini, carissimi lavoratori della Zastava,
permettetemi di cominciare questa assemblea con tre parole nella vostra
lingua:
SVE VAS VOLIM

Eccoci di nuovo insieme, in questa bella occasione in cui riaffermiamo
i legami di affetto e solidarieta' tra lavoratori italiani e i loro
fratelli jugoslavi e i loro figli.
Queste non sono semplici occasioni in cui si manifesta una generica
solidarieta' con chi sta peggio di noi, ma sono esempi dell'interesse
comune che ci lega in quanto facciamo parte della stessa classe sociale.
I nostri interessi e i nostri obbiettivi come classe sono
inconciliabili con quelli di chi vuole dominare il mondo e appropriarsi
delle sue ricchezze e possibilita'.
Sono gli interessi di chi vuole vivere in pace, con un lavoro decoroso,
con scuola e sanita' pubbliche efficienti, con una giusta pensione per
gli anziani, senza barriere in un mondo libero, dove non esistano
popoli sfruttatori e popoli sfruttati, dove i giovani possano istruirsi
e lavorare nell propria terra, senza diventare servi a basso costo del
capitale.

Sulle macerie del Muro di Berlino si parlava di pace e di progresso. In
tutti questi anni abbiamo visto invece solamente un crescendo di guerre
e di miserie: dall'Iraq all'Afghanistan alla Palestina, per ritornare
di nuovo all'Iraq
PASSANDO SEMPRE PER LA JUGOSLAVIA

In Jugoslavia, al centro dell'Europa, l'aggressione e' stata
ininterrotta e la spoliazione procede oggi a gonfie vele, come il caso
della Zastava dimostra.

E ora contro quale altro popolo si rivolgera' l'imperialismo americano,
con i suoi alleati occidentali?
Contro il popolo iraniano, per poter finalmente avere il dominio
geopolitico di quell'area del mondo, stategica per le risorse naturali
che contiene?
Oppure contro Cuba, colpevole di avere un sistema politico non
allineato economicamente, politicamente e culturalmente al liberismo
del Fondo Monetario Internazionale?

Di volta in volta l'aggressione viene presentata come "ingerenza
umanitaria" o "guerra preventiva al terrorismo" ma noi sappiamo bene
che sono sempre state e saranno sempre aggressioni per la sottomissione
di popoli non allineati o per la conquista di nuove fonti di materie
prime e di energia o per il controllo di territori strategici.
Basta riflettere sul fatto che, dopo l'aggressione al vostro Paese, gli
Stati Uniti hanno costruito in Kosmet la piu' grande base militare che
abbiano in Europa, Camp Bondsteel.

E inoltre sono forse state trovate le fosse comuni che sono state usate
per giustificare l'aggressione alla Jugoslavia?
Sono state trovate le armi di distruzione di massa inventate per
aggredire l'Iraq?

E tutto questo viene pagato da popoli innocenti con devastazioni e
lutti.

Il nosto NO alle guerre di aggressione imperialiste deve essere senza
condizioni, non solo perche' portano lutti, devastazione, fame, ma
perche' i loro scopi sono assolutamente opposti ai nostri interessi
come classe sociale.
E l'arma piu' forte che abbiamo per opporci e' la solidarieta'
internazionalista dei lavoratori. Il nostro mondo non e' quello dei
ricchi e dei governi, il mondo che vogliamo noi e' quello basato sul
lavoro e sull'amicizia tra i popoli.

Poche parole sulla situazione del mio Paese.
Il lavoro salariato e' al centro dell'attacco del governo di destra che
abbiamo; la nuova legge sul lavoro in discussione al parlamento rende
il lavoro sempre piu' frammentario e precario, in prospettiva distrugge
lo stesso contratto collettivo nazionale.
Ora poi vi e' un feroce attacco alle pensioni, con il tentativo di
diminuirne il valore e di costringere i lavoratori a lavorare alcuni
anni di piu' prima di potervi accedere.
La Scuola pubblica e' sottoposta a continui tagli nei suoi
finanziamenti.
Violando persino la Costituzione il governo alcuni giorni fa ha
concesso alle famiglie che mandano i loro figli alle scuole private un
regalo in denaro. E da noi le scuole private sono quasi tutte di tipo
religioso.

Ma torniamo alla nostra assemlea.
Portiamo con noi 85 adozioni, facenti capo alle RSU e al gruppo Zastava
di Trieste; 9 di queste sono nuove, a riprova del fatto che molti
lavoratori italiani non hanno dimenticato che cosa e' successo nel 1999.
Inoltre abbiamo ricevuto una generosa sottoscrizione dalle Associazioni
culturali slovene di Trieste, che ci hanno chiesto di acquistare
materiale scolastico da distribuire agli studenti.
Queste adozioni nuove e questa donazione sono anche il frutto della
rapida visita che alcuni mesi fa i vostri rappresentanti hanno fatto in
Italia e del progetto "Non bombe ma solo Caramelle" che ha visto la sua
prima edizione a Roma il 16 giugno scorso.
Circa 250 bambini di varie scuole elementari e medie italiane si sono
esibiti sul palco del teatro Ambra-Jovinelli di fronte a piu' di mille
persone e per un pomeriggio intero hanno cantato canzoni composte da
loro per esprimere con la loro sensibilita' di bambini il loro NO alla
guerra.
Mi sono tornati in mente tutti i disegni e le lettere che i bambini
jugoslavi scrivevano ai loro amici italiani nella primavera del 1999.

E voi bambini di Kragujevac eravate presenti, perche' e' stata letta
dal palco una delle vostre poesie e perche' un televisore all'ingresso
della sala trasmetteva il vostro saluto ai bambini italiani.
E' stato un ponte di amicizia e solidarieta' bellissimo.

Un abbraccio a tutti voi.

Kragujevac, 7 settembre 2003

PARLA L'EDITORE PIU' LIBERALE DELLA STORIA:
A GENOVA MENTRE MASSACRAVAMO I MANIFESTANTI HO CHIESTO A SCHROEDER
DELLE SUE ESPERIENZE CON LE DONNE

Testo integrale dell'intervista di Berlusconi apparsa il 4 settembre
2003 sul periodico LA VOCE DI RIMINI e sul settimanale inglese THE
SPECTATOR.


Intervista esclusiva al presidente del Consiglio nella sua villa di
Porto Rotondo in Sardegna

"Esportiamo la democrazia con la forza"


di Boris Johnson e Nicholas Farrell

Si è rappacificato con il cancelliere Schroeder, dopo che Lei ha
paragonato il parlamentare europeo Martin Schulz ad un kapò?

Non c¹è mai stata nessuna rottura. Con Schroeder ci fu solo una
telefonata. Ero io che ero offeso, il mio governo, il mio paese... ho
risposto con una battuta. Volevo essere spiritoso. Tutto il parlamento
ha riso. La mia risposta è stata presa ed usata contro di me. Ma sapete
una cosa? Era una risposta a cui era praticamente impossibile per me
resistere perché una
volta ho trasmesso 120 episodi di Hogan¹s Heroes in cui c¹era questo
Sergente Schulz. Vi ricordate? Era una battuta che mi è venuta
spontaneamente. Ed è uscita di getto. Cerco sempre di essere ironico
nei miei discorsi. Comunque, ho avuto una conversazione telefonica con
Schroeder in cui ho detto che la mia intenzione non era stata di
offendere e che ero dispiaciuto del fatto che la mia battuta avesse
offeso qualcuno.

Cosa lo ha provocato?

In quella seduta del Parlamento i discorsi erano stati preparati
precedentemente sotto la regia degli europarlamentari della Sinistra
italiana. Così ne era uscita la seguente immagine dell'Italia: uno, che
in Italia c¹è un signore che controlla l¹85 per cento della stampa
italiana - è vero il contrario - io sono l¹editore più liberale della
storia; due, che questa persona controlla anche tutta la televisione
italiana- quando ho un
amico che è Emilio Fede che ha il 7 per cento di share; tre, che metto
sotto i piedi i giudici italiani e quindi che, se l'Italia si
candidasse oggi per far parte dell'Unione Europea, sarebbe respinta.
Questo era l¹argomento dei discorsi della Sinistra quel giorno.
La realtà italiana è che è una democrazia assoluta con delle anomalie.
Una è che abbiamo un'opposizione che non è del tutto democratica perché
è fatta di persone che furono comunisti e protagonisti del partito
comunista italiano
che era stalinista in origine. Un'altra anomalia che all'estero non è
conosciuta è che abbiamo una magistratura estremamente politicizzata. E
la terza anomalia è che c'è una enorme disinformazione da parte della
stampa. Basta leggere "La Repubblica", basta leggere "L¹Unità" - sono
quotidiani
completamente al servizio della Sinistra. Se leggete "L'Unità"
penserete di star vivendo sotto una tirannia. Qual è la prova che noi
abbiamo una magistratura politicizzata? La dichiarazione stessa dei
giudici. In una delle loro organizzazioni - Magistratura Democratica -
hanno dichiarato
pubblicamente che i loro membri devono usare il sistema legale per
rovesciare lo stato borghese.

Berlusconi sulla cospirazione della sinistra

La gente non considera la storia della politica italiana. Per mezzo
secolo l'Italia è stata governata da una coalizione di cinque partiti
che erano di origine democratica e pro-occidente, i
cristiano-democratici, i socialisti, i repubblicani, i
social-democratici e i liberali. Il sistema italiano ha prodotto 57
governi in poco meno di 50 anni. Io sono a capo del
cinquantasettesimo governo e per la prima volta in cinquanta anni ho la
grande maggioranza in entrambe le Camere del Parlamento. Successe che
nel 1992, dopo la caduta del Muro di Berlino, il partito comunista, la
Sinistra, era stato sconfitto dalla storia, non fu processato per la
complicità morale con i crimini del regime comunista - che loro avevano
sempre appoggiato, dalla Cambogia a Fidel Castro a Milosevic - e
venivano appoggiati perché la Sinistra ha sempre avuto un'attrazione
fatale per la dittatura, sapete, e non furono portati in tribunale
perché la Sinistra fece infiltrare i suoi uomini in tutti i punti
nodali dello stato, cioè le scuole, i giornali, le stazioni TV, la
magistratura, nel sistema nervoso centrale dello stato.
Invece di essere processati, usarono le loro infiltrazioni non per
essere processati, ma per portare in tribunale tutti gli altri partiti,
a cui la storia aveva dato ragione.

Perché è entrato in politica

Sono entrato in politica con grande dispiacere, ma nel 1994 ho pensato
che l¹estrema Sinistra sarebbe stata un disastro per l'Italia. I
partiti della Sinistra controllavano il 34 per cento dei voti, ma
avevano più dell'80 per cento delle poltrone in Parlamento perché gli
altri partiti, quei cinque partiti che avevano governato l¹Italia per
50 anni, erano distrutti. Ero
l'uomo più popolare in Italia perché ho creato la TV commerciale dal
niente ed ero un importante uomo d'affari, perché ero un uomo di sport
con molte vittorie. Avevo cinque squadre e non solo di calcio, ma di
hockey, pallavolo, rugby ed erano vittoriose in tutti i campionati
italiani e mondiali. Ho costruito piccoli paesi ed ero il proprietario
della seconda più grande catena di supermercati - tutti gli italiani lo
sapevano. Ero alla guida di un movimento popolare, e la gente lo
diceva, tu sei la nostra sola speranza di non avere un governo di
Sinistra.

Perché tutti i commentatori lo attaccano?

Credo ci sia un elemento di gelosia in ognuna di queste persone perché
non riesco a trovare un'altra spiegazione. Tutti questi giornalisti -
Biagi, Montanelli - erano più anziani di me e credevano di essere loro
quelli importanti nel nostro rapporto. Poi il rapporto si è capovolto e
io sono diventato ciò che loro stessi volevano essere. Dunque, dato che
loro non mi sono politicamente affini, si è sviluppato un sentimento
irrazionale tra giornalisti italiani molto famosi.

Berlusconi dice di ammirare la signora Thatcher, ma sta veramente
conducendo una rivoluzione thatcheriana in Italia?

Sono un grande ammiratore della Signora Thatcher, ma ho letto nella sua
biografia che nei suoi primi quattro anni lei ha compiuto molto poco.
Ho grandi difficoltà con il sistema bicamerale italiano, e devo
discutere qualsiasi cosa con i miei compagni di coalizione. Il Primo
Ministro italiano non ha il potere di Tony Blair. Io ho solo il potere
di persuasione morale.
Non posso licenziare un ministro o un sotto-segretario, ed è quasi un
miracolo che sia stato capace di fare ciò che ho fatto. Ho ereditato
uno stato non solo con il debito pubblico più alto in Europa, al 105
per cento del nostro Pil, e il 6 per cento di quel Pil va nel ripianare
il nostro debito, e questo ha un fortissimo impatto sul nostro margine
di manovra. Ma ho anche ereditato un paese che è vecchio nelle sue
strutture e nelle sue istituzioni. L'Italia ha una classe
imprenditoriale Molto valida, grazie a Dio, e sono i 5 milioni di
imprenditori la vera ricchezza d¹Italia. Ma lo stato è vecchio,
obsoleto, con una pubblica amministrazione che è pletorica,
inefficiente e molto costosa.
Abbiamo abolito la tassa di successione, quella sulle donazioni,
abbiamo introdotto break di tasse per le imprese. Abbiamo aumentato la
deduzione dalle tasse per ogni figlio da 1m lire a 1.5m lire. In 5 anni
intendo mantenere la mia promessa e portare l'incidenza delle tassa sul
reddito
personale dal 47 per cento al 33 per cento. Allo stesso tempo voglio
creare delle grandi zone tax-free per i meno abbienti. Quando abbiamo
guardato i libri, abbiamo trovato un debito extra di 13 miliardi di
euro, ma dopo due anni siamo avanti sulla tabella di marcia. Ho
garantito le condizioni in cui ci saranno un milione di nuovi posti di
lavoro. Stiamo provando a
togliere persone dal mercato nero e regolarizzare il loro impiego. Poi
il tasso di crimini denunciati è del 12 per cento più basso, perché
stiamo trasformando la filosofia di giustizia e ordine da una filosofia
puramente repressiva ad una di tipo preventivo. Abbiamo introdotto una
figura simile a quella del vostro "bobby" in tutte le maggiori città
italiane: nelle strade,
nelle piazze, nei pressi delle scuole, negli stadi. Ora circolano in
coppia e in futuro forse potranno farlo da soli. Inoltre ho presentato
un vasto programma di opere pubbliche, del valore di 125 miliardi di
euro, comprendendo 125 opere di maggior importanza delle quali 6 sono
epocali, come il ponte a Messina e la barriera a Venezia. Sono già
riuscito a digitalizzare la nostra pubblica amministrazione e a rendere
il nostro mercato del lavoro il più flessibile in Europa. Ebbene sì, è
più flessibile
di quello inglese, ora.

La sua fiducia nella mediazione per la Convenzione europea.

Credo che il solo modo sia di approvare che ciò è emerso dalla
convenzione di Giscard esattamente come è, forse con una o due
modifiche, ma questo è tutto. L¹Italia è naturalmente favorevole
all¹introduzione di un riferimento alla cultura cristiana dell¹Europa,
o cultura giudaico-cristiana, ma ci sono
solo 4 paesi che appoggiano questa causa, Italia, Spagna, Olanda e
Polonia. Noi lo vogliamo ma francamente non credo che sarà possibile.
Sarebbe una buona cosa se avessimo una comune politica straniera, se
l¹Europa avesse una singola voce, ma so che al momento non è possibile.

Perché ha appoggiato la guerra in Iraq?

Abbiamo avuto molti dubbi sulla necessità di questa guerra, e abbiamo
cercato di evitarla, ma quando abbiamo visto che gli Stati Uniti e
l'Inghilterra, nostri tradizionali alleati, avevano deciso di fare la
guerra, noi siamo stati solidali nei loro confronti. Facciamo l'esempio
di un nostro fratello che si lancia in un affare dopo che per tre mesi
gli abbiamo chiesto di desistere - beh, è mio fratello, e lo appoggio,
anche se non al punto di pagare le sue perdite! E io ho fatto lo stesso
con gli Stati Uniti. Siamo vivi oggi grazie agli Stati Uniti. Furono
loro a liberarci dal nazismo e dal comunismo e ad appoggiare la nostra
crescita economica. Abbiamo vissuto per 50 anni sotto la loro ala
protettiva perché spesero il 4 per cento del loro Pil per proteggerci
contro l¹Unione Sovietica, e noi abbiamo speso solo l'1.5 per cento del
nostro Pil. Dunque abbiamo un senso di gratitudine che è assoluto,
assoluto. È stato difficile appoggiare la guerra perché avevo l'intera
Sinistra contro di me, ma ho tenuto la linea. Ho detto immediatamente
al presidente Bush che mi era costituzionalmente vietato mandare truppe
senza una seconda risoluzione dell'Onu, ma abbiamo mandato 3000 soldati
ora per aiutare la democrazia e mantenere la pace.

Cosa è successo alle armi di distruzione di massa?

Sono abituato a mettermi nei panni degli altri, e ho pensato che se
fossi stato in Saddam, mi sarei detto, "Faremo sparire tutte le armi di
distruzione di massa, perché così bloccheremo la risoluzione dell'Onu,
e non ci sarà un attacco dall¹America." Così Saddam ha eliminato le
armi di distruzione di massa perché qualcuno gli ha riferito, qualcuno
molto importante, che non ci sarebbe stato un attacco senza una
risoluzione dell'Onu. Dunque credo che le abbia distrutte o mandate
all¹estero.

L'opinione pubblica occidentale è stata ingannata su questa questione?

Questo non lo posso dire, non so come tutto questo sia successo. Provo
una grande stima per Tony Blair, e c'è una grande sincerità nei nostri
rapporti personali. Credo a Blair e Bush perché guardo nei loro occhi e
credo a loro. Non ho parlato direttamente a Bush o a Blair riguardo
l¹imminenza delle minacce dall'Iraq.

Berlusconi sul Medio Oriente...

Vorrei allargare i miei commenti e dire che, al di là dell'opportunità
di questa guerra, noi abbiamo certamente un grande problema nelle
relazioni tra l'Occidente e il mondo islamico. È un fatto che nel Medio
Oriente non c¹è democrazia e giudico questo intervento in Iraq positivo
perché ha messo fine ad una dittatura, e può essere paradigmatico per
l¹intera regione. Capisco la difficoltà di insegnare la democrazia a
gente che ha conosciuto solo la dittatura.

... e come rapportarsi col mondo.

Ci stiamo ora confrontando con una nuova situazione mondiale. Siamo
passati dallo scontro di due blocchi perché la federazione russa ha
deciso sotto la guida del signor Putin, di essere parte dell¹Europa e
dell¹Occidente. Questo è un evento molto importante. Ho avuto
l¹occasione di essere presidente dei G8 a Genova nel 2001, ed ero
l'ospite della cena, provando a portare ognuno dentro la conversazione,
e stavo facendo battute come al solito. Ho chiesto a Schroeder delle
sue esperienze con le donne, dato che è stato sposato quattro volte, e
l'ho fatto ridere. E dopo poco ho deciso di spostare la mia sedia dal
tavolo e lasciarli parlare, ed ho visto Blair scherzare con Chirac, e
Putin scherzare con Bush, e io stavo scherzando con tutti, ed
improvvisamente ho pensato, guarda, eccomi qui, un uomo che ha vissuto
sulla sua pelle la Seconda Guerra Mondiale, essendo nato nel 1936. Ho
visto mio padre vestito da soldato, e ho pensato, che mondo
meraviglioso.

Potrebbe essere così bello

Che mondo diverso lasceremo ai nostri figli. All'inizio del nostro
secolo, del nostro millennio! Che meraviglia! Mi è sembrato quasi
incredibile, perché quando ero un bambino, conoscevo il comunismo. Ero
a scuola dai Salesiani vicino a Milano, e alcuni preti che erano
fuggiti superando la cortina di ferro vennero a trovarci, e ci dissero
del terrore. Sapevo che
all'età di 12 anni che il comunismo era l¹oppressione più inumana e
criminale nella storia dell¹uomo. Il comunismo non è morto oggi, a
proposito: ci sono ancora più di un miliardo di persone nel mondo che
vivono sotto il comunismo, e dove l'opposizione è in prigione o in
esilio. Ma qui veniamo al punto, che ritengo straordinario, una
bellissima scena attorno ad un tavolo a Genova. Ero felice e ho pensato
che avremmo lasciato ai nostri figli una prospettiva di un mondo
pacifico- poi venne l'11 settembre e l'attuale situazione di terrorismo
e fondamentalismo.

Imporre Libertà e Democrazia

Così da quel giorno abbiamo discusso questa questione, e all'ultimo G8
abbiamo discusso il Nuovo Ordine del Mondo, che comprende un occidente
che è straordinariamente forte paragonato al resto del mondo; e abbiamo
promesso varie volte di dare ai poveri del mondo cibo, acqua,
educazione, sanità. Ma l'ho detto al summit di Evian, e l¹ho detto
quando ero al ranch con Bush per due giorni, non esiste un bene che
viene prima di questi beni materiali? E non è chiamata Libertà questo
bene? La libertà crea questi beni materiali, e senza di questa non
potrebbero esistere. Se c'è una dittatura, se c'è una tirannia, se non
c'è libertà, allora tutto questo denaro va nelle mani di despoti che lo
mettono nei loro conti nelle banche svizzere. Si armano e fanno guerra.

Una comunità di democrazie

Così ho detto, dato l'enorme e paradossale successo del
fondamentalismo, perché non parliamo più apertamente della comunità di
democrazie? Sì, perché non riformiamo l¹ONU? Diciamo che il signor X o
Y in questa o quella dittatura, tu devi riconoscere i diritti umani nel
tuo paese, e noi ti diamo 6 o 12 mesi o giù di lì, altrimenti
interveniamo. E possiamo farlo perché non c'è una forza contrastante.
Nei vecchi tempi l'America o la Russia non chiedevano ad un terzo stato
se i loro cittadini avessero diritti umani, o se l¹opposizione avesse
una voce. Loro chiedevano se stavano con loro o con gli altri. Se lui è
con noi, è abbastanza, e non importa se è un dittatore.
Se necessario con la forza. Ma ora, in questo nuovo ambiente, dobbiamo
considerare cosa sta creando la dittatura, e dobbiamo capire perché Bin
Laden esiste, e perché il
fondamentalismo genera terrorismo. Vi dico la verità, se vivessi in un
paese dove non ci fossero le elezioni, diventerei un rivoluzionario, se
non un terrorista. E questo è perché io amo troppo la libertà, e senza
libertà un uomo non è un uomo. Non ha dignità. E così oggi siamo
capaci, con Russia e America insieme, di guardare a tutti gli stati del
mondo, e valutare la
dignità di tutta la gente del mondo, e possiamo dar loro dignità e
libertà. Sì! Con la forza se necessario! Perché è l'unico modo di
mostrare che non è uno scherzo. Abbiamo detto a Saddam, fallo, o noi
arriviamo, e siamo arrivati e l'abbiamo fatto. Non posso dire da quale
paese mi è arrivata una telefonata nei giorni scorsi, ma mi ha chiamato
un importante leader e mi ha
detto: "Farò qualsiasi cosa gli americani vogliano, perché ho visto
cosa è successo in Iraq, e ho avuto paura."
(Il portavoce di Berlusconi ha indicato che il leader in questione era
il Colonello Gheddafi).

Il libro di Bush sugli stati canaglia

Ad Evian ho partecipato al mattino ad un meeting con il presidente
Bush, l'FBI e la CIA. E loro avevano un libro, con tutti i paesi del
mondo dove non c'è pace. Abbiamo cominciato con la Liberia, e poi Bush
ha detto "E l'Afghanistan?" e Chirac "E la Corea?", e siamo arrivati al
Kosovo, dove noi italiani abbiamo 3600 soldati, Bush mi ha detto
grazie. E io ho detto "No, sono io che ti ringrazio, perché il Kosovo è
vicino a me" Dunque abbiamo una compito morale di essere responsabili
per il Nuovo Ordine del Mondo, e dobbiamo capire che l¹America ha
400,000 soldati oltreoceano. E come è possibile questo? Grazie ai soldi
di quelli che pagano le tasse in America. Dobbiamo apprezzare tutto
questo, e dobbiamo muoverci anche noi.

L'europa non dovrebbe dividere il fardello?

Certamente, certamente, l'Europa dovrebbe spendere di più per dare alle
forze militari, o non sarà mai eguale agli Stati Uniti, e la distanza
tra noi sarebbe insanabile. Abbiamo molte difficoltà di budget in
Italia, e io ho ereditato una cattiva situazione ma sono convinto che
con il tempo l'Italia dovrebbe gradualmente spendere più soldi nella
difesa. Ma sono anche convinto che ci dovrebbe essere una spesa
intelligente, così che ogni paese europeo si specializzi in determinati
corpi.

Perché l'Economist crede che Lei non sia adatto a governare l'Italia?

L¹Economist ha fatto un grande e fondamentale errore confondendo le
guardie con i ladri. Ha preso i protettori della democrazia e della
libertà per i ladri, e ha preso i ladri per le guardie. Ha mescolato
tutto. Non ho mai guadagnato un soldo nella mia vita dalla politica. Ho
messo i miei soldi nella politica, sì, per finanziare Forza Italia. Non
oso telefonare al mio gruppo perché un solo operatore telefonico
potrebbe dire "Berlusconi sta chiamando". E per il conflitto di
interessi, è tutto il contrario, perché ho dovuto vendere tutto il mio
sistema di grandi negozi perché i comunisti non volevano comprare da me
e avevano una strategia BB - boicotta Berlusconi. Le autorità di
Sinistra non mi davano nessun nuovo permesso per costruire negozi, e
non ho chiesto alla Destra perché si sarebbe potuto pensare che io
avessi un interesse, quindi i miei figli hanno deciso di vendere.

E' giusto approvare leggi che la salvano dai processi?

Dovete capire che ho avuto più di 500 visite dalla Guardia di Finanza
al mio gruppo, che ho avuto più di 90 indagini. Dovete chiedere, qual è
il rimedio se un'intera procura, a Milano e a Palermo, non fa altro che
inventare teoremi su di me? Qual è il rimedio se loro continuano a
chiedermi di andare in tribunale, o continuano a farmi avere incontri
con i miei avvocati? Sto
governando o sto rispondendo continuamente a tutte queste accuse? Non è
possibile. Soltanto l'8 per cento degli italiani ha fiducia in questa
magistratura. Questo è perché hanno capito ciò che l'Economist non ha
ancora capito. Soltanto l'8 per cento. Dunque questo è sembrato il solo
possibile rimedio... non casi chiusi ma sospesi durante il periodo di
servizio allo
stato. Io ero contro. Non lo volevo... ma quando mi dicono - ho vinto
tutte le mie cause - eh - solo una rimasta - che i giudici di Milano
stanno facendo esattamente quello che hanno fatto nel 1994 - nel 1994
il mio governo cadde perché mi accusarono di corruzione, poi fui
prosciolto per sei anni. Ma fecero cadere il mio governo per quello.

Ma la sua azienda ha corrotto il giudice Squillante?

Per quanto riguarda il denaro, niente è stato provato, in relazione a
noi, in relazione alla mia azienda, cosa è stato dimostrato è solo il
pagamento delle parcelle agli avvocati che a Roma avevano in sistema di
conti bancari per e dalla Svizzera in cui tutti i giudici romani
avevano partecipato. Non
sto dicendo che questo fosse corretto, sto solamente dicendo che noi
non abbiamo nulla a che fare con questo, e in ogni caso, questo
Squillante non era coinvolto in un caso che coinvolgeva me. Perché il
mio gruppo dovrebbe pagare Squillante se non c'era una mia sola causa
che lui avesse per le mani. Tutte le mie cause erano a Milano, non a
Roma. Perché la mia azienda dovrebbe fare dei pagamenti a Squillante?
Squillante non era un giudice in nessuna delle nostre cause, quindi non
capisco come sia successo. Gli italiani credono in me e non credono ai
giudici.

Non credono all'Economist?

No! Loro sanno tutto questo. Ho vinto le elezioni con questa causa già
avviata, con tutta la TV contro di me. Gli italiani hanno creduto a me
e non hanno creduto ai giudici.

Perché l'opinione pubblica non La capisce all'estero?

Credo che l'80 per cento dei giornalisti siano di Sinistra, e abbiano
rapporti molto stretti con l'informazione estera, e hanno tutti un club
a Roma. Non concedo conferenze stampa all'informazione estera perché
loro la usano solo come opportunità per attaccarmi. Non prendono in
considerazione
cosa faccio o dico. Scrivono ciò che c'è già nella loro testa. Non
capiscono la nostra magistratuara. Guarda cosa è successo ad Andreotti,
che era stato condannato a 20 anni.
Andreotti, sette volte primo ministro, non era un mafioso?
Ma no, ma no. Andreotti è troppo intelligente. È troppo intelligente.
Guardate, Andreotti non è mio amico. Lui è di Sinistra. Hanno creato
questa menzogna per dimostrare che la Democrazia Cristiana che è stata
per 50 anni il partito più importante nella nostra storia non era un
partito etico, ma
un partito vicino alla criminalità. Ma non è vero. È una follia! Questi
giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono
politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro,
devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche.
Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto
della razza umana.

Date: Thu, 04 Sep 2003 10:53:22 +0200
Subject: Faillite de l'ONU au Kosovo (le rapport du CICR)
From: Philippe SCHELLER


Le rapport du CICR et l’ONU


Le vendredi 29 août 2003, le CICR avait invité les médias à un point de
presse, destiné à présenter un rapport complet et précis sur la
situation des personnes déplacées du Kosovo*. Quelques Serbes, victimes
de la guerre, accompagnés de sympathisants ont souhaité profiter de cet
événement pour exprimer à la presse et aux médias leur indignation
vis-à-vis du silence observé depuis plus de 4 ans sur cette question. En
Serbie et au Monténégro, survivent, actuellement encore, 230 000
personnes chassées du Kosovo après l'entrée des forces de l'OTAN.
Depuis juillet 1999, moins de 2% sont retournées dans leur foyer. En
quatre ans, le Kosovo a connu
6 013 attaques contre des Serbes provoquant la mort de 1 021 d'entre
eux.

Message précédent: http://www.gael.ch/collectif/damnes/20030829.html

Le rapport du CICR présente des chiffres accablants pour la MINUK, la
mission intérimaire de l’ONU, responsable juridiquement du Kosovo
depuis plus de 4 ans. Or, c’est précisément le jour de ce point de
presse du CICR, qu’une cérémonie a été improvisée par l’ONU,
rassemblant tous les
médias au Palais des Nations pour un hommage majestueux aux 23 victimes
de l’attentat de Bagdad : éclipsés les 1 021 morts du Kosovo ! Et qui
trouve-t-on parmi les orateurs de la cérémonie du Palais de Nations :
Bernard Kouchner, le premier administrateur du Kosovo occupé par l’OTAN!
Joli coup : pas un seul représentant des médias n’était présent au
point de presse du CICR. On utilise des morts pour en cacher d’autres,
un concept qui vaut bien celui des “bombardements humanitaires”.


Silence des médias


Comment expliquer ce silence des médias, depuis plus de quatre ans, sur
la question du Kosovo ? La réponse est simple: le constat des faits
objectifs constitue la démonstration flagrante que les buts réels,
cachés derrière l’intervention militaire de l’OTAN en 1999, n’étaient,
bien évidemment, pas « humanitaires », comme on a voulu le faire
croire. Il s’agissait, bien au contraire, d’une guerre impérialiste de
plus, sur un modèle qui a déjà fait ses preuves et qui continue à faire
des
victimes en Afghanistan et en Irak.


Objectifs cachés et erreurs d’analyse


Il y a pourtant une différence, et même une différence de taille : la
guerre du Kosovo a été rendue possible grâce à la complicité des
gouvernements sociaux-démocrates européens et accessoirement grâce à
l’approbation, tacite au moins, d’une large frange de la gauche (?)
réformiste. Ce désastre politique trouve son explication dans les
erreurs d’analyse aux conséquences dramatiques, qui ont accompagné
toute la période couvrant le démantèlement de la Yougoslavie, de 1991 à
1999.

La focalisation de l’analyse sur les caractéristiques
intercommunautaires du conflit a occulté les enjeux réels visant le
partage du territoire yougoslave. Cette dérive analytique a porté
l’ensemble des mobilisations anti-guerre vers un soutien désordonné à
l’une ou l’autre des communautés qui s’affrontaient sur le terrain,
sans dénoncer les objectifs de partage de territoire et les ingérences.
On a
même entendu des théories sur le soutien à apporter aux pacifistes des
«deux camps» à propos du Kosovo, ce qui revenait à dire que le conflit
avait pour « origine » les désaccords entre Serbe et Albanais,
justifiant, de ce fait, une intervention pour « aider ces communautés à
se mettre d’accord » ...

Malheureusement, les buts étaient tout autres et l’agression militaire
révèle, après 4 ans son vrai visage et des objectifs bien plus
sordides: la base militaire US de Camp Bondsteel est bel et bien
installée au Kosovo et l’entreprise de privatisations générale et
massive des territoires disloqués de l’ex-Yougoslavie est lancée à
pleine vitesse sous la pression conjointe du FMI, de l’OMC et de
l’Union Européenne !


Responsabilités


L’autre différence de taille, réside dans la résolution 1244 du Conseil
de sécurité de l’ONU, qui avait mis fin, rappelons-le, aux
bombardements de 1999, et qui place depuis plus de quatre ans, le
territoire du Kosovo sous responsabilité internationale. Nous sommes,
de ce fait, directement impliqués et le silence des médias et des
autorités devient coupable :
nous avons donc le devoir de parler du Kosovo, des personnes qui en ont
été chassés et des responsabilités engagées!


Philippe Scheller

Comité pour la paix en Yougoslavie

http://www.gael.ch/collectif/

pschelle@...