Informazione

Argentina/Croazia

1. Prosciolti i trafficanti di armi amici degli ustascia
2. FLASHBACK: Argentina: vecchi camerati arruolano mercenari per la
Croazia


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http://www.ansa.it/balcani/croazia/20030828161132671010.html

ARGENTINA: ARMI A CROAZIA, PROSCIOLTI MENEM E CAVALLO

(ANSA) - BUENOS AIRES, 28 AGO - L'ex presidente argentino Carlos
Menem e l'ex ministro dell'economia Domingo Cavallo sono stati
prosciolti dall'accusa di contrabbando nell'ambito di una vendita
illegale di armi a Ecuador e Croazia. La notizia, pubblicata oggi
in esclusiva dal quotidiano 'La nacion', e' stata confermata da fonti
vicine al giudice istruttore per i reati economici, Julio Speroni,
che hanno precisato tuttavia che il magistrato mantiene sotto
processo l'ex ministro della difesa Oscar Camilion e lo stesso Menem
per presunto arricchimento illecito. La vendita di armi a Ecuador
e Crozia fu effettuata fra il 1991 e il 1995 grazie a tre decreti
presidenziali segreti firmati da Menem e dai suoi ministri, in cui si
stipulava fra l'altro che il destino del materiale era Panama e
Croazia. Nel 2001, per questa vicenda l'ex capo dello stato fu
posto agli arresti domiciliari, cosi' come finirono in carcere il suo
ex cognato Emir Yoma, l'ex ministro della difesa Antonio Erman
Gonzalez e l'ex comandante dell'esercito Martin Balza. Ma una
sentenza della Corte suprema di giustizia del 20 novembre rigetto' le
imputazioni di associazione per delinquere, di cui Menem era ritenuto
il capo, e di falsita' ideologica. Ora contro Menem resta solo una
inchiesta riguardante un conto che lui ed i suoi collaboratori
avrebbero in Svizzera.(ANSA). SAL
28/08/2003 16:11

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Argentina: vecchi camerati arruolano mercenari per la Croazia

di Gary Weber
(tratto da "WoZ-die Wochenzeitung", n.29 del 23/7/1993, Zurigo, CH)

Nessun cartello e nessuna bandiera danno ad intendere che in un
grattacielo della via Còrdoba, al n. 679, nel centro di Buenos Aires,
si svolge un pezzetto di guerra dei Balcani. Al secondo piano, nascosto
al termine di un lungo corridoio, un foglietto scritto a mano sta
appeso dietro al campanello: dice semplicemente "Croacia". Solo un paio
di giorni fa, secondo una vicina, campeggiava sulla porta un
rappresentativo cartello con la dicitura: "Ambasciata Croata". Poi però
ci sono state questioni, e lo hanno rimosso. Infatti nel Corpo
Diplomatico dell'Argentina non esiste alcuna Ambasciata croata, nè
alcun Ambasciatore croato [l'articolo risale al 1993, n.d.crj].
O almeno non ancora. Il Presidente Menem spinge per il riconoscimento
del nuovo Stato e vuole che sia nominato Ambasciatore il suo vecchio
compare Ivo Rojnica. Egli ha con lui un debito di gratitudine, visto
che il croato avrebbe sostenuto con forza il peronista nella battaglia
elettorale. Rojnica entra ed esce dalla residenza presidenziale, sempre
più preso negli ultimi giorni dalle preoccupazioni. La stampa gli dà la
caccia e cerca, invano finora, di cavargli un commento sulle ultime
rivelazioni. La comunità ebraica di Buenos Aires accusa Rojnica di
essere stato "complice attivo ed esecutore della volontà dei nazisti" -
secondo il "Semanario Israelita", che esce nella capitale. Il
settimanale ebraico cita una disposizione degli Ustascia, emanata nella
città di Dubrovnik il 25 maggio 1941, che impone il coprifuoco tra le
19 e le sette del mattino per gli ebrei e per i serbi. Questa
disposizione porta la firma di Rojnica. Fintanto che le acque non si
sono placate, il Senato, dal quale dipende la nomina dell'Ambasciatore,
non vuole prendere alcuna decisione.

Gli Ustascia governarono la Croazia insieme all'Italia e alla Germania
dal 1941 al '45. Per quanto di loro competenza essi presero parte alla
persecuzione dei partigiani, dei serbi e degli ebrei. Ante Pavelic,
fondatore degli Ustascia (1) e capo del governo della Croazia nazista,
dopo la capitolazione della Germania di Hitler scappò nell'Argentina di
Juan Peròn, travestito da frate francescano, con l'aiuto del Vaticano.
Anche Rojnica nell'Europa del dopoguerra temette la giustizia alleata.
In principio si rifugiò a Trieste. Ma lì fu arrestato, dopo che una
delle sue vittime, una ebrea, lo ebbe riconosciuto. I suoi commilitoni
ustascia lo fecero scappare dal carcere e lo condussero lungo le
cosiddette "linee dei topi" fino alla sicura Argentina. Di lì Pavelic e
Rojnica proseguirono le loro attività ustascia, tra l'altro pubblicando
a Buenos Aires la "Gazzetta Croata".
Dopo la caduta di Peròn, negli anni cinquanta, Pavelic ebbe delle
difficoltà. La Jugoslavia lo aveva accusato di essere responsabile
della creazione di 22 campi di concentramento e dell'assassinio di un
milione di serbi e 60mila ebrei, e ne aveva chiesto la estradizione al
governo argentino. In effetti la estradizione fu negata nel 1957. Dopo
essere scampato ad un attentato, il "Duce", come si definiva lui
stesso, riuscì a portarsi nella Spagna di Franco, dove morì nel 1959.
Rojnica rimase a Rio de la Plata, e divenne una delle maggiori figure
dell'imprenditoria tessile del paese. Secondo il quotidiano "Pàgina
12", egli avrebbe fornito dieci milioni di dollari ai suoi fratelli
croati per l'acquisto di armi. Però dall'Argentina i vecchi camerati
non inviano soltanto denaro. Nell'ufficio della via Còrdoba si è
indaffarati anche a reclutare mercenari, compito questo del quale si
occupa in special modo Domagoj Antonio Petric, che ufficialmente appare
come l'addetto-stampa della ipotetica Ambasciata. La "mano destra" di
Rojnica appartenne per dieci anni al Battaglione n.601 del servizio
segreto militare, ai tempi della dittatura argentina dei Generali,
tristemente noto per la pratica della tortura. Tra i suoi ex-colleghi,
Petric è soggetto ad una particolare attenzione, poichè la maggior
parte di loro non ha mai appreso un vero mestiere, a parte la "guerra
sporca", ed è pertanto oggi disoccupata. Particolarmente entusiasti per
il nuovo compito nella ex-Jugoslavia sono i cosiddetti "carapintadas",
l'ala fascista interna all'esercito, cui sono dovute svariate rivolte
contro il governo. I legionari vengono preparati al loro intervento in
Bosnia-Erzegovina in un campo di addestramento segreto, a Villa Alpina,
distante circa 700 km. da Buenos Aires.

Finora sono stati inviati in Croazia 329 mercenari argentini. Secondo
fonti argentine, 34 di loro sono già morti. Generalmente i combattenti
vengono imbarcati su voli di linea diretti a Roma o a Budapest, di qui
essi sono condotti a Zagabria in pullman. Il metodo di inviare Caschi
Blu argentini nelle zone di guerra si è rivelato particolarmente
economico. Tanti soldati, sottoposti dal governo Menem al comando
dell'ONU, svolgono nel frattempo il loro servizio nelle file della
legione straniera croata.


(1) Il fondatore del movimento Ustascia fu in realtà Ante Starcevic,
morto nel 1896, che riteneva i serbi "carne da macello" (cfr. Karlheinz
Deschner, "Die Politik der Päpste im XX Jahrhundert", ed. Rowohlt, Leck
(RFT) 1991 [n.d.crj]

(Tratto da:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1038 )

Due testi di Fulvio Grimaldi

1. Pace e Guerra
2. Resistenza fino alla vittoria

(dalla lista: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.)


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Tratto da una conferenza dell'ALTRAFESTA
venerdì 18 Luglio 2003

FULVIO GRIMALDI
"Pace e Guerra"

Trascrizione a cura di Maurizio Tagliatesta


Io avevo pensato di parlare, almeno in parte, della mia esperienza di
guerra in Iraq, che ho vissuto e filmato. Mi preme illustrarvi le
verità contro l'incredibile montagna di menzogne, silenzi e cose
taciute che vi è stata invece somministrata da tutti i mezzi
d'informazione, a meno che non siate navigatori di internet e con la
possibilità di andare in alcuni siti (più che altro americani, inglesi,
tedeschi, francesi, ma pochi italiani), in cui vengono raccontate cose
diverse rispetto a quello che il sistema d'informazione mondiale vi
riferisce. Credo che la disinformazione sia il nodo, dal quale
discendono tutte le nostre debolezze, imprecisioni e incapacità di
reagire al rullo compressore dell'imperialismo americano, il cui
cammino è agevolato e lubrificato da un meccanismo collaudato di
mistificazioni e silenzi, spesso passivamente recepiti anche da chi
dovrebbe aver imparato a decodificare la comunicazione dell'oppressore.

Faccio un passo indietro. Quando sentiamo il nome dell'imperatore
Nerone, noi tutti abbiamo un'immagine molto precisa, a meno di non
essere degli studiosi o degli storici. L'immagine è quella di un
imperatore corrotto, autoritario, mezzo pazzo, incestuoso (con sua
madre Agrippina), matricida, per averla poi uccisa. Persecutore di
cristiani che egli fece morire nel fuoco o sulle croci e autore di
altre infinite nefandezze; mentre Roma bruciava, per sua opera, lui
stava con la lira a declamare i suoi deliri dai balconi dei palazzi
imperiali. Così è stato raffigurato nei film e anche nei libretti di
storia che ci hanno accompagnato a scuola.
E' una ricostruzione falsa, è una ricostruzione fatta dai vincitori. E
chi erano i vincitori alla resa dei conti? Erano i ricchi romani, era
l'aristocrazia, il Senato, più tardi la chiesa temporale, la chiesa che
si sostituiva al patriziato e all'imperatore nel dominio su Roma.
Nerone, secondo studi più attenti, seri e documentati nelle
biblioteche, era uno degli imperatori romani più saggi e democratici.
Era un governante che stava dalla parte del popolo, con ciò inviso al
Senato che invece era l'espressione politica dei patrizi, della classe
dirigente, dell'aristocrazia del sangue e del denaro.
Nerone era amante della pace, non coltivava le guerre ma l'arte, la
cultura, la riorganizzazione dello Stato in termini sociali, economici,
industriali. Ha riorganizzato Roma eliminando i quartieri fatiscenti,
infestati da epidemie e miseria, dove viveva la plebe più infima, un
sottoproletariato falcidiato da malattie e povertà. Una bonifica di
enorme portata, descritta poi come "l'incendio di Roma". Riorganizzò la
città secondo uno schema urbanistico che è rimasto la base della Roma
moderna, poi deturpato dalle amministrazioni successive al 1945 nella
maniera in cui sappiamo.
Per quanto riguarda la pace, a quell'epoca incombevano da Oriente i
Parti, e il Senato era ansioso di muovergli guerra, per ingrandire i
possedimenti dei suoi membri. Con la guerra i patrizi conquistavano
nuovi latifondi e nuove ricchezze. In più, allora come adesso, le
campagne belliche richiedevano grandi mezzi (catapulte, spade, scudi,
armature, logistica, trasporti, amministrazione) che l'industria
artigiana, al servizio dei grandi ricchi, produceva per essere di
consumati e riprodotti, creando così un business, un turn-over, dunqu
le guerre contro i pati dovevano continuare a tutti i costi. Vedi la
banda al potere negli USA. Nerone non voleva la guerra ma il
negoziato, una sistemazione, un accomodamento, un compromesso.
Ovviamente attirò le ire del Senato, di Seneca in particolare, passato
alla storia come grande filosofo, ma non come guerrafondaio; e poi gli
anatemi di Tacito, lo scrittore e storico del Senato.
Per quanto riguarda la storia della persecuzione dei cristiani, l'unica
verità è che questa storia è falsa. Nerone ha governato tra i primi
anni 50 e i primi anni 60 d. C. mentre la prima comunità cristiana
appare a Roma, dà segni documentati della sua esistenza nel 70 d. C.
Insomma, quando regnava Nerone, i cristiani non erano ancora arrivati.

Questa è l'informazione ufficiale, da sempre. Oggi le falsificazioni ci
sembrano colossali, vista la dimensione assunta dall'informazione
oligarchica in Occidente, ma l'intossicazione, la deformazione della
realtà per i fini politici di gruppi dominanti è una costante di tutta
la storia umana. Vorrei portarvi altri esempi che possono rovesciare
completamente la conoscenza del passato, o quantomeno modificare o
almeno istillare un dubbio sulla conoscenza del presente. Se ancora
poche settimane fa avessi posto queste domande:

quale paese del Medioriente ha armi nucleari nascoste e non dichiarate?
quale paese del Medioriente ha un arsenale biologico e chimico nascosto
e non dichiarato? quale paese del Medioriente non accetta i controlli,
ostacola le ispezioni e non fa sapere alla Comunità internazionale,
agli organismi internazionali, quello che nasconde? quale paese
commette o ha commesso stermini di minoranze nel proprio stato? quale
paese ha rapporti stretti di collaborazione con Al Qaida? quale paese
detiene in carcere, senza processo, migliaia di oppositori politici e
pratica la tortura secondo le denunce di Amnesty International e di
altri organismi seri di questo settore? quale paese del Medioriente
impone la censura e limita il diritto dell'informazione ai giornalisti
che lo visitano? quale paese del Medioriente minaccia espressamente il
mondo e l'Europa?

Ebbene, a queste domande, la stragrande maggioranza degli italiani
avrebbe risposto istantaneamente: l'Iraq. Invece la risposta è
un'altra, la risposta è: Israele. E provate a smentirmi.
Israele ha un arsenale di 400 bombe atomiche che ufficialmente non ha
mai dichiarato ma che è stato testimoniato da un coraggioso tecnico
Morderai Vanunu, ormai in prigione da 18 anni e 11 in isolamento in
Israele, rapito a Fiumicino sotto gli occhi della polizia italiana.
Israele ha un arsenale biologico e chimico che ha espressamente
dichiarato e che tutti gli scienziati conoscono, gli americani
confermano, ma Israele non ammette ispezioni.
Israele, come gli Stati Uniti, si rifiuta di accettare qualsiasi
ispezione delle Agenzie internazionali sui controlli degli armamenti
-lo hanno dichiarato ufficialmente-.
Israele sta continuando uno sterminio senza fine dei palestinesi, che
sono la sua minoranza interna (rovesciata rispetto alla minoranza di
ebrei immigrati 50 anni fa).
Israele ha rapporti con Al Qaida e con il terrorismo internazionale.
Secondo una denuncia fatta da pacifisti israeliani di alto livello come
il responsabile della Sicurezza palestinese, o il pacifista Uri Avnery,
Israele e il Mossad, hanno cercato di costituire cellule di Al Qaida
tra i palestinesi, in modo da poter criminalizzare la resistenza
palestinese identificandola con Osama Bin Laden. Su Al Qaida torneremo
nel corso di questo intervento.
Nei campi di concentramento delle prigioni israeliane, completamente
fuorilegge, ci sono 7.000 palestinesi soltanto a partire dalla Seconda
Intifada del 28 settembre di 2 anni fa. Sono sottoposti a tortura e
detenuti senza processo, e né i familiari, né gli avvocati, hanno il
diritto di accesso alle carceri per visitarli.
Israele impone la censura, l'ho sperimentato io stesso. Nel '67 mi
hanno mandato come inviato di "Paese Sera" a documentare la "Guerra
dei sei Giorni". Ogni mio articolo veniva controllato dalla censura
militare. Parti venivano completamente eliminate e non avevo la libertà
di esprimermi su quello che vedevo e conoscevo, sugli orrori di una
guerra di sterminio condotta già allora. Né in Jugoslavia né in Iraq ho
mai subito un minimo di censura su tutto quello che trasmettevo
telefonicamente, televisivamente o che registravo.
Qual è il paese mediorientale che minaccia l'Europa e il mondo? Ho la
dichiarazione di un insegnante dell'Istituto Superiore di Guerra
d'Israele, Martin Vanklever, di poche settimane fa, che dice: "Israele
ha la possibilità di colpire la maggior parte delle capitali europee
con armi nucleari. Abbiamo centinaia di testate, di missili atomici che
possono essere lanciati su obiettivi in ogni direzione, anche su Roma.
La maggior parte delle capitali europee sono obiettivi per le nostre
forze aeree". Questo, quando l'Europa, rispetto al massacro costante e
ininterrotto dei palestinesi, al loro esproprio, allo sterminio di
donne e bambini, opponeva qualche dubbio o qualche tentativo di
limitazione.
Ma parliamo un po' di terrorismo. Vedete, credo che queste
manifestazioni internazionali per la pace che abbiamo prodotto si siano
purtroppo esaurite fulmineamente, accettando il discorso falso della
fine di una guerra che non è affatto finita. E qua, io aggiungo: non è
affatto finita per merito dell'eroismo e della combattività, della
dignità, dell'orgoglio del popolo iracheno che sta opponendo quella che
noi un tempo a sinistra chiamavamo "lotta di liberazione", contro
occupanti, rapinatori, stupratori e assassini di massa. Perché quello
che è stato fatto in Iraq è un assassinio di massa. Hanno colpito
esclusivamente le infrastrutture e le popolazioni civili. Le bombe
dovevano compiere il lavoro che, altrove, per esempio in Africa, è
fatto dall' AIDS in Africa: sfoltire, spopolare, ridurre la pressione
demografica soprattutto della gente che vive in paesi dove non dovrebbe
vivere perché occupa territori con risorse che interessano
all'imperialismo. Lì c'è il petrolio, ed è meglio che dove c'è il
petrolio non ci siano popolazioni, altrimenti le compagnie petrolifere
si muovono con difficoltà, con rischi di controlli e resistenze .
Tra l'altro, la resistenza irachena ormai colpisce, anche se non lo
raccontano, ogni giorno (almeno 15 operazioni organizzate) e spiega il
subitaneo sparire dell'esercito iracheno di fronte all'invasione
americana. Si sapeva che lo scontro in campo aperto sarebbe stata la
fine per un esercito in stracci, tecnologicamente superato da
trent'anni, per un esercito che non aveva che armi leggere, nonostante
le fanfaluche raccontate dai "bugiardoni" delle tre "B" (Berlusconi,
Bush e Blair).
La guerriglia riesce a tenere inchiodati questi vincitori trionfanti in
un paese come l'Iraq, mettendoli in imbarazzo e provocando dubbi e
opposizione nella propria opinione pubblica. Stanno crescendo sia la
rabbia della gente contro le bugie, sia la rabbia per le perdite dei
propri congiunti e amici (lo stillicidio di almeno tre soldati
americani ogni giorno uccisi e di una quindicina di feriti). Questo
significa che gli Stati uniti avranno maggiore difficoltà a continuare
le aggressioni e la guerra permanente contro altri "Stati canaglia".
Nella guerra preventiva non c'erano fra gli obiettivi primari e
immediati la Siria e l'Iran, la Corea del Nord e Cuba? Ora tali
aggressioni sono diventate più problematiche, e lo dobbiamo alla
resistenza irachena.
Un tempo noi eravamo dalla parte di quelli che resistevano e credo che
dovremmo rimodellare i nostri atteggiamenti. Oltre agli aiuti alle
vittime (per noi oggi esistono solo vittime perché siamo buoni e
compassionevoli), forse c'è da considerare il fatto che bisogna dare
una mano a chi combatte e, col suo esempio, ci garantisce la speranza
di una liberazione.

Ma volevo parlarvi del terrorismo e dell'11 settembre. Vedete, non
credo che esista un terrorismo arabo. Io non ho prove che esista un
terrorismo che non sia nord americano e israeliano, se non tra cellule
condizionate e dirette a distanza dagli USA. Non c'è un paese arabo che
produca terrorismo. Il collegamento con l'Arabia Saudita è ciò che
hanno inventato coloro che hanno manipolato la verità sull'11
settembre; si sono inventati dei dirottatori sauditi e egiziani in modo
che si potesse creare un nuovo, feroce nemico dopo la scomparsa
dell'Unione Sovietica e del socialismo realizzato, che giustificasse
l'aggressività geopolitica e strategica degli Stati uniti finalizzata
al dominio del mondo, come dichiarano i documenti della cricca golpista
oggi al potere a Washington.
Il programma strategico USA dichiara che non deve esistere nessun
rivale che possa emergere e ostacolare il dominio mondiale degli Stati
uniti. E così si comportano, massacrando, aggredendo, facendo stragi,
guerre biologiche, chimiche e nucleari. Perché sull'Iraq è stata fatta
una guerra nucleare e non soltanto adesso, ma anche nel '91. Nel '91
hanno scaricato 400 tonnellate di polvere di uranio e plutonio che
ammazzeranno per generazioni e generazioni. Adesso le tonnellate di
uranio sono state nell'ordine delle migliaia e fanno quello che fa
l'AIDS, secondo una strategia cosciente e lucida dell'imperialismo.
Sull'11 settembre poniamoci qualche dubbio, se lo pongono anche negli
Stati Uniti. Ci sono siti interessanti dove si fa controinformazione,
dove si fa ricerca in maniera seria e documentata, andando a mettere il
naso dove i nostri giornalisti non lo mettono mai, ad esempio nei
documenti desecretati del Pentagono, della Casa Bianca e del
dipartimento di Stato, dove vengono fuori cose orrende, di un
terrorismo nord americano che dura da 100 anni.
Nel 1962, il Pentagono e il governo americano, approvarono un piano che
si chiama "Northwoods" che doveva creare il pretesto per attaccare
Cuba, dopo il fallimento della baia dei Porci. Il Pentagono preparò un
piano approvato dal governo e che Kennedy bloccò all'ultimo minuto,
perché all'epoca avrebbe provocato un conflitto mondiale. Poche
settimane dopo fu ammazzato, secondo le migliori fonti, dalla mafia
cubana di Miami. Il "Piano Northwoods" prevedeva dei bombardamenti alla
base di Guantanamo che avrebbe fatto esplodere i depositi di munizioni,
provocando la morte di molti soldati americani. Questi bombardamenti
avrebbero dovuto essere effettuati da agenti USA travestiti da militari
cubani. Poi si doveva affondare del naviglio in navigazione tra Cuba e
la Florida, con gente mandata ai pesci a centinaia, dando la colpa
sempre ai cubani. Inoltre si prevedevano una serie di attentati
(guardate è scritto, potete andarlo a cercare in internet: "Piano
Northwoods", Archivi di Sicurezza Nazionale "National Security
Archives") contro proprietà della mafia cubana a Miami -case private,
circoli, uffici, proprietà- e in varie località degli USA, con altre
centinaia di vittime. Infine sarebbe partito un charter americano, con
a bordo centinaia di giovani studenti statunitensi per un viaggio di
vacanza e studio nell'America centrale (Salvador, Honduras e Guatemala)
che, passando nello spazio aereo di Cuba, sarebbe stato abbattuto da un
Mig cubano, che non avrebbe dovuto essere un Mig cubano, ma un Phantom
statunitense camuffato. Questo è stato concepito, firmato e deciso dal
governo degli Stati uniti. Hanno seguito questa strategia per 100 anni,
ovunque, in giro per il mondo. Stiamo attenti a credere alle versioni
ufficiali dell'11 settembre.

In America, nei documenti che circolano sull'11 settembre, disponibili
a tutti voi, ci si chiede, da parte di scienziati, studiosi, personaggi
illustri come Chomsky o il professor Chossudovsky (insegna economia
politica a Toronto in Canada e ha fatto un gruppo di studio e ricerche
che si chiama "global research", preziosissimo), per quale motivo la
più aggiornata difesa aerea del mondo non sia intervenuta per quasi due
ore contro 4 aerei dirottati che facevano i pazzi nel cielo più
proibito e più difeso degli Stati uniti.
Secondo le disposizioni della difesa aerea, alla base Andrews c'erano
aerei pronti a decollare costantemente, come nelle altre basi, contro
eventuali intrusori. E' arrivato l'ordine del Capo di Stato Maggiore
dell'aeronautica militare americana di sospendere il meccanismo di
difesa antiaereo proprio alla vigilia degli attentati. Com'è possibile
che un sistema di difesa, che prevede l'alzarsi in volo in 2 minuti e
mezzo, il raggiungere tutti i punti del cielo degli Stati uniti in 8
minuti, non sia intervenuto per 2 ore contro gente che stava colpendo
obiettivi che hanno addirittura delle difese automatiche missilistiche
piazzate intorno ad esse, il Pentagono, la Casa Bianca e le Torri
Gemelle? Come è possibile che il presidente degli Stati uniti -questo è
documentato addirittura dalla televisione-, durante tutti gli attacchi,
pure informato costantemente di quello che stava succedendo (primo
schianto contro la prima torre, secondo contro la seconda torre, terzo
contro il Pentagono) continuasse a visitare una scuola elementare nelle
Florida raccontando favole ai bambini, senza cambiare espressione,
senza mettersi al sicuro, senza convocare i suoi collaboratori per
organizzare le difese a questo attacco senza precedenti al proprio
paese?
In America si chiedono come sia possibile che si raccontino panzane
come quelle dei dirottatori addestrati su degli aerei Chesna, che sono
poco più che deltaplani, per poi pilotare, senza esperienza, dei 747 e
757 Boeing.
In una trasmissione televisiva di Corrado Augias, vari, esperti
comandanti dell'aeronautica civile hanno dichiarato che si trattava di
un'impresa impossibile. E' impossibile virare e colpire tra i palazzi
il centro di un grattacielo, con un aereo gigantesco, dopo essere scesi
a spirale o in picchiata varie migliaia di metri in pochissimo spazio.
Esperti e comandanti di volo di tutto il mondo hanno confermato che
neanche con 10.000 ore di volo è possibile operare manualmente una cosa
di questo genere. E' soltanto possibile con comandi elettronici a
distanza, collaudati del resto alla grande in Afghanistan con gli aerei
Predator, senza pilota: partono, decollano, fotografano, mitragliano,
bombardano, ritornano e atterrano.
Se c'erano 19 dirottatori che si sono imbarcati su questi aerei, e sono
passati tutti per gli aeroporti, e tutti gli aeroporti degli Stati
uniti, come anche i nostri, hanno telecamere piazzate ovunque che
filmano qualsiasi passo, dall'ingresso, all'imbarco, al bar, al
controllo passaporti, alla consegna bagagli o al check in... dove sono
i filmati di questi 19 dirottatori che ci convincano che sono stati
loro? Non avrebbero dovuto essere trasmessi e ritrasmessi dalle
televisioni per cancellare ogni dubbio?
Un ostaggio ha telefonato dall'aereo a terra, alla mamma, dando nome e
cognome. Strano dare alla mamma nome e cognome: "sono Jack tal dei
tali...", mentre l'aereo era in una zona dove non c'era copertura del
telefonino, né era possibile comunicare col cellulare a terra da quel
l'altezza e a quella velocità
Si chiedono negli Stati uniti se un edificio colpito lateralmente possa
crollare simmetricamente su se stesso, se non quando delle cariche
esplosive sono state piazzate nei punti strategici della costruzione.
Le detonazioni delle esplosioni sono state sentite da testimoni,
compresi giornalisti della BBC, le cui testimonianze sono poi sparite.
Come una indagine dell'FBI ha appurato, nei giorni precedenti agli
attentati, c'è stato un insider trading, delle speculazioni nella borsa
di New York, su titoli che sarebbero poi crollati -linee aeree- e altri
saliti alla grande -assicurazioni-. C'è chi ha fatto miliardi. L'FBI ha
indagato e ha trovato gente che sapeva quello che sarebbe successo
prima di essere stata bloccata come tutte le altre inchiesta da Bush, e
ha scoperto comunque che chi aveva coordinato questi movimenti di
azioni era il direttore operativo della Cia, tale Buzzy Krongard. La
banca che ha gestito le operazioni era la Bankers Trust, che pochi mesi
prima aveva assorbito al A.B. Brown, una banca il cui vicepresidente
era appunto Krongard. Dopo la fusione, nel marzo del 2001, Bush ha
promosso Krongard a direttore operativo della CIA, il numero tre
dell'agenzia.
Posso aggiungere che Osama bin Laden è un socio di Bush; che la
famiglia di bin Laden ha imprese in comune con la famiglia Bush da
lunga data (da almeno 25 anni). La compagnia petrolifera ARBUSTO
appartiene ai bin Laden e ai Bush. I Bush sono quelli che hanno
incassato le ricchezze del produttore di armi per Hitler, von Thyssen.
La banca di von Thyssen, monopolista dell'acciaio tedesco che ha
riarmato la Germania di Hitler, aveva una filiale a New York diretta
dal nonno dell'attuale Bush minore, Prescott Bush. C'è una continuità,
un legame terroristico, imperialista, criminale.

Possiamo continuare a fare le manifestazioni per la pace? Dobbiamo. E
per favore, questa volta, a sostegno anche dei resistenti. Ma non
faremo mai goal, non sfonderemo, se non cominciamo a delegittimare i
banditi, i delinquenti, i bugiardi che stanno operando questo
planeticidio. Fin che non li smascheriamo e gridiamo come il bambino di
Andersen: "il Re è nudo", questi manterranno legittimità e credibilità.
Facciamo vedere che sono loro i terroristi. La matrice di ogni
terrorismo sono gli Stati uniti. Lo hanno praticato, l'hanno studiato,
l'hanno formulato nelle loro scuole. La "Scuola delle Americhe", che
adesso è stata spezzettata in varie agenzie per l'emergere di troppe
rivelazioni, troppe accuse, ha insegnato ai golpisti e ai dittatori
latino-americani per 50 anni tecniche di terrorismo, di
destabilizzazione, di colpi di stato. Ma dove sta il terrorismo? Non è
terrorismo di stato quello israeliano? Quello nordamericano? Quello
britannico? Quello di paesi vassalli, come l'Italia delle stragi di
Stato, di Gladio, della P2, che forniscono collaborazione e militari
agli aggressori?

Il giornale l'Unità è stato l'unico che ha ammesso una verità
sconvolgente alla fine della guerra, del massacro, dello squartamento
della Jugoslavia. Anche lì si era costruito il mostro, con tutte le
cose orrende su un solo piatto della bilancia, sull'altro niente. Ma è
il meccanismo collaudato fin dai tempi di Nerone, bisognava satanizzare
Milosevic. L'Unità ha avuto, come unico giornale italiano, la
deontologia e la coscienza civile di pubblicare la ricerca degli
investigatori dell'ONU e della NATO al termine della guerra alla
Jugoslavia e dell'occupazione del Kossovo da parte della NATO. L'ha
fatto in understatement, cioè in sordina, nella pagina interna, taglio
basso, ma l'ha fatto, l'unico. Ha rivelato che non c'era stata la
pulizia etnica di 400.000 albanesi-cossovari sterminati dai serbi come
diceva Wesley Clark, comandante in campo della NATO. E quando sono
entrati nel Kossovo hanno detto erano 40.000, perché c'erano tutti,
visto che sono 900.000 i cossovari-albanesi e 1.800.000 gli abitanti.
Com'è che c'erano tutti se ne erano stati ammazzati la metà e l'altra
metà erano profughi? Così sono scesi a 40.000. Ma gli investigatori, il
cui resoconto è stato appunto pubblicato da un unico coraggioso
giornalista sull'Unità, hanno detto che in 3 anni di guerra civile, tra
separatisti e narcotrafficanti UCK e forze Federali Jugoslave e 78
giorni di un bombardamento a tappeto della NATO sul Kossovo, anche
all'uranio, le vittime erano 2.800. Peccato che erano di tutte le
etnie, albanesi-cossovari, serbi, zingari (tanti), bulgari, egiziani e
greci. E questo ci dovrebbe veramente far riflettere su come è fatta
l'informazione, su che cosa dobbiamo esigere dall'informazione.

RISPONDENDO AD ALCUNE DOMANDE. Sull'Iraq: [nell'inchiesta del Senato
americano si legge che i presidenti Reagan e Bush hanno corteggiato
segretamente e illegalmente Saddam Hussein con uno slancio sconsiderato
in denaro e armi. Said Aburish, giornalista americano, in una
intervista ha dichiarato questa frase: "Saddam ha molto per cui
ringraziare la CIA, per aver portato il partito Ba'ath al potere, per
averlo mantenuto al potere, per averlo aiutato personalmente, per
avergli fornito aiuto finanziario durante la guerra in Iran, per averlo
protetto contro colpi di stato interni. E' un rapporto che continua dai
primi anni '60 ad oggi ed è un rapporto di amore e odio. Qui non c'è
questione di principio, non c'è democrazia da perseguire, non ci sono
diritti umani da proteggere, sono i nostri amici e i nostri
interessi"]. Questa informazione io la butteri subito in un cestino,
perché è un'informazione strumentale, quella che si fa sistematicamente
nei confronti di un nemico con lo scopo di "sputtanarlo" a sinistra
presentandolo come doppiogiochista, traditore della sua gente.
Togliergli ogni prestigio, ogni dignità di politico, di uomo di stato,
aggiungendo a questo l'efferatezza e la nefandezza, dallo
strangolamento dei bambini, ai nemici arrostiti, alle donne stuprate,
fino ad aggiungere poi "è un nostro fantoccio e stava dall'altra
parte". E' una contraddizione lampante. Il governo iracheno non è mai
stato dalla parte degli americani, ne è mai stato favorito dagli
americani e tutto il suo percorso lo dimostra.
La rivoluzione del '58 del Baath (era un partito socialista arabo
fondato da un marxista di nome Michel Aflak, antimperialista e per
l'unità araba), cacciò gli inglesi, portò al governo i comunisti e il
Partito Democratico Curdo con il quale governò fino al '79. Poi una
parte dei comunisti decise di schierarsi con l'Iran di Khomeini
obbedendo a Breznev, altri si rifiutarono. Saddam Hussein nazionalizzò
il petrolio e fu l'unico che ci riuscì, ed è il più grave affronto che
si possa fare al sistema imperialistico del petrolio anglo-americano.
In Iran, nel '52, Mossadegh fu cacciato con un colpo di stato che portò
lo Scià, per aver fatto la stessa cosa.
Saddam Hussein ha appoggiato i palestinesi fino all'ultimo giorno della
sua scomparsa da Baghdad, unico paese arabo che lo facesse. Questo non
piace agli israeliani e quel che non piace agli israeliani non piace
agli americani. Israele ha sostenuto l'Iran nella guerra Iraq-Iran con
piloti e istruttori e con lo scandalo Iran-Contras (quando vendeva armi
all'Iran e col ricavato gli americani finanziavano i banditi Contras in
Nicaragua). Documenti ufficiali del Congresso rivelano che gli USA
hanno armato l'Iran, non l'Iraq, dal 1981 al 1988. Potrei dire tante
altre cose. Ma, un amico della CIA, installato dalla CIA, non lo si fa
finire così e non se ne distrugge il paese distruggendone le basi,
sradicando ed epurando tutto il suo partito.

I kamikaze palestinesi non li vedo disperati, li vedo con un senso
della vita un po' diverso, da quello occidentale individualista che
impone il singolo individuo al centro di tutto. I kamikaze pongono la
Comunità al centro e muoiono per far vivere la Comunità ed è una forma
di affermazione della vita. Vive e conta un po' più la Comunità, un
tempo era così anche da noi.

Per quanto riguarda Fidel Castro, a parte il fatto che bisogna andare a
studiare quale partecipazione di massa c'è nel processo decisionale a
Cuba rispetto al nostro, in che misura noi pesiamo con le nostre
elezioni sui destini del nostro paese, in cui abbiamo una bella
democrazia che ci regala protagonisti come Berlusconi, Previti,
Dell'Utri e tutto il resto (che veramente non mi sembrano esempi di
democrazia da esportare da nessuna altra parte). Una democrazia
migliore di questa non c'è, per cui non abbiamo titoli per fare i
maestrini nei confronti degli altri.

Poi vorrei dire un'altra cosa, hanno detto che ci odiano. Non è vero
che ci odiano, odiano i governi. Sono molto saggi, sono molto maturi
nel Terzo Mondo. Non odiano gli italiani, gli europei, i cittadini
statunitensi, sanno fare la differenza tra governi e popoli. Quello
che gli dà fastidio, oltre allo sfruttamento delle multinazionali, alle
bombe all'uranio, ai genocidi, è che noi facciamo le crociate
ideologiche e culturali. E' che da mille anni noi pensiamo d'avere la
verità da portare ai selvaggi, quando la loro civiltà magari è
infinitamente più autentica e più avanzata della nostra, lo era
sicuramente al tempo delle crociate, probabilmente lo è anche adesso.
Noi affogati nel consumismo, nella mercificazione di tutto, nella
disponibilità alla mistificazione militarista. Ma che cosa abbiamo da
insegnare e da esportare?
Ho visto a Cuba partecipare le masse di quartiere, di municipio, di
città, alla nomina degli amministratori, alla revoca quando non
funzionavano. Certo non ci sono i partiti, ma allora vi dico una cosa:
Slobodan Milosevic, che tutti quanti a sinistra -tranne il sottoscritto
e anche un pezzo grande del mio partito- hanno chiamato dittatore e
despota. Tale non è mai stato. Eravamo semplicemente lobotomizzati
dalla propaganda imperialista che voleva fare la guerra per squartare
un grande paese non allineato, che aveva dei diritti sociali ancora in
vigore, protezione degli operai ancora in vigore. Ma doveva essere
frantumato e ridotto in piccoli pezzetti che si odiassero tra loro e
fossero inoffensivi e magari schiavi dell'imperialismo.
Milosevic non era un dittatore. Se noi avessimo guardato con attenzione
la televisione ce ne saremmo accorti, ma eravamo "infinocchiati" dalla
propaganda. In televisione avremmo visto che c'erano elezioni regolari
costantemente -nazionali, amministrative, federali e presidenziali-.
Addirittura che l'opposizione a Milosevic, monarchica e capitalista,
vinceva. Le maggiori città in Jugoslavia erano governate da Vuk
Draskovic (il monarchico, il santone) come Belgrado, Kragujevac, Nis,
Novi Sad. Ma che dittatura è?
Noi abbiamo visto per anni le manifestazioni dei cosiddetti studenti
democratici (attenti a quelle iraniane), che si chiamavano prima
"Alleanza Civica" e poi "Otpor" che facevano ogni week end grandi
manifestazioni a Belgrado. Non abbiamo mai visto in tre o quattro anni
queste manifestazioni trattate come il governo dell'Ulivo ha trattato i
"compagni" a Napoli, nel marzo di due anni fa, o nel luglio il governo
di Berlusconi a Genova per il G8. Arrivava la polizia con gli idranti a
dar da bere quando faceva caldo (io c'ero e l'ho visto) e lo potevate
vedere anche in televisione. Questo non succede in una dittatura.
C'erano i partiti in Jugoslavia. Su venti, due erano di sinistra (lo
IUL post-comunista e il Partito Socialista), gli altri erano tutti
quanti comprati dagli Stati uniti. Il "National Endowment for
Democracy", che è un istituto americano di Washington che fa da vetrina
alla CIA, ha versato 700 milioni di dollari in tre anni a questi
partiti. Li ha dotati di telefonini, di sedi con marmi alle pareti, e
il partito socialista e il suo presidente Milosevic, avevano lo
stipendio di funzionari in un paese del terzo mondo sotto embargo. E
dove sono finiti, a proposito, i soldi del "tesoro" di Milosevic,
negati da tutti i paesi in cui si diceva fossero custoditi?
Questi partiti sono stati comperati dall'imperialismo a suon di
dollari. "Otpor" e "Alleanza Civica" facevano le manifestazioni con le
bandiere americane, il loro programma diceva: "privatizzazione di
tutto" e lo stanno attuando. Oggi la Jugoslavia è un buco nero con al
potere una classe dirigente di mafiosi e narcotrafficanti. La legge che
proteggeva e garantiva gli operai nel caso di vendita dell'impresa -il
60% delle azioni agli operai-, è abolita. La scuola si paga, la sanità
si paga, la disoccupazione è circa il 27% della popolazione, il 40%
vive sotto il livello di povertà. Questo non c'era sotto Milosevic.
Milosevic è rimasto democratico, ha lasciato che l'opposizione
controllasse il 90% dei media, tutti finanziati dagli USA, compresa la
famosa radio B92, tanto cara ai nostri Disobbedienti. Se Castro avesse
fatto come Milosevic addio Cuba sovrana, indipendente, socialista,
speranza di tutta l'America Latina e dei popoli del mondo.
Ho scritto un articolo che mi ha causato moltissimi guai su
"Liberazione" in difesa di Cuba, pur prendendo le distanze dalla pena
di morte e dal carcere. Il carcere non mi va addirittura per Sofri che
dovrebbe, per conto mio, stare fuori dal contesto umano per il resto
della sua esistenza, per come fa il trombettiere di ciò che succede
all'ombra dell'imperialismo d'Israele e degli USA. Ma ho scritto:
ragazzi, quello che fa schifo è che noi chiamiamo dissidenti e
minoranze e oppositori una rete di terroristi, malfattori, al soldo
dello straniero che vuole distruggere quel paese e ridurlo come
Port-au-Prince ad Haiti. Erano terroristi assoldati da James Cason
(incaricato d'affari americano) con il compito di costruire una rete di
sabotaggi. Avevano programmato 29 dirottamenti, 9 li avevano già
attuati. Come si fa a chiamarli dissidenti? questo è collateralismo con
l'imperialismo. Non si può, diciamo pane al pane e vino al vino. Questi
erano terroristi di un paese da 40 anni in guerra, e sapete che tutti i
paesi del mondo, il nostro compreso, hanno ai più alti e insospettati
livelli infiltrati e spie al servizio del nemico.
Dieci marocchini sono stati giustiziati, impiccati soltanto una
settimana fa. Ne avete sentito parlare? A sinistra? Nel mio partito?
Neanche una parola. Un trafiletto sul "Manifesto". Ma su Cuba, "cazzo"
che casino abbiamo fatto. E allora c'è qualcosa di non molto onesto
sotto. Chiudo su Saddam.

Io so che era un governo autoritario, ho frequentato quel paese per 25
anni, ma so qualcosa che voi non sapete e dovreste sapere. Perché sul
piatto della bilancia hanno messo l'autoritarismo, il partito unico, i
comunisti massacrati, i curdi gassati. Peccato che i gas li abbiano
buttati gli iraniani, lo hanno affermato gli americani di nuovo,
recentemente. Già all'epoca, nel 1988, tutti i media e tutti i servizi
segreti del mondo avevano confermato che i gas sul villaggio curdo di
Halabieh li avevano gettati gli iraniani, che l'Iraq non disponeva di
quel gas nervino. Il 31 gennaio scorso uno dei massimi dirigenti della
CIA l'ha confermato sul New York Times. La storia che erano stati gli
iracheni venne diffusa dagli USA solo nel 1990, per agevolare
l'aggressione della prima guerra del Golfo. Ma sull'altro piatto della
bilancia c'era un paese che nel '56 era a livello di Port-au-Prince,
quando gli inglesi furono cacciati. In vent'anni si sono guadagnati la
sanità gratuita per tutti, in vent'anni si sono guadagnati
l'istruzione, cioè la conoscenza, cioè la critica (dall'asilo
all'ultima specializzazione universitaria con libri, mense e alloggio
per tutti e anche per gli studenti stranieri, gratuiti) e la casa
garantita a tutti. Era l'unico paese al mondo con piena occupazione. Va
bene, aveva il petrolio, ma quegli utili da petrolio andavano alla
gente, andavano alle masse e sono queste le cose contano, perché sono
diritti umani, sono i primi diritti umani. Chiedetelo agli iracheni che
oggi stanno nella "Resistenza Nazionale" contro questa occupazione,
perché si ricordano di quello che avevano. Si guardano intorno e vedono
l'Arabia Saudita e il Kuwait dove le donne non esistono, mentre in Iraq
prima facevano i ministri e i giudici, e su una massa sconfinata di
senza diritti regna una banda di satrapi corrotti e subalterni
all'imperialismo.
Non sono qua per esaltare Saddam Hussein, cosa di cui qualcuno subito
mi accuserà. Dico che bisogna sapere le cose e metterle tutte quante
sui piatti della bilancia. Esistono anche le conquiste sociali, la
dignità nazionale, la cultura, nessuno lo può negare. E per un popolo
che esce dal buco nero del sottosviluppo colonialista, contano. Poi è
difficile fare una democrazia perfetta, Milosevic insegna. Accettare
partiti quando si è assediati, quando ti fanno le guerre biologiche
ininterrotte, quando ti infilano spie, provocatori e terroristi per
mandare a picco il tuo esperimento sociale.
Perché l'Iraq, il Vietnam, la Jugoslavia e Cuba, vengono aggrediti non
soltanto perché dicono di no alla NATO. Dicono di no all'imperialismo e
vengono ammazzati, squartati, distrutti, perché sono un modello sociale
diverso. Un modello sociale che da noi si chiamava Welfare (ed era una
pallida imitazione di giustizia sociale) e che non deve più esistere.
Non ci devono più essere lavoratori, operai, contadini, che possono
pensare di studiare o farsi un trapianto di fegato anche se non hanno i
soldi. Questo modello non ci deve più essere nel mondo. Nel mondo della
privatizzazione, del turbocapitalismo. Perciò questi paesi vengono
aggrediti, non perché c'è un boia o una belva sanguinaria. Perché le
belve sanguinarie sono tutte a Washington o protette da Washington.

Il PNAC è un acronimo e sta per "Project for the New American Century"
(progetto per il nuovo secolo americano). E' un testo formulato nel
1992 dal gruppo dirigente attuale statunitense, prima di arrivare al
potere, mentre stava per finire il regno di Bush padre e incominciava
quello di Clinton. Era un progetto strategico fatto da un gruppo di
ebrei, (è un dato di fatto, Wolfowitz, Ledeen, Perle, Cheney, Rumsfeld,
eccetera) in stretto contatto ideologico e anche strategico con gli
estremisti del Likud israeliano e con Sharon. Questo progetto è stato
anticipato per la prima volta dal "New York Times" proprio nel '92.
Oggi è stato reso la politica ufficiale del governo Bush e del suo
gruppo e si chiama appunto "Strategia per la Sicurezza Americana nel
Nuovo Secolo". Questo documento ripete esattamente quello che era il
programma del '92, ed è oggi la linea ufficiale.
Prevede che gli Stati uniti puntino all'egemonia mondiale e questo
comporta l' eliminazione, la neutralizzazione di qualsiasi potenza che
possa emergere a contrastare tale egemonia. Chiaramente intendono
Europa, Russia e Cina, oltre che il mondo arabo. E che quindi qualsiasi
forza dovesse emergere e potesse contrastare gli interessi statunitensi
globali, cioè non limitati a settori dove gli americani sono presenti,
ma a tutto il mondo, questi devono essere affrontati. Da cui la scelta
e la decisione della "guerra preventiva infinita".
Poiché è evidente che coalizioni che si pongano il problema della
sopravvivenza e anche d'un certo imperialismo, come l'Europa in
particolare, e altri come la Russia e la Cina che stanno cercando di
ricostruirsi quanto meno a livello di potenza regionale, entreranno in
collisione con gli interessi USA. Ecco perché la linea strategica
americana attraverso la guerra Iraq, Iran, eccetera, punta come un
cuneo visibilissimo tra l'altro, verso la Cina e il centro asiatico.
Ultima cosa, trovo che non sia un problema di cultura ma di conoscenza
e che nei migliori dei miei interlocutori, tra quelli che più rispetto
e dai quali più mi aspetto, anche come contributo alla nostra salvezza
e in questo caso, dopo, di vittoria (perché la vittoria deve restare un
nostro concetto anche se la nominiamo molto di rado, ma ce l'hanno
regalata i partigiani), bisognerebbe conoscere il fatto che, o
ricordarsi del fatto che, i partigiani colpivano i soldati tedeschi,
perché in Italia, i civili tedeschi che avessero fatto le colonie, che
si fossero insediati al posto delle nostre case, al posto dei nostri
terreni, al posto dei nostri uliveti, non ce n'erano. Altrimenti come
tutti i movimenti di liberazione nazionale li avremmo colpiti.


--- 2 ---

MONDOCANE FUORI LINEA 1/9/3
FULVIO GRIMALDI

Resistenza fino alla vittoria


Tommaso di Francesco, del Manifesto, è stato tra tutti l'inviato e
commentatore che più correttamente ha raccontato guerra e frantumazione
della Jugoslavia, con tutte le infamie del caso giustamente attribuite
alla Nato e ai suoi ascari tagliagole dell'UCK kosovaro. Dribblati con
acume di marxista tutti i luoghi comuni della propaganda di guerra,
Tommaso è tuttavia inciampato su due stereotipi della disinformazione
imperialista (e velinara), purtroppo sui più insidiosi e tossici: la
inesistente "dittatura" del "nazionalista" Milosevic e la "pulizia
etnica" che i serbi avrebbero condotto contro le minoranze jugoslave,
in particolare contro gli albanesi del Kosovo. La storia e le indagini
di ONU e investigatori indipendenti hanno fatto giustizia di queste
falsità: Milosevic né era un dittatore, né seguiva politiche
nazionaliste, anzi, né Belgrado aveva mai condotto operazioni di
pulizia etnica. Semmai i serbi le avevano subite: in Croazia, Bosnia e
Kosovo. Lo stesso si può dire di un giornalista di Liberazione,
Giancarlo Lanutti, tra i pochi che non riecheggiano, a differenza di
altri autorevoli interventi su quel giornale, le fandonie e i veleni
della disinformazione israeliana e dei suoi succubi. Lasciato il segno
con termini come "criminali", "delitti", "suicidi disperati", riservati
ai combattenti palestinesi che si sacrificano colpendo, come suole
nelle guerriglie, il nemico dove più gli fa male (immaginate cosa
avrebbero fatto i partigiani se comunità tedesche fossero venute a
colonizzare l'Italia sotto la protezione delle armi naziste), brindato
inizialmente alla farsa della road-map e a protagonisti-fantocci come
Abu Mazen e la spia CIA Dahlan, ignorata sistematicamente la sinistra
palestinese, Lanutti è passato ad occuparsi di Iraq.
E subito ha gravemente sbagliato. Su due punti: ha attribuito
all'organizzazione criptostatunitense Al Qaida l'intenzione di mettere
alle corde gli USA (riferendosi agli attentati di Najaf e all'ONU);
"non esclude" che proprio nella situazione creata dalla guerra possa
essersi determinata quella saldatura fra al Qaeda (va scritto al Qaida)
e i seguaci in chiave antiamericana. Non contento, cita un affiliato
dello SCIRI filorianiano (cui apparteneva l'ayatollah Mohammed Al Hakim
ucciso dalle autobombe) per ribadire il concetto: "Al Qaida non può in
Iraq agire da sola, a fornirgli aiuto potrebbero essere proprio i
fedelissimi di Saddam".
E qui siamo all'apice della subalternità alle mistificazioni messe in
circolo dai disinformatori della banda Bush-Blair: Al Qaida
riconosciuta (e nobilitata!) come antagonista mondiale degli USA,
anziché, come tutti i commentatori e analisti seri hanno documentato,
strumento ultraventennale delle provocazioni e destabilizzazioni
imperialiste (Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Indonesia, Filippine,
Kashmir, Algeria, perfino gli israeliani hanno tentato di creare una
cellula di "Al Qaida" nella resistenza palestinese); le resistenza
irachena perfidamente collegata al terrorismo (ribadisco: statunitense)
di Al Qaida. Con questi due colpi, si è fatto un enorme favore
all'imperialismo e alla sua strategia genocida: come già con i
combattenti palestinesi, si è creato il corto circuito, dettato
dallaCIA e dal Mossad, tra lotta di liberazione nazionale e
indiscriminato terrorismo Al Qaida; in seconda battuta, si è
accreditata la squadra di dinamitardi Al Qaida, teleguidata dalla CIA
in ogni sua manifestazione, come autentica forza di rivolta e
opposizione alla "civiltà occidentale". Non ci potrebbe essere nulla di
più debilitante per uno schieramento genuinamente antimperialista.
Ho voluto insistere su questi veri e propri tonfi dell'informazione di
sinistra, dovuti a ignoranza, pigrizia, timidezza, forse opportunismo
da salotto buono della politica o da alleanze spurie, perché è qui che
casca l'asino. In difesa della resistenza palestinese, irachena, di
tutti i popoli, in difesa della nostra capacità di decodificare gli
inganni padronali e imperialisti, abbiamo il dovere di esigere dagli
informatori e comunicatori, che si dicono dalla nostra parte, un
impegno professionale e politico più avveduto, libero e documentato.
Tanto per dire: non si può continuare a definire "dissidenti",
"opposizione", "minoranze", i terroristi cubani, corrotti e comprati
dal nemico yankee perché aiutino a riportare la propria patria alle
condizioni politiche, sociali e morali del vero dittatore Batista,
proconsole di mafia e USA.
Venendo invece direttamente ai patrioti iracheni, personalmente dubito,
in attesa di riscontri, che le autobombe contro ONU e lo SCIRI, pur
vergognosamente collaborazionisti, siano di una Resistenza che al di là
di ogni dubbio fa capo a Saddam Hussein e alla dirigenza del Baath, dei
comunisti della Tendenza Patriottica (scissi dal PC iracheno nel 1979,
quando Mosca ordinò al partito di schierarsi con l'invasore iraniano) e
delle altre formazioni nazionaliste e progressiste raccolte nella
Coalizione Nazionale Irachena (riunitasi a congresso a Parigi nel
febbraio di quest'anno) e rientrata in patria per contribuire alla
lotta contro l'invasore. Per chi conosce il popolo iracheno, risulta
chiaro che un attentato di tale portata contro l'ONU non sarebbe stato
condiviso, alla luce del fatto che, pur nella subalternità
istituzionale dell'ONU agli USA, questa organizzazione, con gli
ispettori dell'ultima fase che tentavano in ogni modo di contraddire le
false accuse di Washington e con protagonisti onesti come Denis
Halliday e Hans Von Sponeck, dimessisi dai rispettivi incarichi di
dirigenti degli aiuti alimentari in protesta contro il genocidio
angloamericano, non rappresentava certo il nemico principale. Quanto
alla strage di sciti a Najaf, scontato il collaborazionismo (ed
espansionismo iraniano) di Al Hakim e dello SCIRI, suscitare in questa
fase un conflitto interno tra comunità irachene, quando Saddam, in
numerosi comunicati, aveva insistito sull'urgenza dell'unità di tutte
le forze patriottiche, religiose e laiche, di ogni etnia, del resto già
attuata sul campo, nonché caratterizzare in senso terroristico la lotta
nazionale, poteva solo favorire il disegno di criminalizzazione dei
partigiani e di libanizzazione dell'Iraq, da sempre nei piani degli
occupanti: un suicidio per la Resistenza. Un disegno delittuosamente
favorito dal sedicente PC iracheno, vera copertura a sinistra
dell'occupazione, quando, entrato nel Consiglio di Governo nominato dal
Gauleiter Paul Bremer, insieme agli anticomunisti e narcotrafficanti
curdi di Jalal Talabani e ai manutengoli CIA dell'ex-Consiglio
Nazionale Iracheno di Londra, ha preso a diffamare la lotta armata,
attribuendole assurdi obiettivi di conflittualità settaria ed etnica.
So, per informazioni direttamente ricevute a Bagdad, durante
l'aggressione, dai responsabili iracheni, che il presunto disfacimento
della Guardia Repubblicana e delle milizie partigiane a partire
dall'occupazione del centro del paese non era che l'attuazione di un
progetto pianificato con largo anticipo, volto a impedire la totale
distruzione delle forze irachene a opera della macchina tecnologica
angloamericana e a preservare la loro integrità in vista di una guerra
di liberazione di lunga durata, nella quale i rapporti di forza si
sarebbero spostati a proprio favore. Proprio come succede adesso, con
una guerriglia a direzione centralizzata, ad altissima efficienza e
sofisticazione, sia contro le truppe d'occupazione e le forze
paramilitari e amministrative del collaborazionismo, sia contro le
infrastrutture petrolifere che impediscono agli USA di trarre profitto
dalla distruzione della sovranità del popolo iracheno. E' in atto una
grandiosa Intifada, centralmente diretta da Mossul al Nord a Bassora
nell'estremo Sud, radicata in una popolazione che conferma una volta di
più, al di là delle mire integraliste scite, limitata a settori
minoritari, la sua adesione al cinquantennale progetto di emancipazione
nazionale anticolonialista e che oggi è integrata dall'affluire di
migliaia di volontari arabi. Ne deriva una crisi profonda ed evidente
per i regimi genocidi (i costi stratosferici in termini umani e
materiali, il disincanto e la rabbia delle opinioni pubbliche, il
disvelamento dell loro natura criminale) che si sono imbarcati in
un'avventura di cui non hanno saputo minimamente calcolare le
conseguenze, la capacità di risposta politica, culturale e militare di
un popolo ideologicamente maturo, che non per nulla il governo caduto
aveva preparato a una guerra di liberazione di lunga durata, armando
oltre sei milioni di cittadini e addestrando alla guerra partigiana un
milione di militanti del Baath.
Dal 1917 al 1958, anno della rivoluzione, gli iracheni hanno saputo
incalzare gli occupanti coloniali britannici con un ininterrotto
seguito di rivolte, fino alla definitiva liberazione. Erano scimitarre
e carabine contro il primo esercito del mondo. Oggi hanno armi
migliori e, alle spalle, una riconquistata dignità, un'emancipazione
sociale e politica tra le più avanzate del Terzo Mondo e la
consapevolezza del proprio ruolo nella storia della lotta di
liberazione dei popoli. I partigiani iracheni, come quelli palestinesi,
lottano anche per noi. Già hanno inchiodato l'imperialismo in una
palude da cui non potrà che uscire sconfitto e che, intanto, gli ha
reso più problematiche altre avventure della guerra preventiva e
permanente. Meritano tutto il nostro sostegno, anzittutto con la
battaglia per la verità.

La dittatura della borghesia (2)

1. Romania: Il Partito Socialista del Lavoro cancellato dal “Registro
dei Partiti Politici” per decreto - Richiesta di solidarieta'
2. Lettonia: il Partito Socialista di Lettonia sulla discriminazione
della minoranza russa e degli altri gruppi nazionali


=== 1 ===

PARTITO SOCIALISTA DEL LAVORO, ROMANIA: I RISULTATI DEL NOSTRO
CONGRESSO STRAORDINARIO

www.solidnet.org                                                        
                                          28 agosto 2003

 

Il Partito Socialista del Lavoro, forza della sinistra socialista
romena, a conclusione del suo congresso, ha inviato il seguente
messaggio ai partiti comunisti, socialisti di sinistra e operai
invitati all’assise.

 

Partito Socialista del Lavoro

Consiglio Nazionale

Bucarest/Romania

Tel/Fax: +40-21-413.33.54

E-mail:c.cretu@... www.psm.ro

 
Cari amici,

Siamo molto onorati del vostro messaggio di solidarietà inviato al
Congresso Straordinario del nostro partito e abbiamo il piacere di
informarvi che il nostro congresso svoltosi il 23 agosto è stato un
successo. Il nuovo presidente del nostro partito è Constantin Rotanu
che, nel periodo 1992-1996, è stato deputato del Partito Socialista del
Lavoro nel parlamento romeno.

Come sapete, la Romania è divisa in 41 contee (Judete), inclusa la
capitale Bucarest. Di tutte le 41 filiali (organizzazioni di contea)
del nostro partito, 27 hanno partecipato al congresso, dove erano
presenti 350 delegati in rappresentanza di 31 contee, i quali hanno
votato all’unanimità contro il “Protocollo di fusione per
assorbimento”, siglato dall’ex presidente Ion Sasu con il Partito
Democratico Sociale (i socialdemocratici di Ion Iliescu e Adrian
Nastase, al governo del paese, fautori dell’adesione incondizionata
della Romania alla NATO e del coinvolgimento del paese nelle avventure
militari USA, a cominciare da quella in Iraq, dove è presente un
contingente di circa 400 soldati romeni, nota del traduttore).

Secondo la legge 14/2003 sui partiti politici della Romania,
l’approvazione della “fusione per assorbimento” tra due partiti, deve
essere ratificata dall’organo supremo di ciascun partito in sede
congressuale. L’ex leader del nostro partito Ion Sasu insieme ad altri
26 membri (su un totale di 141) del vecchio Consiglio Nazionale del
Partito Socialista del Lavoro, che sono entrati nel Partito Democratico
Sociale firmando il “Protocollo”, non hanno avuto il coraggio di
organizzare un Congresso, perché sapevano bene che l’opinione della
maggioranza dei nostri iscritti era di opposizione alla fusione.

In contrasto con la legge 14/2003, promossa proprio dal Partito
Democratico Sociale, questo partito ha influenzato con pressioni
politiche la Corte di Giustizia, in modo tale che il Tribunale di
Bucarest ha deciso il 21 agosto di accettare come valida la fusione e
di cancellare il Partito Socialista del Lavoro dal “Registro dei
Partiti Politici”.

Tale decisione sarà resa pubblica nei prossimi giorni, è l’unica
soluzione che ci rimane è quella di fare ricorso alla Corte d’Appello
di Bucarest nei tempi previsti dalla legge. Sulla base di tali
considerazioni, al momento, siamo interessati a ricevere da tutti i
partiti di sinistra nostri amici di ogni parte del mondo, messaggi di
solidarietà verso la nostra lotta contro l’azione intrapresa dal
Partito Democratico Sociale, che si propone di assorbire con mezzi
illegali il nostro Partito Socialista del Lavoro, allo scopo di
cancellare per molto tempo la presenza di forze socialiste di sinistra.

Come ben sapete, molto tempo fa la solidarietà internazionale
rappresentava una fondamentale caratteristica delle relazioni tra tutti
i partiti di sinistra. Sfortunatamente, al momento, la solidarietà
internazionale sembra caratterizzare maggiormente i partiti di destra.

In queste circostanze apprezzeremmo moltissimo il vostro sostegno,
attraverso l’invio alPrimo Ministro Adrian Nastase, che è il presidente
del Partito Democratico Sociale, alFax no.+40-21-222.58.14,
Tel:+40-21-230.36.60/314.34.00; alPresidente della Romania, Ion
Iliescu, che rimpiazzerà Nastase nel ruolo di capo del Partito
Democratico Sociale dopo le elezioni presidenziali che avranno luogo
nel 2004, alFax no.+40-21-410.38.58,
Tel.+40-21-410.39.41/410.00.81/410.05.81; aMrs. Rodica Stanoiu,
Ministra della GiustiziaalFax:+40-21-315.53.89,
Tel.+40-21-410.75.45/410.74.97; eall’Internazionale Socialista e alle
altre organizzazioni legali internazionali, vostrelettere di protesta,
solidarietà e appoggio verso la giusta causa e la lotta del nostro
Partito Socialista del Lavoro, per il suo diritto all’esistenza sotto
questo nome, nel rispetto della volontà della maggioranza degli oltre
110.000 membri del partito.

Approfittiamo dell’occasione per trasmettervi tutta la nostra
solidarietà ed amicizia e per assicurarvi che, passato questo
difficilissimo momento nella vita del nostro partito, svilupperemo
strettissime relazioni, ad ogni livello, tra i nostri partiti e su
scala internazionale.

Con amicizia e solidarietà

Constantin Cretu

Vicepresidente del Partito Socialista del Lavoro

(Traduzione di Mauro Gemma)


=== 2 ===

PARTITO SOCIALISTA DI LETTONIA: IN MERITO ALLE CONDIZIONI DELLE
MINORANZE NAZIONALI IN LETTONIA

www.solidnet.org                                                        
                                                 22 luglio 2003

Dal Partito Socialista di Lettonia

http://www.vide.lv/lsp/, mail to:treikals@...

 
Recentemente il Partito Socialista di Lettonia ha richiamato
l’attenzione dell’Unione Europea sulle condizioni di disparità, in cui
versano le minoranze etniche e linguistiche che vivono sul territorio
della repubblica baltica.

NOTA INFORMATIVA

In Lettonia, dal 1995 è in atto la transizione del sistema educativo
delle minoranze nella lingua di stato, il Lettone. La “Legge
sull’Educazione della Repubblica di Lettonia” costituisce la base
legale della riforma.

La minoranza etnica Russa rappresenta il 29,2% del totale della
popolazione. La minoranza linguistica Russa, vale a dire coloro che
indicano la lingua Russa come propria lingua madre, raggiunge il 37,3%.
La minoranza linguistica Russa include non solo la maggior parte degli
appartenenti all’etnia Russa, ma anche molti Bielorussi, Ucraini,
Ebrei, Polacchi, Lettoni e residenti di altre nazionalità.

Un sistema ben sviluppato di scuole per le minoranze nazionali esiste
in Lettonia, dove il 98,6% degli studenti studiano il Russo. Esso fu
realizzato nello stato indipendente della Lettonia già nel 1919, e si è
ulteriormente sviluppato durante il periodo sovietico, quando solo le
scuole russe funzionarono dopo il 1940, mentre le scuole delle altre
minoranze vennero chiuse. Restituita l’indipendenza alla Lettonia nel
1991, vennero ristabilite anche le scuole polacche, ebree, bielorusse e
lituane.

Oggi, un numero considerevole di famigliari di studenti istruiti in
lingua Russa ha reclamato molte volte che possa essere mantenuta
l’opportunità di studiare nella lingua madre in scuole finanziate dallo
Stato. L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nella sua
risoluzione 1236 (2001), insieme ad altre organizzazioni
internazionali, ha indirizzato alla Repubblica di Lettonia un appello a
mantenere il dialogo con i famigliari degli studenti. Ma i politici e
il governo ignorano ogni richiesta e raccomandazione, rifiutandosi di
aprire un dialogo fruttuoso con le organizzazioni dei familiari.

Le restrizioni nell’istruzione nella lingua madre delle minoranze
contraddicono le pratiche in vigore, gli standard dei diritti
all’educazione delle minoranze nazionali. Ne potrebbe derivare una
deformazione nell’autoconsapevolezza nazionale degli studenti, un basso
livello di competitività dei giovani nel mercato del lavoro e una
crescita dell’estremismo che potrebbe condurre la società a un
conflitto interetnico.

Facciamo appello ai deputati del Parlamento Europeo perché rivolgano
particolare attenzione alle richieste di cittadini contribuenti,
appartenenti alle minoranze nazionali della Lettonia, che intende
diventare uno stato membro dell’Unione Europea.

M. BEKASOV

Vicepresidente del Partito Socialista di Lettonia,
osservatore dell’8° Saeima della Repubblica di Lettonia
al Parlamento Europeo

(Traduzione di Mauro Gemma)

 

Testi di Mira Markovic


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IN LINGUA ITALIANA
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"La risposta"

adattamento alla lingua italiana di Marisa Fadda
traduzione dal serbo di Dragan Mraovic
Edizioni internazionali "Beta", Roma 1998

stralci su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2380

---

La notte e il giorno : diario, dicembre 1992-luglio 1994

adattamento alla lingua italiana di Marisa Fadda
traduzione dal serbo a cura di Dragan Mraovic
Roma : Beta , [1998]

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Diario : 1992-1994

di Mira Markovic Milosevic
traduzione di Branka Nicija
Napoli : Pironti, 1999. - 366 p. ; 21 cm.

---

ALTRI TESTI IN LINGUA ITALIANA

"Faremo gli Stati uniti dei Balcani"

Conversazione con Mira MARKOVIC, professoressa di sociologia
all’Università di Belgrado e leader della Jul
(da LIMES 3/1998)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/228

"Tutti i colori possono stare insieme tranne il nero"

da "Notte e giorno - Diario", BMG Belgrado 1995
(da LIMES 3/1996)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/228

Intervista a "La Stampa", 28/6/2001

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1113


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IN LINGUA INGLESE / IN ENGLISH
---

"All people in Yugoslavia should live together"
A speech by MIRJANA MARKOVIC,
Belgrade 10 march 1999:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/365

---

Date: Tue, 2 Sep 2003 11:28:38 -0400 (EDT)
From: "Wolfgang Mueller"
To: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Subject: (Yugoslavia) Books worth reading

"Andrej Nj."
Datum: Sun, 31 Aug 2003 11:03:35 -0700


*** TITLE: Answer

AUTHOR: Mira Markovic

Product Details:

ISBN: 1550821695
Format: Hardcover, 160pp
Pub. Date: May 1997
Publisher: Quarry Press

From the Publisher:

Given that Dr. Mira Markovic is the wife of Serbian president
Slobodan Milosevic, perhaps one could have expected from this book a
diatribe against the West, a propagandistic tool of Serbian
nationalism. If such is looked for, it is not to be found here. For an
interpretation of why the multifaceted ethnic and religious Federal
Republic of Yugoslavia has broken down into a strife which has baffled
Europe and the world - for this reason alone, Answer is worth reading.
Mira Markovic laments that the southern Slavic peoples had much more in
common, historically and culturally, than that which divides them. She
bemoans the fact that the works of Miroslav Krleza can no longer be
studied in Serbia and those of Janko Veselinovic and Djure Jaksic in
Croatia. She laments the passing of Serbia into nationalism and
chauvinism, greed and egoism as opposed to socialism and altruism. She
is varying in her levels of criticism of Serbia and the Serbian
establishment - but she is at all times critical. This is a book of the
Left, and also a critique of the same. With the Left, worldwide, in
disarray it is refreshing to read such an eloquent advocate of
left-wing ideas and socialism. Those of the old, humane, humanitarian,
utopian, justice-seeking Left will find much to reflect on, much to
appreciate, much to agree on, and maybe even a cause for
hope.


*** TITLE: Night and Day

AUTHOR/S: Mira Markovic, Margot Milosavljevic, Bosko Milosavljevic


From the Publisher:

Originally published in Belgrade during the fall of the Federal
Republic of Yugoslavia, Night & Day offers a special personal insight
into the events and personalities of this era. Mira Markovic is ideally
placed by virtue of her family and education to offer such a response.
Her parents fought alongside Tito in resisting Nazi occupation (her
mother was executed by the Nazis); she is married to Serbian president
Slobodan Milosevic; she is a respected Professor of Sociology at the
University of Belgrade; and she is a leading intellectual of the Left
in her country.
Mira Markovic writes from the perspective of an individual who grew up
in the socialist system that made Yugoslavia the envy of the communist
world. Her Yugoslavia was not a country of Croats, Serbs, Montenegrins,
Slovenes, and Muslims, but a country with a federal identity that
subsumed these ethnic and religious affiliations. She represents the
remaining communists who have seen the rise and fall of the world
created by Tito's partisans, and she serves as a witness to the
aftershocks of the collapse of this federation into chaos. Her writing
is informed by her intelligence and charged by her emotional response
to events. There is no better way to understand the crisis in
Yugoslavia than to read this book.

> http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200308_452_1_eng.txt

IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 452, August 13, 2003

MACEDONIA: PRESS TAKEOVER CONCERNS

There's concern the WAZ media acquisitions will create a monopoly in
weak media market.

By Ana Petruseva in Skopje

Macedonian journalists have welcomed the takeover of three major
newspapers by the German media giant WAZ, saying it will give them
greater political independence - but some media analysts warn that the
move could lead to a monopoly.

On July 28, the Essen-based WAZ group bought controlling shares in
Dnevnik, Vest and Utrinski Vestnik, the three dailies with the highest
circulation - jointly estimated at 120,000.

The three titles will be managed and distributed by a new umbrella
company called Media Print Macedonia, as a way of reducing overheads.
The firm is to be headed by Srdjan Kerim, a former Macedonia foreign
minister who was special adviser to the ex-head of the European Union's
Balkans Stability Pact, Bodo Hombach, now a WAZ director.

Although details of the deal were not disclosed, IWPR has learned that
the Germans acquired an 81.9 per cent stake in Dnevnik and 51 per cent
in the other two papers.

WAZ has pledged not to interfere in editorial policy. Hombach recently
told Deutsche Welle radio, "We are the better alternative for
journalists who want to work free of manipulation and influences.... We
have strong partners in Macedonia, and we will leave the editors to do
their job."

Editors and shareholders see the takeover as a positive step that will
raise professional standards and strengthen the media's independence
from political pressure.

Dnevnik, centrist and nationalist in outlook, dominates the print
scene. It has maintained its role as a leading independent news outlet
since it was founded in 1996. At the time, it was the only opposition
to the state-owned media.

Its chief editor, Branko Geroski, says the WAZ deal is good for his
paper. "We were making a profit and we had a high circulation, but we
had to think about the big picture," he told IWPR. "We realised WAZ was
a serious strategic partner and we simply could not say no - we had to
think how we could develop further."

He thinks the profit motive will guarantee editorial freedom, "You have
to work profitably in order to maintain your independence because when
you are struggling for survival you are vulnerable to political
pressure."

Goran Mihajlovski, editor in chief of the tabloid Vest, said German
investment would bring higher quality and lower costs, making the
papers more competitive. "Now we can focus more on the content, we
don't have to worry about ads," he said.

Diplomats are cautiously optimistic that WAZ will help the media become
free of political interference.

"What the Macedonian press badly needs is independent and unbiased
media where journalists report objectively, instead of spreading
confusion and insecurity by reporting rumours," said a western diplomat
who asked not to be named. "Very often we see journalists here taking
up the role of politicians."

The Macedonian media are vulnerable to pressure from politicians, and
most outlets have historically had political affiliations. Successive
governments have been able to exert considerable influence by
pressuring commercial advertisers - the media's major source of income.

Journalists working on the three dailies were reluctant to comment on
the deal. So far no job cuts have been announced as a way of trimming
costs.

Others in the Macedonian media are worried that the German takeover
will skew the small market for newspapers, making it less rather than
more competitive. They fear that WAZ will simply squeeze out weaker
titles by attracting advertising with cheaper rates, and printing and
distributing editions for less money.

"It will no doubt increase both journalistic standards and the media's
professional abilities," said Ljupco Zikov, owner of the economic
weekly Kapital. "However, there is a problem with a monopoly situation
on the publishing market, given that WAZ will hold over 80 per cent of
it."

Aco Kabramov, editor in chief of A1 Television, fears that editorial
standards will ultimately suffer, "I think that this deal will have a
negative affect on the media scene as it will impose an monopoly. No
matter how independent the editorial policy seems, it will not
contribute to professionalism or pluralism... The three newspapers will
be under the same company and that will ultimately lead to a more or
less unified editorial policy."

This IWPR reporter approached WAZ lawyers in Skopje on several
occasions for comment on the aforementioned concerns, but was told that
company representatives were not available for interview.

The government's anti-monopoly committee has yet to issue a view on
whether WAZ's acquisitions are in line with ownership regulations.

Elsewhere in the Balkans, the effect of WAZ's massive investments, some
say, has distorted already weak commercial markets.

In Bulgaria and Croatia, the group has effectively gained control over
large swathes of the print media. Last year, it moved into Serbia,
taking a 50 per cent share in the dominant publishing house that owns
the leading daily Politika.

At present, there is no big player in Macedonia's media, since the
once-powerful publishing house Nova Makedonija - a state-owned monopoly
for nearly 60 years, with several dailies and many periodicals - has
lost much of its influence.

The country's leading dailies Nova Makedonija and Vecer are now
marginalised, with huge debts and circulation falling to below 1,000.
The country currently has a total of eight dailies, six in Macedonian
and two in Albanian.

Klime Babunski of the Institute for Sociological, Political and Legal
Research believes WAZ may go on to make further acquisitions. "This
will not be the end of it," he said. "I don't see why WAZ shouldn't
expand into the weekly market. They have the resources for it, and the
interest."

Ana Petruseva is IWPR's coordinating editor in Skopje.


(...) Balkan Crisis Report is supported by the Department for
International Development, the European Commission, the Swedish
International Development and Cooperation Agency, The Netherlands
Ministry for Foreign Affairs, and other funders. IWPR also acknowledges
general support from the Ford Foundation. For further details on this
project, other information services and media programmes, visit IWPR's
website: www.iwpr.net (...)

"LA MACEDONIA DEVE DIVENTARE UN PROTETTORATO DELL'EUROPA E DEGLI STATI
UNITI"

Sono le parole testuali di Avdil Jakupi, leader del terrorismo
pan-albanese in Macedonia (FYROM).

Jakupi chiarisce in questo modo che la colonizzazione USA-UE e la
creazione della Grande Albania con la violenza non sono due progetti
distinti, bensi' sono due aspetti perfettamente coerenti di uno stesso
progetto neofascista, vicino al compimento oggi nei Balcani, ai danni
di tutti i popoli della regione.

Il suo gruppo (ANA, "Esercito Nazionale Albanese") oltreche' nella
FYROM e' attivo anche in Serbia, nella valle di Presevo a ridosso della
provincia del Kosovo, e nello stesso protettorato del Kosovo, dove
probabilmente ha il suo centro direzionale. Secondo il vice primo
ministro serbo Covic, l'ANA non esiste come tale: si tratta solo del
nuovo travestimento dell'UCK, che e' tuttora attivo avendo conservato
intatte le sue strutture sotto la copertura del "Corpo di Protezione
del Kosovo". Come tutte le altre formazioni nazionaliste panalbanesi,
l'ANA si propone di spaccare gli Stati balcanici confinanti con
l'Albania per creare una Grande Albania etnica.
I miliziani ANA si muovono tranquillamente a cavallo dei vari confini
con il supporto di strutture K-FOR (NATO) e della base USA di Camp
Bondsteel.

(a cura di I. Slavo)


http://www.ptd.net/webnews/wed/bb/Qmacedonia-albania.RrHh_DS4.html

Albanian rebel leader threatens to launch war in
Macedonia

SOFIA, Sept 4 (AFP) - The self-declared commander of
the banned Albanian Liberation Army (ANA), Avdil
Jakupi, Thursday threatened to launch a separatist war
in Macedonia in an interview with Bulgaria's bTV
private television.
"Macedonia cannot be a state because Prime Minister
Branko Crvenkovski is a criminal who is implicated in
the murder of (slain Serbian prime minister Zoran)
Djindjic", Jakupi told bTV by telephone.
"Because of this we will rise up and start a war," the
rebel, who is wanted by Macedonian police, added.
"Macedonia must become a protectorate of Europe and
the United States."
ANA on Monday issued an ultimatum to the Macedonian
police, demanding that they withdraw from the
Albanian-majority north of the country.
They had set Thursday evening as the deadline for the
government to heed their call, but later extended it
indefinitely.
The rebel movement has also demanded that the Albanian
authorities declare a general amnesty and free
detained ANA members, whom they consider political
prisoners.
ANA has claimed responsibility for several attacks in
Macedonia since late 2001 after the end of an ethnic
Albanian insurgency, when the now defunct National
Liberation Army (NLA) laid down arms following a
Western-brokered peace agreement with the government.

La dittatura della borghesia:
Repubblica Ceca e Federazione Russa

1. Attenti a Praga: il caso di David Pecha
2. Dichiarazione del C.C. del PCFR in merito alla prosecuzione del
boicottaggio informativo del partito


=== 1 ===


Da: "CONTROPIANO" <cpiano@...>
Data: Gio 4 Set 2003 12:42:22 Europe/Rome


ATTENTI A PRAGA

                                         
Una recente notizia ha riportato alla ribalta la dura realtà dei
cosiddetti regimi post comunisti dell’Europa dell’Est.

Il prossimo 23 settembre David Pecha, un ventiseienne militante
comunista di una cittadina della Repubblica Ceca, verrà processato per
aver scritto sul giornale “Pochoden” (“La fiaccola”), di cui è
caporedattore, che l’unico modo per risolvere il problema  della
disoccupazione nel suo paese è quello di mettere fine al regime
economico capitalista.

Il ragazzo, senza aver compiuto nessun reato se non quello di aver
espresso una opinione – cioè quella di preferire la dittatura del
proletariato a quella di un esiguo numero di capitalisti – è stato
accusato di “incitamento all’odio di classe”, e rischia ora di essere
condannato a ben otto anni di galera.

Questa è la realtà di un Paese che per entrare nell’Unione Europea si
appresta a cancellare garanzie sociali per i lavoratori e per le donne,
alzando l’età pensionabile e aumentando i contributi, privatizzando i
servizi sociali e cancellando per gli insegnanti, da un giorno
all’altro, il diritto a ricevere la tredicesima e la quattordicesima.

Contro gli insegnanti in sciopero la classe politica ceca ha scatenato
una infamante campagna stampa, e allo stesso modo i mezzi di
“informazione” stanno tentando di criminalizzare David Pecha col fine
di intimidire le forze comuniste che pure nel paese rappresentano una
realtà di massa.

E’ significativo il silenzio mediatico sulla realtà di un paese, la
Repubblica Ceca, che per anni è stato il capofila della campagna di
criminalizzazione di Cuba e che veniva descritto come un’isola felice
di democrazia nell’Est europeo.

La Rete dei Comunisti esprime tutta la propria solidarietà al compagno
colpito dalla repressione, e invita tutti i comunisti e le forze
progressiste e democratiche a dimostrare apertamente il proprio
appoggio ai comunisti cechi, e in particolare a David Pecha.
Condanniamo fermamente la violazione dei diritti fondamentali dei
cittadini nella Repubblica Ceca, come il diritto alla libera opinione
ed espressione, all’informazione, di manifestazione. Chiediamo il
proscioglimento di David Pecha e l’abrogazione di tutte le leggi
antidemocratiche varate negli ultimi anni dal cosiddetto regime
democratico della Repubblica Ceca.

La Rete dei Comunisti – (Italia)

Giovedì 4 settembre 2003

---

(La Stampa del 28/8/2003)

PROCESSO PER APOLOGIA DI COMUNISMO 
Francesca Sforza 
corrispondente da BERLINO 

PRAGA DECIDE CHE MARX E’ FUORILEGGE
 
 SE Togliatti è in paradiso, come dice Andreotti, quaggiù in terra i
comunisti non se la passano per niente bene. Ne sa qualcosa David
Pecha, ragazzo moravo di 26 anni, che per aver scritto su un
giornaletto di sinistra che l’unico rimedio all’ingiustizia sociale è
la dittatura del proletariato, si è visto condurre davanti a un
tribunale dalle autorità della Repubblica Ceca con l’accusa - niente
meno - di apologia di comunismo. L’udienza decisiva è prevista per il
prossimo 23 settembre, quando David dovrà dimostrare davanti alla Corte
di Sumperk, cittadina a duecento chilometri da Praga, che i suoi
articoli sul «Pochoden» («La Fiaccola») potranno pure essere un po’
estremisti, ma non al punto di meritare otto anni di carcere, come ha
chiesto il pubblico ministero Vlastimil Flasar. «L’imputato Pecha – ha
dichiarato il suo accusatore – si lamenta delle ingiustizie sociali, e
su questo posso anche essere d’accordo, ma come unica soluzione propone
di fare la rivoluzione e instaurare la dittatura del proletariato, e
questo invece è contro la legge». Poco importa che la legge ceca
preveda il reato di associazione eversiva, che al limite sarebbe
suonato meno ridicolo di quello di apologia di comunismo (soprattutto
in un paese in cui i comunisti siedono ancora in Parlamento
legittimamente eletti dal 12 per cento della popolazione). E poco
importa anche che con la fine del comunismo quello vero, la Repubblica
Ceca stia oggi per entrare nell’Unione Europea, in cui ne succedono
tante, è vero, ma una cosa così non si era ancora mai sentita. Gli
organismi internazionali per la libertà di stampa guardano con molta
attenzione al verdetto della Corte di Sumperk, che tra l’altro sarà
pronunciato da una giudice di qualche anno più grande dell’imputato,
alla sua prima prova in aula. Una condanna a David Pecha, se non
sostanziata da prove che dimostrino un collegamento diretto con gruppi
armati, significherebbe l’inizio di una crociata sul diritto d’opinione
che rischia di coinvolgere tutte le giovani democrazie dell’Est
europeo, con inevitabili ricadute sui delicati equilibri dell’Unione.
«La magistratura sta facendo un grosso errore – spiega Peter Uhl,
socialdemocratico ed editorialista del quotidiano “Pravo” –. Stanno
perseguendo una persona che ha forse idee estremiste, ma in nessun modo
è un criminale. Non c’è alcuna prova che abbia commesso azioni
violente, o che abbia istigato alla violazione delle regole
democratiche. E’ una vicenda assurda: in una società democratica non si
può punire una persona per le proprie opinioni». Dalle colonne del
«Pravo», Peter Uhl ha lanciato un appello ai comunisti che siedono nel
Parlamento ceco per sostenere la causa di David Pecha e della libertà
d’espressione. «Non ho ricevuto nessuna risposta – dice – e so di aver
creato molto imbarazzo». Pare che i comunisti non considerino il
ragazzo «abbastanza» comunista. Solidarietà al compagno Pecha, dunque,
comunque vada.  


=== 2 ===


Dichiarazione del C.C. del PCFR in merito alla prosecuzione del
boicottaggio informativo del partito

http://www.kprf.ru/zuganov/news/17694.shtml
                                                    
29 agosto 2003
 

Con l’approssimarsi della scadenza delle consultazioni politiche di
dicembre in Russia, si intensificano i tentativi da parte del regime di
condizionare l’andamento della campagna elettorale, attraverso un
ulteriore inasprimento del già rigido controllo sugli strumenti di
informazione di massa. Se ciò non dovesse bastare, appare scontato il
ricorso all’uso massiccio della pratica dei brogli, che già in passate
consultazioni hanno sottratto ai comunisti milioni di voti. Come
risorsa estrema, settori del regime (è la tesi sostenuta dal giornale
“Novaya Gazeta”, ripresa da “Radio Free Europe/Radio Liberty”)
potrebbero addirittura tentare la strada di un vero e proprio colpo di
stato, sapendo di poter contare, come avvenne ai tempi del sanguinoso
golpe del 1993, sul sostegno dell’Occidente. La partita in gioco è
estremamente delicata: se i comunisti confermassero gli attuali
sondaggi, che li danno ampiamente in testa, potrebbero riconquistare
una maggioranza determinante alla Duma. Non solo. In un simile scenario
politico, si scatenerebbe, con esiti imprevedibili, una lotta (al
momento condotta in modo sotterraneo) senza esclusione di colpi
all’interno dello stesso schieramento governativo e delle forze
centriste – caratterizzato da un precario equilibrio - tra i fautori di
un’accelerazione dei processi di integrazione della Russia nel “nuovo
ordine mondiale” ed i settori più sensibili alla difesa degli
“interessi nazionali”, sostenitori di un maggiore protagonismo della
potenza eurasiatica nello scenario mondiale. In tali condizioni di
netto spostamento a sinistra, la condotta politica dello stesso Putin
sarebbe soggetta a condizionamenti tali da riservare sorprese alla
vigilia della campagna per le elezioni presidenziali.

Già al momento dell’avvio dell’accordo sulle procedure della campagna
elettorale, sottoscritto, oltre che dai partiti partecipanti alla
competizione, anche dalla “Commissione elettorale centrale”, e definito
“Patto sociale Elezioni 2003”, si sono verificate le prime gravi
violazioni a danno proprio del PCFR.

L’accordo ha avuto il suo primo “banco di prova”con lo svolgimento di
una “Fiera” propagandistica, aperta alla partecipazione di tutti i
principali partiti. Essa si è svolta alla fine d’agosto nel centro di
Mosca ed è stata visitata da decine di migliaia di cittadini. In tale
occasione, il PCFR è stato protagonista delle iniziative di gran lunga
più affollate: i sondaggi, effettuati tra i visitatori, hanno
attribuito ai comunisti il 30% dei consensi (il dato è ancor più
significativo, se si considera che a Mosca il PCFR è tradizionalmente
molto debole).

Ebbene, la partecipazione dei comunisti alla “Fiera”, non è stata
ripresa da alcun canale televisivo nazionale russo. Solo l’edizione
russa di “Euronews” ha ospitato un breve servizio.

L’episodio, che non lascia certo ben sperare nel corretto svolgimento
della campagna elettorale, soprattutto nelle ultime fasi, è stato
immediatamente denunciato dal leader del PCFR Ghennadij Zjuganov in una
dura dichiarazione.

M.G.


29 agosto 2003

Il presidente del CC del PCFR G.A. Zjuganov

 
Non si è ancora asciugato l’inchiostro, con cui i rappresentanti dei
partiti, dei movimenti, della comunità giornalistica, degli esperti di
tecnologie politiche e della “Commissione elettorale centrale” hanno
firmato il “Patto sociale Elezioni 2003”, che già assistiamo alla prima
violazione dello spirito e della lettera di tale documento.

La televisione russa, i suoi canali principali – sia quello cosiddetto
“sociale” che quello statale – hanno deciso di mantenere il silenzio in
occasione della presentazione del più forte partito del paese: il PCFR.
L’unico canale televisivo, che ha trovato il coraggio di concedere uno
spazio ai comunisti di Russia, è stato la rete “Euronews”.

In tal modo, uno dei protagonisti del processo elettorale, vale a dire
il sistema degli strumenti di informazione di massa, si schiera
apertamente dalla parte dei partiti filogovernativi, filopresidenziali,
rifiutandosi di adempiere al proprio dovere nei confronti del popolo e
della società. I corrispondenti e i redattori degli strumenti di
informazione di massa sono venuti meno in pratica all’obiettività e
all’imparzialità, che dovrebbero costituire il fondamento della loro
professione.

Se ciò accade immediatamente dopo la sigla di un “patto di buone
intenzioni”, significa che ci si appresta a mettere in pratica i
disgustosi metodi di “killeraggio” televisivo, che abbiamo già dovuto
subire nel 1999. Noi, e con noi la società russa, sappiamo bene chi
(Putin, nota del traduttore) è debitore del proprio successo politico
alle tecniche di manipolazione politica utilizzate a quel tempo.

Ma la società non tollererà che si ripeta quanto accadde allora. Il
popolo della Russia è ormai immunizzato nei confronti della menzogna
televisiva, e non si riuscirà ad ingannarlo una seconda volta con la
nuova edizione del “partito del potere”.

Ricordiamo che il PCFR ha firmato il “Patto sociale Elezioni 2003” con
la precisa clausola, che contempla la creazione di reali meccanismi di
controllo dell’osservanza del trattato.

Se il Consiglio di Vigilanza del “Patto sociale” non indirizzerà al
Presidente della Federazione Russa, al Presidente della Corte Suprema
della Federazione Russa, al Procuratore Generale della Federazione
Russa, ai dirigenti degli organi di tutela giudiziaria e del Ministero
della Giustizia una dichiarazione con la richiesta di garantire
effettivamente la difesa della espressione della volontà dei cittadini,
il PCFR si vedrà costretto a mettere in discussione l’opportunità di
continuare il suo lavoro nell’ambito del Consiglio stesso.

Inoltre, restiamo in attesa di una presa di posizione del Consiglio di
Vigilanza in merito a un avvenimento che mette in evidenza la mancanza
di obiettività della televisione russa.

 
Traduzione dal russo di Mauro Gemma

   

> http://www.apisgroup.org/article.html?id=1388

The Center for an Informed America

CNN - The CIA's News Network?

How it works?
Dave McGowan


In February of this year, a story that had appeared in the European
press was reported by Alexander Cockburn - co-editor of Counterpunch -
concerning the employment by CNN of military psychological warfare
specialists. Other than Cockburn's piece, and the issuance of an
'Action Alert' by the media-watchdog group FAIR (Fairness and Accuracy
in Reporting), the report was ignored by the American press.

As originally reported by Abe de Vries in the Dutch periodical Trouw,
the story went something like this: "For a short time last year, CNN
employed military specialists in 'psychological operations' (psyops).
This was confirmed to Trouw by a spokesman of the U.S. Army. The
military could have influenced CNN's news reports about the crisis in
Kosovo." (1)

Could have? The word 'duh' would seem to apply here. In fact, here's a
news flash: the military influenced the news reports of all the media
outlets that covered the Kosovo bombardment. The only news coming from
the area was coming from NATO and the Pentagon. When you are the sole
source of information, you tend to have a lot of influence.

But that's not the issue here. The concern here is with CNN hiring
military personnel to package for viewers the information provided as
'news' by other military personnel. This is said to be a most
disturbing development, and I suppose it would be were it not for the
fact that the U.S. media - as a whole - is infested with so many
intelligence assets that it is hard to see how a few more in the mix
could make much of a difference.

Of course, most of them are posing as reporters, editors, news anchors,
analysts, producers, publishers, etc. The difference here is that these
particular spooks were employed openly at CNN, without journalistic
cover. As Major Thomas Collins, of the U.S. Army Information Service
acknowledged:

"Psyops personnel, soldiers and officers, have been working in CNN's
headquarters in Atlanta through our programme 'Training With Industry'.
They worked as regular employees of CNN. Conceivably, they would have
worked on stories during the Kosovo war. They helped in the production
of new typa of news."(2)

The phrase "production of news" is notably ambiguous when used in this
context. It could easily be defined as the manufacture of news.
Manufacturing news is, in fact, exactly what psychological warfare
specialists do. As de Vries notes:

"The military CNN personnel belonged to the airmobile Fourth
Psychological Operations Group, stationed at Fort Bragg, North
Carolina. One of the main tasks of this group of almost 1200 soldiers
and officers is to spread 'selected information'. [We should pause
here, briefly, to note that in this context, the phrase 'selected
information' generally means vicious distortions and outright lies.|

"American psyops troops try with a variety of techniques to influence
media and public opinion in armed conflicts in which American state
interests are said to be at stake. [We need to pause again to note that
'American state interests' generally means the financial interests of
U.S. monopoly capitalists.] The propaganda group was involved in the
Gulf war, the Bosnian war and the crisis in Kosovo." (1)

In other words, they did during the war in Kosovo what they have always
done. This time, however, they did it more openly. This could have
proven to be a major blunder for CNN, with scores of competitors airing
this story to embarrass and discredit a rival. But that would require
that we have some actual semblance of a free press.

Instead, what happened was that the story got a couple of brief
mentions in the alternative press that were easily overlooked and
ignored. And this was only after the translated article began appearing
on internet sites, most notably on the Emperor's Clothes. Had this not
been the case, the story likely would not have surfaced at all on these
shores.

Nor would a follow-up article by de Vries in the same publication a few
days later. De Vries refers to the Commander of the Fourth
Psychological Operations Group, Colonel Cristopher St. John, who
described the cooperation with CNN as "a textbook example of the kind
of ties the American army wants to have with the media." (2)

The kind of ties that will allow it "to spread handpicked 'information'
and keep other news quiet, ... to control the internet, to wage
electronic warfare against disobedient media, and to control commercial
satellites." (2) Most of which, it should be noted, the intelligence
community already does to varying degrees. Still, the control is not
yet complete enough.

De Vries reports that the psyops personnel were not completely
satisfied with the Kosovo operation: "In their opinion, too much
information about the unplanned results of the bombings has come to the
surface. [We must pause yet again to note that 'unplanned results of
the bombings' refers to the entirely foreseeable civilian carnage.]
Rear Admiral Thomas Steffens of the U.S. Special Operations Command
(SOCOM) reportedly would like to have the capacity to bring down an
'informational cone of silence' over areas where special operations are
in place. What that can mean in reality was shown by the bombing of the
Serbian state television RTS in Belgrade." (2)

Indeed. And speaking of the bombing of the Serbian television station,
there was another story that ran in the European press concerning that
particular incident which also happened to cast CNN in a particularly
bad light. Considerably more so than the story told in the Dutch
publication, in fact.

Significantly, this story was not aired at all in the United States. It
did appear, however, in the U.K., in an article by corespondent Robert
Fisk in The Independent. The report reveals that:

"Two days before NATO bombed the Serb Television headquarters in
Belgrade, CNN received a tip from its Atlanta headquarters that the
building was to be destroyed. They were told to remove their facilities
from the premises at once, which they did." (3)

Apparently it helps to have those psyops specialists on board. Fisk
goes on to recount that the next day, Aleksander Vucic, the Serbian
Information Minister, received an invitation to appear on the Larry
King Live show, ostensibly to give Larry's audience the Serbian view of
the conflict via satellite.

There were two rather serious problems with this invitation, however.
First, the notion that CNN would invite a Serbian official on the air
to give the Serb point of view is rather far-fetched, to say the least.
More importantly, the studio to which Vucic had been invited was now
deserted. Nevertheless, he was asked to arrive for makeup at 2:00AM for
a 2:30AM appearance.

"Vucic was late - which was just as well for him since NATO missiles
slammed into the building at six minutes past two. The first one
exploded in the make-up room where the young Serb assistant was burned
to death. CNN calls this all a coincidence, saying that the Larry King
show, put out by the entertainment division, did not know of the news
department's instruction to its men to leave the Belgrade building." (3)

CNN's explanation is, of course, preposterous. In fact, the notion that
there is some kind of distinction between CNN's 'entertainment
division' and its 'news department' is rather preposterous as well. The
truth appears to be that CNN was directly complicit in the attempted
commission of a war crime.

And this action was, to be sure, a war crime. The deliberate targeting
of a foreign dignitary for assassination - even in time of war - is
definitely an international war crime. So it appears that our media
have crossed the line from complicity in the covering-up of U.S. war
crimes - which has been a mainstay of the press for decades - to
complicity in the actual commission of war crimes.

A rather serious transgression, one would think, yet one which has been
politely overlooked by the rest of the American media outlets. This is
quite likely due to the fact that the intelligence community and
corporate America pretty much controls all the media.

That is why even when stories such as the CNN/Psyops reports emerge in
the 'progressive' media, albeit in a very limited way, they are
accompanied by amusing commentary and analysis intended to downplay the
significance of the incident.

For example, Cockburn wonders if: "It could be that CNN was the target
of a psyops penetration and is still too naïve to figure out what was
going on." (4) To the contrary, it appears that CNN was well aware of -
and actively participating in - "what was going on."

Similarly, for FAIR what is "especially troubling is the fact that the
network allowed the Army's covert propagandists to work in its
headquarters, where they learned the ins and outs of CNN's operations.
Even if the psyops officers working in the newsroom did not influence
news reporting, did the network allow the military to conduct an
intelligence-gathering mission against CNN itself?" (5)

Or, more likely, is CNN itself an "intelligence gathering mission," and
has it been from its inception? It was CNN, it will be recalled, that
pioneered the concept of military conflict as mini-series - complete
with theme music and title graphics - during the Gulf War. That is, of
course, the blueprint that has been followed by the media at large for
all coverage of U.S. military actions since then.

One of the specific purposes for which CNN seems to have been born is
the packaging of imperialist military conquests as humanitarian
missions. In other words, "to spread 'selected information'" in order
to "influence media and public opinion in armed conflicts in which
American state interests are said to be at stake."

Glorification of U.S. high-tech weaponry, vilification of America's
enemy of the moment, canonization of genocidal military leaders and
advisers, rote reporting of the NATO/Pentagon/State Department line,
deliberate avoidance of reporting clear-cut cases of American brutality
and war crimes - all of these are indicative of a psyops program, not
an allegedly independent news agency.

As the group FAIR noted: "CNN has always maintained a close
relationship with the Pentagon. Getting access to top military
officials is a necessity for a network that stakes its reputation on
being first on the ground during wars and other military operations."
(5)

Being first on the ground during military operations is, to be sure, a
good place to be if one is a reporter. It is also a good place to be,
it should be noted, if one is a member of the spook community.

Whether CNN was born as an intelligence front is probably now largely
an irrelevant issue, as the cable titan has since the Kosovo war
announced that it is to become a part of the AOL family. And AOL is, as
was noted in a recent Spin Cycle article (Sony's Magic Cameras), doing
a pretty damn good job of masquerading as an intelligence front itself.

So if CNN was not originally conceived as a psychological warfare
entity (which appears to be the case, despite its purported status as
the brainchild of Ted Turner, husband of Jane Fonda), it has certainly
evolved into one. And by the way, does anyone remember when Jane was
supposed to be one of the good guys? Just checking.


REFERENCES:

1. Abe de Vries "U.S. Army 'Psyops' Specialists Worked for CNN," Trouw,
February 21, 2000

2. Abe de Vries "The American Army Loves CNN," Trouw, February 25, 2000

3. Robert Fisk "Taken In By the NATO Line," The Independent, July 2,
1999

4. Alexander Cockburn "CNN And Psyops," Counterpunch, March 26, 2000

5. "Why Were Government Propaganda Experts Working On News At CNN?,"
FAIR Action Alert, March 27, 2000


30. avgust 2003. godine

Dini sul caso Telekom Serbia

(vedi anche:
Dini accusa "i manovali della Cia" - Il ministro degli esteri accusa:
l'inchiesta su Telecom-Serbia è manovrata dalla Cia
da "Il Manifesto",1 Marzo 2001
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/819 )


http://www.unita.it/
index.asp?SEZIONE_COD=ARKINT&TOPIC_TIPO=I&TOPIC_ID=28555

L'Unita', 03.09.2003

Dini: qualcuno in alto ha pagato Marini


ROMA «L’onorevole Bondi, portavoce del partito del presidente del
Consiglio, dovrebbe vergognarsi degli spudorati attacchi politici
lanciati contro gli esponenti dell’opposizione. Si tratta di una
gravissima campagna di delegittimazione che, al di là di imbarazzate
smentite, sembra ora voler coinvolgere anche la massima carica dello
Stato». Lamberto Dini non nasconde la sua indignazione nei confronti
«dell’uso politico, del tutto strumentale, fatto dalla maggioranza di
governo delle menzogne dispensate da un poco di buono come Igor Marini
sull’affare Telekom Serbia».

Presidente Dini, i leader della Casa Libertà accusano l’allora governo
dell’Ulivo, di cui lei era ministro degli Esteri, di aver sostenuto sul
piano economico e politico il governo di Belgrado e il regime di
Slobodan Milosevic attraverso lo «sporco affare» di Telekom Serbia.

«È un’accusa fuorviante, strumentale. Perché il governo di Milosevic
era tornato ad essere un interlocutore, sia pur problematico,
dell’Occidente, Stati Uniti in testa. Qui non si deve confondere il
momento in cui questa trattativa fu portata avanti, da sola, in
segretezza da Telecom Italia, più alacremente nei primi mesi del 1997,
con il problema del Kosovo, iniziato dopo il febbraio del ‘99. Ci sono
quasi due anni di distacco e nessuno poteva allora prevedere che
Belgrado assumesse un comportamento non cooperativo con la comunità
internazionale nei riguardi del riconoscimento dell’identità etnica e
culturale dei kosovari all’interno della Federazione [1] . Non si
possono legare le due cose. Io ho ricordato in Parlamento che a seguito
degli accordi di Dayton, del 21 novembre ‘95, che sancivano con il
benestare di Belgrado il nuovo assetto costituzionale della Bosnia
Erzegovina, Milosevic era tornato ad assumere il ruolo d’interlocutore,
per quanto problematico, dell’Occidente, a cominciare dagli Usa,
configurandosi come una sorta di garante dei fragili equilibri
delineati a Dayton. In questa ottica, è di grande rilievo la
dichiarazione di James Rubin (portavoce del Dipartimento di Stato
americano durante gli anni dell’amministrazione Clinton e braccio
destro dell’allora Segretario di Stato, Madeleine Albright, nella
gestione della crisi dei Balcani, ndr.), che in un’intervista a "La
Stampa "dice che quanto dichiarato dall’onorevole Fassino risponde “più
o meno a verità”».

Da cosa nasce questa valutazione di Rubin?

«Gli Stati Uniti, come hanno fatto in altre occasioni, non avevano
tolto nel 1997 le sanzioni contro Belgrado, ma sul piano giuridico il
primo ottobre del 1996, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva
revocato le sanzioni economiche e il provvedimento era stato recepito
nell’ordinamento italiano e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4
novembre ’96. Inoltre, il 27 febbraio del ’97, il Consiglio Affari
Generali dell’Unione Europea ha deciso addirittura di ripristinare nei
confronti della Repubblica federale jugoslava le cosiddette preferenze
commerciali generalizzate, e per tanto non si poteva a quell’epoca
sostenere che c’erano controindicazioni politiche. Noi agivamo con
questo nuovo orientamento internazionale, che era molto chiaro. Questi
sono fatti, non chiacchiere. Nel 1996-1997, dopo gli accordi di Dayton,
la comunità internazionale muoveva dall’idea che era legittimo pensare
a impostare con Belgrado relazioni per un futuro non troppo lontano di
normalizzazione. Non si può dunque parlare di cinismo politico quando è
stata fatta questa operazione da Telecom Italia - condotta senza
informare il governo, senza chiederne la partecipazione - perché
diffusa era la convinzione che dopo la guerra si poteva imboccare con
la Federazione jugoslava la via del negoziato. Non è sorprendente che
in quel periodo, non solo imprese italiane ma anche altre e importanti
imprese europee manifestassero interesse e avviassero trattative con le
autorità di Belgrado che avevano iniziato un programma di
privatizzazione».

L’Unità riportava ieri in prima pagina una dichiarazione, datata 11
settembre 1994, dell’allora ministro degli Esteri del primo governo
Belusconi, Antonio Martino, che sosteneva: «Bisogna aiutare Milosevic
ad uscire dall’isolamento, poiché accettando il piano di pace corre
rischi ad opera dei falchi del suo Paese: senza la cooperazione
internazionale sarebbe in pericolo»...

«Di lì poi sono arrivati gli accordi di Dayton nel 1995, con i quali
Milosevic era tornato ad essere un interlocutore accettabile per
l’Occidente...».

Nove anni dopo, queste considerazioni di Martino sembrano sfuggire alla
memoria dei leader della Casa della Libertà. Perché questo «vuoto di
memoria»?

«Non si può confondere il periodo durante il quale la Telecom Italia
condusse questa trattativa e acquistò all’inizio del 1997 una
partecipazione non di controllo ma di minoranza, del 29%, nella Telekom
Serbia, con il problema del Kosovo. Nel momento in cui Milosevic non
accettò, dopo Rambouillet, febbraio 1999, il dettato della comunità
internazionale che contemplava una presenza militare internazionale, in
particolare per prevenire ulteriori lacerazioni tra la popolazione
serba e la popolazione del Kosovo [2] - l’Italia, lo ricordo, insisteva
per dare maggiore autonomia e riconoscere l’identità etnica e cultura
kosovara nelle scuole e nelle università -, da quel rifiuto, e
dall’inasprimento del conflitto, nacque l’intervento della Nato,
sancito all’unanimità dai membri dell’Alleanza e che l’Italia rispettò
pienamente [3]. Non possono assolutamente accusarci di connivenza con
Milosevic. Il fatto è che Telecom Italia ha condotto da sola questa
trattativa, non ha mai chiesto l’intervento del governo, io non ero
stato informato, e vorrei che si trovasse anche una sola persona che
possa dire di avermi parlato di Telekom Serbia, che sia di Telecom
Italia, delle parti politiche, che siano delle autorità di Belgrado.
Mai nessuno me ne ha parlato».

C’è chi sostiene che si sia trattato di un affare «spazzatura», un
pessimo affare, sotto ogni punto di vista.

«Allora era ritenuta una operazione commerciale come tante altre...».

Ma l’ambasciatore Francesco Bascone non appare di questo avviso.

«L’ambasciatore Bascone ha riportato articoli di giornali
dell’opposizione serba, sostenendo davanti alla Commissione su Telekom
Serbia che l’opposizione non era contenta che imprese straniere,
comprese quelle italiane, attraverso le privatizzazioni dessero un
sostegno finanziario molto forte a Milosevic. Ma questa era il
convincemento dell’opposizione serba e non della comunità
internazionale che invece aveva rimosso le sanzioni. A distanza di sei
anni, si grida ”ma come è possibile che il governo abbia autorizzato
un’operazione che è costata ai contribuenti italiani 800 miliardi”...».

Qual è la sua risposta?

«Si tratta di una fandonia. Quando Telecom Italia fece questa
operazione, riteneva che si trattasse di un’operazione strategica per
la società. Anzi, in Serbia si sosteneva che aveva pagato anche troppo
poco e c’erano gli oppositori di Milosevic nel governo, l’ala più
oltranzista, che affermavano apertamente che Milosevic avrebbe dovuto
chiedere di più per questa transazione. Non è che Telecom
necessariamente pagò troppo, queste sono valutazioni dell’azienda che
ha fatto e ha pagato quello che riteneva un prezzo equo, giusto. Da
allora ci sono stati ripetuti passaggi di proprietà di Telecom, tre per
la precisione: prima c’è stata la partecipazione minoritaria di Fiat e
di altri gruppi, poi intervenne il management di Rossi e Tommasi di
Vignano, poi intervenne Colaninno che cambiò il management,
successivamente intervenne Pirelli e quindi Tronchetti Provera che
cambiò a sua volta di nuovo il management della società. A sei anni di
distanza, Telecom Italia cambiata e rinnovata non ha ritenuto più
strategica quella partecipazione - un’operazione portata a termine da
una società per azioni ormai privatizzata - e quindi ha deciso di
cederla [4]. L’ha venduta per il prezzo giusto? Qualcuno può ritenere
che l’ha venduta a un prezzo troppo basso, ma questa è una valutazione
della società, perché del resto a sei anni di distanza certamente le
attrezzature di Telekom Serbia si erano deteriorate, erano divenute
obsolete, c’era stata la guerra del Kosovo che le aveva debilitate, e
molto probabilmente quella partecipazione aveva perso di valore. Ma
questo cosa vuol dire, che sono stati sprecati i soldi dei contribuenti
italiani? Questa è una vergognosa fandonia. Chi conosce come operano le
società sa bene che si può fare un buon investimento che a distanza di
cinque anni può rivelarsi proficuo e profittevole o, al contrario, può
rivelarsi un cattivo affare. Ma allora cosa c’entrano i discorsi dei
vari Consolo, Gasparri, che dicono “ci spieghino come sono stati
sperperati i denari pubblici..”. Questa è un’operazione condotta da
Telecom Italia e non dal governo italiano».

La montatura dell’«affare Telekom Serbia» è il segno inquietante
dell’imbarbarimento della politica italiana?

«Nella mia esperienza non avevo mai registrato un contrasto politico
così forte, devastante tra governo e opposizione. Mai era avvenuto un
tale imbarbarimento. Alla fine di aprile, l’onorevole Berlusconi si
presenta volontariamente a Milano e accusa Prodi e Amato nell’affare
Sme di tangenti e di altre nefandezze. Una settimana dopo, esce fuori
Marini, che attraverso una lettera anonima o altro si presenta alla
Commissione Telecom Serbia, con tutte le sue fandonie, maldicenze,
invenzioni, un cumulo di falsità e bugie, con le quali la maggioranza
della Commissione ha riempito giornali; la maggioranza si è servita di
questi signori per imbastire una vergognosa, infamante campagna di
denigrazione degli esponenti del centrosinistra e quindi
dell’opposizione. Mai era successa una cosa simile, di servirsi di
mascalzoni per delegittimare l’opposizione e i suoi leader. Quando noi
diciamo che vogliamo sapere chi sono i mandanti, diciamo questo: perché
verrà fuori definitivamente che quello che ha detto Marini sono
soltanto falsità, bugie, invenzioni e che non c’è assolutamente nulla
di vero di tutto quello che ha raccontato gli esponenti. E allora ci
dobbiamo interrogare su chi sono i mandanti...».

E qual è la sua risposta?

«Marini non è nato così, questa è una persona senza un soldo, pieno di
debiti, e che si è fatto pagare da qualcuno per infangare. Per più di
tre mesi, Tv e giornali hanno registrato quotidianamente le “verità di
Marini” sulle tangenti miliardarie prese da Prodi, Dini, Fassino; un
cumulo di falsità prese per buone e amplificate da esponenti della
maggioranza. L’obiettivo era di ingenerare dubbio nei cittadini che
forse c’è qualcosa di vero. Questo è il danno politico che hanno inteso
creare. E lo fanno perché sanno che questo governo fallimentare perderà
le prossime elezioni e dunque si cerca di infangare tutta
l’opposizione. Basta guardare il "Giornale" di Berlusconi che fa cinque
pagine al giorno su questa vicenda, rimasticando vecchie cose,
riciclando dichiarazioni fatte in passato, senza mai aggiungere nulla
di nuovo. E fa questo per ordine ricevuto. Dall’alto, da molto in alto».


NOTE

[1] Dini vuole probabilmente dire che nel 1997 non si poteva prevedere
l'inizio della campagna terroristica dell'UCK, appoggiata dagli USA e
sfociata nella guerra di aggressione del 1999.

[2] Dini vuole probabilmente dire che la Jugoslavia non accetto'
l'allegato B di Rambouillet che prevedeva la occupazione militare NATO
di tutto il paese oltre a porre le basi per la secessione della
provincia del Kosmet.

[3] In effetti e' di questo che si dovrebbero vergognare.

[4] Vedi allegati.


--- allegati ---


TELECOM CEDE PARTECIPAZIONE 29% TELEKOM SERBIA PER 195 MLN

(ANSA) - ROMA, 28 DIC - Telecom Italia ha ceduto il 29% di
Telekom Serbia alla PTT Srbija (azienda pubblica controllata dal
governo di Belgrado) che gia' detiene il 51% della societa'. Lo
comunica l'azienda italiana specificando che il prezzo convenuto e' di
195 milioni di euro e che ''con questa operazione prosegue la politica
di razionalizzazione delle partecipazioni non strategiche''. Telecom
Italia, si legge in una nota, ''comunica di aver accettato in data
odierna una proposta di acquisto del 29% di Telekom Serbia da parte di
PTT Srbija (azienda pubblica controllata dal governo serbo) che gia'
detiene il 51% della societa'. Il prezzo convenuto e' di 195 milioni di
euro (pari all'attuale valore di carico della partecipazione nei
bilanci del gruppo Telecom Italia), con versamento di 120 milioni di
euro entro il closing (previsto per il mese di aprile 2003) e il
pagamento dei restanti 75 milioni di euro entro luglio 2008, con
contemporaneo deposito delle
azioni presso una primaria banca internazionale concordata fra le parti
fino all'integrale pagamento del prezzo''. A favore della societa'
greca OTE (anch'essa partner di Telekom Serbia) sussiste un diritto di
prelazione che la stessa azienda potrebbe decidere di esercitare nei
prossimi 60 giorni lavorativi, salvo il consenso di PTT Srbija.
(ANSA). VG 28-DIC-02 16:39 NNNN
28/12/2002 18:05


TELECOM: PER TELEKOM SERBIA E' L'AFFARE DEL DECENNIO

(ANSA) - BELGRADO, 29 DIC - Il premier serbo Zoran Djindjic
ha confermato oggi che l'azienda statale Ptt Srbija (le Poste
serbe) ha comprato l'intero pacchetto azionario di Telekom Serbia
detenuto da Telecom Italia, in quello che il direttore della Ptt ha
definito ''l'affare del decennio''. In una conferenza stampa a
Belgrado, Djindjic ha confermato che e' stato raggiunto un accordo con
cui Telecom ha ceduto il suo intero pacchetto azionario, pari al 29%
del capitale di Telekom Srbija, per la cifra di 195 milioni di euro. Il
governo e' ora proprietario dell'80% del capitale di Telekom (l'altro
20% e' in mano alla greca Ote). Djindjic ha detto che il governo non ha
intenzione di comprare il 20% detenuto dall'azienda ellenica, precisando
anzi che verra' sottoscritto un nuovo contratto per la salvaguardia
dei diritti di soci di minoranza. Le trattative con il partner italiano
sono durate otto mesi, ha detto Djindjic, affermando che ''un cosi'
buon accordo e' stato possibile solo dopo il cambiamento politico in
Italia perche' il nuovo governo ha deciso di chiarire tutti i contratti
dubbi stipulati sotto i precedenti governi''. Djindjic ha detto che
Telekom Serbia quest'anno, nonostante problemi di gestione, ha avuto un
risultato buono, con un attivo di 55-60 milioni di euro, e che per il
prossimo anno e' previsto un attivo di 100 milioni di euro, una parte
del quale sara' usata per restituire debiti con societa' italiane. Il
direttore generale delle Poste serbe Srdjan Blagojevic ha detto che la
Serbia ha fatto ''l'affare del decennio'' ricomprando per 195 milioni
di euro la quota ceduta a Telecom Italia (nel giugno 1997) per 497
milioni di dollari. (ANSA). COR-LG 29/12/2002 16:03


TELECOM: IL 20 FEBBRAIO CLOSING CESSIONE TELEKOM
SERBIA

(ANSA) - BELGRADO, 18 FEB - Telecom Italia e Telekom
Serbia firmeranno il 20 febbraio ad Amsterdam l'accordo per la
cessione del pacchetto azionario dell'azienda serba in mano alla
societa' italiana. Lo ha detto alle agenzie Beta e Fonet il direttore
di Telekom Serbia Srdjan Blagojevic. Telecom Italia possiede il 29%
del pacchetto azionario della consorella serba, acquistato nel 1997 in
una operazione che aveva visto coinvolta anche la greca Oti, che ha il
20% delle azioni.
Il pacchetto di controllo del 51% e' in mano serba. Telekom Serbia
versera' all'azienda italiana 195 milioni di euro, di cui 120 milioni
in quattro rate a partire dal marzo 2003, e il rimanente scaglionato
nei prossimi sei anni. Le trattative per la cessione del 29% delle
azioni di Telekom Serbia erano state avviate circa nove mesi fa.
(ANSA). OT 18/02/2003 15:29


Serbia buys back Telecom Italian stake in Telekom Srbija

http://www.serbia.sr.gov.yu/cgi-bin/printpage.cgi?filename
=/news/2002-12/30/327296.html


(a cura di Andrea)

(this text in english:
http://globalresearch.ca/articles/SCH308B.html )

Junge Welt (Berlin)
19.08.2003, Ausland

Cathrin Schütz, Belgrad

 
Beweisnot in Den Haag

UN-Tribunal will dubiose Dokumente nutzen, um Vorwürfe gegen Milosevic
aufrechtzuerhalten


Am UN-Tribunal in Den Haag ist am Montag die Sommerpause zu Ende
gegangen. Im Prozeß gegen den ehemaligen jugoslawischen Präsidenten
Slobodan Milosevic soll in den kommenden Monaten schwerpunktmäßig das
»Massaker von Srebrenica« im Juli 1995 verhandelt werden. Im Fall des
Bürgerkriegs in Bosnien-Herzegowina wirft Chefanklägerin Carla del
Ponte dem Angeklagten »Völkermord« vor. Ursprünglich war dieser
Tatvorwurf auch Teil des Kosovo-Komplexes. Mangels Beweisen mußte dies
allerdings fallengelassen werden. Dabei war der Völkermordvorwurf
Hintergrund der Anklage und der illegalen Auslieferung Milosevics. Auch
im Fall Srebrenica bewegt sich del Ponte auf dünnem Eis. Noch vor der
Sommerpause hatte der ehemalige jugoslawische Präsident Zoran Lilic vor
Gericht Milosevic bescheinigt, nicht in das Massaker in der ehemaligen
UN-Schutzzone verwickelt gewesen zu sein.

Das »Institute for War and Peace Reporting« (IWPR) in London spielte
der Anklageseite in Den Haag indes ein belastendes Papier zu, bei dem
es sich um einen vom damaligen bosnisch-serbischen Innenminister
Tomislav Kovac unterzeichneten Befehl zur Truppenverlegung serbischer
Polizeieinheiten von Sarajevo nach Srebrenica handeln soll. Stacey
Sullivan, Mitarbeiterin von IWPR, erklärte, das Dokument belege
erstmalig, daß Polizei aus Serbien an der Operation in Srebrenica
teilnahm. Dem entgegen hob die Washingtoner »Koalition für
internationale Gerechtigkeit« hervor, daß dies durch das Dokument
keineswegs bewiesen sei. Daß weiterhin unbekannt sei, was Milosevic
selbst von den Vorgängen wußte, mußte jedoch auch Sullivan zugeben.

Die New York Times, die sich sonst in der Vorverurteilung des
ehemaligen jugoslawischen Präsidenten übt, berichtete bereits im Juni,
daß bekannt sei, daß gegen Milosevic im Falle Srebrenica keine Beweise
vorliegen: »Sogar im Prozeß gegen General Radislav Krstic, einem der
Kommandierenden in Srebrenica, der zu 46 Jahren Gefängnis verurteilt
wurde, lag den Anklägern kein Dokument vor, das Belgrad mit den
Verbrechen in Verbindung bringt.« Es scheint sich auch bei dem neuen
Papier nicht um einen Beweis gegen Milosevic zu handeln. Die Sprecherin
der Anklageseite bezeichnete das Dokument denn auch nur als »ein
Element«. Vermutlich wird das Dokument genutzt, um Lilics Aussage über
Milosevics Unschuld aus den Medien zu verdrängen. IWPR gibt an, das
Papier bislang »übersehen zu haben«.

Wenn man die Kooperationspartner des IWPR betrachtet, verstärkt sich
der Verdacht, daß das Institut den Anklägern in die Hände spielt. Zu
diesen Partnern gehören das »Open Society Institute« des
US-amerikanischen Multimillionärs George Soros, der auch das Tribunal
selbst mitfinanziert. Über »US AID« erhält das Institut Mittel der
US-Regierung. Weitere stammen von der US-amerikanischen Organisa-
tion »IREX«, die eigenen Angaben zufolge direkte Unterstützung vom
Außenministerium in Washington erhält. IREX finanziert auch
Journalisten aus dem ehemaligen Jugoslawien, die von Den Haag aus über
den Milosevic-Prozeß berichten.

Ein Assistent von Milosevic kommentierte gegenüber jW: »Carla del
Ponte prahlte kürzlich gegenüber der Presse, sie habe alle
Anklagepunkte beweisen können, nur der Völkermord sei schwerer
nachzuweisen, aber sie werde das in den kommenden Monaten tun. Das war
ihr Versuch, der Öffentlichkeit ihren fehlenden Erfolg zu
verheimlichen, da ihre Position als Chefanklägerin derzeit gefährdet
ist. Milosevics Schuld kann nicht nachgewiesen werden, weil es sie
nicht gibt. Jeder weiß, daß er Extremismus und Verbrechen öffentlich
verurteilte, auch wenn sie von serbischer Seite kamen. Er hat
angekündigt, daß er versuchen werde, die Komplizenschaft der westlichen
Geheimdienste bei den schlimmsten Verbrechen in Bosnien und Kroatien
nachzuweisen.«

Dieses Unternehmen dürfte sich als erfolgreicher erweisen als der
Versuch der Anklage, Beweise für eine Verbindung Milosevics zum
Massaker von Srebrenica zu erbringen. Schon die Kommission unter Cees
Wiebes vom Niederländischen Institut für Kriegsdokumentation
(NIOD), die den wohl umfangreichsten Bericht über den Krieg in Bosnien
erstellte, brachte eben dies zutage. Wiebes hatte ungehinderten Zugang
zu niederländischen Geheimdienstdokumenten und recherchierte bei
Geheimdiensten westlicher Staaten und in Bosnien. Während es in der
Presse hieß, es gebe »keine Hinweise auf eine direkte Verbindung
Milosevics und der serbischen Behörden in Belgrad« in den Überfall auf
Srebrenica, brachte die Untersuchung die direkte Verwicklung
ausländischer Kräfte ans Licht: »Die USA benutzen Islamisten, um die
bosnischen Muslime zu bewaffnen; der Srebrenica-Bericht enttarnt die
Rolle des Pentagons in einem schmutzigen Krieg. Die offizielle
niederländische Untersuchung des Srebrenica-Massakers von 1995 enthält
einen der sensationellsten Berichte über westliche Geheimdienste, die
je veröffentlicht wurden«, so der britische Guardian.


SIEHE AUCH:
-> http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?b_id=12

*** sloboda - Freiheit für Milosevic
Junge Welt Beilage vom 18.06.2003 ***

Inhalt:

Es sind noch Zellen frei
Slobodan Milosevic ist der erste Kriegsgefangene der neuen Weltordnung
Jürgen Elsässer

Im Kreuzverhör
Milosevic befragt einen prominenten Zeugen über die Kriegsverbrechen in
Kroatien und Bosnien-Herzegowina

Kein Völkermord
Der bisherige Prozeßverlauf in Den Haag ist für die Anklage ein Fiasko
Matthias Gockel

Fluch des Amselfeldes
Wie Milosevic Jugoslawien durch Serbien retten wollte und doch alles
verlor
Werner Pirker

Abschied von Serbien
Vier Jahre nach dem NATO-Krieg: Kosovo auf dem Weg in die Unabhängigkeit
Rüdiger Göbel

Quislinge in Belgrad
An der Ermordung des serbischen Premiers Zoran Djindjic sollen die
Gegner des Haager Tribunals schuld sein, meinen Djindjics Erbschleicher
Klaus Hartmann

»Das Tribunal ist illegal«
junge Welt sprach mit dem ehemaligen US-amerikanischen Justizminister
Ramsey Clark über den Verlauf des Prozesses
Interview: Cathrin Schütz

Die BRD vor Gericht
Im Prozeß um den Bombenangriff auf die Brücke von Varvarin geht es um
mehr als Schadensersatz
Harald Kampffmeyer

28. Juni - Demo in Den Haag
Informationen / Anmeldungen / Mitfahrgelegenheiten

-> http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?b_id=12

ANTONIO MILOSEVIC

«Bisogna aiutare Milosevic ad uscire dall’isolamento, poiché accettando
il piano di pace corre rischi ad opera dei falchi del suo Paese: senza
la cooperazione internazionale sarebbe in pericolo»

Antonio Martino, ministro degli Esteri del 1° governo
Berlusconi. Dichiarazione riportata dall'ANSA dell'11 settembre 1994,
nel corso della guerra in Bosnia, e ripresa adesso nell'ambito scontro
politico interno italiano sul caso "Telekom Serbia" da L'Unita' del 1
settembre 2003 ( vedi:
http://www.unita.it/index.asp??SEZIONE_COD=&TOPIC_ID=28517 )

All'epoca in Italia solo i radicali protestarono, perche' volevano che
la guerra in Bosnia continuasse fino alla disfatta dei serbi.

E' USCITA LA NUOVA CASSETTA DI SADDAM

Il nastro di Saddam messo in distribuzione nei giorni scorsi e'
autentico: la conferma viene dalla CIA, casa di produzione
statunitense, nell'ambito della campagna promozionale. Secondo la CIA
la voce che si sente e' proprio quella di Saddam.
Ricordiamo agli appassionati che sono sempre disponibili anche i piu'
recenti video di Osama Bin Laden.
Solo nei migliori negozi.