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NAPOLITANO LI ASPETTA TUTTI A LAMPEDUSA A BRACCIA APERTE


1.645.500 sono gli abitanti di Gaza. Per adesso, gli sfollati ufficiali sono 62mila, ma per quasi un milione già manca l'acqua corrente. Oggi 22 luglio i morti ammazzati superano il mezzo migliaio. 
Dove andranno tutti quanti quando saranno state completate le operazioni di pulizia etnica in corso da parte dello Stato di Israele?


Gaza, Unrwa: “Oltre 62 mila palestinesi sfollati”

Pubblicato il 21 lug 2014 - di Redattore Sociale - Il bilancio dell’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi dall’inizio delle ostilità. Sale a 350 il numero delle vittime del conflitto, l’80 per cento sono civili. Circa 2.400 i feriti. Dall’Unicef l’appello alla comunità internazionale per proteggere i bambini e i civili. “Nel conflitto morti 59 bambini, oltre 500 quelli feriti”

Tredicesimo giorno di conflitto nella Striscia di Gaza, sale il numero delle vittime e quello degli sfollati mentre l’offensiva via terra dei militari israeliani si intensifica. Secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, il numero degli sfollati a Gaza in queste ore è salito a oltre 62 mila. Gli sfollati, spiega l’agenzia, sono stati accolti in circa 50 scuole, ma servono cibo e beni di prima necessità. Cresce intanto il numero delle vittime che ad oggi supera quota 350, quasi tutti palestinesi e per l’80 per cento civili, mentre i feriti sono circa 2.400. Circa 1.600, invece, i razzi lanciati da Gaza su Israele dall’inizio delle ostilità, secondo quanto affermato da fonti israeliane. Oggi, intanto, il presidente palestinese, Abu Mazen sarà in Qatar, a Doha, per cercare di trovare i termini di una tregua con il capo di Hamas in esilio, Khaled Meshaal.
Rispettare l’obbligo legale e morale di proteggere i civili. Dopo l’appello di Amnesty International alla comunità internazionale affinché nella Striscia di Gaza si faccia di tutto per proteggere i civili, è l’Unicef a richiamare l’attenzione su un conflitto che ad oggi è costato la vita a 59 bambini, mentre altri 500 sono stati feriti a Gaza e 4 in Israele. Secondo l’Unicef, però, sono sotto attacco anche i servizi di base per i bambini. “Le fatiscenti infrastrutture idriche e igienico-sanitarie di Gaza hanno subito danni – spiega l’organizzazione in una nota -, aumentando il rischio di malattie di origine idrica. Circa la metà del pompaggio dei liquami e dei sistemi di trattamento delle acque di scarico non sono più funzionanti, e circa 900.000 persone sono senza acqua corrente”. Oltre 1.780 le famiglie che hanno visto le loro case distrutte o gravemente danneggiate a Gaza e decine di migliaia sono sfollate, molte delle quali si sono rifugiate nelle scuole. Oltre 80 scuole sono state danneggiate dai bombardamenti. “L’Unicef ed i suoi partner stanno procurando farmaci pediatrici essenziali per gli ospedali e le strutture sanitarie – spiega l’organizzazione -. Spot radiofonici avvertono i bambini e le loro famiglie dei pericoli degli ordigni inesplosi”.




Vivere al tempo della guerra imperialista

1) Gaza e la guerra più grande (Giulietto Chiesa)
2) Il ritorno di George Orwell e la guerra del Grande Fratello alla Palestina, all’Ucraina e alla verità (John Pilger)
3) La permanenza della guerra. La barbarie temuta è arrivata (Tommaso Di Francesco)


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Gaza e la guerra più grande

Gaza è parte dello scatenamento del disordine mondiale. Aggiungiamo il 'Califfato' del Levante. Aggiungiamo la crisi ucraina. Vediamo l'insieme

lunedì 21 luglio 2014 - megachip.globalist.it


di Giulietto Chiesa.

Ci sono lettori che mi chiedono di pronunciarmi sulla tragedia diGaza.
L'ho già fatto più volte nel corso di questa crisi.
Considero altamente probabile che il rapimento e l'uccisione dei tre ragazzi israeliani sia stato una ennesima false flag operation. Cioè un pretesto per organizzare una attacco letale contro Hamas, contro la Striscia di Gaza, contro il popolo palestinese nel suo insieme. È l'ennesima prova che Israele non ha mai voluto negoziare e che il suo obiettivo immediato è di cancellare definitivamente ogni possibilità per uno stato palestinese.
Posso solo provare cordoglio - e un acuto senso di impotenza - per la vittime innocenti, per gli oltre 500 morti già contati. Saranno molti di più, temo. Posso solo aggiungere la mia vergogna di appartenere a questo "Occidente" assassino e vile, che non sa dire nulla di fronte a un tale massacro. E che quello che dice è ipocrita e falso.
Oggi ho visto la faccia di John Kerry, indignato e sconvolto per i tredici soldati israeliani uccisi nell'invasione di Gaza.
13 fanno orrore; 500 è un numero.
Questa è la nostra superbia e la nostra illusione: che le nostre vite valgano di più venti, cento volte di più, delle loro. Verrà il tempo che dovremo pagare questa superbia.
Ma questo è solo un aspetto. Ci torno ora perché mi pare chetroppi non riescono a collegare i fatti.
Ciò che accade a Gaza è un tassello del mosaico che conduce a una guerra molto più grande. Stiamo tutti molto attenti. Gaza fa parte di un'operazione di scatenamento del disordine mondiale. Aggiungiamo il "Califfato" di Iraq e Siria. Aggiungiamo la crisi ucraina.
Non perdiamo di vista il quadro. Chi muove tutte queste pedine insieme vuole andare "oltre". L'obiettivo è la Russia. Ecco perché io occupo gran parte del mio tempo a seguire questo disastro. E l'altro obiettivo (segnatamente per Israele e l'Arabia saudita) è l'Iran. Questi due obiettivi equivalgono a un salto di qualità bellico incalcolabile.
Gaza è la cartina di tornasole di un disegno apocalittico. Muoviamoci per fermarlo.



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THE ORIGINAL ARTICLE, IN ENGLISH: The Return of George Orwell and Big Brother’s War on Palestine, Ukraine and Truth
By John Pilger - Source: teleSUR English, July 12, 2014


http://www.controlacrisi.org/notizia/Conflitti/2014/7/18/41629-il-ritorno-di-george-orwell-e-la-guerra-del-grande-fratello/


Il ritorno di George Orwell e la guerra del Grande Fratello alla Palestina, all’Ucraina e alla verità


L’altra sera ho assistito a ‘1984’ di George Orwell messo in scena sul palcoscenico di Londra. Pur reclamando a gran voce un’interpretazione contemporanea, l’avvertimento di Orwell circa il futuro è stato presentato come un’opera d’epoca: remota, non minacciosa, quasi rassicurante. E’ stato come se Edward Snowden non avesse rivelato nulla, il Grande Fratello non è oggi uno spione digitale e lo stesso Orwell non ha mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”.

Acclamata dai critici, l’abile produzione è stata una misura del nostro tempo, culturale e politico. Quando si sono accese le luci, la gente stava già uscendo. Il pubblico sembrava indifferente, o forse altre distrazioni lo reclamavano. “Che incasinamento!” ha detto una giovane, accendendo il suo telefonino.

Con la depoliticizzazione delle società avanzate, i cambiamenti siano sia sottili sia spettacolari. Nei discorsi quotidiani, il linguaggio politico è capovolto, come profetizzava Orwell in ‘1984’. “Democrazia” è oggi un artificio retorico. Pace è “guerra perpetua”. “Globale” è imperiale. Il concetto un tempo positivo di “riforma” oggi significa regressione, persino distruzione. “Austerità” è l’imposizione di capitalismo estremo ai poveri e regalo del socialismo ai ricchi; un sistema creativo nell’ambito del quale la maggioranza rimborsa i debiti dei pochi.

Nelle arti l’ostilità alla sincerità politica è un articolo di fede borghese. “Il periodo rosso di Picasso”, dice un titolo dell’Observer, “ è perché la politica non produce buona arte.” Considerate questo in un giornale che ha promosso il bagno di sangue in Iraq come una crociata liberale. L’opposizione di Picasso al fascismo per tutta la vita è una nota in calce proprio come il radicalismo di Orwell è svanito dal premio che si è appropriato del suo nome.

Alcuni anni fa Terry Eagleton, allora professore di letteratura inglese alla Manchester University, ha reputato che “per la prima volta in due secoli non c’è alcun eminente poeta, commediografo o romanziere inglese pronto a mettere in discussione le fondamenta dello stile di vita occidentale”. Nessuno Shelley parla per i poveri, nessun Blake per i sogni utopistici, nessun Byron danna la corruzione della classe al potere, nessun Thomas Carlyle e John Ruskin rivela il disastro morale del capitalismo. William Morris, Oscar Wilde, HG Wells, George Bernard Shaw non hanno equivalenti oggi. Harold Pinter è stato l’ultimo a far sentire la propria voce. Tra le insistenti voci del femminismo consumistico nessuna echeggia Virginia Woolf che descrisse “le arti del dominare altre persone … del governare, dell’uccidere, dell’acquistare terra e capitale”.

Al National Theatre una nuova commedia, Gran Bretagna, mette alla berlina lo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto giornalisti processati e condannati, tra cui l’ex direttore di News of the World di Rupert Murdoch. Descritta come “una farsa con le zanne [che] mette sul banco degli imputati l’intera cultura incestuosa [dei media] e la sottopone a un impietoso ridicolo”, i bersagli della commedia sono i personaggi “beatamente buffi” della stampa scandalistica britannica. Va bene ed è giusto, e così familiare. Ma che dire dei media non scandalistici che si considerano rispettabili e credibili e tuttavia assolvono un ruolo parallelo come braccio del potere dello stato e dell’industria, come nel caso della promozione di una guerra illegale?

L’inchiesta Leveson sulle intercettazioni telefoniche ha gettato uno sguardo su questo innominabile. Tony Blair stava testimoniando, lamentandosi con Sua Signoria per le molestie dei tabloid a sua moglie, quando è stato interrotto da una voce dalla galleria del pubblico. David Lawley-Wakelin, un regista, ha chiesto l’arresto e l’incriminazione di Blair per crimini di guerra. C’è stata una lunga pausa: il trauma della verità. Lord Leveson è balzato in piedi e ha ordinato l’allontanamento di chi diceva la verità, scusandosi con il criminale di guerra. Lawley-Wakelin è stato incriminato. Blair se n’è andato libero.

I persistenti complici di Blair sono più rispettabili dei pirati telefonici. Quando la conduttrice artistica della BBC Kirsty Wark lo ha intervistato nel decimo anniversario dell’invasione dell’Iraq, gli ha regalato un momento che avrebbe potuto solo sognare; gli ha permesso di angosciarsi per la sua “difficile” decisione sull’Iraq, anziché chiamarlo a rispondere del suo crimine epocale. Ciò ha rievocato la processione di giornalisti della BBC che nel 2003 hanno dichiarato che Blair poteva sentirsi “scagionato” e la successiva serie “di successo” della BBC, Gli anni di Blair, per la quale è stato scelto come sceneggiatore, conduttore e intervistatore David Aaronovitch. Da valletto di Murdoch che aveva fatto campagna per gli attacchi militari contro l’Iraq, la Libia e la Siria, Aaronovitch è stato abilmente servile.

Dopo l’invasione dell’Iraq – esemplare di un’azione di aggressione non provocata che il giudice di Norimberga Robert Jackson definì “il crimine internazionale supremo, diverso dagli altri crimini di guerra per il fatto in concentrare in sé il male totale di tutti” – Blair e il suo portavoce e principale complice, Alastair Campbell, hanno avuto generoso spazio sul Guardian per riabilitare le proprie reputazioni. Descritto come una “stella” del Partito Laburista, Campbell ha cercato la simpatia dei lettori per la sua depressione e ha messo in mostra i suoi interessi, anche se non l’attuale incarico di consigliere, con Blair, della tirannia militare egiziana.

Mentre l’Iraq è smembrato in conseguenza dell’invasione di Blair/Bush, un titolo del Guardian dichiara: “Rovesciare Saddam è stato giusto, ma ci siamo ritirati troppo presto”. L’affermazione ha trovato riscontro in un articolo di spicco del 13 giugno di un ex funzionario di Blair, John McTernan, che ha anche servito il dittatore installato dalla CIA in Iraq, Iyad Allawi. Nel sollecitare una nuova invasione di un paese che il suo ex padrone ha contribuito a distruggere, egli non ha fatto alcuna menzione degli almeno 700.000 morti, della fuga di quattro milioni di profughi e del caos settario in una nazione un tempo orgogliosa della sua tolleranza comunitaria.

“Blair incarna la corruzione e la guerra”, ha scritto l’opinionista radicale del Guardian Seumas Milne in un appassionato pezzo del 3 luglio. Nel mestiere questo è noto come “bilanciamento”. Il giorno dopo il giornale ha pubblicato un’inserzione pubblicitaria a piena pagina di un bombardiere invisibile statunitense. Su un’immagine minacciosa del bombardiere c’erano le parole: “F-35. GRANDIOSO per la Gran Bretagna”. Quest’altra incarnazione della “corruzione e guerra” costerà ai contribuenti britannici 1,3 miliardi di sterline, con i predecessori del modello F che hanno macellato gente in tutto il mondo sviluppato.

In un villaggio dell’Afghanistan, abitato dai più poveri dei poveri, ho filmato Orifa, inginocchiato presso le tombe di suo marito, Gul Ahmed, un tessitore di tappeti, di sette altri membri della sua famiglia, tra cui sei bambini, e di due bambini uccisi nella casa vicina. Una bomba “di precisione” da 500 libbre è caduta direttamente sulla sua casetta di fango, pietra e paglia, lasciando un cratere largo 15 metri. La Lockheed Martin, produttrice dell’aereo, è stata orgogliosa del proprio posto nella pubblicità del Guardian.

L’ex Segretario di Stato USA e aspirante alla presidenza Hillary Clinton ha recentemente partecipato all’”Ora delle donne” della BBC, la quintessenza della rispettabilità mediatica. La conduttrice, Jenni Murray, ha presentato la Clinton come un simbolo della realizzazione femminile. Non ha ricordato ai suoi ascoltatori l’oscenità della Clinton che l’Afghanistan è stato invaso per “liberare” donne come Orifa. Non ha chiesto nulla alla Clinton a proposito della campagna terroristica della sua amministrazione con l’uso di droni per uccidere donne, uomini e bambini. Non c’è stata alcuna menzione della minaccia sprecata della Clinton, durante la sua campagna per la prima presidenza femminile, di “eliminare” l’Iran e nulla a proposito del suo appoggio alla sorveglianza illegale di masse e al perseguimento dei denunciatori dall’interno.

La Murray ha effettivamente posto una domanda imbarazzante. La Clinton aveva perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una storia con suo marito? “Il perdono è una scelta”, ha detto la Clinton, “per me è stata assolutamente la scelta giusta”. Ciò ha ricordato gli anni ’90 e gli anni dedicati allo “scandalo” Lewinsky. Il presidente Bill Clinton stava allora invadendo Haiti e bombardando i Balcani, l’Africa e l’Iraq. Stava anche distruggendo le vite di bambini iracheni; l’Unicef ha riferito la morte di mezzo milione di bambini iracheni sotto i cinque anni in conseguenza dell’embargo guidato dagli USA e dalla Gran Bretagna.

I bambini erano mediaticamente non-persone, proprio come le vittime di Hillary Clinton nelle invasioni da lei appoggiate e promosse – Afghanistan, Iraq, Yemen, Somali – sono mediaticamente non-persone. La Murray non ha fatto alcun accenno a loro. Una sua fotografia con la sua distinta ospite, raggianti, compare sul sito della BBC.

In politica come nel giornalismo e nelle arti sembra che il dissenso un tempo tollerato nell’opinione corrente sia regredito a dissidenza: una metaforica clandestinità. Quando ho iniziato la mia carriera nella britannica Fleet Street negli anni ’60, era accettabile criticare la potenza occidentale come forza rapace. Leggete i celebrati articoli di James Cameron sull’esplosione della bomba all’idrogeno nell’atollo di Bikini, sulla barbara guerra di Corea e sui bombardamenti statunitensi del Vietnam del Nord. La grandiosa illusione odierna è di un’era dell’informazione quando, in realtà, viviamo in un’età mediatica in cui l’incessante propaganda dell’industria è insidiosa, contagiosa, efficace e liberale.

Nel suo saggio del 1859 ‘Sulla libertà’, al quale i liberali moderni rendono omaggio, John Stuart Mill scrisse: “Il dispotismo è una forma legittima di governo nel trattare con barbari, a condizione che il fine sia il loro miglioramento e i mezzi giustificati dall’effettivo conseguimento di tale fine”. I “barbari” I “barbari” erano vasti segmenti dell’umanità cui era prescritta l’”implicita obbedienza”. “E’ un mito bello e conveniente che i liberali siano pacificatori e i conservatori siano guerrafondai”, ha scritto nel 2001 lo storico Hywel Williams, “ma l’imperialismo della via liberale può essere più pericoloso a causa della sua natura illimitata, la sua convinzione di rappresentare una forma di vita superiore”. Egli aveva in mente un discorso di Blair in cui l’allora primo ministro prometteva di “riordinare il mondo attorno a noi” sulla base dei suoi “valori morali”.

Richard Falk, la rispettata autorità in tema di legge internazionale e Speciale Relatore dell’ONU sulla Palestina, ha descritto una volta “uno schermo farisaico morale-legale a senso unico [di] immagini positive di valori e innocenza occidentali presentato e minacciato a convalida di una campagna di smodata violenza politica”. E’ “accettato così diffusamente da essere virtualmente incontestabile”.

Carriera e appoggio ricompensano i guardiani. A Radio 4 della BBC Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, la Premio Nobel afroamericana. La Morrisono si è chiesta perché la gente era “così arrabbiata” con Barack Obama che era “fantastico” e desiderava costruire un’ “economia e un’assistenza sanitaria forti”. La Morrison era orgogliosa di aver parlato al telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva invitata al suo insediamento.

Né lei né la sua intervistatrice hanno citato le sette guerre di Obama, inclusa la sua campagna terroristica con i droni, in cui intere famiglie, i loro soccorritori e le loro persone in lutto sono state assassinate. Quello che è sembrato contare è stato che un uomo di colore “dal linguaggio elegante” è salito alle vette di comando del potere. In ‘Dannati della terra’ Frantz Fanon scrisse che la “missione storica” dei colonizzati consisteva nel fare da “linea di trasmissione” per quelli che dominavano e opprimevano. Nell’era moderna è visto oggi come essenziale l’impiego della differenza etnica nei sistemi di potere e propaganda occidentali. Obama incarna questo, anche se il gabinetto di George W. Bush – la sua cricca guerrafondaia – è stato il più multirazziale della storia presidenziale.

Mentre cadeva in mano agli jihadisti dell’ISIS la città irachena di Mosul, Obama diceva: “Il popolo statunitense ha fatto enormi investimenti e sacrifici al fine di dare agli iracheni l’occasione di disegnarsi un destino migliore”. Quando “fantastica” è tale bugia? Quanto “elegantemente formulato” è stato il discorso di Obama il 28 maggio all’accademia militare di West Point? Tenendo il suo discorso sullo “stato del mondo” alla cerimonia di laurea di quelli che “assumeranno la guida statunitense” in tutto il mondo, Obama ha affermato: “Gli Stati Uniti useranno la forza militare, unilateralmente se necessario, quando i nostri interessi centrali lo richiederanno. L’opinione internazionale conta, ma gli Stati Uniti non chiederanno mai il permesso …”

Nel ripudiare la legge internazionale e i diritti di nazioni indipendenti, il presidente statunitense pretende una divinità basata sulla potenza della sua “nazione indispensabile”. E’ un familiare messaggio di impunità imperiale, anche se sempre stimolante da ascoltare. Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ’30 Obama ha detto: “Credo nell’eccezionalismo statunitense con ogni fibra del mio essere”. Lo storico Norman Pollack ha scritto: “Al posto del passo dell’oca mettere l’apparentemente più innocua militarizzazione della cultura totale. E al posto del leader ampolloso abbiamo il riformatore mancato, spensieratamente all’opera per pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo tutto il tempo”.

In febbraio gli USA hanno montato uno dei loro colpi di stato “colorati” contro il governo eletto in Ucraina, sfruttando proteste genuine contro la corruzione di Kiev. Il Vicesegretario di Stato di Obama, Victoria Nuland, ha scelto personalmente il leader di un “governo provvisorio”. Gli ha attribuito il nomignolo di “Yats”. Il Vicepresidente Joe Biden si è recato a Kiev, così come il direttore della CIA John Brennan. Le truppe d’assalto del loro colpo di stato sono state fascisti ucraini.

Per la prima volta dal 1945 un partito neonazista, apertamente antisemita, controlla aree chiave del potere statale in una capitale europea. Nessun leader europeo occidentale ha condannato questa rinascita del fascismo nella zona di confine attraverso la quale i nazisti invasori di Hitler tolsero la vita a milioni di russi. Erano appoggiati dall’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), responsabile del massacro di ebrei e di russi che chiamavano “insetti parassiti”. L’UPA è l’ispiratore storico dell’odierno Partito Svoboda e del suo compagno di viaggio Settore Destro. Il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok ha sollecitato una pura della “mafia moscovito-ebraica” e di “altra feccia”, tra cui omosessuali, femministe e sinistra politica.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti hanno circondato la Russia di basi militari, aerei e missili nucleari come parte del Progetto di Allargamento della NATO. Rinnegando una promessa fatto al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel 1990 che la NATO non si sarebbe allargata di “un centimetro a est”, la NATO ha, in effetti, occupato l’Europa orientale. Nell’ex Caucaso sovietico l’espansione della NATO è il massimo crescendo militare dopo la seconda guerra mondiale.

Un Piano d’Azione d’Adesione alla NATO è il dono di Washington al regime golpista di Kiev. In agosto l’”Operazione Tridente Rapido” porterà truppe statunitense e britanniche sul confine russo dell’Ucraina e l’operazione “Brezza Marina” invierà navi da guerra statunitensi in vista dei porti russi. Si immagini la reazione se questi atti di provocazione, o intimidazione, fossero attuati ai confini degli Stati Uniti.

Nel reclamare la Crimea – che Nikita Krusciov distaccò illegalmente dalla Russia nel 1954 – i russi hanno difeso sé stessi, come hanno fatto per quasi un secolo. Più del 90 per cento della popolazione della Crimea ha votato per il ritorno del territorio alla Russia. La Crimea è sede della Flotta del Mar Nero e la sua perdita sarebbe una questione di vita o di morte per la marina russa e una vittoria per la NATO. Confondendo le parti in guerra a Washington e Kiev, Vladimir Putin ha ritirato le truppe dal confine ucraino e ha sollecitato i russi etnici dell’Ucraina orientale a rinunciare al separatismo.

In stile orwelliano ciò è stato ribaltato in occidente come una “minaccia russa”. Hillary Clinton ha paragonato Putin a Hitler. Senza ironia, commentatori tedeschi di destra hanno detto la stessa cosa. Nei media i neonazisti ucraini sono ridefiniti “nazionalisti” o “ultranazionalisti”. Ciò che temono è che Putin stia abilmente ricercando una soluzione diplomatica e possa riuscirci. Il 27 giugno, reagendo all’ultimo accomodamento di Putin – la sua richiesta al parlamento russo di revocare la legge che gli dava il potere di intervenire nell’interesse dei russi etnici dell’Ucraina – il Segretario di Stato John Kerry ha diffuso un altro dei suoi ultimatum. La Russia deve “agire nel giro delle prossime ore, letteralmente” per por fine alla rivolta nell’Ucraina orientale. Nonostante che Kerry sia diffusamente riconosciuto come un pagliaccio, lo scopo serio di questi “avvertimenti” sta nel conferire alla Russia uno status di paria e nel cancellare le notizie della guerra del regime di Kiev contro il suo stesso popolo.

Un terzo della popolazione dell’Ucraina è russofono e bilingue. Ha ricercato a lungo una federazione democratica che riflettesse la diversità etnica dell’Ucraina e fosse sia autonoma sia indipendente da Mosca. Per la maggior parte non si tratta di “separatisti” o “ribelli”, bensì di cittadini che vogliono vivere sicuri nel proprio paese. Il separatismo è una reazione agli attacchi della giunta di Kiev contro di loro, che ha forzato fino a 110.000 persone (stima dell’ONU) a fuggire in Russia attraversando il confine. Normalmente si tratta di donne e bambini traumatizzati.

Come i bambini dell’Iraq sottoposti a embargo e le donne e le ragazze dell’Afghanistan “liberate”, terrorizzate dai signori della guerra della CIA, questi cittadini etnici dell’Ucraina sono mediaticamente non-persone in occidente; le loro sofferenze e le atrocità commesse contro di loro sono minimizzate o cancellate. Nessuna sensazione della portata dell’assalto del regime è trasmessa di media occidentali convenzionali. Non è che manchino i precedenti. Leggendo nuovamente il magistrale ‘The First Casualty: the war correspondent as hero, propagandist and mythmaker’ [La prima vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e costruttore di miti] di Phillip Knightley, ho rinnovato la mia ammirazione per Morgan Philips Price del Manchester Guardian, il solo giornalista occidentale rimasto in Russia durante la rivoluzione del 1917 a raccontare la verità sulla disastrosa invasione degli alleati occidentali. Imparziale e coraggioso, Philips Price turbò da solo quello che Knightley definisce un “oscuro silenzio” antirusso in occidente.

Il 2 maggio a Odessa 41 russi etnici sono stati bruciati vivi negli uffici della direzione del sindacato con la polizia che è rimasta a guardare. Esiste un’orrenda documentazione video. Il leader del Settore Destro, Dmytro Yarosh, ha salutato il massacro come “un altro giorno luminoso della nostra storia nazionale”. Dai media statunitensi e britannici è stato riferito come una “oscura tragedia”, conseguenza di “scontri” tra “nazionalisti” (neonazisti) e “separatisti” (persone che raccoglievano firme per un referendum su un’Ucraina federale). IlNew York Times ha insabbiato la cosa, avendo scartato come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi vassalli di Washington. Il Wall Street Journal ha condannato le vittime: “Mortale incendio in Ucraina probabilmente innescato dai ribelli, dice il governo”. Obama si è congratulato con la giunta per la sua “moderazione”.

Il 28 giugno il Guardian ha dedicato la maggior parte di una pagina a dichiarazione del “presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. Di nuovo ha operato la regola di Orwell dell’inversione. Non c’è stato alcun colpo di stato; nessuna guerra contro la minoranza dell’Ucraina; i russi hanno avuto la colpa di tutto. “Vogliamo modernizzare il mio paese”, ha detto Poroshenko. “Vogliamo introdurre libertà, democrazia e valori europei. A qualcuno questo non piace. A qualcuno noi per questo non piacciamo.”

In questo suo articolo il giornalista del Guardian, Luke Harding, non ha contestato queste affermazioni o citato l’atrocità di Odessa, gli attacchi aerei e di artiglieria del regime su aree residenziali, l’uccisione e il sequestro di giornalisti, le bombe incendiarie contro un giornale d’opposizione e la sua minaccia di “liberare l’Ucraina dalla sporcizia e dai parassiti”. I nemici sono “ribelli”, “militanti”, “insorti”, “terroristi” e fantocci del Cremlino. Sono evocati dalla storia i fantasmi di Vietnam, Cile, Timor Est, Africa meridionale, Iraq: si notino le stesse etichette. La Palestina è la calamita di tutto questo monotono inganno. L’11 luglio, dopo il più recente massacro israeliano a Gaza, con equipaggiamento statunitense – 80 morti tra cui sei bambini di una singola famiglia – un generale israeliano scrive sul Guardian sotto il titolo “Una necessaria dimostrazione di forza”.

Negli anni ’70 ho incontrato Leni Riefenstahl e le ho chiesto dei suoi film che glorificavano i nazisti. Utilizzando tecniche di ripresa e d’illuminazione rivoluzionarie ella produsse una forma documentaria che affascinò i tedeschi; fu il suo ‘Trionfo della volontà’ che si afferma abbia diffuso il maleficio di Hitler. Le chiesi della propaganda in società che si considerano superiori. Lei rispose che i “messaggi” nei suoi film dipendevano non da “ordini dall’alto” ma da un “vuoto condiscendente” nella popolazione tedesca. “Compresa la borghesia liberale istruita?” chiesi. “Tutti”, rispose. “E naturalmente l’intellighenzia”

Scritto per teleSUR English che partirà il 24 luglio

 

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/the-return-of-george-orwell-and-big-brothers-war-on-palestine-ukraine-and-truth-2/

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0



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La permanenza della guerra

Tommaso Di Francesco
 su il manifesto del 19 Luglio 2014

Guerre umanitarie. La barbarie temuta è arrivata. Di fronte alla permanenza dei conflitti, di quale equidistanza si può parlare?

 
Alla fine, dodici anni dopo, ecco il risul­tato della scon­fitta del più grande movi­mento con­tro la guerra, nella fat­ti­spe­cie in Iraq, che scese in piazza con cento milioni di per­sone e che venne defi­nito «la nuova potenza mon­diale». Hanno vinto i neo­con della destra ame­ri­cana e quei governo di cen­tro­si­ni­stra che in Occi­dente hanno spo­sato la causa del «mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio» che ha pro­fu­mato di buono le stragi della nostra epoca: la guerra è diven­tata per­ma­nente e dilaga.

E torna ovun­que e all’improvviso. All’improvviso? La sua san­gui­nosa attua­lità è tra­gi­ca­mente pre­sente ogni giorno nono­stante il silen­zio dei governi com­plici e spesso dei media, come Repub­blica e Cor­riere della Sera, che sono arri­vati a can­cel­lare le stragi di Gaza dalla prima pagina. Spesso anche a sini­stra la guerra è l’ultimo dei pro­blemi, da aggiun­gere all’ultimo momento in un docu­mento, o in una presa di posi­zione, nell’incapacità di inter­pre­tare le cor­re­la­zioni che legano, in un filo d’orrore, i diversi con­flitti della terra ai cam­bia­menti poli­tici per cui si lotta. Ma il pre­ci­pi­tare degli eventi rende evi­dente la gene­rale mio­pia che attra­versa la cul­tura occi­den­tale. Che pro­mette e annun­cia cre­scita eco­no­mica ma nasconde la vio­lenza che altrove si eser­cita per otte­nerla a qual­siasi costo, taci­tando il peri­colo e otte­nendo con­senso e potere. Così la per­ma­nenza della guerra resta e rie­merge, ria­prendo ferite mala­mente sutu­rate e abil­mente occultate.

Lo Stato d’Israele, che non cono­sce altro che la legge dei carri armati, muove i tank per rioc­cu­pare la Stri­scia di Gaza e lo fa per­ché ha «diritto a difen­dersi», fa sapere lo stesso Obama che nel discorso del Cairo del 2009 dichia­rava di sen­tire «il dolore del popolo pale­sti­nese, senza terra e senza patria». Sono pas­sati cin­que anni dall’inizio della sua Ammi­ni­stra­zione e la crisi medio­rien­tale vede non solo sem­pre un popolo senza terra né patria, ma la crisi è peg­gio­rata per­ché la colo­niz­za­zione è stata estesa, i Muri di divi­sione sono rad­dop­piati e, scrive l’editorialista di Haa­retz Gideon Levy, «Israele non vuole la pace, chi estende le colo­nie raf­forza l’occupazione e chi raf­forza l’occupazione non vuole la pace». I razzi di Hamas sono il fumo, certo distrut­tivo e mici­diale, che nasconde que­sta verità: lo Stato di Pale­stina, ridotto ad una alveare di inse­dia­menti, non ha più alcuna con­ti­nuità ter­ri­to­riale e non potrà esi­stere più.

Sono 270 le vit­time dei bom­bar­da­menti aerei israe­liani, in gran parte civili com­prese decine di bam­bini. Pen­sate solo a quanto odio è stato semi­nato dai bom­bar­dieri in que­sti giorni. E di che equi­di­stanza stiamo par­lando? C’è uno Stato, quello d’Israele che occupa le terre di un altro popolo che, anche secondo la Carta dell’Onu ha il diritto a ribel­larsi. Qual­cuno dica a che cosa hanno por­tato finora i finti nego­ziati di pace, con un governo israe­liano sordo ad ogni richie­sta di ritiro secondo due sto­ri­che Riso­lu­zioni dell’Onu o di blocco delle colo­nie e rab­bioso — Neta­nyahu è let­te­ral­mente fuori di sé — per la nuova unità nazio­nale pale­sti­nese Fatah-Hamas. Ma, certo, Israele ha diritto alla sua sicu­rezza. E i pale­sti­nesi, che non si danno per vinti, a che cosa hanno diritto?

E pro­prio men­tre dilaga la nuova guerra medio­rien­tale, l’abbattimento cri­mi­nale di un aereo di linea malese sui cieli tra Ucraina e Rus­sia, con quasi 300 vit­time – già con rim­pallo di respon­sa­bi­lità — obbliga a vol­gere lo sguardo in Europa. Già nei giorni scorsi erano decine i morti nell’est dell’Ucraina, negli scon­tri tra mili­zie sepa­ra­ti­ste e nazio­na­li­ste filo­russe nate nel Don­bass in con­trap­po­si­zione al nazio­na­li­smo ucraino anti­russo del movi­mento di Maj­dan ormai al potere a Kiev, soste­nuto dal’Ue e soprat­tutto dalla Nato che porta avanti l’indiscussa e indi­scu­ti­bile stra­te­gia dell’allargamento della sua stra­te­gia mili­tare a est, pro­prio alla fron­tiera russa. Una volontà che è all’origine, non a con­clu­sione, delle ten­sioni e del con­flitto in corso.

E appena si volge lo sguardo dall’est euro­peo all’altra sponda del Medi­ter­ra­neo, l’instabilità della Libia – san­tua­rio mili­tare di ogni sol­le­va­zione jiha­di­sta nell’area — diventa macro­sco­pica. Siamo a soli tre anni dall’abbattimento del regime di Ghed­dafi gra­zie all’intervento degli aerei della Nato diven­tati l’aviazione degli insorti jiha­di­sti in guerra con­tro il raìs. Gui­dava allora la nuova coa­li­zione bel­lica occidental-umanitaria, con l’Italia pro­ta­go­ni­sta, il «disin­te­res­sato» Sar­kozy. Che riu­scì a con­vin­cere un ini­ziale recal­ci­trante Obama che poi, con Hil­lary Clin­ton, ha pagato il prezzo di que­sta avven­tura con i fatti di Ben­gasi dell’11 set­tem­bre 2012.

Gio­vedì le mili­zie isla­mi­ste di Misurata, le più armate e radi­cali, hanno occu­pato Tri­poli, dove un ille­git­timo e impro­ba­bile governo chiede l’intervento inter­na­zio­nale. Intanto si com­batte in Siria e le mili­zie qae­di­ste dello Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante avan­zano in ter­ri­to­rio ira­cheno, men­tre in Afgha­ni­stan le ultime ele­zioni pre­si­den­ziali sono accu­sate di bro­gli e le truppe Usa e Isaf/Nato reste­ranno ancora per altri due anni.
Non c’è pace. È un disa­stro. Per­mane solo la bar­ba­rie che teme­vamo sarebbe arri­vata se non si fosse costruita una alter­na­tiva di valori e di sistema. In que­sti giorni noi ci rivol­tiamo al dis­sen­nato ten­ta­tivo del pre­si­dente Renzi di mani­po­lare la nostra Costi­tu­zione con la can­cel­la­zione della eleg­gi­bi­lità diretta e demo­cra­tica del Senato. Riflet­tiamo allora per un attimo sul fatto che per ognuna delle guerre che abbiamo elen­cato l’Italia è stata o è pro­ta­go­ni­sta e ha un ruolo militare.

Non solo in Iraq ma anche in Medio oriente dove par­te­cipa ad un Trat­tato mili­tare con Israele, nono­stante sia un paese in guerra per­ma­nente; in Libia ha bom­bar­dato dopo avere applau­dito al regime dell’ex raìs, in Siria è ancora nella fami­ge­rata coa­li­zione degli «Amici della Siria» che ha ali­men­tato il con­flitto; men­tre in Ucraina l’Italia sostiene, senza che se ne discuta, l’Alleanza atlan­tica che peri­co­lo­sa­mente alle­sti­sce da anni la sua nuova, pro­vo­ca­to­ria, cor­tina mili­tare alla fron­tiera russa come se fosse la nuova Guerra fredda. Riflet­tiamo allora su quanto sia stato deva­stato l’articolo 11 della nostra Costi­tu­zione che ban­di­sce la guerra come mezzo di riso­lu­zione dei con­flitti inter­na­zio­nali. E ribel­lia­moci. Can­cel­lano il Senato per­ché, dicono, «pro­duce ceto poli­tico». Men­tre cre­sce solo la guerra, can­cel­lano l’articolo 11 per pro­durre ceto mili­tare e nuovi conflitti.



(srpskohrvatski / francais / english)

Srebrenica ? 
2: 19-year-blueprint for US intervention

1) NEWS: Le criminel de guerre Naser Oric celebre a Srebrenica / Obeležena godišnjica stradanja Srba u Bratuncu
2) Interview with Stephen Karganovic (Srebrenica Historical Project)


On the "Srebrenica" issue see all documentation at our dedicated page:


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Le Courrier des Balkans

Commémorations de Srebrenica : Naser Orić, l’ancien chef militaire de l’enclave, marche « pour la paix »


De notre correspondant à Sarajevo

Vendredi 11 juillet 2014 - Les restes de 175 personnes ont été ensevelis ce vendredi au cimetière de Potočari au cours de la commémoration du 19e anniversaire du massacre de Srebrenica, où des milliers de personnes sont venues leur rendre un dernier hommage. Naser Orić, l’ancien commandant des forces de l’Armée de la république de Bosnie-Herzegovine dans l’enclave, était présent à la cérémonie.

Par A. De Noni

L’ancien chef de la défense de Srebrenica, Naser Orić, a participé à la « marche de la paix » qui, depuis dix ans, refait le trajet que des centaines de Bosniaques ont parcouru pour s’enfuir de la ville, le 11 juillet 1995.
Naser Orić, condamné en 2006 par le TPIY à deux ans de prison, a passé en revue les vétérans de la 28e division de l’Armija présents au départ de la marche à Nezuk, près de la ville de Sapna. Pendant la guerre, ces soldats étaient chargés de défendre la ville, finalement tombée entre les mains de Ratko Mladić.
L’ancien commandant des forces de l’Armée de la république de Bosnie-Herzegovine, accompagné par l’ambassadeur de Turquie et l’actuel maire de Srebrenica, Čamil Duraković, a exhorté les participants à respecter l’esprit de la marche et de la commémoration. « Chaque centimètre de cette route est couvert de sang », a-t-il souligné.
Dans une interview au portal Klix, Naser Orić a affirmé que la ville « devrait être enlevée à la République serbe de Bosnie-Herégovine Srpska et donnée à la Fédération ». Il a également exprimé son regret de n’avoir pas été en mesure de défendre la ville. « Tout aurait été différent si j’étais resté jusqu’à la fin », a-t-il déclaré, faisant allusion à son retrait en tant que commandant de l’enclave, le 28 mai 1995. « Srebrenica aurait pu être sauvée », a-t-il conclu.

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22-esimo anniversario della strage dei serbi nel circondario di Srebrenica. Soltanto nella giornata ortodossa di S. Pietro, il 12 luglio 1992, l' armata della Bed E (di Izetbegović) con a capo Naser Orić ha ammazzato 69 civili, mentre a Bratunac, Srebrenica e dintorni fino al 1995, sono stati uccisi più di 3000 serbi.



Obeležena godišnjica stradanja Srba u Bratuncu


Tanjug | 12. jul 2014. 10:47 > 15:51 | Komentara: 9
Služenjem parastosa ubijenim i poginulim i polaganjem venaca na spomen obeležju na Zalažju kod Srebrenice, obeležena godišnjica stradanja Srba ovog kraja koje su tokom rata ubili pripadnici Armije BiH

Služenjem parastosa kod spomen-kosturnica stradalima u dva poslednja rata na Zalazju kod Srebrenice, paljenjem sveća za pokoj duša 69 poginulih na današnji dan 1992. godine i polaganjem cveća na spomen-obeležje, danas su obeležene 22 godine od velikog srpskog stradanja u srebrenickoj opštini, javio je RTRS.

Cveće na spomen-obeležje položili su izaslanik predsednika Republike Srpske Duško Četković, delegacije republicke i opštinskih organizacija porodica zarobljenih i poginulih boraca i nestalih civila, boračkih organizacija Srebrenice, Bratunca i Zvornika i nekoliko stranačkih delegacija.

Prethodno su članovi porodica poginulih, saborci i boračka i opštinske delegacije Srebrenice i Bratunca položile cveće na Vojničkom groblju u Bratuncu, gđe je sahranjen najveći broj stradalih i na srpskim stratištima u Biljači i Sasama.

Osim 69 poginulih na Petrovdan 1992. godine, nestalo je i zarobljeno još 22 Srba, a veliki broj ih je ranjen.

Nakon mučenja i zlostavljanja u srebrenickim logorima svi su ubijeni, a posmrtne ostatke njih 10 slucajno je pronašao tim za traženje nestalih iz Tuzle 10. juna 2011. godine na Zalazju, prilikom traženja muslimanskih žrtava. Nakon više od godinu dana ovi posmrtni ostaci su identifikovani i sahranjeni lani na Petrovdan, a za još 12 Srba nestalih tog dana i dalje se traga, navodi RTRS.

Četković je zapitao kome su smetali mirni ljudi toliko da ih svirepo pobiju, koji su na veliki pravoslavni praznik Petrovdan bili u svom selu.

"Smetali su samo što su Srbi i nikada ih nećemo zaboraviti i odustati od traženja pravde i odgovornosti onih koji su počinili zločin nad ovim ljudima", rekao je Četkovic.

Članovi porodica i predstavnici boračkih organizacija i organizacija porodica zarobljenih i poginulih boraca i nestalih civila iz Srebrenice ponovo su danas izrazili nezadovoljstvo radom Haškog tribunala, te Tužilaštva i Suda BiH.

Oni su ukazali na to da još nije niko procesuiran za brojne masakre i zločine koje su muslimanske snage iz Srebrenice počinile nad Srbima u poslednjem ratu, ubivši oko 1.500 srpskih civila i vojnika, od kojih su više od polovine masakrirali.

Predsednik Opštinske organizacije porodica zarobljenih i poginulih boraca i nestalih civila iz Srebrenice Mladen Grujičić istakao je da niko za 22 godine nije odgovarao za ovaj, kao i ostale zločine počinjene nad Srbima u srednjem Podrinju.

"Deset zarobljenih još nije nađeno, a naše majke, braća i sestre još čekaju pravdu", rekao je Grujičić.

On je poručio međunarodnom pravosuđu da je u Srebrenici srpsko stanovništvo procentualno više stradalo od bošnjackog, a institucijama Republike Srpske da ne dozvole da ovaj zločin ostane bez kazne, te da učine sve da se pocinioci zlocina otkriju i procesuiraju ili da se ukinu Tužilaštvo i Sud BiH koji procesuiraju i osuđuju samo Srbe, a opstruišu procese protiv onih koji su počinili zločine nad srpskim stanovništvom.

Jake muslimanske snage iz Srebrenice pod komandom Nasera Orića 12. jula 1992. godine upale su u više srpskih sela u srebreničkoj i bratunačkoj opštini ubijajući, pljačkajući i paleći sve pred sobom, navodi RTRS.


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http://voiceofrussia.com/2014_07_11/Srebrenica-19-year-blueprint-for-US-intervention-Stefan-Karganovic-9752/



11 July 2014, 03:09

Srebrenica: 19-year-blueprint for US intervention - president of Srebrenica Historical Project
Read more: http://voiceofrussia.com/2014_07_11/Srebrenica-19-year-blueprint-for-US-intervention-Stefan-Karganovic-9752/


On July 11, 1995, two NATO warplanes bombed Serbian forces, advancing on Srebrenica. But due to the bad weather and the fact that Serbian forces were holding French and Dutch prisoners of war, NATO called off what was to be a massive bombing campaign. Late in the afternoon, Serbian general Mladic and other commanders entered into Srebrenica. They had won, for the moment. This loss by NATO could not accept and through indirect manipulation and false representation of the facts, US and NATO slandered the Serbs and successfully changed the presentation of a legal military operation. Radio Voice of Russia spoke to Stephen Karganovic on the history of Srebrenica in this special interview on the nineteenth anniversary of those events.


Hello, this is John Robles, I am speaking with Stephen Karganovic, he is the president of the Srebrenica Historical Project.
Robles : Hello sir, how are you this evening?
Karganovic: I am fine, thank you very much.
Robles : We have an anniversary of a very tragic event coming up on July, 11. Some might say it was a part of or the beginning of the rule of international lawlessness and wanton impunity by the architects of Yugoslavia’s and Serbia’s destruction by the US and NATO. Why do you think that is important and give us some of the history, please?
Karganovic: Yes, it is definitely what you have just said and it has become the starting point for a process in international relations. I wouldn’t quite say in international law because, as you correctly put it, the process involves the breakdown of law, lawlessness in fact. What happened was that Srebrenica became a propaganda paradigm that was then used to justify military interventions under the guise of the “right to protect” and as a result it served as the rationale for a couple of very destructive military adventures: Kosovo in 1999, and Iraq, then Libya, and now in Syria, and who knows what is next, and the basic rationale for all these adventures was “We must prevent another Srebrenica”.
Well, the ironic thing is that the death toll in Srebrenica, if you take it at its highest, would be about 8,000. And as you and your listeners, probably, know, the death toll in each of these interventions was far more than that. If you are talking about Syria, you can add another zero to the Srebrenica 8,000 and you probably still would not come close to the carnage that occurred there over the last three years. I just might remind you that it was motivated in large part by the presumed need to “prevent another Srebrenica” as the forces of the current president there supposedly were slaughtering their own people. Much the same thing happened in Libya. According to some estimates, the death toll in Libya was 40,000 or 50,000, a bit more modest, and needless to say in Iraq it was enormous. The figure is still controversial, but nobody puts it at less than 100,000 and some estimates go as far as a million, and so on and so forth.
Oh yes, let’s not forget Kosovo. There the death toll was relatively modest but you have to calculate the impact of depleted uranium bombs that were dispersed all over the country and that over the next couple of thousand years will be killing every living thing there, and people are already massively dying of cancer. So you can imagine that too should be attributed to the “humanitarian intervention” that was conducted there.
So Srebrenica has huge geopolitical implications. I am not saying that there was an idea to turn it into that, but it was an opportunistic move. The potential for Srebrenica, once it took shape as a propaganda concept, to serve in that role as the rationale for future “humanitarian interventions” was seen and seized upon. So that would be part of the answer to your question.
The other part is what actually happened in Srebrenica: there is no doubt that what happened was a massacre. That is not controversial. What is controversial - how many people were killed and – even more important – the legal character of the crime that was committed. As you and your listeners are aware, by now whenever the word “Srebrenica” is mentioned we are all indoctrinated to associate it with genocide. That is precisely the way it works, and in its geopolitical application that I mentioned earlier that is the key point. Whenever they get ready to bomb a country and take it over for its resources they say “Well, we have to prevent the genocide that is being perpetrated by the local rulers, so we have to remove them and install a group of people that would be friendly to us and willing to obey our orders”. And – of course – deliver the goods that we covet in that particular country.
So genocide is a very important point when you are talking about Srebrenica and it so happens that, the judgments of the Hague Tribunal takes place, notwithstanding, no evidence was produced for genocide after about half a dozen or more Srebrenica trials. So what we can say with a fair degree of certainty is that after a bitter inter-communal war in that part of Bosnia that lasted for about three years the Serbs took over Srebrenica, and some of them took the law into their own hands, so to speak, and decided to take revenge for all the people on their side that, previous to that, were murdered in raids that were conducted by the units of the Bosnian Muslim army that were operating from Srebrenica. That doesn’t justify a single murder, but it explains it in a far better way than the idea of genocide. There was no intention of exterminating Bosnian Muslims. The most that happened there was that neighbors were very angry at other neighbors and they decided to let them have it for what they had been doing to them over the previous three years. In three or four days they killed, we estimate, up to a thousand Muslim prisoners, which is without the slightest justification, but certainly it was not genocide and there is no forensic or any other type of evidence to support the figure of 8,000 executed prisoners that you hear about all the time.
Robles : What was the actual number, then?
Karganovic: We can only go by the forensic investigations that were conducted by experts of the Hague Tribunal, of the Prosecution, between 1996, beginning right after the massacre that occurred in 1995, and their exhumations of mass graves that went on until 2001. In that period they uncovered the physical remains of about 1,920 individuals. However, we then looked at the pattern of injury. That is very important because at the same time that this massacre of prisoners was going on another significant event was occurring as well. The division of the Bosnian Muslim army that was in Srebrenica was conducting a military breakout from Srebrenica to Muslim-held territory in Tuzla, which is about 60 kilometers away. Along their way they had many clashes with Serbian forces, which used guns and other implements of war, as they were entitled to do, against the military column. As a result of these clashes, thousands of Muslim soldiers and the civilians who were with them were killed, and I just want to make the point that when you have a mixed military-civilian column, the opposing army is entitled to shoot at it. That is not a war crime, it is a legitimate military operation, so everyone that was killed in the breakout of the Muslim army unit was a legitimate casualty, which sounds very bad, I know, in human terms, and it is, but in international law terms that is the way it is. What they have been doing, in effect, was to exhume the graves where the casualties from the fighting were buried and then they would use them to reinforce the numbers of those who were really executed, in order to boost the figure, essentially. So that’s what has been going on.
Robles : Thank you very much for that detailed answer. Now, would you characterize Srebrenica. Not by itself, but the entire situation surrounding it, as a blueprint for what we are seeing now in multiple countries, in particular in Ukraine?
Karganovic: Well, it is different and yet there are striking similarities.
Robles : But the thinking behind it. Unless it is just to destroy as many people as possible.
Karganovic: I think that destroying people is something that occurs naturally when you undertake such a brutal operation which aims only at achieving a certain political effect and doesn’t ask about the human cost. So yes, people will be killed, Muslims, Christians, whatever they may happen to be, and that is a huge tragedy. But to return to your original question as I understood it, Srebrenica in Bosnia has become a huge stumbling block to the reconciliation and peaceful coexistence of the ethnic and religious communities, mainly the Serbs and the Muslims. Croats are not a part of that because there were not any to speak of in that area during the war. So, by creating this narrative that Srebrenica signifies genocide of Muslims by Serbs, you can see how that makes it very difficult for the two communities to come together on any issue, and that is perfectly natural. How could you just calmly sit and have coffee with someone who has committed genocide on your family?
So that makes it very important to clarify what happened, not to minimize the crime – call it by its right name, put it in the proper perspective, and make sure that all sides are aware that they committed crimes in that particular area. Each community committed crimes against the other community and people should be punished as individuals for the crimes that they committed in both communities. And we should not try to impose on one community the burden of a particularly heinous crime just for political effect. And the political effect is pretty obvious: as long as they cannot get together on anything, you need a foreign arbitrator to keep them in check. So, Srebrenica is an example of how the classical “divide and rule” technique operates and in this particular case as long as Muslims hang on to the genocidal narrative they are never going to come to the same table with their Serbian neighbors and plan either a common future, or a civilized divorce, or whatever, although they can still be good neighbors, they can still cooperate and be on good terms even if they live in separate states instead of in a common Bosnian state. That is a completely separate issue. However, as long you have this burden of genocide that is not likely to happen. But what is very likely is that foreign tutelage, and foreign arbitration, and foreign interference in the internal interference and lives of these people is going to go on for a very, very long time and that is a tragedy because they need to seize control of their own destiny and to be masters in their own house.
Robles : Is there any realistic way that we can stop all this meddling? We are seeing it in the Ukraine all over again.
Karganovic: Of course, taking into account the local peculiarities, which they always do, that is roughly the scenario that is taking place in the Ukraine. In Ukraine you don’t have two completely different religions, not that Islam and Christianity are so completely different, in Ukraine you have varieties of the Christian religion. But people have been indoctrinated to exaggerate the differences and to downplay the similarities. As long as you brainwash them in those terms you can always use them as political pawns for your purposes.





(deutsch / english / italiano)

Provocazioni a gogo per costringere la Russia alla guerra

0) Links: le ultime notizie
1) I più recenti sforzi di Kiev per trascinare la Russia nella guerra fratricida: 
* all'alba del 13 luglio attaccata Rostov, un morto: Ukrainian shelling on Russian territory
* il 17 luglio abbattuto aereo di linea della Malesia: LINKS
2) Donetsk People’s Republic leaders reinforce defenses (G. Butterfield)
3) Die Saat geht auf. Ukrainisches Regime verschärft Kriegführung im Osten (GFP)
4) EU-ultimatum against Russia – another Rambouillet? (Willy Wimmer)
5) Chi vuole trascinare la Russia nella guerra in Ucraina? (Petr Iskenderov)
6) I serbi del Kosovo e della Metohija in aiuto alla Novorossija 


=== 0: LINKS ===

Le ultime notizie:

18.07.2014 Situazione in Ucraina. Guerra in Ucraina

17-18.07.2014 Situazione in Ucraina. Crisi Ucraina

17.07.2014 Situazione in Ucraina. Guerra in Ucraina

Fascist atrocities mount as US-backed regime assaults eastern Ukraine (Alex Lantier / WSWS, 17 July 2014)

Die Allianz der Bedrohten (Sanktionen gegen Russland) (GFP 17/7/2014)

16.07.2014 Situazione in Ucraina. Crisi Ucraina

Ucraina: il regime semina morte (Marco Santopadre, mercoledì, 16 Luglio 2014)

The bombing of eastern Ukraine (Peter Schwarz / WSWS, 16 July 2014)

15.07.2014 Situazione in Ucraina. Crisi Ucraina

Ukraine military launches air attacks on Russian-speaking cities in east (Christoph Dreier / WSWS, 15 July 2014)

14-15.07.2014 Situazione in Ucraina. Guerra in Ucraina

Ucraina, abbattuto un cargo militare. Kiev accusa: “Colpito da fuoco russo” (14/07/2014)
Un aereo è precipitato «per missili nemici» nella zona di confine con la Russia. L’autoproclamata repubblica di Lugansk: «Catturati 4 membri dell’equipaggio»

14.07.2014 Situazione in Ucraina. Guerra in Ucraina

13-14.07.2014 Situazione in Ucraina. Crisi Ucraina

Ucraina, morto sotto tortura giornalista rapito dai paramilitari di Kiev (13 luglio 2014)
http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_13/Ucraina-morto-sotto-tortura-giornalista-rapito-dai-paramilitari-di-Kiev-9775/

1 KILLED, 2 INJURED: RUSSIA VOWS RESPONSE TO UKRAINE SHELLING RUSSIAN CITY (July 13, 2014)
http://rt.com/news/172404-russian-donetsk-shelled-victims/
VIDEO 1: http://rt.com/news/172404-russian-donetsk-shelled-victims/
VIDEO 2: http://www.youtube.com/watch?v=aLTlbmGD_8E
Russia vows 'rigorous' response to Ukraine shelling Russian city (RT 13/7/2014)

Un quartiere di Donetsk è stato bombardato (12 luglio 2014)
L'esercito ucraino ha lanciato razzi per tutta la notte contro una zona della città ucraina controllata dai ribelli: secondo i filo-russi ci sono almeno 30 morti
http://www.ilpost.it/2014/07/12/bombardamento-donetsk/

11.07.2014 Situazione in Ucraina. Guerra in Ucraina

Kiev regime launches “total assault” against east Ukraine rebels
By Christoph Dreier - 12 July 2014

Scusate se non siamo morti a Slavjansk / La ritirata da Slavjansk / Il reparto del comandante “Motorola” e’ arrivato a Donec’k


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Man killed, two injured, by Ukrainian shelling on Russian territory

July 13, 2014

An artillery shell from Ukraine has hit a private house in the Rostov region of Russia, killing a citizen, leaving two more injured in the small Russian town of Donetsk, which has the same name as the Ukrainian city.

The town is situated right on the Ukrainian border.

Several high-explosive shells exploded there on Sunday. Reportedly, the shells were fired from a mortar.

Deputy Foreign Minister Grigory Karasin promised a “rigorous and concrete answer” to the shelling of Russian territory that resulted in the senseless loss of life.

“We’re currently evaluating the situation, and the facts we’ve learnt risk a dangerous escalation of the tensions on the [Russian-Ukrainian] border, which puts our citizens in high danger,” Karasin said, stressing that harsh reaction would follow only after detailed analysis of the situation.

The National Security Council of Ukraine has already declared that Kiev’s troops involved in the operation in the east of the country have nothing to do with the shelling incident.

“Ukrainian troops are definitely not shelling the territory of the Russian Federation. We did not shoot,”said Andrey Lysenko, official representative of the information center of the NSCU.

Authorities in the Rostov region have confirmed the death of a 46-year-old man and injuries to two women. The man died in a shell explosion, while one of the women suffered a shell fragment wound in the leg; another woman, reportedly 80-years-old, was shell-shocked in her house across the street from the explosion site.

Russia’s Donetsk has a population of approximately 49,000 citizens and has the Donetsk-Izvarino border entry point in the city on the Russian-Ukrainian border.

There have been a number of incidents lately involving Ukrainian troops deliberately shelling Russian border posts.


On Saturday a vehicle, carrying a squad of Russian border guards, came under fire from the Ukrainian side at the frontier between Russia and Ukraine.

On June 28, mortar shells from Ukraine hit Russian territory, damaging a building at the Gukovo border checkpoint and creating potholes in the ground in two villages.

The week before, on June 20, the Russian Novoshakhtinsk checkpoint in the Rostov region was shelled by mortars, Russia’s Border Service said.

Until today’s fatality, there had been no casualties, except for one Russian border guard suffering a head wound from a shell fragment.

The Ukrainian army has sometimes shelled border checkpoints, while refugees from Ukraine were trying to get through passport control to find shelter on Russian territory.

The number of incidents involving Ukrainian artillery shelling on Russian territory has increased of late. On July 3, the Novoshakhtinsk border checkpoint was shelled again. The next day, engineers and investigators, who came to disarm unexploded ordnances on the Russian side, came under mortar fire from Ukraine at the Donetsk border checkpoint. On July 5, about ten mortar shells exploded near the same border checkpoint.


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Secondo una fonte citata da Interfax e ripresa da RT, forse l'obiettivo del missile terra-aria partito dal territorio ucraino che il 17 luglio ha abbattuto un jet di linea malese, doveva essere l'aereo che trasportava Putin in patria dopo il viaggio in Sud America


Clamorosa indiscrezione: al posto del Boeing doveva essere abbattuto l'aereo di Putin (VoR 17/7/2014)
http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_17/Clamorosa-indiscrezione-al-posto-del-Boeing-malese-doveva-essere-abbattuto-laereo-di-Putin-5043/

Aereo malese. Abbattuto per errore, l'obiettivo era Putin? (Contropiano, 18 Luglio 2014)

Medios: el objetivo del misil ucraniano podría haber sido el avión del presidente Putin
Publicado: 17 jul 2014 | 18:11 GMT Última actualización: 17 jul 2014 | 21:06 GMT
http://actualidad.rt.com/actualidad/view/134289-objetivo-misil-ucrania-avion-presidente-rusia-putin

Boeing abbattuto, Interfax: "Aereo simile a quello di Putin". Un giallo?
L'aereo presidenziale russo avrebbe incrociato la rotta del volo MH17: "Stessi colori e stessa dimensione, facile confonderli a quella distanza", racconta una fonte anonima all'agenzia
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Tragedia-Boeing-Interfax-aereo-malaysia-simile-a-quello-di-Putin-bdfbca44-ef75-4a31-939b-dc146a72c9e7.html

Il Punto di Giulietto Chiesa – Precipita in Ucraina aereo di linea della Malaysia Airlines

UNA FONTE DELL’AVIAZIONE RUSSA: LO SCOPO DEL MISSILE UCRAINO POTREBBE ESSERE STATO IL VOLO DI VLADIMIR PUTIN

Professionisti della disinformazione falsificano prova audio per incolpare i partigiani del Donetsk
Ukraine Releases YouTube Clip "Proving" Rebels Shot Down Malaysian Flight MH-17 (Tyler Durden on 07/17/2014)

Missili, caccia e contraerea: i misteri dell'Ustica ucraina (Il Giornale, 18/7/2014)

Washington seizes on Malaysian airliner crash in Ukraine to threaten Russia (Alex Lantier / WSWS, 18 July 2014)

The crash of Malaysian Airlines flight MH17 in Ukraine (Alex Lantier / WSWS, 19 July 2014)

Following Malaysian plane disaster: German media pushes for confrontation with Moscow (Peter Schwarz / WSWS, 19 July 2014)

Malaysia MH17 crash: 10 questions Russia wants Ukraine to answer (July 18, 2014)
http://rt.com/news/173976-mh17-crash-questions-ukraine/

UCRAINA, SIRIA: STESSA FABBRICA DI MENZOGNE (F. Santoianni, 19 luglio 2014)


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castillano: Líderes de República Popular de Donetsk refuerzan defensas (Greg Butterfield, July 15, 2014)



Donetsk People’s Republic leaders reinforce defenses

By Greg Butterfield on July 7, 2014

On the night of July 4-5, the militia of the Donetsk People’s Republic (DNR) withdrew from the embattled cities of Slavyansk and Kramatorsk. The volunteer self-defense forces made an orderly retreat to the south, where they took up positions in and around the regional capital city of Donetsk.

The decision to withdraw came after weeks of unrelenting military assault by forces loyal to the regime of neoliberal politicians, oligarchs and fascists, based in the Ukrainian capital of Kiev and backed by the United States,

“To put it bluntly, we are dealing here with unconcealed genocide,” said DNR Defense Minister Igor Strelkov, during a videotaped statement from Slavyansk on July 4. “To break the resistance of the militia, the enemy is using all available types of weaponry against the civilian population.”

The nearby city of Nikolayevka has been completely surrounded and bombarded with heavy weaponry. On June 3 the Nikolayevka Thermal Power Plant was destroyed. Banned weapons, including poison gas and white phosphorus, were reported used in the village of Semyonovka.

Brutal airstrikes, mortar fire and chemical attacks targeting homes, schools and hospitals continued even during a “ceasefire” declared by Ukraine’s pro-West President Peter Poroshenko in late June, which coincided with the signing of an economic agreement with the European Union. The “ceasefire” ended July 4.

The Kiev regime’s military attacks have also continued in the capital of the neighboring Lugansk People’s Republic (LC). The regional cancer treatment center was bombed on July 4. Airstrikes and shelling of residential areas of the capital were reported July 6.

Last May 11, people in the DNR and LC voted overwhelmingly for independence from Kiev in a democratic referendum.

“Over the course of the ‘ceasefire,’ the Ukrainian army performed full mobilization and concentration of forces,” said Strelkov, explaining that the continued defense of Slavyansk was unsustainable.

Officially, more than 250 people have been killed in Kiev’s so-called “Anti-Terrorist Operation” — mostly civilians, including many children. No one knows the real number of casualties since many areas are completely inaccessible.

Nearly 19,000 people — mostly parents with young children — have fled toward neighboring Russia from the Donbass region, which encompasses Donetsk and Lugansk. The International Committee of the Red Cross reported July 3 that the actual number of refugees in Russia is probably much higher.

Some 112 Donbass cities, towns and villages, with a total population of over 3.8 million, have come under attack, according to analysis published by the website Voices of Sevastopol.

Only 30,000 of Slavyansk’s population of 130,000 people remained when the people’s militia withdrew, Strelkov reported. Water, electricity and food supplies have been cut off for weeks.

Liberation or ‘filtration’?

While the people’s government in Donetsk termed the withdrawal from Slavyansk a strategic retreat, Ukraine’s billionaire president claimed it was a “symbolic victory in the fight with terrorists for the territorial integrity of Ukraine.”

Similarly, Interim Prime Minister Arseny Yatsenyuk — a U.S. favorite who recently termed Donbass residents “subhuman” — crowed about the “liberation of Slavyansk and Kramatorsk from terrorists.” Pro-junta media showed photos of Ukrainian soldiers hugging children and giving flowers to grandmothers.

On the ground, the “victory” was less impressive.

According to independent U.S. journalist Patrick Lancaster, Ukrainian forces entered Kramatorsk’s main square with “two tanks, two APCs [armoured personnel carriers] and 15-20 foot soldiers, some of them snipers and some carrying rocket-propelled grenades.” After raising the Ukrainian flag on the roof of the former resistance headquarters, “they jumped back on their tanks and left.” (RT.com, July 5)

Within a few hours of Kramatorsk’s “liberation,” heavy shelling of the city by Ukrainian forces resumed.

Ukraine’s Ministry of Internal Affairs, headed by the ultra-rightist Arseny Avakov, meanwhile  announced that “an internal investigation of each member of the local police force will be launched” in Slavyansk on suspicion that they cooperated with DNR authorities.

Local police were detained while cops loyal to Kiev were brought in from western Ukraine.

Oleg Tsarev, speaker of parliament for the Union of Lugansk and Donetsk People’s Republic, told Russia’s Channel 24, “Overnight, they arrested all policemen and took them out of the city.” He added, “They are arresting all young men from 25 to 35, not even trying to find out whether these men took up arms or not. Searches are underway. They are trying to find those who helped take care of the wounded.”

Kiev’s Ministry of Internal Affairs echoed former acting Minister of Defense Michael Koval’s plan for “filtration camps” for southeastern Ukraine, announcing it would “filter” refugees seeking to leave the region. (Glagol.in.ua, July 4)

Donetsk’s answer: ‘To Kiev’

On July 6, Koval — now appointed deputy secretary of the National Security Council — told Inter TV that “the main strategic plan of the Ukrainian army” was that “In the two regional centers of Lugansk and Donetsk a total block will be applied and appropriate measures carried out that will force the separatists to lay down their arms.”

More than 4,000 Donetsk residents took to the streets the same day to deliver their answer to Koval, the junta and their U.S.-EU backers. They demanded an end to Ukraine’s war crimes and declared their determination to defend the DNR.

At a mass protest in Lenin Square, People’s Governor Pavel Gubarev announced, “We will begin a real partisan war” around Donetsk.

The demonstrators were accompanied by members of the self-defense militias. Some rode in captured tanks and APCs emblazoned with the slogan “To Kiev” — meaning they do not intend to leave other Ukrainians at the mercy of the junta.

Meanwhile, in the heavily bombarded capital of Lugansk, protesters held up home-made target signs — similar to those that became the symbol of people protesting the 1999 NATO bombing of Yugoslavia.

In an interview with LifeNews on July 7, Denis Pushilin, chair of the DNR Supreme Soviet, called the redeployment of the militia “a turning point in the confrontation with Kiev.” He continued, “If the militia had remained in Slavyansk and Kramatorsk, the cities would have been completely destroyed. Now there is more wiggle room.”

In an interview with LifeNews after his arrival in Donetsk, militia commander Strelkov said: “I plan to create, by my order as the minister of defense, a Central Military Council, which will include all the key field commanders, and where we will coordinate all questions related to the defense of the Donetsk People’s Republic. … In other words, we will be preparing Donetsk for active defense, to ensure that it is not taken over by the enemy.”



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Die Saat geht auf
 
15.07.2014
KIEW/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Die vom Westen protegierte Regierung der Ukraine verschärft ihre Kriegführung im Osten des Landes. Angriffe auf Wohngebiete dauern an; zunehmende Attacken auf die wirtschaftliche Infrastruktur lassen befürchten, dass auch die Großstädte Donezk und Luhansk wie zuvor Slowjansk gleichsam ausgetrocknet werden sollen: In Slawjansk war es nach der Zerstörung der Wasser- und Stromversorgung sogar in Krankenhäusern zu Totalausfällen gekommen, Beobachter sprachen von einer humanitären Katastrophe. In Streitkräften und irregulären Milizen etablieren sich faschistische Kräfte, die Berlin hoffähig gemacht hat - im Falle der Partei Swoboda durch Kooperation und gemeinsames Auftreten des Parteichefs mit dem deutschen Außenminister, im Falle des berüchtigten Prawy Sektor ("Rechter Sektor") durch die billigende Inkaufnahme von dessen Erstarken auf dem Maidan. Zu den Ergebnissen der von Berlin unterstützten Entwicklung gehört, dass kürzlich die zentrale Kiewer Demonstration für die Rechte von Homosexuellen verboten worden ist - von einem Zögling der Berliner Außenpolitik, dem in Deutschland hochpopulären Kiewer Oberbürgermeister Witali Klitschko.
Eine humanitäre Katastrophe
Die vom Westen protegierte Regierung der Ukraine verschärft ihre Kriegführung im Osten des Landes. Nach der Preisgabe der Städte Slowjansk und Kramatorsk durch die Aufständischen sind die Regierungstruppen nun bestrebt, Donezk und Luhansk einzukreisen; dabei kommt es weiterhin zu Angriffen auf Wohngebiete und zu zahlreichen Todesopfern unter Zivilisten. Bereits vor Wochen hat Sergij Taruta, der von Kiew installierte Gouverneur von Donezk, den Beschuss von Wohngebieten scharf kritisiert und darauf hingewiesen, dies treibe den Aufständischen neue Kräfte zu.[1] Dessen ungeachtet attackieren die Regierungstruppen fortgesetzt nicht nur Zivilisten, sondern zunehmend auch die wirtschaftliche Infrastruktur - mit fatalen Folgen. So wird der Direktor eines Grubenunternehmens in Donezk mit der Aussage zitiert, die Truppen hätten offenkundig gezielt die Kohleversorgung für das größte Kraftwerk der Region unterbrochen: "Die Vorräte reichten noch für 20 Tage, danach könne es zu Stromknappheit kommen".[2] In Slowjansk hatte der Totalzusammenbruch der Infrastruktur eine humanitäre Katastrophe ausgelöst; so hatten Krankenhäuser zuletzt Elektrizität nur noch unmittelbar für Operationen zur Verfügung - selbst die Blutreserven drohten wegen mangelnder Kühlung zu verderben.[3] Ähnliches scheint für Luhansk und Donezk bei fortgesetzten Angriffen der Regierungstruppen langfristig nicht ausgeschlossen.
"Untermenschen"
Dabei steht die ukrainische Regierung, die die Angriffe forciert, einerseits unter massivem Druck faschistischer Kräfte. Ende Juni etwa hatten Tausende Ultrarechte auf dem Kiewer Maidan ein sofortiges Ende des damaligen Waffenstillstandes gefordert; Präsident Poroschenko müsse umgehend den Kriegszustand über das Donbass verhängen, hieß es. Poroschenko wurde als "Verräter" beschimpft; Anführer ultrarechter Freiwilligenbataillone verlangten, im Osten des Landes auf eigene Faust einzugreifen. Andererseits folgt die Kiewer Regierung mit den Attacken auch eigenen Positionen. So wurde etwa Poroschenko Ende der vergangenen Woche mit einem Ruf nach uferloser Rache zitiert: "Für jedes Leben unserer Soldaten werden die Kämpfer mit Dutzenden und Hunderten der Ihren zahlen."[4] Bereits zuvor hatte Ministerpräsident Arsenij Jazenjuk nach einer tödlichen Attacke auf ukrainische Soldaten erklärt, bei den Angreifern handele es sich um "Untermenschen" ("subhumans"), die "ausgelöscht" werden müssten; es gelte "unser Land vom Übel zu säubern". Die Stellungnahme, auf der Website der ukrainischen Botschaft in den USA publiziert, ist inzwischen leicht modifiziert worden - statt "subhumans" ist nun von "inhumans" die Rede -, aber im Kern noch einsehbar.[5]
Munition gesammelt
Gleichzeitig schreitet unter Präsident Poroschenko die Etablierung ultrarechter Milizen und die Durchdringung des ukrainischen Militärs mit Faschisten voran. Mitte Juni etwa besuchten mehrere Parlamentsabgeordnete der faschistischen Partei Swoboda Einheiten der Streitkräfte, der Nationalgarde und irregulärer Milizen im Osten des Landes - und übergaben ihnen Medikamente, Ausrüstung und Munition, die Swoboda mit einer Sammelaktion in Eigeninitiative beschafft hatte. Man werde auch weiterhin Druck ausüben, um die Verhängung des Kriegsrechts zu erreichen, erklärten die Abgeordneten anschließend. Unter ihnen befand sich Mychajlo Holowko [6], der vor gut einem Jahr gemeinsam mit weiteren Swoboda-Aktivisten die NPD-Fraktion im Sächsischen Landtag besucht und ihr eine intensivere Kooperation in Aussicht gestellt hatte (german-foreign-policy.com berichtete [7]). Wenige Tage nach dem Einmarsch der Kiewer Regierungstruppen in Slowjansk nahm eine Swoboda-Delegation die Stadt in Augenschein. Bereits unmittelbar nach dem Einmarsch hatte dort ein Reporter der BBC eine frisch aufgehängte Flagge des faschistischen Prawy Sektor bemerkt; er urteilte: "Das wird bei den Menschen in dieser überwiegend russischsprachigen Stadt ein tiefes Unwohlsein auslösen."[8] Swoboda und der Prawy Sektor sind für ihre exzessiven antirussischen Aggressionen berüchtigt; ihr Erstarken im Verlauf der Maidan-Proteste hat maßgeblich zur Eskalation der Aufstände im Osten der Ukraine beigetragen.
Faschistische Paramilitärs
Mittlerweile beschreiben nicht mehr nur russische und ukrainische, sondern ansatzweise auch westliche Mainstream-Medien den Einfluss faschistischer Kräfte innerhalb der Kiewer Regierungstrupps. Kürzlich hat etwa der französische Auslandssender France 24 geschildert, wie Aktivisten des Prawy Sektor in die Streitkräfte eintreten oder eigene Formationen bilden; vor allem das "Bataillon Asow" besteht demnach zu einem hohen Anteil aus Faschisten.[9] Es wird unter anderem von Oleh Lyaschko finanziert, der bei den Präsidentenwahlen mehr als acht Prozent der Stimmen erhalten hat. Im Juni hat eine deutsche Journalistin im hakenkreuzverzierten Hauptquartier des Prawy Sektor im Kiewer Hauptpostamt die Auskunft erhalten, die Organisation zähle heute bis zu 10.000 Aktivisten, von denen "Hunderte" in der Ostukraine kämpften. Durch ihre Kooperation mit der Regierung im Milieu von Streitkräften und irregulären Milizen "werden de facto die rechtsextremen paramilitärischen Gruppierungen legalisiert", urteilt der ukrainische Politikwissenschaftler Wjatscheslaw Lichatschew.[10]
Die Rolle Berlins
All dies ist für die Beurteilung der deutschen Ukraine-Politik nicht nur deswegen von Bedeutung, weil die Bundesregierung - unbeschadet ihrer aktuellen Forderung nach einem Waffenstillstand und erneuten Verhandlungen - Präsident Poroschenko und seine Regierung ungebrochen unterstützt und mit Sanktionen nur die Aufständischen und darüber hinaus Russland belegt. Vielleicht noch schwerer wiegt, dass Berlin mit seinen Interventionen in Kiew ansatzweise schon seit Anfang 2012, vollumfänglich seit dem Beginn der Maidan-Proteste mit Swoboda kooperiert und die faschistische Partei dadurch weithin akzeptabel gemacht hat (german-foreign-policy.com berichtete [11]). Zudem hat die Bundesregierung das Erstarken des Prawy Sektor auf dem Maidan billigend in Kauf genommen; ihm wird entscheidender Einfluss auf die gewaltförmige Radikalisierung der Proteste und bei Janukowitschs Sturz beigemessen. Den sich daraus ergebenden Einflussgewinn ultrarechter Kräfte in der Ukraine zeigen nicht zuletzt die Ereignisse um eine geplante Demonstration für die Akzeptanz von Homosexuellen in der Ukraine.
Repression? Egal.
Die Demonstration, die letztes Jahr erstmals durchgeführt wurde, sollte am ersten Juliwochenende wiederholt werden - allerdings unter erschwerten Bedingungen: Die Maidan-Proteste hatten, wie ein Bericht von Al Jazeera America konstatiert, mit der äußersten Rechten Kräfte erstarken lassen, die eben auch mit aller Gewalt gegen Lesben und Schwule vorgehen.[12] Auf die Unterstützung der Hauptstadtverwaltung gegen Angriffe der Faschisten konnten die LGBT-Aktivisten dieses Jahr nicht rechnen: Der neue Kiewer Oberbürgermeister Witali Klitschko, ein in Deutschland hochpopulärer Zögling der Konrad-Adenauer-Stiftung, untersagte ihre Demonstration. Ein Aufschrei in deutschen Medien, wie er üblicherweise erfolgt, wenn Homosexuelle in Russland Repression erdulden müssen, blieb aus. Al Jazeera America wies darauf hin, dass das ukrainische Parlament noch im Juni diejenigen Passagen aus dem Abkommen über die Visa-Liberalisierung mit der EU gestrichen hatte, die es zur Einführung von Anti-Diskriminierungs-Gesetzen gezwungen hätten. Berlin und Brüssel nahmen das hin. Man müsse von vorne anfangen, klagt nun die Sprecherin eines ukrainischen LGBT-Verbands.[13] Die Regierung, deren Repression Homosexuelle in der Ukraine ausgesetzt sind, ist außenpolitisch eine willige Partnerin Berlins und Brüssels; für EU und Bundesrepublik besteht daher kein Anlass, sie unter Druck zu setzen.

[1] Reinhard Lauterbach: Zivilisten als Ziele. junge Welt 05.07.2014.
[2] Reinhard Lauterbach: Kein Frieden im Donbass. junge Welt 12.07.2014.
[3] Konrad Schuller: Humanitäre Katastrophe in Slawjansk. Frankfurter Allgemeine Zeitung 05.07.2014.
[4] Ukrainische Soldaten durch Raketen getötet. Frankfurter Allgemeine Zeitung 12.07.2014.
[5] Ukraine's Prime Minister Yatsenyuk: We will commemorate the heroes by cleaning our land from the evil. usa.mfa.gov.ua 15.06.2014.
[6] MPs from "Svoboda" delivered ammunition and supplies to participants of Anti-terrorist operation (ATO). en.svoboda.org.ua 14.06.2014.
[7] S. dazu Eine Revolution sozialer Nationalisten.
[8] Fears remain after Ukraine's rebels flee Sloviansk. www.bbc.co.uk 08.07.2014.
[9] Video: ultra-nationalist militants fighting alongside Ukraine's army. observers.france24.com 10.07.2014.
[10] Simone Brunner: Gefährliche Hilfe von rechts. www.suedkurier.de 24.06.2014.
[11] S. dazu Die Expansion europäischer InteressenTermin beim Botschafter und Vom Stigma befreit.
[12], [13] Despite a move toward Europe, LGBT Ukrainians face new hurdles. america.aljazeera.com 05.07.2014.


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EU-ultimatum against Russia – another Rambouillet?

Current Concerns, No. 14&15


by Willy Wimmer, former Parliamentary Secretary at the German Federal Ministry 
of Defence and Vice President of the OSCE Parliamentary Assembly

The EU leaders have learned nothing from their visit to Ypreson the occasion of the outbreak of the First World War in 1914. The Russian ultimatum means Rambouillet II, and when do you think the attack will take place?


Recent studies of a North German Foundation have clearly shown that the support of the German population for the martial course of the Federal Government, the Federal President, the EU and NATO towards Russia is very small. This is what the deputy chairman of the CSU and Munich Member of Parliament, Dr Peter Gauweiler, pointed out in his seminal speech to the graduates of the Bundeswehr University in Hamburg. The decision of the European Union, presented by the discontinued European models Barroso and van Rompoy will increase this aversion for more than good reasons. Has the time come again to threaten states with ultimatums just like the one against Serbia in 1914?
Russia, the European Union claims, would have to engage in substantive negotiations on the “peace plan” of the Ukrainian President within 72 hours. And if not, we will fire back from 5:45 a.m. on? It seems as if the European Commission and the European Council in Brussels, represented by the aforementioned gentlemen, has gone completely crazy and want to plunge the continent into absolute misery. You do not have to visit Ypres