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Il procedimento dell'Aja contro Slobodan Milosevic:
Questioni Emergenti nel Diritto Internazionale
ICDSM : L'Aja 26/02/2005 Conferenza Internazionale

Prof. Aldo Bernardini

(Docente di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza
dell'Università di Urbino):

Il diritto internazionale capovolto: la crisi jugoslava e il caso del
Presidente Milosevic


Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini
in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto
e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi
delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il
"mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine:
prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le
minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre
violenze della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità
ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la
composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni
internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure
ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni
a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date
dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non
possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere
contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive,
misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose
contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di
Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una
violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni
o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli
articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il
riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale
che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno
rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla
giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite
di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle
Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in
virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo
raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in
conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio
non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli.
Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere
illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce
costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è
passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio
di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto
internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione
sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.


Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la
corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che
riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli.
Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in
generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli
non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro
integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto
internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e
interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica
eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è
quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli
colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili:
illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di
discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini
nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di
essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione,
o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione
nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non
rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere
considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il
diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce
i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo
Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni
trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui
i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista
nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò
non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste
riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni
governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di
"discriminazione delle nazionalità o d'oppressione" invece, fin dagli
anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di
diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per
cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono
essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da
Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è
legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di
reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa
lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale
riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su
menzionati). La legittima repressione di un'illegittima secessione
non è mai requisito per un'autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò
è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In
situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere
sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto
oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità
territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere
contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di
una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di
creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un
altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto
ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie
entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un
loro stato. Il principio dell'uti possidetis juris non è una regola
generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto
limitato in America Latina e in Africa durante il processo di
decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente:
il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare
l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non
discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre
su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno
Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso
si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un
auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi
Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di
insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò
la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non
c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era
verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle
Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza
esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione
Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia,
Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La
caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal
fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome
alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non
c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome
ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole,
Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre
la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e
Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli
Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel
preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche
federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza
in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale
secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole
repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal
resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre
per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più
complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno
del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni
delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione,
come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava.
L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di
indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo.
L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni
optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato
da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione
della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi
verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza
(anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in
Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze
di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente
(luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi
delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino,
affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il
controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle
potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono
definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo
difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale
Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto
1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in
assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini
internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono
rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale
e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del
1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un
pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di
Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia
furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e
Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle
Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri
degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16
dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento
dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica":
un'incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere
il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la
Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene
ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza
Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La
posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal
1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse
depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i
popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede
concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia').
In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto
dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la
Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non
parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto
principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era
senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato,
condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della
cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi
della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la
Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e
successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò
significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite:
furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di
aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di
crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per
caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata
stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non
avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che
reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il
prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di
condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali
dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale
condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo
alla Convenzione di Ginevra . L'intervento in conflitti interni, il
prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a
formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464)
espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali
di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto
alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati
stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione
rilievo internazionale, attribuendo il diritto
all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il
riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce
una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si
pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la
proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la
proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre
diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare,
dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che
corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione
giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi
per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente.
Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per
mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di
Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione).
Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo
criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto
automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla
calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e
dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni
tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e
repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione
all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche
secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente
formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un
processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che
sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il
medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio
stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti
del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini
interni a confini riconosciuti a livello internazionale,
contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che
contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre
la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era
stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la
convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla
Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della
Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle
negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono
considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora
costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della
Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento
armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro
l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio
dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale,
deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della
cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale,
nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del
Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere
dimenticata.


Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la
negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto
alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai
un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò
delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto
rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al
contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di
rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del
vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una
serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano
visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se
stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo
territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari
territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle
Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione
socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più
sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia,
considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche
per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di
Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore
per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività
di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia
era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato
precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla
Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia
(1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente
Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di
cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che
sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi
sono considerati minoranze.


Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione
del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in
considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento
dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione
della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare
l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso
l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato"
dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo
tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che
le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la
cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la
giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima
dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco
affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora:
in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta
unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha
provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo
nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In
questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento
del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal
diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca
caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra
civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni
di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure
l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe
lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola
internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del
secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949,
relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non
internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere
invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità
dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna
ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato
ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran
Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione
cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e
terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia
(Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre
minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i
crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di
guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere
oggi in Kosovo.


Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto
l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle
procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e
organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali
e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le
questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle
Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il
cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti
individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi,
aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte
dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella
legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi
internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al
rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio
fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di
diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità
direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare
la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli
individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello
Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché
un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma
siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla
forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale
per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal
straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY
(nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere
discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la
pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella
norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di
un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti
e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della
determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio
di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di
misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in
anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli
articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure
(rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in
maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con
funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli
stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa.
Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera,
conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le
contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è
rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con
ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella
collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per
la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo
sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione
esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine
legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito
all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo
7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno
sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo
di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una
questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo
del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli
stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle
Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi
coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione
sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la
costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui
giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive
corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi
internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad
opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista
strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella
dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41,
42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di
Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una
dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e
Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si
dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto
di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro
la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello
planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta
dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non
implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in
generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire
l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto
un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come
rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il
consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo
di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il
potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui,
poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio
di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex
membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni
unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si
ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere
soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo
qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le
azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma
politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna
trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa
l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo
secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva,
in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento
rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e
al 'realismo' ". Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono
perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le
funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto
ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e
giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate
dall'espletamento di tali funzioni. Due possibilità -data
l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione
del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei
territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare
una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte
dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda
strada era quella di creare una corte penale come forma isolata
riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe
permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare
vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non
potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti
in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non
intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal
capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il
capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In
questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale
fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare,
modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite
agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei
questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può
istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che
lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura
politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo
Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di
giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il
vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato
e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla
decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002:
caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 -
Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non
parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni
principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo
politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non
accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti
contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader
delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader
odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si
sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire
delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini
commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981
dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità
dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati)
afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere
campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di
intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per
ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di
questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in
affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare
distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa
somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media?
Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era
stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare
l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte
Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo
farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di
difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente
ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il
terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se
i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.


Traduz. di Pacifico Scamardella (Forum Belgrado Italia)
Fonte: http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta5i01.htm


--- In [icdsm-italia] "icdsm-italia" ha scritto:

[Tutti gli interventi della Conferenza Internazionale tenutasi all'Aia
lo scorso 26 febbraio sono in linea sul sito dell'ICDSM: di seguito i
link in dettaglio.]

---------- Initial Header -----------

From : "Vladimir Krsljanin"
Date : Thu, 23 Jun 2005 21:50:42 +0200
Subject : Hague vs. International Law (confrerence proceedings)


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Chairmen),
Klaus Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin (Secretary),
Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine Dickson (Legal
Spokesperson)
**************************************************************
23 June 2005 Special Circular
**************************************************************

THE HAGUE PROCEEDINGS AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC: EMERGING ISSUES IN
INTERNATIONAL LAW

International Conference held at The Hague on 26 February 2005

http://www.icdsm.org/COH1.htm

All the papers and speeches now online:

Ramsey Clark: Keynote Address
http://www.icdsm.org/COH/Clark.htm

Professor Hans Koechler: Global Justice or Global revenge?
International Criminal Justice and the Role of the United Nations
Security Council
http://www.icdsm.org/COH/Koechler.htm

Tiphaine Dickson: Beyond the Star Chamber: Shutting Down the Milosevic
Defense at The Hague
http://www.icdsm.org/COH/Dickson.htm

Dr Alexander Mezhyaev: The ICTY Case Against Slobodan Milosevic: Some
Questions of the International Law
http://www.icdsm.org/COH/Mezyaev.htm

Professor Velko Valkanov: The Rotten Foundations of the Hague Tribunal
http://www.icdsm.org/COH/Valkanov.htm

Dr John Laughland: The Hague: Contravening the Principles of Nuremberg
http://www.icdsm.org/COH/Laughland.htm

Professor Aldo Bernardini: International Law Turned Upside Down:
Yugoslavia
Crisis and President Milosevic's Case
http://www.icdsm.org/COH/Bernardini.htm

Professor Bhim Singh: Milosevic Trial a Trash!
http://www.icdsm.org/COH/Singh.htm

Christopher Black: Lawyer's Experience with ad-hoc Tribunals
http://www.icdsm.org/COH/Black.htm

*************************************************************

(...)

SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (CDSM UK)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

--- Fine messaggio inoltrato ---

[ <<La parola genocidio è stata usata in maniera selettiva dai media
occidentali e dalle elites per descrivere i crimini presunti - mai
provati - che sarebbero stati commessi dai regimi di Saddam Hussen o
di Slobodan Milosevic. Halabja in Iraq e Srebrenica in Bosnia sono
spesso usate per riferirsi - con poche o nessuna prova - ai crimini di
Hussein e Milosevic. I "simboli" di Halabja e Srebrenica sono i
pretesti addotti per giustificare le ambizioni imperialiste
occidentali. Noi adesso sappiamo che Srebrenica è stata usata per
giustificare l'attacco contro la Serbia, ed Halabja per la guerra in
Iraq...>>
Un articolo di Ghali Hassan, giornalista australiano. ]

Normalising genocide

Ghali Hassan, Online Journal Contributing Writer

November 9, 2005

So far, 2,000 U.S. soldiers have been killed since the March 2003
illegal and unprovoked U.S. war on Iraq. The number has been
meticulously pronounced and printed in every Western media outlet.
What about the hundreds of thousands of innocent Iraqi men, women and
children who have been needlessly massacred by the combined
U.S.-British sanctions and war? It is a deliberate genocide.

With the exception of the war on the former Republic of Yugoslavia
(Serbia)--an Orthodox nation--U.S. wars of aggression have been
consistently against defenceless people of colour. "They are the poor
of the planet, being made poorer, dominated and exploited by the
foreign policy of the U.S. and its rich allies designed for
domination, exploitation and triage," wrote Ramsey Clark, former U.S.
attorney general in the Carter Administration.

The U.S.-Britain wars on Iraq bear all the hallmarks of Western
racism. Iraqis are not only dehumanised, they are abused and tortured
to make the mass murder palatable to Western public. Meanwhile the
corporate media and Western governments have masked imperialism in the
black faces of Condoleezza Rice and Kofi Annan.

A comprehensive study conducted in December 1991 by the British
Medical Education Trust in London estimated that more than 200,000
Iraqis had died during and immediately after the massacre of the 1991
U.S. war, the so-called the "Gulf War," as a direct or indirect
consequence of attacks on civilian infrastructure. In addition, since
August 1990, Iraq has been under economic and military attacks that
contributed to the mass murder of Iraqi men, women and children in
particular.

The forgotten genocidal sanctions is estimated to have killed more
than 1.5 million Iraqi civilians, including 500,000 children under the
age of five. The wholesale destruction of Iraqi children was defended
as "a price worth it," by Madeleine Albright, the former U.S.
Secretary of State. Can you imagine anyone saying; the killing of 3000
people in the 9/11 attack is "a price worth it."

The U.S. and Britain first systematically bombed Iraq's civilian
infrastructure, including; water purification plants, sewage treatment
plants, electrical power grids, pharmaceutical plants, transportation,
communication, manufacturing, commercial properties, housing, mosques
and churches out of existence. Food production, including baby milk,
processing, storage, distribution, fertiliser and insecticide
production, was targeted for destruction. Then the U.S. and Britain
continued the sanctions to ensure that Iraq would be unable to repair
or replace most of what had been destroyed. The point of this
carefully calculated mass murder was to bully and intimidate not only
Iraq, but also any other defenceless nation that dares resist as Iraq
did. In addition, to bleeding Iraq to death, the U.N. Security Council
ordered Iraq to pay more than $50 billion in reparations claims to
Kuwait, U.S. corporations, and to many fraudulent and dubious claimants.

Despite Iraq's compliance with the terms of the 1991 war's cease-fire,
the sanctions and the weekly bombings--"anything that flies on
anything that moves"--of Iraqi cities and towns continued in order to
harm the Iraqi people. "For me what is tragic, in addition to the
tragedy of Iraq itself, is the fact that the United Nations Security
Council member states . . . are maintaining a program of economic
sanctions deliberately, knowingly killing thousands of Iraqis each
month. And that definition fits genocide," said Denis Halliday, the
former U.N. humanitarian coordinator in Iraq.

The Oxford Dictionary defines genocide as the deliberate extermination
of a nation or race of people." In the 1948 Genocide Convention, the
word genocide was defined as any act "committed with the intent to
destroy, in whole or in part, a national, ethnic or religious group as
such." Hence, genocidal acts included causing serious "mental harm" or
inflicting "conditions of life" aimed at such destruction. Can
anything be clearer than what the U.S. and Britain are committing
against the Iraqi people?

"It is the function of the experts, and the mainstream media, to
normalise the unthinkable for the general public," wrote American
economist Edward Herman. The art of normalising mass atrocities has
always been a prerequisite to neutralise a disciplined Western
population in order to remove any conscience for moral responsibility.

According to John and Karl Mueller (Sanctions of Mass Destruction,
Foreign Affairs May/June 1999, p. 43.), the sanctions alone "have
taken the lives of more people in Iraq than have been killed by all
so-called weapons of mass destruction throughout history." Therefore
Iraq's genocide "arguably was the greatest genocide of the post World
War II era," conducted and perpetuated with the tacit support of the
U.N. member states.

Today, the U.N. is complicit in the continuing war crimes against the
Iraqi people, and the destruction of the Iraqi society. Consistent
with its role as the "handmaiden" of Western imperialism, immediately
after the illegal invasion of Iraq, the U.N. legitimised the U.S.
Occupation of a sovereign nation, and stands to support all U.S.
violations of international laws, including the U.N. Charter.

Corruption and self-interest are the endemic characteristics of the
U.N. member states and their staff. The Saddam government was able to
exploit this and extract some revenues to keep Iraq functioning as a
state despite the unjust sanctions. It was the only way available for
Iraq to break out of the sanctions by corrupting the corruptible. By
the end of 2002, the signs of genocidal sanctions were visible
everywhere in Iraq.

Will the U.N. pass a resolution--like the one demanding Syria to
"cooperate fully" with a U.N. investigation into the death of
businessman and former Lebanese prime minister Rafiq
al-Hariri--demanding the U.S. and Britain cooperate fully with a U.N.
investigation into the death of hundreds of thousands of innocent
Iraqis and the theft of tens of billion of dollars from Iraq's wealth?
Will the U.N. Security Council condemn Israeli for its criminal and
"medieval practice of political assassination" of Palestinian
political leaders? Not likely.

The U.S. criminal invasion and occupation have only doubled the
atrocity of sanctions. A recent UNICEF rapid assessment survey reveals
that acute malnutrition among Iraqi children had almost doubled since
before the war, jumping from 4 percent to almost 8 percent. The survey
adds that; "Acute malnutrition sets in very fast and is strong
indicator of the overall health of children." The general health of
Iraqi children, the elderly and pregnant women in particular has
declined because of deteriorating living conditions, including; lack
of access to potable water, food, hospital care, and sharp decline in
purchasing power.

In fact, U.S. occupying forces are deliberately starving Iraqis by
cutting food and water supplies, and blackmailing Iraqis to submit to
the Occupation. "A drama is taking place in total silence in Iraq,
where the coalition's occupying forces are using hunger and
deprivation of water as a weapon of war against the civilian
population," said Professor Jean Ziegler, the U.N. human rights
investigator at a press conference in Geneva on 15 October 2005.
"Starvation of civilians as a method of warfare is a flagrant
violation of international law," added the Swiss-born sociologist.

The 15-years long U.S. aggression and genocidal sanctions against Iraq
have devastated Iraq's human resources for many generations. The brave
generation of Iraqi men and women that lifted Iraq out of poverty and
made Iraq the beacon of progress in the Middle East have been
destroyed by the combined U.S.-British genocidal sanctions and
criminal wars of aggression perpetuated and normalised by complicit
corporate media.

It has been a taboo in Western corporate media and among Western
elites to mention the death of hundreds of thousands of Iraqis. Only
dead U.S. soldiers are counted as humans. Iraqis do not count. As far
as I know, no one has lit candles for the more than 100,000 Iraqi
civilians killed by the U.S. forces from March 2003 to October 2004.
The conservative estimate was published on 29 October 2004 in the
reputed and peer-reviewed British medical journal The Lancet. If one
includes the atrocities of Fallujah, Ramadi, al-Qaim, Tel Afar,
Hillah, Baghdad and the daily bloodshed instigated by U.S. forces and
their collaborators, the number of Iraqis killed since March 2003
would be in the 200,000 mark or even more. The majority of the victims
were innocent women and children, betrayed by Western media complicity
in hiding U.S. war crimes from the outside world.

Dr. Les Roberts of John Hopkins University and the lead author of The
Lancet study had expected a "moral outrage" response by the public;
instead he was shocked by the muted reception. The experienced
researcher, who used the same methodology to study mortality caused by
war around the world, was praised by the scientific community for his
Iraq's study. His study's findings in the Congo have been used by the
U.N. and the International Red Cross.

"Tony Blair and Colin Powell have quoted those results time and time
again without any question as to the precision or validity," he told
The Chronicle of Higher Education. However, the Iraq study was
deliberately ignored or dismissed by the British-American corporate
media. In fact the study is censored because it reported genocide.

The word genocide has been used selectively by Western powers, the
media and the elites to describe crimes allegedly--never
proven--committed by the regime of Saddam Hussein or Slobodan
Milosevic. Halabja in Iraq and Srebrenica in Bosnia are often used to
describe crimes--with little or no evidence--allegedly committed by
Hussein and Milosevic. The 'symbols' of Halabja and Srebrenica are the
pretexts to justify the West's imperialist ambitions. We know now that
Srebrenica was used to justify the attack on Serbia, and Halabja was
used to justify the war on Iraq. Both criminal acts were disguised as
'humanitarian interventions'.

Genocide is never used to describe the mass murder of Iraqi civilians
by U.S.-sponsored genocidal sanctions and U.S. wars. Saddam was
demonised to justify the criminal policy of the West against the Iraqi
people. The motives for this deliberate genocide are the colonisation
of Iraq to enhance U.S. imperial dominance, the destruction of Arab
nationalism, and support for Israel's Zionist expansion and criminal
policies against the Palestinians.

Iraq is littered with countless U.S.-committed mass murders masked as
"U.S. operations against al-Qaida fighters." The recent indiscriminate
attacks--bombing the city water supply, electricity grid and
communication networks and heavy use of cluster bombs in civilian
areas--on towns and villages in western Iraq is a reminder of the
Fallujah massacre. The Italian daily, La Republica reported, "The
Americans are responsible for a massacre using unconventional weapons,
the identical charge for which Saddam Hussein stands accused," quoting
an Italian investigative story, which will be broadcast on Italian
RAI-3 TV on 08 November 2005 [1]. U.S. forces and their collaborators
are fighting indigenous Iraqi Resistance fighters defending their
country against new a form of U.S.-led fascism.

A new Fallujah massacre is in the making. According to recent Iraqi
and Arab media reports in al-Qaim, the "defence minister" in the
puppet government (Saadoun al-Dulaimi) is calling on U.S. forces to
"wipe out entire families and destroy the houses of resistance
fighters with their women and children inside." Iraqi community
leaders have condemned the attacks as "killing operations" and are
calling on the "International Community" to intervene to stop the mass
murder of civilians. "We call all humanitarians and those who carry
peace to the world to intervene to stop the repeated bloodshed in the
western parts of Iraq," said Sheikh Osama Jadaan, a community leader
in Husaybah, close to the Syrian boarder. "He rightly added; "we say
to the American occupiers to get out and leave Iraq to the Iraqis."
The daily bloodshed and the destruction of the country by the U.S.
forces are committed with the full complicity of the corporate media
and Western elites.

The occupying forces and the media explain the violence in cultural
terms, as "Iraqis against Iraqis," a colonial cliché to justify the
Occupation. The U.S. aim is to make the public focus on the violence
of the occupied and oppressed--the Iraqis--and justify the action of
the occupiers. However, this "sectarian violence" is created and
nurtured by the U.S. and Britain in order to terrorise the Iraqi
population and push them into the arms of the occupiers for
"protection." It is also the only way to justify an ongoing
Occupation. Iraqis are well aware of that and have united to demand
the end to U.S. violence and occupation.

We know now that there were no weapons of mass destruction (WMD) in
Iraq since 1991, and the sanctions and wars were the tools for a
deliberate genocide. As it was predicted, the invasion and occupation
of Iraq have brought only disaster and misery to the Iraqi people.
More than 82 percent of Iraqis "strongly oppose" the U.S. Occupation
of their country. "Less than 2 percent of Iraqis [brought into Iraq on
the back of U.S. tanks] believe coalition forces are responsible for
any improvement in security," according to the British Ministry of
Defence's recent poll. It follows that those who oppose the withdrawal
of U.S. forces from Iraq, are acting as U.S. imperial propagandists
complicit in normalising a deliberate genocide against the Iraqi people.

Today, most Iraqis view U.S. forces as "murderous maniacs." After the
"handover" of fake sovereignty, the fraudulent January 2005 elections,
and the recent massive fraud to pass the illegal U.S.-crafted
constitution, the U.S. administration is left with one fraudulent card
to play; the scheduled December elections. After that, it is time to
put an end to the genocide and withdraw all U.S. and foreign forces
from Iraq. The sooner this will happen, the fewer Iraqi lives will be
lost. Then the "International Community" has a legal duty to prosecute
those who committed these war crimes and crimes against humanity.

Note:
[1] Fallujah. La strage nascosta (Fallujah, The Concealed Massacre)
will be shown on RAI News tomorrow November 8th at 07:35 (via HOT
BIRDTM satellite, Sky Channel 506 and RAI-3), and rebroadcast by HOT
BIRDTM satellite and Sky Channel 506 at 17:00 and over the next two days.

Ghali Hassan lives in Perth, Western Australia.

Copyright © 1998-2005 Online Journal

:: Article nr. 17635 sent on 10-nov-2005 02:50 ECT

:: The address of this page is : www.uruknet.info?p=17635

:: The incoming address of this article is :
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www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado -
italia - 27-09-05

23 Tesi sulla questione del Kosovo Metohija

di Vladislav Jovanović

1. La questione Kosovo e Metohija è nelle mira delle politiche della
comunità internazionale di parte occidentale, ormai per la quarta
volta negli ultimi venti cinque anni. Il loro obiettivo storico è
quello di separare questa zona dalla Serbia.

Questo obiettivo fu dichiarato per la prima volta dopo le
dimostrazioni separatiste albanesi nel 1981, quando alla Serbia era
"suggerito" di accettare il Kosovo come la settima repubblica nella
federazione.

Quest'obiettivo è stato ritentato per la seconda volta, durante il
processo di secessione di Slovenia e Croazia, mediante le pressioni
perchè agli Albanesi del Kosmet fosse riconosciuto il diritto
all'autodeterminazione che veniva concesso agli altri popoli, cioè
alle repubbliche della RFSY.

Per la terza volta, prima e nel corso dell'aggressione militare sulla
RFJ, con il supporto aperto al terrorismo albanese separatista, si era
svelato l'obiettivo militare principale degli USA e degli altri paesi
leader della NATO, nei confronti della Serbia. Tale obiettivo non è
stato abbandonato neanche dopo la cessazione dell'aggressione ed è
continuato, con un aspetto diverso, sotto l'amministrazione
provvisoria dell'ONU in Kosmet.

Ora il Kosmet si trova nuovamente al centro delle attenzioni di
quegli stessi poteri politici che finora si sono dichiarati alleati o
sponsor del separatismo degli Albanesi del Kosmet. Sotto la veste di
una soluzione immediata dello status definitivo del Kosmet, la Serbia
e la sua opinione pubblica sono esposti all'offensiva sincronizzata
della politica e delle lobby per la concessione dell'indipendenza al
Kosmet. Le trombe di Gerico da varie direzioni della parte occidentale
della comunità internazionale, sempre con più zelo e con tono
apocalittico avvertono la Serbia che il suo rifiuto all'indipendenza
della regione le porterebbe problemi e danni. Nelle pressioni sulla
Serbia, USA, UE e NATO, sono unite, mentre gli USA tengono la
bacchetta di comando, perché i suoi interessi strategici rispetto alla
Serbia e ai Balcani sono in sintonia con la promessa data agli
Albanesi, prima e durante l'aggressione, che sarebbero stati aiutati
nella loro lotta per la secessione dalla Serbia.

2. Il rifiuto senza nessun confronto, per le idee, proposte e progetti
sulle soluzioni nella Regione, contro l'autonomia territoriale dei
Serbi in Kosmet, dimostra l'importanza della secessione come obiettivo
unico dei leaders albanesi e degli strateghi occidentali. Mentre gli
Albanesi di Kosmet vengono sostenuti per il diritto
dell'autodeterminazione e indipendenza, ai Serbi in Croazia è negato
il più minimale diritto dell'autodeterminazione anche solo come
autonomia regionale. Ai Serbi e Croati in Bosnia ed Erzegovina, agli
Albanesi in Macedonia, il diritto all'autodeterminazione è proibito e
impedito. Il principio d'immutabilità delle cosiddette frontiere dai
tempi di "AVNOJ", proclamato e imposto dalle forze occidentali
nell'inizio della crisi jugoslava nei primi anni novanta, è
relativizzato per quanto concerne la Serbia; questo rappresenta una
enorme ed evidente contraddizione con le promesse di amicizia e
alleanza con le quali stanno provando a convincerci.

3. Per via del loro sempre più aperto sostegno alla secessione
permanente del Kosmet dalla Serbia, i leaders politici occidentali,
nelle loro dichiarazioni ed inviti per l'integrazione dell'unione
statale di Serbia e Montenegro nella UE e Partnertariato per la Pace,
evitano scrupolosamente e chiaramente di dichiararsi sull'integrità
territoriale della Serbia, rendendo così chiare loro attese che la
Serbia, come risultato dello stato finale di un Kosovo indipendente,
diventerebbe ancora più piccola. La vicinanza della prospettiva
d'integrazione con la UE è utilizzata come distrazione dell'attenzione
dell'opinione pubblica e dell'élite politica, dal tema del sempre più
veloce processo d'indipendenza del Kosovo, lasciando intravedere
presunti vantaggi che la Serbia, una volta liberatasi dal peso del
Kosmet, ne trarrebbe per il suo sviluppo futuro. La Serbia è l'unico
stato candidato per l'UE, da cui è atteso e richiesto di disintegrarsi
per potersi integrare nell'Unione europea.

4. Oltre al Tribunale dell'Aia e della politica del bastone e della
carota, il condizionamento per l'entrata nell'UE attraverso
l'accettazione della perdita del Kosmet, rappresenta un'ulteriore
conferma del trattamento disuguale verso la Serbia rispetto agli altri
stati balcanici e dell'ex Europa dell'Est. Alla Serbia si vuole
imprimere l'impronta del più gran colpevole per la creazione e lo
sviluppo della crisi jugoslava, ed in questo è compresa la colpa per
la "misericordiosa" aggressione della NATO. Viene considerata uno
stato sconfitto che dovrebbe adempiere a delle condizioni particolari
per poter entrare nell'Europa integrata.

5. Con l'aiuto di organizzazioni non-governative sponsorizzate ed
altri esponenti "umanitari", si effettuano giganteschi sforzi affinché
la nostra opinione pubblica e dirigenza politica accettino questo
trattamento da subordinati ed inferiori; come una conseguenza logica
ed inevitabile della politica che aveva già anticipato il 5 Ottobre (
ndt: data del colpo di stato di Belgrado e assalto al Parlamento
federale). Questo trattamento da inferiori e subordinati,
sistematicamente oscura ed evita le questioni fondamentali della
sovranità nazionale e dell'integrità territoriale della Serbia, dal
centro dell'attenzione; ed insieme con l'avvicinamento dei negoziati
sullo status del Kosmet, l'entrata nel Partnertariato per la Pace e
l'ottenimento degli standard richiesti, innesca altri problemi
pericolosamente.

6. Gli inni continui all'Unione europea, che è imposto con forza da
parte del nuovo potere politico, hanno il compito di modificare le
priorità degli obiettivi dello stato. Si ribadisce continuamente che
l'entrata della SM ( SerbiaMontenegro ) nell'UE, sia il nostro
interesse statale principale, mentre la conservazione dell'integrità
territoriale della Serbia è messa nei gradini più bassi delle priorità.
A patto che rimaniamo pazienti, l'élite governativa odierna tiene il
pubblico nell'ipnosi delle attese con le quali la magica entrata
nell'UE ci toglierebbe da tutti i nostri guai.

7. Nell'ombra dell'iperbole sull'importanza dell'entrata nell UE, sono
rilasciate molte altre bollicine nell' aria con lo scopo della
preparazione dell'opinione pubblica in Serbia per una perdita del
Kosovo in due tappe. Vari centri analitici occidentali tendenzialmente
non favorevoli alla nostra causa, leaders politici, ONG e forum
tematici premono e insistono con la promozione dell'idea
sull'indipendenza di questa regione storicamente serba, in maniera
insolente ed aperta, o sotto il foglio di fico dell'indipendenza
"condizionata", "posticipata" o "controllata". Nel contempo si
assicurano da un qualche effetto boomerang, sottolineando che i Serbi
in BeH e gli Albanesi in Macedonia non saranno "abilitati" ad
utilizzare il brevetto delle trasformazioni di una regione nella forma
di uno stato indipendente. L'UE con il suo progetto del protettorato,
si aggiunge agli sforzi per l'allontanamento definitivo del Kosmet
dalla Serbia. Sono frequenti le considerazioni ambigue e
contraddittorie sulla soluzione europea per il Kosovo, dove questo
comprende la prospettiva di una sua integrazione autonoma nell'UE.
L'odierno doppio binario, concesso alla Serbia e al Montenegro, che
porta lungo la strada dell'ottenimento del binario separato per
l'entrata nell'UE, rappresenta un modello già sperimentato per un
avviamento separato del Kosmet verso l'UE.

8. Non sempre però le bollicine nell'aria sono sufficienti per volgere
l'opinione pubblica della Serbia contro i propri interessi,
costringendola all'amputazione volontaria della sua regione del sud;
per questo nel percorso di questa processo sono stati ingaggiati i
simpatizzanti locali, ufficiali e non.
Prendendo Dayton come modello, si propone una conferenza
internazionale su tema del Kosovo;
si propone sottovoce che all'Unione europea venga affidato l'attuale
protettorato dell'ONU su Kosmet;
si preannuncia drammaticamente che Kosmet potrebbe avere già
l'indipendenza nel 2005, e per questo
si sollecita apertamente la divisione di Kosmet, per evitare altri drammi;
si ipotizza un modello di concessione di un territorio allo scopo
dello sviluppo dello stesso;
si sottolinea che soltanto l'indipendenza sia inaccettabile, ma non
una soluzione che sta in mezzo tra autonomia e indipendenza.

9. Tutto ciò è stato realizzato al fine di rendere inutilizzabile la
risoluzione ONU del CS Nr. 1244, con una sua sostituzione de facto,
con la politica degli standards prima dello status, e l'appropriazione
dell'autorità del CS ( Consiglio di Sicurezza) ONU da parte delle
altre istanze internazionali (UE oppure, le conferenze tematiche su
Kosovo, o altro). Nel contempo si perora che il conflitto tra
l'immutabilità dei confini internazionali e l'autodeterminazione della
popolazione maggioritaria in Kosmet, sia risolto a scapito
dell'integrità della Serbia. La politica dei doppi criteri, che è
stata apertamente applicata nei confronti della Serbia e dei Serbi,
sin dall'inizio della crisi jugoslava, è apertamente preannunciata
anche in riguardo del futuro del Kosovo. La Dichiarazione ONU,
risoluzione 1244, la Dichiarazione di Parigi dell'OCSE ed altri
documenti vincolanti politici internazionali e relativi strumenti
giuridici, sono ignorati con arroganza e sul suolo della nuova Europa
è pianificato lo squartamento di uno dei suoi stati più antichi.
Quello che è permesso alla minoranza albanese, di realizzare cioè un
nuovo stato albanese sul suolo della Serbia, non è concesso ai Serbi
in Bosnia, ai Kurdi in Turchia,Iraq ed Iran, agli Albanesi in
Macedonia, ai Russi nei paesi baltici e in Ucraina, nella Transnistria
in Moldavia, agli Armeni in Nagorno Karabah, in Azerbaijan, agli
Abkhasi ed Osseti in Georgia, Kashmir in India e Pakistan, agli
Ungheresi in Romania e Slovacchia, ai Baschi e Catalani in Spagna,
Corsi in Francia, Scozzesi in Gran Bretagna, ecc. Si crede che creando
un tale precedente storico in Serbia, ma isolandolo ermeticamente nei
confronti del resto del mondo, sarà possibile evitare le conseguenze
fatali dell'effetto domino sugli altri stati multietnici.

10. Lo scenario del riconoscimento ufficiale del terrorismo politico,
conferma in modo eclatante che l'aggressione NATO sulla RFJ non era
causata dai motivi umanitari, com'era affermato blandamente, ma dal
sostegno aperto al separatismo albanese, per questo il Kosmet, alla
fine dell'aggressione è stato strappato con forza alla Serbia e
sistematicamente allontanato senza riguardo, dal suo ordine
costituzionale. Come sono stati il primo partecipante e realizzatore
dell'aggressione sulla RFJ, gli USA sono rimasti il fattore decisivo
nel Kosmet per tutto il periodo, dall'instaurazione
dell'amministrazione transitoria dell'ONU. Tutti gli amministratori
finora, da Kouchner fino a Petersen, realizzano soltanto la volontà
politica e gli obiettivi strategici degli USA in questa parte cruciale
dei Balcani. Questo spiega come la prassi del nostro attuale governo
sia sbagliata e rappresenta una mera perdita di tempo prezioso, nei
negoziati sui problemi fondamentali del Kosmet con partners di secondo
grado, rispetto ad un dialogo diretto con i Stati Uniti.

11. Nonostante il fracasso crescente sull'indipendenza del Kosovo come
la soluzione migliore, il vero obiettivo degli USA e dei loro alleati
occidentali non è l'indipendenza di questa regione, ma un suo ruolo
come terzo membro nell'attuale unione statale di SeM, che è stata
creata per cedere un posto anche al Kosovo nel vicino futuro.
L'indipendenza è soltanto l'obiettivo negoziato pubblicamente per
ottenere un obiettivo sintonizzato agli interessi dell'occidente.
Quest'obiettivo ideale eliminerebbe il pericolo della creazione di un
precedente, a cui le minoranze nazionali compattamente popolate in
altri stati si sarebbero potuto rifare, particolarmente nei paesi
vicini. Siccome per la realizzazione di tale obiettivo è necessaria
l'accettazione da parte della Serbia, l'intera strategia
dell'occidente relativa al Kosmet, è concentrata a costringere tale
accettazione da parte della Serbia. Sono state messe in moto tutte le
forze: la propaganda sugli effetti del libero mercato, l'esca di
un'entrata più veloce di Serbia e Montenegro, o della sola Serbia,
nelle integrazioni euroatlantiche; compensi finanziari;
l'evidenziamento delle problematiche per la Serbia, nel caso di una
situazione con un eventuale reintegrazione del Kosmet nel suo ordine
costitutivo; il sostegno a tutti i livelli dei sostenitori e fautori
di questo obiettivo, sia nelle istituzioni pubbliche, che per le ONG
schierate su questa ipotesi, ecc. Nel caso la Serbia non fosse
cooperativa, in riserva sono sempre pronte le "solite" misure di
pressione.

12. La minaccia per una eventuale Serbia non-collaborativa non è
prevista in questo momento, ma è preparata seriamente dietro le
quinte. Consiste nel programmato disarmo morale della Serbia, che si
conseguirà nell'occasione della pronuncia di condanna del Tribunale
d'Aia, prevista verso metà del 2006, nei confronti dell'ex-Presidente
Slobodan Milošević e contro la Serbia, per presunto genocidio nel
corso delle guerre in Bosnia Erzegovina e Croazia. La coincidenza di
questa condanna con la scadenza di durata dell'unione statale SeM e la
risoluzione dello status definitivo del Kosmet, priverebbero
ulteriormente la Serbia di un diritto morale sul Kosmet, e darebbe
agli Albanesi un argomento ulteriore per non rimanere in uno stato
criminale come la Serbia. La conferma che la coincidenza temporale di
questi eventi non siaun ipotesi, ma un dato effettivo, si trova nel
fatto che Madelyn Allbright nel corso dell'aggressione NATO dichiarò
in TV che "la pulizia etnica massiccia degli Albanesi" priva la Serbia
del diritto di tenere ulteriormente il Kosmet sotto la propria
giurisdizione. Non è un caso che la signora Allbright si stia
affacciando nuovamente nelle discussioni pubbliche relative alla
soluzione dello status del Kosmet.

13. Occorre confrontare tutte queste manovre e mosse cospirative
contro la presenza della Serbia in Kosmet, in maniera decisa e senza
compromessi, con la nostra carta più forte di tutte, ma sufficiente:
con il nostro certificato storico sul Kosovo. Questo certificato di
sovranità si basa sul significato storico e spirituale del Kosovo per
il popolo serbo e il suo stato, e sugli inconfutabili ed
incontestabili riconoscimenti internazionali che esso è parte
integrale ed inseparabile della Serbia (Accordo di Londra del 1913,
Accordo di pace di Versailles del 1920, Accordo di Parigi sulla pace
del 1947, Atto finale a Helsinki del 1975, le considerazione della
commissione arbitrale di Badinter e le decisioni UE del 1991 e 1992,
risoluzione CS ONU 1244). Finché difenderemo senza riluttanza il
diritto mediante questo certificato di sovranità, nessuno potrà con
alcun argomento strappare il Kosmet dalla Serbia. La separazione
violenta e la proclamazione di uno stato indipendente del Kosovo
rappresenterebbe una mera rapina, della quale nessuno della comunità
internazionale accetterebbe nei suoi confronti, dato che conducono le
politiche di difesa dei propri interessi.

14. Ai fautori della disintegrazione della Serbia non sta bene la
risoluzione CS 1244, nella quale, si riconosce alla RFJ la sua
sovranità sul Kosovo, nonché il CS ONU come luogo dove si deciderà sul
futuro status del Kosmet. Consapevoli che la Serbia nel CS ONU è
protetta, per via del diritto di veto della Russia e Cina, se non c'è
un nostro accordo di perdere la regione, i fautori della
disintegrazione cercano di scavalcare il CS ONU, proponendo una
conferenza tematica internazionale sul Kosmet, proponendo Dayton come
modello, oppure di spostare l'autorità decisionale alla UE, che
terrebbe il Kosmet sotto un proprio protettorato finché questo non
"scivolasse" nella UE, parallelamente con la Serbia. L'interesse
prioritario della Serbia è di opporsi categoricamente a questi
tentativi. L'atteggiamento di alcune nostre personalità pubbliche che
si sono unite a questi tentativi, merita disprezzo e condanna. Il filo
conduttore nella strategia della Serbia deve essere il rifiuto della
secessione del Kosmet dalla Serbia in qualsiasi forma. L'indipendenza
del Kosovo è una montatura, non è il vero obiettivo e non dobbiamo
caderci sopra. L'opposizione soltanto all'indipendenza, comprende
l'apertura per tutto ciò sia meno di questa richiesta, e non consiste
soltanto nella rimanenza del Kosmet nella Serbia, ma anche la sua
rimanenza nell'ambito dell'unione statale, ma fuori della Serbia.

16. L'opposizione all'indipendenza del Kosmet non basta per due
ragioni: a) l'indipendenza è solo un'obiettivo virtuale per facilitare
la realizzazione dell'obiettivo primario: concessione dello status di
repubblica con avallo di Serbia; b) opporsi all'indipendenza senza il
nostro esigere, senza compromessi, il rispetto dell'entità statale di
Serbia, preclude che tutto che sia meno di indipendenza diventa
accettabile per noi, Repubblica del Kosovo come status di terzo membro
dell'unione statale, inclusa.

17. Lo stesso vale per l'affermazione e lo slogan: "meno di un
indipendenza, più di un autonomia", dato che lascia in mezzo la
possibilità che noi potremo essere anche contenti con un Kosovo come
repubblica nell'ambito dell'unione statale. Questo slogan, perciò,
dovrebbe essere aggiunto con le parole "…nella Serbia". Senza di tutto
questo la Serbia si espone alle nuove sempre più intense pressioni per
rinunciare al Kosmet.

18. La priorità prima e più grande è il mantenimento dell'integrità
territoriale della Serbia. Tutte le altre priorità sono secondarie, e
se necessario, dovrebbero essere messe sull'elenco delle attività da
fare più tardi. Nel caso l'interesse statale più importante fosse
l'entrata nell'UE, prima del riconoscimento della sovranità della
Serbia su tutto il suo territorio statale, questo porterebbe alla
sicura perdita del Kosmet, dato che l'integrazione di questa regione
nell'UE sarebbe effettuata in maniera separata.

19. Tutti gli altri negoziati con UE e NATO riguardo ai processi di
entrata nell'UE e Partnertariato per la Pace, debbono essere
immediatamente subordinati all'abbandono delle piattaforme ambigue di
queste organizzazioni nei confronti della sovranità della Serbia sul
Kosmet. Potrà essere accettabile soltanto una loro presa di posizione
che Kosmet sia parte integrale di Serbia. Riguardo alla nostra entrata
in queste organizzazioni possiamo discutere soltanto con le medesime
condizioni di tutti gli altri paesi che sono entrati nella UE: con la
nostra integrità territoriale totale. Non possiamo accettare una
disuguaglianza da loro, anche a prezzo di un rinvio "sine die" di una
nostra integrazione nell'UE.

20. La tesi che per la Serbia fosse più importante del destino del suo
popolo in Kosmet, i diritti formali dello stato, tesi propagandata da
parte dell'International Crisis Group ( ndt: ICG di G. Soros) e,
purtroppo, da parte di alcuni alti funzionari governativi, ribalta la
questione del Kosmet con la testa in giù: perché gli interessi
nazionali sono curati mediante l'agire dello stato ed il suo potere, e
non con la riduzione e rinuncia del potere sovrano. La tragedia del
popolo serbo in Kosmet sotto governo straniero negli ultimi sei anni,
è una drammatica conferma e un ammonimento.

21. Invece di sintonizzarsi con gli orologi dei vari sponsor americani
ed europei del separatismo albanese, le cui caratteristiche pubbliche
sono apertamente antiserbe, la Serbia deve agire sulla base di un
proprio sviluppato e argomentato programma:

Primo, ricordando che gli Albanesi rappresentano la maggioranza nella
Regione, mentre sono la minoranza nel totale della Serbia; essi non
possono avere più diritti all'autodeterminazione interna dei Serbi
locali, la proposta attuale di decentralizzazione deve essere unita
con l'approfondimento delle richieste di autonomia vasta, che la
risoluzione 1244 prevede per gli Albanesi del Kosmet, ma anche per i
Serbi del Kosmet nei confronti degli Albanesi nella Regione.

Secondo, invece di seguire il nuovo pericoloso approccio "gli standard
prima dello status", il governo della Serbia deve appellarsi alla
risoluzione 1244 con più forza, siccome questa protegge i Serbi nel
Kosmet e garantisce la sovranità della Serbia sopra la Regione, nonché
di convincere la KFOR a dichiararsi riguardo il ritorno del numero
previsto, dei nostri soldati e poliziotti nel Kosmet.

Siccome lo spiegamento di nostri soldati e poliziotti lungo la
frontiera internazionale verso Albania e Macedonia avrebbe un
significato simbolico e psicologico non irrilevante per i Serbi
locali, bisogna opporsi agli inizi dei negoziati sul futuro status del
Kosovo prima dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalla
risoluzione 1244, incluso il ritorno di un contingente limitato del
nostro esercito e polizia in Kosmet.

Terzo, riguardo lo slogan "più di un autonomia, meno di un
indipendenza", bisogna al più presto trasformarlo in una proposta
estesa e ben argomentata sui contenuti dei livelli massimi di
autonomia ammissibili. Il contenuto potrebbe essere costituito degli
elementi dalle varie soluzioni d'avanguardia per le minoranze popolate
compattamente (Piano Z-4 per i Serbi nella Krajina di Knin, Sud Tirol,
Isole di Alano, repubbliche autonome in Russia), mentre si potrebbe
arricchire con i nuovi elementi, mediante i quali la regione autonoma
del Kosmet sarebbe quasi uno stato, però priva dei diritti di
sovranità e senza personalità giuridica internazionale.

22. Il Parlamento della Serbia deve al più presto adottare un
emendamento della Costituzione con il quale è proibita l'alienazione
di una qualsiasi parte del territorio statale della Serbia, in nessuna
condizione e che ogni azione opposta rappresenta un atto di tradimento
dello Stato.

23. Con le suddette misure la Serbia uscirebbe da una posizione
passiva ed eviterebbe di trovarsi nella situazione dell'atto compiuto.
Evitando così la drammatica offerta: prendere o lasciare. Invece di
dover dichiararsi sulla futura soluzione per Kosmet, che favorirebbe
l'usurpazione ed ignorerebbe il diritto internazionale, metterebbe gli
altri nella situazione di dichiararsi su una Risoluzione basata sul
Diritto Internazionale ed il nostro certificato di sovranità storico.



La proposta:
insistere sul certificato della sovranità e rifiuto di perdere il
Kosmet;
opposizione a qualsiasi nuova risoluzione del CS ONU, che andrebbe a
peggiorare la 1244, nonché ai tentativi di trasferimento di autorità
dal CS ONU all'UE o a una nuova conferenza di Dayton,
più una propria proposta articolata sulla soluzione dello status
finale del Kosmet dentro Serbia.
Tutto questo può impedire la perdita del Kosovo Metohija.

Scenario opposto: una presa di posizione incompleta riguardo il futuro
del Kosmet, più l'assuefazione con l'idea di un Kosmet indipendente o
Repubblica del Kosovo, più l'attesa delle proposte di soluzioni
preparate dagli sponsor del separatismo albanese - porterà alla
perdita del Kosovo Metohija per sempre, senza diritto di
rivendicazione nel futuro.

Tocca all'attuale governo scegliere la strada giusta.

Belgrado, 23. aprile 2005.

(Esposizione tematica durante l'Assemblea annuale del Forum di
Belgrado per un Mondo di Eguali, tenuta nella Facoltà di
Giurisprudenza a Belgrado)

V. Jovanovic, ex Ministro degli Esteri della Repubblica Federale
Jugoslava e attuale Presidente del Beogradski Forum.

Traduzione di D. Kovacevic per il Forum di Belgrado Italia

http://www.resistenze.org/sito/as/forbe/asfb5i27.htm

LA POLITICA DI GUERRA DEI DS


Costruire un "nuovo ordine mondiale"; "promuovere la diffusione della
democrazia"; "stabilire le regole entro le quali l'uso della forza può
essere legittimo"; comporre "una forza di sicurezza e di mantenimento
della pace che accompagni la stabilizzazione per un periodo,
parliamoci chiaramente, anche non breve" in Iraq; completare il
"progetto di difesa europea" per essere "alleato serio ed affidabile
degli Stati Uniti"; "a corollario" (sic) creare "una forza europea di
gendarmeria (...) che avrà status militare e sarà utilizzabile in
scenari operativi di intervento rapido a maggior rischio al fine di
garantire servizi di sicurezza e di ordine pubblico"; e poi:
"l'esercito professionale ha già dato buona prova di se".

Questo, e molto altro, nell'intervento di Marco Minniti al convegno
dei DS su "Le nuove sfide della Difesa italiana", tenutosi a Roma il
7/11 u.s.: per dire che sulla "difesa" si deve spendere molto di più
di quanto non si spende adesso!

Il documento di Minniti contiene anche dei riferimenti ambigui alla
aggressione del 1999 contro la Jugoslavia, dai quali trapela sia una
rivendicazione di "legittimità", sia un presunto "travaglio" per
quelle scelte. I genitori di Sanja Milenkovic, certamente, del
travaglio interiorie di un Marco Minniti non sanno che cosa farsene.

[ a cura di Italo Slavo; sulla base di materiali trasmessi attraverso
la lista scienzaepace -
http://liste.comodino.org/wws/info/scienzaepace - www.scienzaepace.it ]


http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=61273

FINANZIARIA: MINNITI, FONDI A DIFESA AL MINIMO STORICO

(ANSA) - ROMA, 7 NOV - ''Mai nella storia repubblicana il rapporto
tra funzione difesa e Pil era sceso sotto l'1%. Il valore critico
raggiunto quest'anno dalle risorse assegnate al settore (0,84% del
Pil) e' il punto piu' basso di una sequenza decrescente che ha segnato
il corso dell'intera legislatura''.
Lo ha detto Marco Minniti (DS) nel corso del convegno ''Le nuove sfide
della difesa italiana''.
''L'obiettivo annunciato dal governo del Dpef del 2002 - ha
ricordato Minniti - e cioe' tendere progressivamente al valore
dell'1,5% del Pil si e' dimostrato non raggiunto ed oggi appare
compromesso anche come obiettivo a medio termine''. Quindi, ha
sottolineato, ''al forte impegno chiesto alle forze armate e'
corrisposta una progressiva e costante diminuzione delle risorse
finanziarie, che ha portato la situazione ad un punto insostenibile''.


DS e industria bellica: la relazione di Marco Minniti


di Giulio Leben (g.leben@...)
08/11/2005


Da: VITA non profit On-line:
http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=61273


La relazione del responsabile settore difesa per i Ds, in occasione
del Convegno organizzato dalla Quercia ieri dal titolo: "Le nuove
sfide della difesa italiana". Presenti i big dell'industria

Appoggio all'industria bellica italiana che, secondo i Ds, soffre di
una grave disattenzione da parte del governo in carica. Finanziamenti
aggiuntivi e un capitolo specifico nel bilancio, nel qual caso
l'Unione andasse al governo l'anno venturo. E' questo il senso
complessivo del convegno che si è tenuto ieri, 7 novembre a Roma,
organizzato dai Ds. A cui hanno partecipato gli stati generali
dell'industria e della Quercia. Fra i protagonisti: il Ministro della
Difesa Antonio Martino, il capo di Stato maggiore della Difesa
Gianpaolo Di Paola, il Segretario Generale delegato Nato Alessandro
Minuto Rizzo, il Presidente Comando militare dell'Unione Europea
Rolando Mosca Meschini, l'amministratore delegato Fincantieri Giuseppe
Bono, il rappresentante permanente italiano presso la Nato Maurizio
Moreno, il presidente dell'A.I.A.D. Giorgio Zappa e il rappresentante
italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell'Unione Europea
Maurizio Melani.

I punti salienti dell'introduzione


Marco Minniti, Capogruppo DS in Commissione Difesa e componente della
delegazione N.A.T.O. del Parlamento italiano, ha illustrato nella sua
introduzione le preoccupazioni e le prospettive dell'impegno diessino
nel comparto, rilanciando la necessità del rafforzamento per una
"difesa europea".
• la formazione di Gruppi da Combattimento EU (EU Battlegroups) quali
parti delle Forze di Intervento Rapido. Dal 2007 in poi, l'Unione
europea avrà la capacità di effettuare anche contemporaneamente due
distinte operazioni di risposta rapida, sempre a livello di singolo
battlegroup, sotto il comando diretto di appositi organismi operativi
di teatro. La struttura di comando e controllo interforze italiana, il
COI – Comando Operativo di vertice Interforze, è candidata ad
assolvere questa funzione.
• l'istituzione dell'Agenzia Europea per la Difesa, sta sviluppando,
congiuntamente al Comitato Militare EU un sistematico processo di
sviluppo delle capacità militari EU sulla base di valutazioni di
costo/efficacia e promuovendo l'armonizzazione sull'acquisizione dei
materiali ed equipaggiamenti per la Difesa, concependo per lo scopo
programmi di studio nel campo tecnologico, di ricerca e sviluppo,
marketing e produzioni industriali. Dare impulso ai lavori
dell'Agenzia deve diventare una priorità di governo.
• la Cellula Civile-Militare, struttura EU che amplierà le capacità
di gestioni delle crisi in un quadro multi-operativo, realizzando una
maggiore interconnessione fra strutture e strumenti civili e militari.
• un piano per il coordinamento del trasporto strategico
aeromarittimo, "L'approccio Globale di Dispiegamento" strumento chiave
in funzione strategica per il dispiegamento rapido delle forze EU.
• il coordinamento tra EU e NATO, nel rispetto della reciproca
autonomia decisionale, per un impegno di una generale complementarità
tra EU Battlegroups e Forza di Reazione NATO, con particolare riguardo
agli standards ed alle procedure operativi.

I primi commenti: Aon e politici


"I Democratici di Sinistra devono dire al paese dove vogliono trovare
le risorse che oggi hanno promesso ai vertici delle Forze Armate
italiane". E' quanto ha dichiarato Massimo Paolicelli, Presidente
dell'Associazione Obiettori Nonviolenti.

"E' grave – prosegue Paolicelli – che i DS non mettano minimamente in
discussione questo modello di difesa al quale hanno dato un forte
contributo quando sono stati al governo nella passata legislatura. La
professionalizzazione delle Forze Armate con una forza di 190.000
uomini, alcuni costosissimi sistemi d'arma, l'elevazione a quarta
Forza Armata dei carabinieri sono scelte fatte dal precedente Governo
e che, come avevamo apertamente denunciato, stanno facendo lievitare a
dismisura i costi di questo modello di difesa. Le spese per il
personale volano in alto, si continua ad investire in inutili sistemi
d'arma, visti i nuovi scenari strategici che abbiamo davanti e poi si
taglia sull'esercizio e sulla manutenzione, mettendo a repentaglio la
vita degli stessi lavoratori con le stellette".

Ma non solo dalle fila della società civile sono giunte le critiche.
"All'interno del partito ci sono posizioni diverse", a dirlo è Silvana
Pisa, prima firmataria della mozione parlamentare sulle armi leggere a
favore della campagna Controlarms, che, raggiunta da Vita.it, non cela
un certo imbarazzo per la posizione assunta dal proprio partito in
occasione del convegno, e precisa "in questo caso parliamo di sistemi
d'arma bellica, mentre la mozione da me firmata mira a controllare il
commercio delle armi leggere. Ciò detto, non vi è ombra di dubbio che
la cose non possono andare disgiunte. Spero che il mio partito voglia
quindi valutare la situazione nel suo insieme".


DS e industria bellica a convegno


di Giulio Leben (g.leben@...)
04/11/2005

Le nuove sfide della difesa italiana". Convegno con Fassino, Minniti,
Antonio Martino e Minuto Rizzo. Roma, 7 novembre alle ore 10 presso
Grand Hotel Esedra, Piazza della Repubblica 47

COMUNICATO - Il profondo mutamento del quadro geopolitico
internazionale, venutosi a determinare negli ultimi tempi, pone
l'Italia di fronte a sfide inedite di altissimo profilo.

Uno dei settori della vita del Paese maggiormente coinvolto nel nuovo
scenario venutosi a creare è senza dubbio quello della Difesa, delle
Forze Armate e di tutto ciò che ruota intorno ad esse.

I Democratici di Sinistra vogliono discutere di questo tema con i
principali protagonisti del mondo politico, militare, diplomatico ed
accademico, per un confronto ampio ed aperto sulle linee fondamentali
di politica della Difesa del prossimo futuro.

Per far questo lunedì 7 novembre, presso la sala Diocleziano del Grand
Hotel Esedra di piazza della Repubblica 47 in Roma, avrà luogo
l'incontro dal nome "Le nuove sfide della Difesa italiana",
organizzato dalla Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra.

Alle ore 10.00, dopo l'introduzione di Marco Minniti, interverranno il
Ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di Stato maggiore della
Difesa Gianpaolo Di Paola, il Segretario Generale delegato Nato
Alessandro Minuto Rizzo, il Presidente Comando militare dell'Unione
Europea Rolando Mosca Meschini, l'amministratore delegato Fincantieri
Giuseppe Bono, il rappresentante permanente italiano presso la Nato
Maurizio Moreno, il presidente dell'A.I.A.D. Giorgio Zappa e il
rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza
dell'Unione Europea Maurizio Melani.

Alle ore 13.30 è previsto l'intervento conclusivo del Segretario
Nazionale dei Ds Piero Fassino.