Informazione

KARLOVACKI KOMUNISTI / I COMUNISTI DI KARLOVAC

MESSAGGIO AGLI OPERAI AFFAMATI

1. Questo Stato è basato sulla rapina della classe operaia nel
processo della privatizzazione e questo processo continua.
2. Lo stato attuale delle cose in tutto e per tutto conviene ai
partiti maggioritari (HDZ – Comunità democratica croata e SDP –
Partito socialdemocratico) i quali tramite di esso si accaparrano dei
profitti e del potere.
3. I partiti politici maggioritari non hanno alcun interesse a
difendere i diritti degli operai e sono interessati esclusivamente al
mantenimento delle proprie posizioni.
4. Alla difesa degli operai non sono interessati nemmeno i sindacati.
Il vertice dei sindacati si collega con i vertici dello Stato e con i
capitalisti nell'intento di acquisire e mantenere il potere.
5. Perciò è necessario destituire tutti i vertici sindacali e creare
un sindacato fedele della classe operaia.
6. La classe operaia sarà in grado di realizzare i propri interessi
soltanto unita e con una coscienza di classe formata e matura.
7. Perciò necessita un nuovo sindacato unitario che si metta alla
testa della lotta operaia su tutto il territorio nazionale.
8. La liberazione della classe operaia deve essere opera della classe
operaia stessa. La classe operaia deve da sola condurre la lotta
vincente per i propri scopi ed interessi.
9. La classe operaia deve opporsi al sistema vigente ed allo Stato,
visto che solo in questo modo sarà in grado di realizzare i propri
interessi.

Dallo Jutarnji List di giovedì, 25 agosto 2005

È stato accertato che si tratta d'un gruppo di ragazzi tra i quali il
più grande ha 21 anni e la maggioranza ha età compresa tra 14 e 16 anni.

La classe operaia deve lottare contro il sistema e lo Stato visto che
unicamente in questo modo essa sarà in grado di realizzare i propri
interessi – dicono i comunisti di Karlovac nei manifesti incollati nel
sottopassaggio, ma anche nella pagina internet www.proleteri.tk, la
quale ieri misteriosamente è sparita dalla rete. Gli autori dicono che
HDZ e SDP realizzano profitti e potere nel sistema vigente e che non
hanno interesse a difendere i diritti degli operai, ma solo i propri
privilegi, e perciò essi fanno appello alla destituzione di tutte le
organizzazioni del sindacato esistenti e alla creazione d'un unico
sindacato di lotta. Già martedì, aprendo la pagina (internet),
eravamo costretti a sentire l'Internazionale e a guardare le immagini
di Marx, Engels, Rosa Luxemburg, Tito, Ho Chi Min, Che Guevara e
Trockij, e si potevano leggere anche le loro biografie brevi. Sul
fondo rosso e con la stella rossa si trovavano le notizie sul
movimento comunista nel mondo e contro la Chiesa cattolica e anche
quadri artistici con soggetti tratti dalla lotta rivoluzionaria ed
anche un manifesto nero in caratteri cirillici. A pie' della pagina,
che si presentava come Proleter, la rivista per la classe operaia e
per tutti gli appartenenti alla sinistra, si trovava la firma "I
comunisti di Karlovac".
Il funzionario di polizia di Karlovac addetto alle pubbliche
relazioni, Tomislav Kotic, ha detto che la polizia indagherà sul caso
ufficialmente per appurare l'esistenza delle basi per un eventuale
procedimento penale. Mentre la polizia svolge le sue attività noi
siamo riusciti a rintracciare gli autori della pagina svolgendo una
indagine presso i newsgroups in internet. Ieri pomeriggio ci siamo
incontrati con quattro dei venti giovanotti che compongo questo gruppo
di età tra i 15 e i 25 anni. Uno di loro, il diciottenne P., che gli
altri considerano il loro capo, ha detto che il loro intento non
sarebbe quello di attaccare il sistema prestabilito dalla Costituzione.
- Noi studiamo l'ideologia socialista, visto che essa è l'unica ad
offrire una risposta scientifica e confermata dalla esperienza alla
disoccupazione, ai salari bassi, ai diritti operai sotto attacco... Ci
limita l'apatia che regna sovrana nella società. Vogliamo lottare per
i nostri diritti non con la violenza ma con la presa di coscienza
della gente - afferma P. Egli dice che la pagina sull'Internet non è
stata spenta per paura della reazione degli organi competenti, ma a
causa di problemi tecnici.
- Qualcuno ha tentato di entrare nella pagina e di cambiarne il
contenuto e quindi abbiamo dovuto reagire, ma presto ci attiveremo
nuovamente.
Il giovane comunista ci ha annunciato che il loro gruppo festeggerà le
date socialiste come il 1 maggio, ma la sua vera identità resterà
nascosta e lo stesso per tutti gli altri, visto che temono le reazioni
dei vicini e della gente che li circonda.
Infine ci hanno detto che hanno verificato che non ci sono le basi per
un procedimento penale nei loro confronti e che loro non si vogliono
identificare con il mondo d'oggi nel quale sono omologati i loro genitori.

(autori del testo dello Jutarnji: Kukec e Radocaj; traduzione di J.
Tkalec; revisione di AM)

Da: "icdsm_italia"
Data: Mar 30 ago 2005 14:28:46 Europe/Rome
A: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] Milosevic à La Haye


Milosevic à La Haye

1) Milosevic à La Haye: plus c'est intéressant, moins on en parle
(Diana Johnstone, aout 2005)

2) « J'ai du défendre l'honneur de la Russie au tribunal de La Haye »
(Léonid Ivashov, mai 2005)

3) Seule la vérité peut sauver le monde
(Komnen Becirovic, avril 2005)


---( 1 )---

(Article pour "Le Manifeste", Paris.)

Milosevic à La Haye: plus c'est intéressant, moins on en parle


Le procès de Slobodan Milosevic à La Haye devant le "Tribunal
Pénal International pour l'ancienne Yougoslavie (TPI)" fut annoncé
comme un grand moment de la justice internationale. Trois ans plus
tard, il a réussi à mériter sa place dans l'histoire judiciaire. Il
devra sans aucun doute figurer parmi les procès restés célèbres, tels
que celui de Socrate, de Jeanne d'Arc, du capitaine Dreyfus, de
Boukharine, qui doivent leur notoriété aux abus flagrants des droits
élémentaires de la défense.
Au début, on aurait cru que la télévision et les journaux
nous serviraient régulièrement les épisodes du procès-spectacle de
celui qu'ils avaient nommé "le boucher des Balkans". Mais la
pertinence et la solidité de la défense menée par Milosevic lui-même
ont vite fait taire les médias. Aujourd'hui, il se tient pratiquement
à huis clos. Et pour cause.
L'accusation, selon laquelle Milosevic serait coupable de tous
les crimes commis au cours des guerres de désintégration de la
Yougoslavie en tant que meneur d'une prétendue "entreprise criminelle
collective" pour créer "la Grande Serbie", est en train de fondre
encore plus rapidement que la glacière arctique. Le 25 août, le
procureur adjoint Geoffrey Nice a dû admettre une évidence: que le
Président Milosevic n'avait pas cherché à créer une "Grande Serbie".
En effet, Vojislav Seselj venait de soutenir pendant plusieurs jours
de témoignage détaillé que son propre Parti Radical serbe était le
seul à prôner la "Grande Serbie" et que Milosevic et son Parti
socialiste y étaient toujours opposés. Cela ne faisait que confirmer
les témoignages qui, depuis plus d'un an, démolissent systématiquement
l'accusation lancée contre Milosevic en mai 1999, en plein
bombardement de son pays par l'Otan.
Les trois juges ne pouvaient cacher leur perpléxité. Ils sont
là pour trouver Milosevic coupable, mais ils commencent à se demander:
de quoi?
Heureusement que les médias sont là pour ne pas rendre compte
de leur embarras. Ils doivent partager leur gêne. On peut croire que
pour Le Monde, en particulier, un jugement de "non coupable" dans le
procès Milosevic serait une catastrophe encore pire que le "non" au
référendum du 29 mai. Déjà au début des années 90, Florence Hartmann,
en tant que correspondante du Monde à Belgrade, avait accusé Milosevic
de tous les torts, avant de devenir porte-parole du procureur du TPI,
Carla del Ponte.
Ce prétendu "tribunal des Nations-Unies" fut créé sur une
initiative de Washington pour faciliter la restructuration de
l'ancienne Yougoslavie en écartant, grâce aux inculpations, les
dirigeants serbes récalcitrants. Le TPI est financé en premier lieu
par le gouvernment des Etats-Unis et des donateurs privés tel que
George Soros, ainsi que des pays de l'Otan. Le personnel est "prêté"
par les ministères des Etats-Unis (pour les deux tiers) et de leurs
alliés. Le ministre des affaires étrangères de Clinton, Madeleine
Albright, qui porte la plus grande responsabilité dans la guerre
contre la Yougoslavie en 1999, a personnellement choisi, entre autres:
-- Louise Arbour, le procureur qui eut l'obligeance de lancer
l'accusation hâtive contre Milosevic pendant les bombardements, sur la
seule base de renseignements fournis par les services américains et
britannique. Sa récompense: un siège à la Cour suprème du Canada
avant d'être nommée à la tête de la Commission des Droits de l'Homme
des Nations-Unies.
-- Gabrielle Kirk McDonald, juge au Texas, présidente du
Tribunal au moment de l'inculpation de Milosevic, qui appella la
Serbie "un état voyou".
-- Paul Risley, porte-parole de Mme Arbour.
-- Carla del Ponte, procureur en chef actuel.
Les trois juges au procès Milosevic viennent du Royaume-Uni,
de la Jamaïque et de la Corée du Sud. Tous au goût de Washington.
Deux des trois suffiront pour condamner l'accusé; il n'y a pas de
juré, et la seule cour d'appel... c'est le TPI lui-même.
Dans cette situation, à quoi bon fatiguer le public avec les
détails d'un procès jugé d'avance?
Seuls quelques curieux peuvent en savoir quelque chose, en
consultant le procès verbal du TPI sur le site http://www.un.org/icty/
Il y est donc difficile, mais non pas impossible, d'apprendre que:
-- Le "dictateur" Milosevic n'était en réalité qu'un chef
d'état aussi démocratiquement élu que les autres, dans un état à peu
près comme les autres, avec des lois et des hiérarchies et des prises
de décisions parfois malheureuses mais en conformité avec la pratique
habituelle des Etats, telle que celle d'écraser un mouvement armé
séparatiste qui assassinait des policiers et des citoyens (l'UÇK,
"l'armée de libération du Kosovo).
-- Les officiers et fonctionnaires de cet Etat, documents à
l'appui, ont pu systématiquement démontrer que le Président Milosevic
n'avait ni planifié ni approuvé la "purification éthnique" des
Albanais du Kosovo, encore moins le "génocide" (qui n'eut pas lieu).
Il a par contre insisté sur la nécessité de protéger la population
civile, albanaise ou autre.
-- Le nombre des morts au Kosovo pendant la guerre menée par
l'Otan se situe entre 2 500 et 4 000, toutes ethnies et toutes causes
du décès confondues..
-- Les causes de la fuite massive des Albanais du Kosovo
étaient multiples -- tout comme la fuite des autres ethnies, ignorée
des médias -- y compris la peur toute naturelle des bombardements et
des combats entre Serbes et l'UÇK, ainsi que les ordres donnés par
l'UÇK de fuire en accusant les Serbes, pour mieux justifier
l'agression de l'Otan.
-- Devant l'absence trop flagrante de "génocide" au Kosovo, le
TPI a élargi l'inculpation originelle pour inclure les évènements de
la Bosnie, dans l'espoir d'établir un lien, aussi tenu soit-il, entre
Milosevic et le massacre de Srebrenica, qualifié par des arguments
psycho-sociologiques d'un rare sophisme, de "génocide" (malgré le fait
que femmes, enfants et vieillards furent épargnés). En effect, le TPI
se permet de changer les règles du jeu comme bon lui semble pour
faciliter le travail du procureur.
-- La stratégie de l'UÇK, qui consistait à provoquer les
Serbes pour fournir le prétexte "humanitaire" à l'agression de l'Otan,
en collusion avec les services anglo-américains, a été solidement
établie par des témoins sur place et bien informés, tel l'Allemand
Dietmar Hartwig, chef de la Mission de Contrôle Européen au Kosovo
entre novembre 1998 et mars 1999.
Dans un procès plus ou moins normal, on s'attendrait à
l'acquittement de l'accusé pour absence de preuves. Mais dans un
procès "historique", c'est-à-dire conçu par les grandes puissances
pour justifier leur action, un verdict juste tiendrait du miracle. Le
préjugé des juges est flagrant; ils ne cessent de harceler les témoins
de la défense après avoir traité les accusateurs les moins crédibles
avec indulgence. La condamnation de Milosevic est nécessaire pour
justifier à la fois l'Otan et le détachement de la province de Kosovo
de la Serbie. Plus généralement, la guerre "humanitaire" exige
toujours un méchant, un "nouvel Hitler", qu'il faut condamner pour
préserver l'ordre manichéen du monde.
Ce Tribunal n'est pas fait pour rendre la justice. Pourtant, à
la longue, il peut la servir. Le procès verbal de ces étranges
procédures constitue un document qui pourra être étudié à l'avenir par
des chercheurs authentiquement indépendants et qui découvriront un
scandale judiciaire semblable à la condamnation de Dreyfus (mélange de
préjugés et de "défense de l'honneur militaire") mais sur une échelle
bien plus grande et avec les implications graves et multiples.

-- Diana Johnstone


---( 2 )---

« J'ai du défendre l'honneur de la Russie au tribunal de La Haye »

Auteur : Léonid Ivashov

Le général Léonid Ivashov est ancien fonctionnaire de la Défense russe
et responsable du département de Coopération militaire internationale.
Il est actuellement vice-président de l'Académie russe de géopolitique.

Source : Vremya Novostyey (Fédération de Russie)
[http://www.reseauvoltaire.net/reference1420.html%5d
Référence :
[http://www.vremya.ru/2005/74/5/123876.html%5d par Léonid Ivashov,
Vremya Novostyey, 28 avril 2005. Ce texte est adapté d'une interview.

Résumé : J'ai dû témoigner pendant 10 heures dans l'affaire Milosevic.
Je dois encore défendre l'ancien chef d'état-major des armées
yougoslaves, le général Dragoljub Oidanic. J'ai été effrayé par le
sténogramme de mon audition, c'était plein d'erreurs, d'oublis, de
phrases incomplètes. Avec le vocabulaire militaire et la double
traduction simultanée, il ne reste pas grand-chose, j'aurais dû parler
plus méthodiquement. Je suis par contre satisfait de la vidéo de mes
déclarations, c'est sur cette base que nous allons publier avec
Nikolaï Ryjkov (à l'époque responsable de la commission sur la
Yougoslavie à la Douma) et Evguéni Primakov (Premier ministre en ce
temps là), une version littéraire des sténogrammes.

Le procureur Jeffrey Nice a mis notre parole en doute. Il nous accuse
d'avoir écouté illégalement des personnalités politiques alors que
nous écoutions des terroristes kosovars, dont l'un d'eux se trouvait
il est vrai en conversation avec Madeleine Albright (Il s'agir
d'Ibrahim Taci à qui elle avait promis un référendum sur le Kosovo en
échange de son accord pour l'intervention de l'OTAN). Il a aussi
déformé mes propos et il s'est permis de me dire qu'il me pardonnait
car j'ai grandi dans un pays socialiste et que je ne comprend pas la
démocratie occidentale, que je suis un slave et que je suis obligé de
défendre les Serbes. J'ai défendu mon honneur et celui de la Russie.

Il n'y a pas eu de génocide des Albanais au Kosovo. Des Albanais,
parmi eux des officiers, m'ont dit qu'ils vivaient bien, qu'ils
avaient des postes, mais que les boïevikis leur ont demandé de les
quitter. Il est prouvé que ce sont les narcomafias albano-caucasiennes
et turques qui ont commencé à déstabiliser la Yougoslavie. Le point
central était Pristina. C'est le krach des pyramides financières
albanaises en 1996-1997 qui a déclenché les choses. Des armes bon
marché sont apparues, des explosifs. Cette narcomafia était derrière
le Mouvement de libération du Kosovo. Les services secrets allemands
ont utilisé la situation, aidés par les Turcs.

Il n'y avait pas de position claire du gouvernement russe au sujet de
cette guerre. Le ministère de la Défense s'était catégoriquement
opposé à l'embargo sur les armes en 1999, mais celui des Affaires
étrangères l'a soutenu. Nous n'avons pas fait assez pour empêcher
cette guerre. Nous avons pu observer les préparatifs de l'OTAN.
J'avais dit à l'époque qu'il n'y aurait pas de guerre si les forces
yougoslaves étaient capables d'infliger des pertes à leur futur
adversaire. Seule la force peut contenir la force.

Réseau Voltaire, 12 mai [http://www.reseauvoltaire.net/%5d

SOURCE : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages


---( 3 )---

Seule la vérité peut sauver le monde

Komnen Becirovic

Version intégrale de l'allocution prononcée en guise d'introduction à
la présentation du livre *Ma Vérité* de Slobodan Milosevic, au Centre
d'Accueil de la Presse Étrangère, CAPE, à Paris, le 8 avril 2005.


Les participants

Mesdames et Messieurs, chers confrères et consoeurs,

Puisque je me trouve à l'origine de la proposition faite au Comité
directeur de l'APE de débattre de ce livre, proposition qu'il a bien
voulu accepter, je sens de mon devoir de vous en fournir quelques
explications d'autant plus qu'il s'agit d'un auteur peu commun, d'une
part, et que, d'autre part, quelques objections ont été faites ces
derniers jours à John Keating et à moi-même sur l'opportunité, voire sur
l'audace d'organiser un débat autour de l'ouvrage émanant d'un démon que
serait, d'après ces gens vertueux, Slobodan Milosevic. Mais d'abord, je
me félicite de vous voir si nombreux venus assister à une rencontre
concernant un ouvrage qui a dans son titre le mot vérité, même si le
livre vient de la part de Slobodan Milosevic, l'homme qui pendant des
années aura effectivement fait l'objet d'une satanisation sans précédent
dans l'histoire du monde. Qui plus est, c'est contre lui que s'est
levée, afin de le renverser, la plus formidable puissance militaire de
tous les temps, l'Otan, puisque ses responsables, ainsi que les chefs
d'Etat et de gouvernements occidentaux impliqués, ne cessaient
d'affirmer durant la guerre dite du Kosovo, que l'on ne faisait pas la
guerre au peuple serbe, mais seulement à Slobodan Milosevic ! Il y
aurait là, si cela n'avait pas été cynique et absurde, puisque les
bombes meurtrissaient précisément les Serbes et détruisaient leurs
biens, quelque chose qui eût donné à Milosevic les dimensions d'un héros
mythique : d'un côté une vingtaine d'États comprenant près d'un milliard
d'hommes avec des moyens militaires, économiques, politiques et
médiatiques illimités, et de l'autre côté un seul homme avec son peuple
de quelque dix millions d'âmes, soumis pendant près de trois mois aux
feux de l'apocalypse du seul fait d'avoir défendu la partie la plus
sacrée de son territoire, le Kosovo.
En tout état de cause il y a lieu de s'interroger là-dessus et, pour
vous aider à le faire, je me limiterai à citer quelques exemples
criants, pris au hasard parmi mille autres, où les médias, au lieu de
répandre la vérité, se sont mis à propager les mensonges, en flouant les
opinions, en induisant les esprits en erreur, en bernant les multitudes
télévisuelles, si je peux m'exprimer ainsi. Prenons, par exemple, le
conflit bosniaque : en février 1991, les représentants des trois peuples
de Bosnie, Alija Izetbegovic, Radovan Karadzic et Mate Boban, signent
sous l'égide de l'Union européenne les accords dits de Lisbonne sur une
Bosnie trinitaire. Or à peine rentré à Sarajevo, Alija Izetbegovic
ambitionnant de conserver la prédominance musulmane en Bosnie, téléphone
à Warren Zimmermann, ambassadeur des États-Unis à Belgrade, et lui
confie qu'il avait signé ces accords à contrecœur, et Zimmermann
d'absoudre aussitôt Izetbegovic de retirer sa signature. C'est la
reconnaissance de la Bosnie comme État indépendant, le 6 avril 1992,
suivie d'une atroce guerre tournante entre la communauté serbe,
musulmane et croate, dont on impute naturellement la responsabilité aux
Serbes et qui en feront les frais, puisqu'ils subiront les bombardements
de l'Otan en automne 1995. La guerre se termine par les accords de
Dayton, signés à Paris en décembre de la même année, reprenant presque
textuellement le contenu des accords de Lisbonne abandonnés quatre ans
plus tôt à l'instigation du gouvernement américain. Ce torpillage des
accords de Lisbonne est magistralement dévoilé dans un article de David
Binder, paru sur une page entière de New York Times du 29 août 1993,
alors que la guerre de Bosnie battait son plein, faisant des dizaines de
milliers de morts et de blessés et des centaines de milliers de sans
abris.
Et voici à présent un cas de désinformation d'autant plus préjudiciable
qu'il a été véhiculé par un grand journal : dans son édition du 30-31
août 1992, Le Monde publie un très long article, intitulé " La genèse du
" nettoyage ethnique " par sa correspondante de Belgrade, Florence
Hartmann qui attribue la responsabilité à cette sinistre pratique
principalement aux idées développées dans le fameux Mémorandum de
l'Académie serbe, paru en 1986, bien après la mort de Tito comme une
critique de son règne despotique, celui-ci reposant sur la fameuse
formule : Une Serbie faible, une Yougoslavie forte. Un écrit somme toute
mesuré, presque évangélique comparé à la Déclaration islamique d'Alija
Izetbegovic dont les idées anticipent d'une vingtaine d'années celles de
Ben Laden, et à la Déroute de la vérité historique de Franjo Tudjman,
une véritable apologie du génocide perpétré par les oustachis sur les
Serbes et par les nazis sur les Juifs durant la Seconde guerre mondiale.
Ceci n'empêche pas Florence Hartmann de passer complètement sous silence
ces deux derniers ouvrages et de qualifier le Mémorandum de l'Académie
serbe d'une sorte de bréviaire du nettoyage ethnique, pour ne pas dire
d'un nouveau Mein Kampf.
Evidemment c'est le haro sur le Mémorandum et sur l'Académie serbe à tel
point que l'un des hommes politiques le plus en vue à l'époque, déjà de
par sa fonction du président de la Commission européenne, Jacques
Delors, se produit à la télévision et, dans un entretien avec Anne
Sinclair, dimanche soir 16 mars 1997, déclare devant des millions des
téléspectateurs, se fondant principalement sur l'article du Monde, que "
depuis des années, s'élaborait en Serbie, dans l'Académie de Belgrade,
une idéologie du nettoyage ethnique qui est une idéologie du rejet de
l'autre, une idéologie de mort ", en se vantant qu'il l'avait déjà
désignée à la vindicte publique dès 1992. L'émotion est grande parmi les
Serbes de France, l'Académie serbe se sent diffamée si bien que l'on
charge Me Gilles William Goldnadel d'intenter un procès à Delors, mais
le président du tribunal déclare la plainte irrecevable, Jacques Delors
ayant tellement mérité de la France et de l'Europe qu'il serait mal à
propos de lui faire un procès. Évidemment l'Académie et le peuple serbes
mis au pilori ne pouvaient constituer qu'une quantité négligeable à côté
d'un politicien, fût-il de la stature des plus médiocres. Cependant, le
Mémorandum existant en français grâce aux éditions L'Âge d'Homme, on le
fait parvenir à Delors qui le lit et se rétracte en privé en avouant,
dans une lettre manuscrite à un ami, datée du 15 avril 1997, qu'il ne
trouvait dans cet écrit nulle trace de " théorisation ni d'appel à la
purification ethnique " et qu'il laissait désormais aux " historiens le
soin de démêler les origines et les causes de tant de malheurs ". Le
jour précédent, le 14 avril, il avait adressé, en usant de la langue de
bois, une lettre personnelle au président de l'Académie serbe, Alexandre
Despic, en l'assurant qu'il allait étudier avec soin le Mémorandum,
alors qu'il l'avait déjà fait, poursuivant qu'il était attaché à
l'amitié des peuples serbe et français, qu'il compatissait envers les
peuples victimes, qu'il recherchait les voies d'une compréhension
mutuelle, de la paix, etc., mais sans jamais trouver depuis le moindre
courage ni grandeur d'âme de revenir publiquement sur ses propos
incendiaires et scandaleusement diffamatoires tenus à la télévision.
Pareillement, le 28-29 novembre 1992, le New York Times, le Washington
Post et l'International Herald Tribune, publient une longue histoire
terrifiante intitulée Ethnic Cleansing in Bosnia : A Savage Tale of
Murder and Rape par John F. Burns, que reprennent la plupart des
journaux européens. Il s'agissait prétendument des aveux d'un Serbe,
nommé Borislav Herak qui aurait avec un complice exécuté des dizaines de
musulmans et violé des dizaines de leurs femmes, des aveux que Herak
s'est mit bientôt à singer durant des semaines à la télévision que
toutes les chaînes se sont données à cœur joie de diffuser. C'est en
vain que la direction des Serbes de Bosnie dément et proteste en
affirmant qu'il est question d'un individu dérangé qui purgeait une
peine de prison, qui s'en était échappé et dont les autorités
islamo-bosniaques s'étaient emparées pour l'utiliser à noircir les
Serbes et attiser davantage sur eux la haine de la communauté
internationale.
Rien n'y fait, le monde s'émeut, la Commission pour les droits de
l'homme de l'Onu siège, et les cris de guerre, les appels aux frappes
aériennes contre les Serbes de Bosnie, retentissent une fois de plus. En
même temps l'auteur du récit, John F. Burns, est célébré comme un
véritable héros médiatique et reçoit la plus haute distinction
journalistique américaine, le prix Pulitzer. Et ce n'est que seulement
cinq ans après qu'un grand journaliste américain Chris Hedges, fait une
enquête sur cette affaire et publie dans le même New York Times du 3
mars 1997 l'article : War Crime 'Victims' Are Alive, Embarassing Bosnia
où il démontre que les affirmations des Serbes avaient été parfaitement
véridiques et que tout dans cette affaire d'un bout à l'autre n'était
qu'imposture. Le but en était, écrit Hedges, " d'accuser les Serbes du
meurtre des dizaines de milliers des musulmans, et surtout de convaincre
les Etats-Unis et l'Europe que les Serbes sont coupables du génocide et
d'autres crimes contre l'humanité ". Même le journal Libération, qui ne
s'est pas distingué en ouvrant ses pages à la vérité serbe, bien au
contraire, fait écho de cette affaire dans son édition du 23 mars 1997,
en titrant sous la plume de Jean Hatzfeld : Le " Tchetnik sanguinaire "
et ses victimes imaginaires.
Le cas suivant concerne un vétéran de toutes les guerres contre les
Serbes, l'apôtre de l'ingérence humanitaire, le guerrier de la paix,
comme il se nomme lui-même dans un livre au titre éponyme relatant ses
exploits philanthropiques, Bernard Kouchner, vous l'avez deviné. Et ce
cas reflète la même stratégie d'utiliser tous les moyens pour monter
l'Occident contre les Serbes afin de gagner une guerre séculaire qui se
déroule entre les musulmans bosniaques, apostats du christianisme, et
les Serbes demeurés fidèles au christianisme. Une guerre que Kouchner et
consorts ont pervertie en une guerre idéologique, celle des droits de
l'homme et de la démocratie, de même qu'ils ont fait avec le conflit
kosovien dont l'origine est de même nature. Il rapporte, à la page
386-387, sa visite en compagnie de Richard Holbrooke, un autre fléau des
Serbes, au chevet d'un Alija Izetbegovic mourant en octobre 2003, et
l'aveu que celui-ci leur fit sur les fameux camps de la mort que les
Serbes auraient installés en Bosnie en 1992. " Je pensais que mes
révélations pourraient précipiter les bombardements ", confesse
Izetbegovic apparemment saisi de remords, avant d'ajouter : " …mais
l'information était fausse. Il n'y avait pas de camps d'extermination
quelle que fût l'horreur des lieux ".
Finalement les Bosniaques ont eu gain de cause : les Serbes de Bosnie
furent bombardés par l'Otan et le tribunal de La Haye, pour juger les
crimes dont on les accablait, fut créé à l'initiative de Madeleine
Albright que pourtant les Serbes avaient autrefois sauvée du four
beaucoup plus incandescent que celui dont parle le prophète Daniel. Or,
parmi les premiers inculpés se trouvait un certain Gruban Malic, décrit
comme un redoutable meurtrier et violeur, contre lequel la procureure
Louise Arbour lance immédiatement un mandat d'arrêt mais sans aucun
résultat, nulle indication de l'état civil de ce personnage ne se
trouvant dans toute la Bosnie. Et pour cause, puisqu'il s'agissait d'un
personnage imaginaire d'un récit rabelaisien du célèbre romancier serbe
Miodrag Bulatovic, Le héros à dos d'âne, paru en français aux éditions
du Seuil à la fin des années 60. Mais apparemment un journaliste serbe
avait communiqué ce nom, en guise de canular, à l'un de ses confrères
occidentaux, fournisseur zélé des noms de criminels serbes au tribunal
de La Haye, et celui-ci l'avait pris pour de bon en même temps que le
tribunal inscrivant aussitôt sur sa liste des accusés le terrible Gruban
Malic. Nous avons consacré à cette affaire, comme à la plupart de celles
que j'évoque, des articles entiers dans notre revue B.I., anciennement
Balkans-Infos, véritable tribune de la vérité en un temps où celle-ci en
est orpheline.
Voici à présent un autre cas relatif également à la précitée Florence
Hartmann, oracle du journal Le Monde pour l'ex-Yougoslavie, avant d'être
nommée la porte-parole de la procureure de TPI, Carla del Ponte. Elle
publie à la fin de 1999 un gros volume sous le titre Milosevic, la
diagonale d'un fou où sa patronne puisera les principaux arguments pour
dresser l'acte d'accusation contre Milosevic. Pour vous montrer à quel
point cet ouvrage est partial et relève de la plus ordinaire propagande
antiserbe, je ne citerai qu'un seul passage, à la page 301, concernant
le général Naser Oric, commandant des unités musulmanes à Srebrenica,
qu'elle présente sous des traits plutôt sympathiques, en écrivant
notamment : " À la tête d'une armada de torbaris affamés et assoiffés de
vengeance, Naser Oric lançait des assauts contre les villages serbes
isolés en bordure de l'enclave pour y voler de la nourriture, quelques
armes. Parfois pour libérer une vallée et élargir ce territoire
montagneux que les forces serbes préféraient jusqu'alors étouffer plutôt
que de s'y aventurer ". C'est à peu près tout, nulle trace, nulle
mention des crimes de Naser Oric et de ses bandes de soi-disant torbaris
(porteurs de hottes), que le général Philippe Morillon, ex-commandant
des forces de l'Onu en Bosnie, avait pourtant rapportés dans son livre
Paroles de soldat, publié en 1996, à la page 72 en ces termes : " À
partir de cette place forte inexpugnable (Srebrenica) Naser Oric et ses
hommes menèrent une série de raids meurtriers sur les régions serbes
limitrophes. Le plus célèbre et le plus meurtrier eut lieu à l'occasion
du Noël orthodoxe de janvier 1993. De son propre aveu, Naser Oric n'y
fit aucun prisonnier, se défendant que les lois du genre ne le
permettaient pas. Il y eut, aux dires des Serbes, des centaines de
victimes innocentes ".
En effet, dans les hottes des maraudeurs de Florence Hartmann se
trouvaient parfois des têtes coupées de Serbes, la décapitation, héritée
de l'époque turque, étant pratiquée par des combattants bosniaques et
kosovars et surtout par leurs coreligionnaires arabes dans leurs rangs,
comme l'attestent des vidéos et des photos documents, entre autres. Il y
avait environ un millier de ces victimes serbes en Bosnie orientale où
sévissaient les torbaris de Naser Oric, ce qui, d'après le général
Morillon lui-même et tous les analystes sérieux du conflit bosniaque,
explique mais, certes, ne justifie pas de nombreuses victimes
musulmanes, notamment parmi les torbaris, lors de la prise de Srebrenica
par les forces du général Mladic en juillet 1995. Il s'agissait en fait
d'un acte de vengeance et non point, comme on ne cesse de le prétendre,
d'un massacre délibéré de civils paisibles et innocents. Cependant, le
général Morillon ayant confirmé les faits relatés dans son livre devant
la Commission parlementaire française sur Srebrenica et devant le
tribunal de La Haye, je vous laisse juges de l'honnêteté de la
spécialiste du Monde pour l'ex-Yougoslavie et du peu de qualification
morale qu'elle a d'occuper une fonction au sein de ce tribunal. Le seul
fait que dans une institution créée pour juger principalement les
Serbes, se trouve un personnage qui pendant dix ans n'a cessé d'être en
première ligne du combat médiatique contre eux, suffirait à déconsidérer
cette institution, si elle ne l'était déjà par d'autres entorses à
l'éthique et à la justice les plus élémentaires, ce dont Me Verges va
nous entretenir. J'ajoute que vous chercherez en vain dans l'ouvrage de
Florence Hartmann la moindre mention du nom du général croate Ante
Gotovina et des crimes commis par ses unités contre les Serbes. Or,
comme vous le savez, la non-extradition du général Gotovina au TPI
constitue le principal obstacle à l'ouverture des pourparlers pour
l'entrée de la Croatie dans l'Union européenne, tellement ces crimes
sont considérés comme graves. Évidemment le général Oric, ainsi que
plusieurs généraux croates et bosniaques dont les chefs d'état-major
successifs, Sefer Halilovic et Rasim Delic, ont fini par être inculpés
par le tribunal de La Haye, seulement dix à douze ans après les
événements, alors que les responsables civiles et militaires serbes,
l'avaient été souvent pendant les événements eux-mêmes, comme ce fut
notamment le cas de Milosevic lors de l'intervention de l'Otan. Pourquoi
ces inculpations tardives y compris celle de Ramus Haradainaj,
responsable de la mort d'une centaine de Serbes et d'Albanais, mais
investi, néanmoins, premier ministre du Kosovo en automne 2004 ? Parce
que le tribunal devait finalement se rendre à l'évidence et cesser
d'être, ce qu'il a été pendant des années, une sorte d'inquisition
montée pour juger presque exclusivement les Serbes, et parce qu'il
risquait, ainsi que ses commanditaires, une condamnation sans appel par
l'Histoire.
Et voici, pour terminer, un cas de désinformation flagrant relatif au
Kosovo, tel qu'il l'a relaté récemment dans sa déposition devant le
tribunal de La Haye, un officier de l'armée allemande, Dietmar Hartwig,
chef de la Mission de contrôle de l'Union européenne au Kosovo de
novembre 1998 au 19 mars 1999, à savoir cinq jours avant l'attaque de
l'Otan contre Serbie. Il raconte que, ayant appris par les journaux que
les Serbes avaient transformé le stade de Pristina en un vaste camp de
concentration pour les Albanais, il s'y est précipité pour constater
qu'il ne se trouvait dans le stade âme qui vive. Une autre fois, on
l'informe de se rendre d'urgence dans la localité de Srbica où les
Serbes auraient massacré une quarantaine d'Albanais : il y arrive et
apprend par des témoins oculaires qu'en fait les Albanais s'étaient
entre-tués à plus forte raison que l'Uck éliminait tous les Albanais
soupçonnés de coopérer avec les Serbes. Après avoir énuméré force
détails de ce genre, Dietmar Hartwig conclue en honnête homme ce que
Milosevic ne cesse de clamer du fond de sa geôle rejoignant la voix de
tous les hommes de vérité et de justice dans le monde : qu'il n'existait
absolument aucune raison pour que l'Otan fasse la guerre aux Serbes.
Je pourrais multiplier, preuves à l'appui, de pareils exemples longtemps
encore, aussi bien sur les événements du Kosovo que de Bosnie, mais j'ai
déjà trop empiété sur le temps imparti à nos prestigieux invités et me
limiterai à poser une question pour le moins paradoxale : comment se
fait-il qu'aucun des chefs d'États et des gouvernements occidentaux ne
se soit rendu aux obsèques des deux autres protagonistes du drame
yougoslave, Milosevic en étant le troisième, notamment aux obsèques de
Franjo Tudjman en 1999 et à celles d'Alija Izetbegovic en 2003, alors
que les Occidentaux avaient aidé l'un et l'autre par tous les moyens
dans leur guerre contre les Serbes, allant jusqu'à laisser s'infiltrer
en Bosnie les combattants d'Al-Qaïda ? C'est que Tudjman avait été un
antisémite notoire, de même qu'Izetbegovic avait été un farouche
islamiste, hormis pour Bernard-Henri Lévy, et qu'il eût été
compromettant de leur témoigner les plus hautes marques d'hommage, telle
est la duplicité dont ont fait preuves les dirigeants de l'Ouest durant
les événements des Balkans.
Quelle est la moralité de tout ce que je viens de vous dire ? La
première, c'est qu'il existe toute une zone d'ombre du drame yougoslave
qui s'est joué tout au long de la dernière décennie du XXe siècle, une
face cachée que dévoile précisément et en bonne partie le livre Ma
Vérité de Slobodan Milosevic. C'est un véritable brûlot envoyé au cœur
de la désinformation sur la dislocation de la Yougoslavie et sur les
conflits qui en ont résulté. Vous y trouverez en particulier comment ce
pays qui, par la diversité de ses peuples et de ses cultures,
préfigurait pendant soixante-dix ans l'Europe, fut détruit par des
forces intérieures et extérieures hostiles, et ses peuples précipités
dans l'abîme des guerres civiles. La seconde moralité, c'est que la
Bosnie et le Kosovo ont servi de champs d'expérimentation pour lancer
par les Etats-Unis et la Grande-Bretagne, usant de l'imposture
médiatique, des guerres ultérieures, notamment celle contre l'Irak, sans
parler des révolutions dites de velours. L'affirmation répétée pendant
des années sur la possession des armes à destruction massive par les
Irakiens, s'est révélée toute aussi mensongère que celle imputant aux
Serbes l'extermination des Bosniaques et des Albanais. On peut même
affirmer que c'est sur les Serbes que l'Occident, se trouvant sous
l'emprise des forces néfastes à la fin du Deuxième millénaire, a basculé
dans le mal, le mensonge étant le mal et le père du mal, comme nous
l'enseigne l'Evangile. Et nous l'avons bien vu à la veille de
l'agression contre l'Irak lorsque les fauteurs de guerre, les
instigateurs au meurtre de deux côtés de l'Atlantique, ne cessaient de
répéter : on a bien réussi en Bosnie et au Kosovo, il n'y a pas de
raison à ce que l'on ne réussisse pas en Irak. Beaucoup d'entre eux,
devant l'enlisement américain dans les sables de Mésopotamie, ont depuis
baissé pavillon.
Il n'y a que la vérité qui puisse être le remède à ce mal. Dostoïevski
disait que seule la beauté pouvait sauver le monde. Les choses se sont
tellement aggravées depuis que nous disons aujourd'hui : seule la vérité
peut sauver le monde.





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ICDSM - Sezione Italiana
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IL TESTO IN LINGUA ITALIANA DELLA AUTODIFESA DI MILOSEVIC, IN CORSO
DI REVISIONE E CORREZIONE, E' TEMPORANEAMENTE OSPITATO ALLA PAGINA:
https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm

LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

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KOSMET (deutsch / 3: Die Racak-Luege)

1. Clintons Massaker-Story wankt (Anna Gutenberg, jW 28.01.05)

2. Der Racak-Schwindel (Ralph Hartmann, Ossietzky 10/2005)


=== 1 ===

http://www.jungewelt.de/2005/01-28/006.php

junge Welt, 28.01.2005
Ausland

Anna Gutenberg

Clintons Massaker-Story wankt

Milosevic-Prozeß: Reporter der Berliner Zeitung sagte als Zeuge der
Verteidigung zu Racak aus

Der einzige Anklagepunkt gegen den ehemaligen jugoslawischen
Staatschef Slobodan Milosevic in Sachen Kosovo, der sich auf die Zeit
vor Beginn des NATO-Krieges gegen Belgrad bezieht, wankt. Das ergab
der Auftritt von Bo Adam, zweiter deutscher Zeuge der Verteidigung, in
der nun beendeten Verhandlungswoche des Den Haager Prozesses zu
Jugoslawien.

Der Reporter der Berliner Zeitung setzte sich gründlich mit der
Behauptung des ehemaligen US-Präsidenten William Clinton auseinander,
wonach im kosovarischen Dorf Racak Mitte Januar 1999
»kosovo-albanische Frauen, Kinder und ältere Männer im Matsch kniend
hingerichtet wurden«. Das angebliche Massaker an unschuldigen
Zivilisten diente seinerzeit offiziell als Begründung für den
NATO-Angriffskrieg gegen Jugoslawien.

Bo Adam berichtete, wie er und sein Kollege Roland Heine seinerzeit
zunehmend Zweifel an den offiziellen Darstellungen über Racak hegten.
Sie hätten darin gravierende Widersprüche registriert. Irritierend sei
auch gewesen, daß Hinweise auf Kämpfe zwischen der kosovo-albanischen
UCK und den jugoslawischen Sicherheitskräften einfach verschwanden.
Schließlich zeigten die geheimgehaltenen Autopsieprotokolle eines
finnischen Ärzteteams unter der Leitung von Helena Ranta, an die die
Berliner Zeitung gelangt war, daß auch nicht von einer unterstellten
»Exekution aus nächster Nähe« gesprochen werden konnte.

Ein Jahr nach den Ereignissen machte sich Adam selbst auf den Weg. In
Racak, so der Zeuge, ließ er sich, nachdem er die UCK-Vertreter
abgewimmelt hatte, von Dorfbewohnern die Handlungsorte von 1999
zeigen. Dabei ging er vor allem der Frage nach, wie zwei der Opfer,
der junge Halim Beqiri und Hanumshahe Mehmeti, ums Leben gekommen
waren. Er bat seine Begleiter, ihm den Tathergang zu demonstrieren,
und erfuhr so, daß beide Personen in Kampfhandlungen involviert waren:
»Sie haben von diesem Berg da drüben geschossen«, hieß es. Folglich
war die Behauptung Clintons, die Personen seien an einen Ort getrieben
und auf dem Boden kauernd exekutiert worden, falsch. An einem anderen
Ort, so der Zeuge, sei ein Mann mit Gewehr in der Hand von einem
naheliegenden Berg aus tödlich getroffen worden. Adam zufolge könnte
er einer Dorfmiliz angehört haben. Diese hatte sich nach Angaben des
»Spiegel« Tage vor dem Vorfall in Racak der UCK angeschlossen.

Adam erschütterte mit seiner Aussage die Anklage in ihrem wichtigsten,
das Kosovo-Geschehen betreffenden Vorwurf gegen den damaligen
jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic schwer. Der Zeuge
überraschte die Ankläger insbesondere mit seinem detaillierten Wissen
zu Racak. Zudem bezeichnete Adam auf Fragen der Anklage die
seinerzeitigen Untersuchungen als unprofessionell. Offensichtlich in
der Erkenntnis, dem Zeugen wenig entgegensetzen zu können, brach die
Anklage schließlich das Kreuzverhör ab.

In der kommenden Prozeßwoche soll der aus Pristina stammende Serbe
Mitar Balevic seine Aussage fortsetzen. Diese befaßt sich mit den
Reden Milosevics auf dem Amselfeld. Um die Version der Anklage, wonach
es sich um nationalistische Haßreden gehandelt habe, auszuräumen,
waren in dieser Woche die Aufnahmen der Reden erstmals in voller Länge
abgespielt worden.


=== 2 ===

http://www.free-slobo.de/notes/os1005rh.htm

http://www.sopos.org/aufsaetze/429a2a7e6e1e4/1.phtml
Aus: „Ossietzky" 10/2005 v.

DER RACAK-SCHWINDEL

Ralph Hartmann

»Racak ist eines der wichtigsten Elemente der Anklage.« Mit diesen
Worten wies der Vorsitzende Richter Patrick Robinson im Haager Prozeß
gegen den jugoslawischen Ex-Präsidenten Slobodan Milosevic die
Forderung des stellvertretenden Chefanklägers Geoffrey Nice zurück,
Aussagen der Zeugin Danica Marinkovic nicht in das Beweismaterial
aufzunehmen. Die ehemalige Untersuchungsrichterin am Bezirksgericht in
Pristina hatte einen Tag vor dem Chef der OSZE-Beobachter-Mission, dem
US-Botschafter William Walker, den Ort des angeblichen Massakers
aufgesucht; im Prozeß hatte sie Walkers Aussagen gründlich widerlegt.

Dem Richter ist zuzustimmen. Tatsächlich ist Racak sogar der einzige
»Vorfall« in Kosovo vor dem NATO-Überfall auf Jugoslawien, der in der
»Kosovo-Klage« explizit angeführt ist. In ihr heißt es wörtlich: »In
dieser Periode haben die Vertreter der internationalen
Verifikationsmission und von Organisationen zum Schutz der
Menschenrechte eine bestimmte Anzahl von Ermordungen von
Kosovo-Albanern dokumentiert. In einem solchen Vorfall, am 15. Januar
1999, wurden 45 unbewaffnete Kosovo-Albaner im Dorf Racak in der
Gemeinde Stimlje/Shtima umgebracht.«

Auf dem Weg zum NATO-Krieg gegen Jugoslawien war der »Vorfall im Dorf
Racak« ein Schlüsselereignis. Am 16. Januar 1999 hatte der komplott-
und bürgerkriegserfahrene US-Botschafter Walker der Weltpresse in
einem Graben 45 aufgehäufte tote Kosovo-Albaner präsentiert und an Ort
und Stelle erklärt, es »handle sich um ein Massaker an unbewaffneten
Zivilisten, um eine unerhörte Grausamkeit, um ein Verbrechen gegen die
Menschlichkeit, für das eindeutig die Sicherheitskräfte der Regierung
die Verantwortung trügen«, wie die Neue Zürcher Zeitung damals
berichtete. Obwohl aufgrund vieler Ungereimtheiten und Indizien der
Verdacht aufkam, daß das »Massaker an unbewaffneten Zivilisten« in
Wirklichkeit eine von Walkers unterstützte oder zumindest geduldete
Inszenierung der kosovo-albanischen Separatistentruppe UCK war, die
ihre im Gefecht gefallenen Kämpfer eingesammelt und mediengerecht zur
Schau gestellt hatte, bestimmte die Einschätzung des US-Botschafters
den Tenor der Medien-Berichterstattung, die die Öffentlichkeit auf die
Notwendigkeit eines Eingreifens der NATO in den innerjugoslawischen
Kosovo-Konflikt vorbereitete. Allen voran ging das »Serbenfreßblatt«
(Peter Handke) FAZ , das zur Ausschmückung der Walker-Enthüllungen zu
berichten wußte: »Viele Opfer... waren verstümmelt, Schädel
eingeschlagen, Gesichter zerschossen, Augen ausgestochen. Ein Mann war
enthauptet.«

Unmittelbar nach der Aufdeckung des »Massakers« trat der NATO-Rat
eiligst zu einer Sondersitzung zusammen, um die Kriegsvorbereitungen
zu intensivieren. Als die High-Tech-Waffen einsatzbereit waren, diente
Racak als Zünder. Am 17. März 1999 legte die Leiterin eines Teams
finnischer Gerichtsmediziner, Helena Ranta, die nach späterem eigenen
Eingeständnis ihre Instruktionen vom deutschen Außenministerium
erhalten hatte, einen vorläufigen Kurzbericht vor, nach dem es »keine
Hinweise« gegeben habe, »daß es sich bei den Betroffenen nicht um
unbewaffnete Zivilpersonen handelte«. Ein Woche danach überfiel die
NATO Jugoslawien.

Am 65. Tag der Aggression erhob das Haager Tribunal Anklage gegen
Milosevic und andere, in der das »Racak-Massaker« eben als eines der
»wichtigsten Elemente« angeführt ist. Folgerichtig wurde dem
»Massaker« in dem am 12. Februar 2002 begonnenen Prozeß ein zentraler
Platz eingeräumt und seinem Erstverkünder eine tragende Rolle
zugedacht. Doch Walkers Auftritt vor Gericht war ein Flop. Er
wiederholte frühere Behauptungen, aber im von Milosevic geführten
Kreuzverhör geriet er ins Schleudern. Auf die Frage, warum er in
seiner damaligen Erklärung für die Öffentlichkeit nicht mitgeteilt
habe, daß sich unter den Toten in Racak Angehörige der UCK befanden,
erwiderte er, daß er das nicht gewußt habe. Da Walker seinerzeit sogar
bestritten hatte, daß die UCK in Racak präsent war, forderte der
Angeklagte das Gericht auf, den Video-Film zu zeigen, auf dem zu sehen
ist, daß der USA-Diplomat bei seiner Besichtigung der Toten von Racak
von UCK-Kämpfern umgeben war.

Ebensowenig konnte sich der Zeuge der Anklage daran erinnern, ob er,
der als OSZE-Vertreter zu unparteiischer Haltung verpflichtet war,
über Racak mit dem NATO-Oberkommandierenden für Europa, Wesley Clark,
und anderen ­NATO-Größen gesprochen habe. Auch hier, so Walker, lasse
ihn sein Gedächtnis leider im Stich. Wörtlich fügte er hinzu: »Wenn
einige Leute behaupten, daß ich mit ihnen gesprochen habe, habe ich
keinen Grund daran zu zweifeln. Ich erinnere mich nicht, daß ich mit
ihnen sprach, was nicht heißt, daß ich es nicht getan habe.«

Nein, Walker bereitete der Chefanklägerin wenig Freude. Noch
unerfreulicher für sie waren allerdings die Zeugen, die Milosevic zu
seiner Verteidigung aufrief und die das windschiefe Konstrukt der
Anklage auch im Falle Racak zum Einsturz brachten. Der serbische
Chefpathologe Slavisa Dobricanin, der gemeinsam mit finnischen
Kollegen die Obduktion der Toten vornahm, wies unter anderem anhand
der untersuchten Einschußkanäle nach, daß diese nicht am Ort ihrer
Zurschaustellung, sondern im Kampf gefallen waren. Überzeugend
widerlegte er die Behauptung von Helena Ranta, daß es sich bei den
Leichen um »unbewaffnete Zivilisten« gehandelt habe. Ranta habe als
Gerichtsstomatologin an der Obduktion nicht einmal teilgenommen,
berichtete Dobricanin. Er selbst bezeugte, daß an den Händen von 37
der von ihm untersuchten 40 Toten Schmauchspuren festgestellt wurden,
die darauf hinwiesen, daß sie kurz vor ihrem Tod von Schußwaffen
Gebrauch gemacht hatten. Angesichts dessen sei es umso
verwunderlicher, daß keine der in Racak gefundenen Waffen nach
Fingerabdrücken der Erschossenen untersucht wurden.

Eine weitere Schlappe mußte die Anklage durch die eingangs erwähnte
Untersuchungsrichterin des Bezirksgerichtes in Pristina hinnehmen, die
vor Walker den Ort des blutigen Geschehens aufgesucht und nichts von
dem gesehen hatte, worüber dieser die Welt mit seinem dramatischen
Auftritt unterrichtete. Sie sagte aus, daß sie die vom Botschafter der
USA bei der OSZE präsentierten Leichname zwei Tage später in der
Moschee von Racak mit Hilfe der Fingerabdrücke identifiziert und sie
später im Institut für Gerichtsmedizin den Angehörigen gegen
Unterschrift übergeben habe. Bei einer Überprüfung habe sie
feststellen müssen, daß von den 40 von ihr Identifizierten und auf
einer Liste Festgehaltenen neun in der Haager Anklageschrift nicht
aufgeführt und zum Teil durch völlig andere Namen ersetzt wurden.

Aufschlußreich in dieser Vernehmung war auch folgender Dialog:

Milosevic (an die Zeugin gewandt): Wissen Sie, daß Herr Walker
mitteilte, in Racak seien Frauen und Kinder ermordet worden?

Richter Robinson: Stellen Sie die Frage, wie es erforderlich ist,
sonst wird der Ihnen zugeteilte (Zwangs)-Rechtsanwalt die Befragung
fortsetzen!

Milosevic: Befinden sich auf Ihrer Liste Frauen und Kinder?

Zeugin: Nur eine Frau, die 36. auf der Liste, ihr Name war Mehmeti
Hana Musabe...

Milosevic: War sie Mitglied der UCK?

Zeugin: Sie war es, so wie ihre drei Brüder. Ihr Vater war Kommandant
des UCK-Stabes in dieser Region.

Auf Nachfragen des Angeklagten ergänzte die Zeugin, daß Racak schon
früher durch terroristische Aktivitäten, Morde und Brandschatzungen
der Häuser jener Albaner bekannt war, die sich nicht der UCK
anschließen wollten. Eine Aussage, die wenig später durch den
Polizeiinspektor von Urosevac, Dragan Jasovic, mit dem Hinweis ergänzt
wurde, daß in Racak bereits ab Juni 1998 ein Stab der UCK
untergebracht war. Berücksichtigt man zudem die selbst von Helena
Ranta geübte Kritik, daß das Tribunal den Informationen über schwere
Kämpfe zwischen serbischen Soldaten und UCK-Kämpfern in der Nacht vom
15. zum 16. Januar im Raum Racak nur unzureichend nachging, dann weiß
man, was von der von Walker verbreiteten und von der Chefanklägerin in
die Anklageschrift übernommenen Tatarennachricht zu halten ist, in
Racak seien 45 »unbewaffnete Kosovo-Albaner« umgebracht worden.

Mittlerweile hat sich selbst der eingangs erwähnte Stellvertreter der
Chefanklägerin der Wahrheit angenähert und eingeräumt, daß 25 der
Racak-Toten Angehörige der UCK waren.

Mit Lügen und Fälschungen einen Kriegsvorwand zu schaffen, ist
bekanntlich nichts Neues. Der Überfall polnischer Soldaten auf den
deutschen Sender Gleiwitz, der Angriff Nordvietnams auf ein
US-amerikanisches Kriegsschiff in der Tonking-Bucht, die Entdeckung
der Massenvergewaltigungslager in Bosnien, die von den irakischen
Massenvernichtungswaffen ausgehenden Gefahren für die »freie Welt«
sind nur Beispiele für die bewährte Praxis kriegslüsterner
Aggressoren. Neu ist im Falle des »Racak-Massakers« lediglich, daß die
NATO die eigene betrügerische Tat zu einem »der wichtigsten Elemente
der Anklage« gegen den Betrogenen, den Präsidenten des überfallenen
Staates, gemacht hat. Dieses Element hat sich nun zweifelsfrei als ein
übler Schwindel erwiesen.

Erschienen in Ossietzky 10/2005

--- In icdsm-italia @ yahoogroups.com, "icdsm-italia" ha scritto:

[ # L'Associazione Russa di Diritto Internazionale, nella sua
Assemblea Plenaria, ha approvato una dichiarazione sullo scandalo del
processo politico intentato al tribunale speciale dell'Aia contro
Slobodan Milosevic; ne riproduciamo di seguito il testo. Nella
dichiarazione si sottolinea tra l'altro l'impari trattamento riservato
alla Accusa ed alla Difesa: a quest'ultima e' stato accordato un tempo
che e' praticamente la META' di quello gia' usato dalla prima.
# Nel frattempo, dopo l'illegittimo blocco, in luglio, del conto già
attivo presso la Sezione tedesca, l'ICDSM ha attivato un nuovo conto
corrente in Austria per i versamenti internazionali a favore della
difesa di Milosevic:
Jugoslawisch-Österreichische
Solidaritäts-Bewegung. (JÖSB)
Bank Austria
IBAN AT49 1200 0503 8030 5200
BIC BKAUATWW
Al piu' presto anche il nostro conto corrente italiano sara' di
riferimento per i versamenti dall'estero:
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Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC ***
# Con l'occasione lamentiamo una volta di piu' la sostanziale vigente
sui media dei nostri paesi "democratici" rispetto al dibattimento in
corso all'Aia, anche nelle sue fasi piu' cruciali ed interessanti -
come la recente deposizione di Seselj.
(a cura di ICDSM-Italia) ]


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Chairmen), Klaus
Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin (Secretary),
Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine Dickson (Legal
Spokesperson)
**************************************************************
28 August 2005 Special Circular
**************************************************************

DECLARATION OF THE RUSSIAN ASSOCIATION OF INTERNATIONAL LAW

The proceedings against Slobodan Milosevic before the International
Criminal Tribunal for the former Yugoslavia raises serious concern. It
is in the first place connected with the ability of the Tribunal to
ensure the principle of fair trial. That principle is a basic
requirement of several international and regional treaties, as well as
a norm of the Tribunal's Statute. The most important element of a fair
trial is the guarantee to a defendant to present his evidence in full.
The most important factor, securing that possibility, is the factor of
time. In the proceedings against Slobodan Milosevic the factor of
time, unfortunately, does not secure respect of the principle of fair
trial.

Assigning to Mr. Milosevic the time to present his case exactly twice
shorter than the time used for the presentation of the Prosecution
case is absolutely unacceptable. The Trial Chamber justified that
decision by a posture that the defendant, allegedly, "wasted"
considerable amount of the Prosecution's time by his questions during
cross examination. That argument has nothing to do with the law and it
is also false in its essence: Mr. Milosevic "wasted" the time of the
Prosecution case not on his own witnesses, but on the witnesses of the
Prosecution. Consequently, the decision of the Tribunal is not only
unfair, but it is also illegal.

In the presently ongoing Defense case more and more defense witnesses
present evidence that fully and convincingly disproves the indictment.
However, the situation when it is necessary to present evidence
against every allegation of the Prosecution case and Mr. Milosevic can
use twice shorter time than the Prosecution had, means that the
defendant is intentionally deprived of the possibility to present all
the necessary evidence. It became apparent that the continuation of
the proceedings under the constant time strain threatens the
possibility to recognize this trial as fair. The international
tribunal cannot conduct proceedings in violation of the fundamental
principle of international law. Mr. Milosevic should have been
assigned as much time for his defense, as it is necessary to present
all witnesses and all evidence, or at least, as much time as the
Prosecution had. Anything contrary to that would be a serious breach
of international law.

Adopted at the Annual Assembly of the Russian Association of
International Law,
on July 30, 2005 in Moscow.

*************************************************************

URGENT FUNDRAISING APPEAL

******************************

NEW ACCOUNT IN AUSTRIA AVAILABLE
(with all necessary details for bank transfers)
AFTER OUR ACCOUNT IN GERMANY WAS FROZEN

*******************************

President Milosevic has the truth and law on his side. In order to use
that advantage to achieve his freedom, we must fight this totally
discredited tribunal and its patrons through professionally conducted
actions which would involve the Bar Associations, the European Court,
the UN organs in charge and the media.

Our practice has shown that ad hoc voluntary work is not enough to
deal properly with these tasks. The funds secured in Serbia are still
enough only to cover the expenses of the stay and work of President
Milosevic's legal associates at The Hague (one at the time). The funds
secured by the German section of the ICDSM (still the only one with
regular contributions) are enough only to cover minimal additional
work at The Hague connected with contacts and preparations of foreign
witnesses. Everything else is lacking.

These days, the fundraising activity of the German section was a
target of a groundless attack of the customs police in Germany. This
makes the need for your extraordinary effort dramaticaly urgent! Even
the basic defence activities at The Hague are at stake!

As a most practical way to send your donations, we are able to offer
now the account of a friendly organization in Austria (see below).
Please send your donations to that account now, to fill the gap made
after the German account was frozen. Have in mind that all bank
transfers within the EU are now at the same price like within any of
its countries.

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3000-5000 EUR per month is our imminent need.

Our history and our people oblige us to go on with this necessary
action. But without these funds it will not be possible.

Please organize urgently the fundraising activity
and send the donations to the following account:

Jugoslawisch-Österreichische
Solidaritäts-Bewegung. (JÖSB)
Bank Austria
IBAN AT49 1200 0503 8030 5200
BIC BKAUATWW

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All of your donations will be used for legal and other necessary
accompanying activities, on instruction or with the consent of
President Milosevic. To obtain additional information on the use of
your donations or to obtain additional advice on the most efficient
way to submit your donations or to make bank transfers, please do not
hesitate to contact us:

Peter Betscher (ICDSM Treasurer) E-mail: peter_betscher@f...
Phone: +49 172 7566 014

Vladimir Krsljanin (ICDSM Secretary) E-mail: slobodavk@y...
Phone: +381 63 8862 301

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For truth and human rights against aggression!
Freedom for Slobodan Milosevic!
Freedom and equality for people!

On behalf of Sloboda and ICDSM,

Vladimir Krsljanin,
Foreign Relations Assistant to President Milosevic

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SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (CDSM UK)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)



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