Informazione

(francais / italiano)

L'eroica resistenza del popolo iracheno (2)

1. Gli italiani (brava gente) hanno sparato sull'ambulanza?
(M. Forti, 20/8/2004)
2. La rivolta dei senza scarpe
(S. Chiarini, 21/8/2004)
3. Dietro le torture di Abu Ghraib c'è anche la mano dei medici
statunitensi. Il rapporto della rivista inglese Lancet
(L'Unita' 20/8/2004; Il manifesto 21/8/2004)

4. Une vidéo empoisonnée: L'affaire Nicholas Berg
(Reseau Voltaire, 18 mai 2004)


=== 1 ===

il manifesto - 20 Agosto 2004

Hanno sparato sull'ambulanza?

Micah Garen ha filmato i militari italiani a Nassiriya. Ma la notizia è
scomparsa, come lui
MARINA FORTI

I militari italiani hanno sparato contro un'ambulanza, a Nassiriya il 6
agosto, durante una battaglia contro le milizie di Moqtada al Sadr? No,
secondo la versione ufficiale delle autorità militari italiane: quel
giorno hanno sparato contro un veicolo che non si era fermato all'alt e
sventato così l'attacco di un'auto-bomba lanciata contro di loro. E
invece sì, secondo le immagini e le testimonianze raccolte di un
giornalista americano là presente: le truppe italiane hanno centrato
proprio un'ambulanza, uccidendo 4 persone tra cui una donna incinta.
L'autore di quelle immagini è il giornalista Micah Garen, la cui sorte
è ora appena a un filo: scomparso a Nassiriya la sera di venerdì 13
agosto, rapito insieme al suo interprete Amir Doushi forse da persone
legate al traffico di oggetti antichi trafugate (è su questo che stava
lavorando da mesi a Nassiriya), forse passato da un gruppo di rapitori
a un altro: mercoledì sera il rapimento è stato rivendicato da una
sedicente «brigata dei martiri», che in un filmato messo in onda dalla
tv araba Al Jazeera minaccia di ucciderlo entro 48 ore (cioè entro
questa sera) se le truppe americane non si ritireranno da Najaf.

La situazione è doppiamente complicata, e per questo separiamo, almeno
per ora, i due fatti: il rapimento del giornalista e gli avvenimenti di
quel 6 agosto. E soffermiamoci sulla seconda parte della storia,
quell'ambulanza.

Le immagini girate da Micah Garen sono andate in onda al Tg3 e poi al
Tg2, la sera del 7 agosto, in un servizio firmato da Agostino
Mauriello: si vedeva un'ambulanza bruciata e un uomo (l'autista,
sopravvissuto) racconta che gli hanno sparato contro. Ci sono anche
altre testimonianze. Nel servizio parla anche un portavoce dei militari
italiani: smentiscono, dicono che loro hanno sparato a un veicolo che
non si è fermato all'alt, il veicolo è esploso e questo prova che era
un'auto- bomba.

La cosa meriterebbe un'indagine: invece è caduta nel silenzio quasi
generale, e sembra sepolta anche ora che Micah Garen rischia la vita.

Eppure un seguito c'è stato, e ne parla proprio Garen in un messaggio
e-mail inviato l'11 agosto al Comitato per la protezione del
giornalisti (Cpj, organizzazione con sede a New York: vedi la nostra
ricostruzione del rapimento sul manifesto di ieri): «Dopo la messa in
onda siamo stati chiamati dalla polizia militare italiana per essere
interrogati. Io sono stato trattenuto fino alle 5 del mattina», scrive
Garen: «Volevano i miei filmati ma io gli ho dato un Cd con le
interviste». Il giorno dopo è preso e interrogato di nuovo, come anche
il suo interprete. «A quel punto ho lasciato il campo. Anche se sono
fuori dalla loro zona di responsabilità e sono un cittadino americano,
ho paura che continuino a perseguitarmi in qualche modo, visto che
hanno aperto un'inchiesta militare». Ci hanno interrogati come
criminali, me e quelli della Rai, precisa lo stesso giorno Garen in un
messaggio a un amico (riportato dall'Unità il 18 agosto).

I movimenti di Garen sono segnati: l'11 agosto lascia il campo italiano
di cui era ospite non più gradito (il portavoce del comando italiano
Ettore Sarli ha precisato ieri all'agenzia Ansa che il giornalista se
n'è andato di sua volontà), e va a Baghdad. Il 12 agosto è a Baghdad,
visita l'ufficio del New York Times (stava lavorando a un articolo per
loro) e quel pomeriggio torna a Nassiriya; il 13 si fa vivo con sua
madre ma quella sera è rapito. La notizia del rapimento circola lunedì,
il 16.

Nel frattempo, la notizia dell'ambulanza è scomparsa. La Rai non ne
parla più: dopo la messa in onda di quel servizio il ministero della
difesa telefona per congratularsi e la Rai decide di tacere: dire che
ha ricevuto pressioni è il minimo. L'Associazione Articolo 21 ieri ha
parlato di «censura» e Stefano Corradino commenta che questa è una
conseguenza del giornalismo embedded. Quanto allo stato maggiore della
difesa italiana, la ricerca di commenti o precisazioni è stata finora
inutile: dopo un lungo inseguimento telefonico siano stati indirizzati
a un numero cellulare disperatamente irraggiungibile.


=== 2 ===

il manifesto - 21 Agosto 2004

La rivolta dei senza scarpe

Al Sadr beffa gli Usa lascia la moschea di Ali e scompare nei
sotterranei di Najaf. Un suo sermone è stato letto ieri nella vicina
Kufa ma di lui non c'è traccia
STEFANO CHIARINI

La consegna delle chiavi del mausoleo di Ali agli uomini dell'anziano
capo spirituale degli sciiti, l'aytollah Ali al Sistani, e l'uscita
dalla grande moschea con la cupola ricoperta di mattonelle d'oro, 7.777
per l'esattezza, dei seguaci armati del leader sciita radicale Moqtada
al Sadr, potrebbe portare ad una sospensione del conto alla rovescia
proprio sul baratro di un assalto finale alla città e ai luoghi santi
sciiti. Affidando il mausoleo all'ayatollah Ali al Sistani, Moqtada al
Sadr potrebbe così essere riuscito a salvare per il momento la vita sua
e dei suoi uomini e a segnare alcuni importanti punti nella difficile
partita a scacchi della resistenza all'occupazione americana. A questo
punto il rispetto di una eventuale tregua e della clausola sulla base
della quale i luoghi santi dovranno essere protetti non dalla polizia
irachena facente capo al governo collaborazionista Allawi ma dalle
guardie stipendiate dall'Hawza, una sorta di Vaticano degli sciiti
composto dai più importanti ayatollah con tutti i loro seminari,
dipenderà dall'autorità dello stesso Sistani, la massima «fonte di
ispirazione» per tutti gli sciiti. Di fronte all'offerta di al Sadr,
l'ayatollah al Sistani - esponente della tradizione «pietista»
favorevole ad un disinteresse delle gerarchie nei confronti della vita
politica (tutti i poteri sono illegittimi in attesa del ritorno del
Mahdi, basta che non colpiscano la religione) - già oggetto di forti
critiche per aver lasciato Najaf nel momento più drammatico e per non
aver sostenuto apertamente la resistenza all'occupazione, non poteva
che accettare di ritornare in gioco. Anche perché ricuperare il
controllo sul mausoleo di Ali, da aprile nelle mani degli uomini di
Moqtada al Sadr, senza spargimento di sangue non è certo per Sistani
poca cosa sia nei confronti dei suoi seguaci che degli stessi occupanti.

Moqtada al Sadr, da parte sua, per il momento, non solo sembra essere
riuscito a sganciarsi dall'assedio Usa (scomparendo nei pozzi e nei
cunicoli di Najaf come il Mahdi che tornerà alla fine dei tempi a
portare la giustizia al mondo), ma esce dal confronto politicamente
assai più forte di quanto non fosse ai primi di agosto. E' infatti la
seconda volta dallo scorso aprile, che gli Stati uniti tentano di far
fuori lui, le sue milizie, il sostegno di cui gode e più in generale
tutti i movimenti di resistenza all'occupazione, sunniti e sciiti,
senza riuscirci. L'attacco Usa era scattato ai primi di agosto quando,
rompendo una tregua raggiunta con al Sadr a giugno, i marines hanno
tentato con un colpo di mano di arrestarlo e, non riuscendoci, hanno
cominciato ad arrestare suoi collaboratori nel centro sud del paese e
ad attaccare le postazioni delle sue milizie. Parallelamente con
pesanti bombardamenti e una offensiva generalizzata i comandi Usa
cercavano di riprendere il controllo delle città sunnite e sciite dalle
quali erano stati praticamente cacciati e che non riconoscono più il
governo collaborazionista di Allawi. La loro offensiva, al di là della
uccisione di centinaia di resistenti e di cittadini iracheni, per il
momento non sembra abbia in realtà portato alcun risultato positivo per
gli occupanti e per il governo Allawi. Il fatto che i partiti sciiti
presenti nel governo, in particolare «al Dawa» e il Consiglio superiore
della rivoluzione islamica in Iraq (lo Sciri) nella loro dirigenza (e
con il determinante beneplacito di Tehran) avessero dato via libera
all'offensiva americana che avrebbe tolto loro di mezzo un sempre più
popolare concorrente, non è stato sufficiente per chiudere il cappio
attorno ad al Sadr. Non è stato possibile per la popolarità del giovane
leader radicale che da tempo, sull'esempio degli Hezbollah libanesi,
gioca la carta della «resistenza nazionale» contro gli occupanti e
della «unità del paese» contro le tendenze secessioniste delle province
curde e contro la kurdizzazione della città di Kirkuk con la cacciata
delle popolazioni arabe e turcomanne. Non a caso in tutte le iniziative
di al Sadr c'è sempre la vecchia bandiera irachena mentre spesso nella
polemica contro il clero conservatore e pietista di Najaf, l'esponente
sciita ha sostenuto che il loro disinteresse nei confronti della
resistenza deriverebbe dalle origini «straniere», soprattutto iraniane,
dei massimi esponenti religiosi sciiti. Questa carta «nazionale» e gli
attacchi ai partiti presenti nel governo gli hanno provocato la
freddezza e il mancato appoggio del governo iraniano, assai più vicino
allo Sciri, ma un forte consenso all'interno del paese, non solo tra
gli sciiti ma anche tra i sunniti. Anche il gesto di aver affidato le
chiavi alle autorità religiose irachene di Najaf escludendo la polizia
e il governo Allawi (considerati strumenti degli americani) costituisce
agli occhi degli iracheni un' altra soluzione «nazionale» incruenta
contrapposta a quella militare sostenuta dagli Usa. Al Sadr, ancora una
volta, è riuscito a saldare l'elemento «nazionale», quello religioso
della «difesa dei luoghi santi» con quello sociale di un riscatto, oggi
e non un domani con l'arrivo del Mahdi, rivolto «ai senza scarpe» del
paese, alle masse di giovani delle periferie delle città che, non solo
a Sadr city, ma anche in altre sette città del sud del paese sono
affluiti in massa ad infoltire le schiere dei suoi seguaci. Tale
popolarità ha finito per isolare il governo Allawi e per dividere lo
stesso fronte sciita dei partiti che sostengono l'occupazione. Se poi
al Sadr riuscirà ad uscire dall'assedio conservando le sue milizie, i
suoi seguaci, e il controllo delle più importanti città del sud
dell'Iraq, allora il futuro del governo Allawi e della presenza
militare americana in Iraq sarà segnato. Anche se lo stesso al Sadr
dovesse essere ucciso o fatto prigioniero.


=== 3 ===

http://www.uruknet.info/?s1=3&p=4924&s2=21

Denuncia di un settimanale scientifico: «Medici militari Usa coinvolti
nelle torture»

L'Unità

20 agosto 2004 - Un medico inserì un catetere nel cadavere di un uomo
morto sotto tortura per far risultare che era ancora vivo quando arrivò
in ospedale. Un medicò certificò come morte naturale il decesso di un
prigioniero torturato e poi sospeso al soffitto della sua cella dove
morì per strangolamento. Un altro medico, intervenuto perché un
prigioniero aveva perso conoscenza durante le torture, lo rianimò e poi
consentì ai torturatori di continuare. Sono solo alcuni dei casi,
documentati, in cui medici militari americani hanno preso parte ai
maltrattamenti sui prigionieri, in violazione sia delle convezioni
internazionali che delle norme etiche che devono regolare la
professione medica

La complicità dei medici e degli altri operatori sanitari militari
statunitensi nelle torture e negli abusi sui prigionieri in Iraq,
Afganistan e Guantanamo è denunciata da un articolo e dall’editoriale
dell’ultimo numero di The Lancet ( http://www.thelancet.com/home ),
prestigioso settimanale britannico di medicina, una delle più
accreditate riviste scientifiche del mondo.

«Quasi tre anni ci chiedemmo se il mondo occidentale prendesse ancora
sul serio i diritti umani... La risposta alla domanda che ci siamo
posti tre anni fa è chiaramente un “no”» sostiene l’editoriale (
http://www.thelancet.com/journal/vol364/iss9435/full/
llan.364.9435.analysis_and_interpretation.30569 ) attribuibile al
direttore Richard Horton «I diritti umani sono una vittima del
disperato tentativo di ottenere dei risultati nella guerra contro il
terrorismo. La questione che dobbiamo ora porci è: quanta parte hanno
avuto i medici in questi abusi?».

La domanda di Horton non è soltanto retorica, come meticolosamente
spiega Steven H. Miles in Abu Ghraib: its legacy for military medicine,
Abu Ghraib, la sua eredità per la medicina militare (
http://www.thelancet.com/journal/vol364/iss9435/full/
llan.364.9435.review_and_opinion.30574.1 ). Il racconto di Miles è
basato esclusivamente su documenti ufficiali, che documenta con
puntiglio in ben 59 note a pie’ di pagina nelle quali vengono citate
relazioni, testimonianze, dichiarazioni ufficiali. Nessuno scandalismo,
dunque, ma solo verità documentali.

Il quadro che ne esce è ugualmente terrificante, a cominciare dalla
partecipazione di alcuni medici alla definizione e alla messa in
pratica di «interrogatori coercitivi dal punto psicologico e fisico».
Miles, citando la testimonianza del colonnello dell’Us Army Thomas M.
Pappas, riferisce in particolare che «un medico ed uno psichiatra hanno
contribuito a mettere a punto, approvare e monitorare gli interrogatori
ad Abu Ghraib». Comportamenti contrari all’etica medica e alle regole
internazionali che regolano la professione.

Oltre agli episodi citati all’inizio, nell’articolo di The Lancet sono
enumerati moltissimi altri episodi raccapriccianti che hanno visto
coinvolti medici o personale paramedico. Come nel caso due medici che
consentirono alle guardie di suturare direttamente lesioni provocate a
dei prigionieri dai pestaggi in carcere. Miles riferisce anche di
certificati di morte falsi che attestavano cause di morte naturale
quando invece erano evidenti segni di violenza sui cadaveri.

«Abu Ghraib lascia una pesante eredità» conclude l’autore. «La
reputazione della medicina militare, delle forze armate americane e
degli Stati Uniti è stata danneggiata. Dopo Abu Ghraib, la
compromissione della legalità internazionale ha aumentato i rischi per
i prigionieri di guerra perché ha diminuito la credibilità degli
appelli internazionali in loro favore».


(Per leggere il testo integrale degli articoli di The Lancet è
necessaria una registrazione gratuita al sito del settimanale)

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC
_TIPO=&TOPIC_ID=37016

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il manifesto - 21 Agosto 2004

NUOVE TESTIMONIANZE

I piccoli dottor Mengele dell'esercito americano all'opera a Abu Ghraib

Un ruolo attivo

I referti degli iracheni morti sotto interrogatorio falsificati per far
sparire ogni prova di violenza. Il rapporto della rivista inglese Lancet
CARLO MARIA MIELE

Dietro le torture di Abu Ghraib c'è anche la mano dei medici
statunitensi. I dottori dell'esercito americano impiegati nel campo di
prigionia alle porte di Baghdad avrebbero lasciato mano libera ai
militari, coprendo i casi di abuso, creando falsi referti, ma talvolta
assumendo anche un ruolo attivo. Ad affermarlo è l'autorevole rivista
scientifica britannica Lancet, che in un lungo articolo, corredato da
fonti e testimonianze, ricostruisce l'operato dei nuovi Mengele. Il
rapporto parla di malati abbandonati a se stessi, di abusi sui
prigionieri con handicap e di infezioni lasciate imputridire.
All'interno della prigione dell'esercito, ai detenuti non sarebbe stato
garantito nessuno dei diritti previsti dalla convenzione di Ginevra.
Entrare ad Abu Ghraib significava essere dimenticati per sempre. Le
autorità del carcere non effettuavano i controlli medici regolari, non
denunciavano i casi di malattia o i decessi, né comunicavano alle
famiglie eventuali trasferimenti dei malati in altre strutture. Gli
iracheni morti durante le torture venivano classificati come deceduti
per infarto, colpo apoplettico, o «cause naturali». Un medico - si
legge nel rapporto - inserì un catetere intravenoso nel corpo di un
prigioniero morto durante gli interrogatori per far credere che fosse
stato trasferito ancora vivo in ospedale.

Partendo dagli atti del congresso degli Stati uniti e dalle
testimonianze giurate di prigionieri e soldati, l'autore dell'indagine,
il professore dell'università del Minnesota Steven Miles, arriva ad
affermare che «il sistema medico dell'esercito americano non ha
protetto i diritti umani dei detenuti, talvolta collaborando negli
interrogatori delle guardie carcerarie, senza denunciare i ferimenti e
i decessi causati da maltrattamenti». Nel lungo elenco degli abusi
rilevati vi sono casi di pestaggio, bruciature, asfissìa, minacce,
umiliazioni sessuali e isolamento. In questo scenario dell'orrore, la
colpa dei medici non sarebbero stata semplicemente quella di essere
rimasti spettatori passivi. I racconti dei detenuti, inclusi nel
rapporto, superano ogni immaginazione. Gli interrogatori ad Abu Ghraib
avvenivano in presenza di un medico e di uno psichiatra: quando il
prigioniero, vittima dei pestaggi, perdeva i sensi, loro intervenivano
per rimetterlo in sesto, permettendo agli aguzzini di continuare il
proprio lavoro. Altre testimonianze parlano di ferite sui prigionieri
causate e suturate personalmente dalle guardie del carcere, per
esplicita concessione dei medici. «Le giustificazioni legali - scrive
Miles - come chiedersi se i detenuti fossero prigionieri di guerra,
soldati, combattenti nemici, terroristi, cittadini di stati caduti,
ribelli o criminali, fanno perdere di vista la questione centrale». Le
tante dichiarazioni di principi sottoscritte dagli Stati uniti, e lo
stesso regolamento interno dell'esercito, infatti, «proibiscono ai
militari di fare uso della tortura e dei trattamenti degradanti su
tutti gli esseri umani». Un discorso che dovrebbe valere maggiormente
per i medici. L'esercito statunitense, per bocca di un suo portavoce,
si è affrettato a smentire il rapporto, definendolo «approssimativo»,
mentre alcune organizzazioni mediche americane hanno sostenuto che, se
le accuse venissero confermate, i medici di Abu Ghraib dovrebbero
essere messi sotto giudizio.

In un suo editoriale, il Lancet fa un appello a creare una nuova
commissione di inchiesta sulle torture, che sappia analizzare maggiori
elementi di quanto è stato fatto finora. Le prospettive future però
appaiono tutt'altro che incoraggianti: «Lo stato attuale di crisi del
diritto internazionale - conclude Miles - ha aumentato i rischi per gli
individui che diventano prigionieri di guerra dopo Abu Ghraib, perché è
diminuita la credibilità degli appelli internazionali per loro».


=== 4 ===

http://www.reseauvoltaire.net/article13960.html

Une vidéo empoisonnée

L'affaire Nicholas Berg

L'insoutenable violence de la vidéo de l'assassinat de Nicholas Berg a
suscité des réactions immédiates, passionnelles et contradictoires.
Pourtant, une analyse rigoureuse met en évidence la complexité
réfléchie de la scénarisation et la polysémie délibérée des images.
Loin d'être le témoignage brut d'une mise à mort, cette production a
été conçue pour renforcer les préjugés et les antagonismes de la guerre
des civilisations. Il ne s'agit pas d'un reportage, mais d'un outil
élaboré de propagande.

18 mai 2004

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Une séquence vidéo de l'assassinat de Nicholas Berg a été diffusée par
trois grandes chaînes de télévision anglo-saxonnes, le 12 mai 2004. Le
lendemain, son authenticité a été confirmée par la CIA qui a précisé
avoir identifié le meurtrier en la personne d'Abou Moussab Zarkaoui.
Cependant l'interprétation d'un document suppose une analyse rigoureuse.

Origine de la vidéo

L'existence de ce document a été rapportée par le bureau de Reuters à
Dubaï, le 12 mai. Il aurait été trouvé sur le site arabophone
http://www.al-ansar.biz/. Dans l'heure qui suivit, il était diffusé par
Fox news, CNN et la BBC. Cependant, les chaînes arabes qui souhaitaient
se le procurer ne le trouvaient pas sur le site indiqué. Toutes les
versions actuellement disponibles proviennent des trois grandes chaînes
anglo-saxonnes.
Le site internet de référence était hébergé par une société malaise.
Devant l'afflux de connections, celui-ci l'a retiré de sorte qu'il a
disparu aujourd'hui. Le nom de domaine était la propriété d'Arab Press
House, une respectable société de presse basée à Londres et sans lien
avec des islamistes.

Style littéraire de la vidéo

Le document, d'une durée de 5 minutes 37 secondes, est d'une trop
faible définition pour permettre la lecture de détails. Il est composé
de deux séquences distinctes (la présentation et l'exécution). Il a été
monté pour limiter la scène de la décapitation, mais le montage son est
distinct du montage image. La bande semble avoir été post-sonorisée, de
sorte qu'il est impossible de savoir si la voix que l'on entend lire le
communiqué est celle de l'assassin, ni si les cris sont ceux de sa
victime. Cependant, la désynchronisation peut être une conséquence de
la compression de la vidéo pour la diffuser sur le Web. La caméra est
d'abord posée sur un pied, puis elle est portée à l'épaule pendant les
deux plans du meurtre pour renforcer le stress du spectateur.

La mise en scène est à double lecture selon les publics :

Pour les uns, Nicholas Berg s'identifie en donnant les prénoms de ses
parents, frère et sœur, laissant entendre qu'il est juif. Puis des
islamistes encagoulés dénoncent les États-Unis et le président
pakistanais. Ils le décapitent alors pour venger « les abus sataniques
d'hommes et de femmes musulmans à la prison d'Abu Ghraib ». La violence
difficilement soutenable de la scène induit le spectateur à penser que
la barbarie des meurtriers est sans commune mesure avec les abus des
GI's. Les islamistes paraissent incarner le Mal.

Pour les autres, Nicholas Berg est vêtu d'un pyjama orange identique à
celui des détenus de Guantanamo et porte une barbe comme les
islamistes. Il se présente assis sur une chaise identique à celles
visibles sur les photos de tortures à Abu Grahib. Des personnages
encagoulés, se présentant comme des islamistes, déversent un torrent de
haine. L'un d'entre eux, portant une bague en or ce qui est strictement
prohibé chez les fondamentalistes, sort un couteau et l'égorge. En
reproduisant le sacrifice abrahamique, mais un substituant un homme à
l'agneau, il commet un sacrilège. La violence difficilement soutenable
de la scène induit le spectateur à penser que les États-Unis sont prêts
à n'importe quelle barbarie contre leurs propres ressortissants pour
stigmatiser les musulmans.

Incohérences du document

L'accoutrement des ravisseurs évoque moins des résistants au milieu
d'une guerre sanglante qu'une nécessité d'« uniformes » de terroristes
tous identiques pour les besoins du tournage.
Deux des « terroristes arabes » portent leur main gauche au visage
durant la séquence. C'est un geste qui n'est pas courant, même par
inadvertance, dans la culture arabe où la main gauche, réservée à
l'hygiène, ne doit pas être portée au visage.
La méthode employée, soit un découpage à l'aide d'un couteau-scie
militaire vise à reproduire le rituel abrahamique et est inadapté à la
situation. Les décapitations sont généralement effectuées d'un coup sec
à l'aide d'une lame lourde et bien affûtée, qu'il s'agissent d'une
hache ou d'un sabre.
Le corps de la victime ne bouge pratiquement pas lors de la
décapitation, ou plutôt du découpage de sa tête. Il n'éprouve pas les
convulsions qui sont habituellement observées lorsqu'on décapite un
être humain ou un animal.
La quantité de sang qui s'échappe du corps et de la tête semble très
faible. Cet effet est peut-être dû au montage vidéo, le time code
laissant supposer une coupure vidéo de 9 minutes. Le sang se serait
écoulé lors de la séquence supprimée.

Identification de l'assassin

La CIA n'a pas indiqué à partir de quels éléments elle avait identifié
l'assassin comme étant Abou Moussab Zarkaoui. Depuis plusieurs mois,
l'Agence s'efforce de présenter cet individu comme le successeur
d'Oussama Ben Laden.
On ne comprend pas pourquoi M. Zarkaoui, si c'est lui, cacherait son
visage qui est reproduit sur des milliers de tracts proposant 10
millions de dollars de récompense pour son arrestation.
Dans des rapports précédents, la CIA avait indiqué qu'Abou Moussab
Zarkaoui avait perdu une jambe lors d'un bombardement en Afghanistan.
Il a également été précisé que des points étaient tatoués sur sa main
gauche. Or, l'assassin n'est ni handicapé, ni tatoué.
M. Zarkaoui est réputé avoir un accent jordanien. Ce qui n'est pas le
cas de la voix que l'on entend. Mais si la vidéo est post-sonorisée,
cette voix n'est pas forcément celle de l'assassin.

Identification d'Al Qaïda

La traduction de la bande son diffusée dans les médias états-uniens
fait référence à Al Qaïda. Il s'agit en fait d'une erreur qui a été
rectifiée depuis par le National Virtual Translation Center.

Identification de la victime

Les forces de la Coalition ont découvert avant la diffusion de la vidéo
un corps décapité qu'elles ont identifié comme étant celui de Nicholas
Berg. Il a été rapatrié aux Etats-Unis et inhummé.
La famille du défunt l'a reconnu sur la vidéo.

Profil de la victime

L'entreprise de la famille Berg (père et fils) figurait dans la liste
des « ennemis de l'État » publiée sur le site pro-Bush freerepublic. Le
père s'était engagé dans le mouvement anti-guerre A.N.S.W.E.R., présidé
par Ramsey Clark.

Lors d'un séjour d'études dans l'Oklahoma, Nick Berg aurait prêté son
adresse de messagerie avec son mot de passe à quelqu'un qu'il ne
connaissait pas, qui lui-même l'aurait prêté à un proche de Zacarias
Moussaoui, le Français accusé d'avoir participé à l'organisation des
attentats du 11 septembre. Berg avait par la suite été interrogé par le
FBI qui avait conclu à une coïncidence et donc à son innocence.
Pourtant, Carol Devine-Molin (enterstageright.com) affirme qu'il avait
de nouveau été interrogé bien après le 11 septembre, ainsi que lors de
sa détention précédant sa disparition. Le FBI aurait dans cette
hypothèse de sérieux doutes sur lui.
Nick s'était rendu en Israël auparavant, sans prendre soin de demander
aux douanes israéliennes de ne pas apposer de tampon, comme le font par
prudence beaucoup d'États-uniens voyageant au Moyen-Orient.
Selon le Seattle Post-Intelligencer, « Berg a d'abord travaillé en Irak
en décembre et janvier avant d'y retourner en mars. Il inspectait les
installations de communication, dont certaines étaient détruites par la
guerre ou les pillards. Lors de ces séjours en Irak, il a travaillé sur
une tour d'Abou Ghraib, prison dans laquelle ont été commises des
tortures. » Il l'a fait en compagnie de Aziz Kadoory Aziz, également
connu sous le nom de Aziz al-Taee, avec qui il avait lancé son
entreprise de tours de communications. Or, M. Kaddory Aziz est le
fondateur du Conseil irako-américain. Farouche partisan de l'invasion,
il intervenait parfois sur Fox News et organisait des manifestations de
soutien aux troupes avant la guerre. Il est réputé agent de la CIA.
Selon le Guardian, la société de Berg venait de se voir attribuer un
contrat dans le cadre du consortium Iraqi Media Network (un programme
de la NED/CIA).
Seuls des sociétés de confiance pouvaient soumissionner aux marchés des
télécommunications à Abu Ghraib et pour l'Iraqi Media Network.
Nicholas Berg a été arrêté sans papiers par le commandement de la
Coalition à Mossoul, le 25 mars. Il a été incarcéré prétendument pour
le temps de son identification. La famille Berg a fait appel vainement
au consulat pour le faire libérer. Puis, elle a porté plainte, le 5
avril, contre les autorités US pour détention illégale, mentionnant le
fait que les diplomates n'avaient plus aucun pouvoir pour intervenir
sur son cas. Il a été relâché peu après, le 8 avril. Pendant cette
période, il a été interrogé par trois fois par le FBI. Les autorités
ont déclaré avoir tenté de le persuader de quitter le pays pour sa
propre sécurité, sans pour autant l'avoir rapatrié de force.

Conclusion

L'histoire de la victime donne l'impression qu'elle a d'abord été
proche d'un islamiste et des milieux anti-guerre, puis qu'elle a été
retournée jusqu'à travailler avec un agent de la CIA, sans que les
services états-uniens aient été certains de sa fidélité. Cette dualité
ouvre la possibilité de nombreuses interprétations de l'événement.
Compte tenu de son parcours, de son montage, de sa scénarisation et de
ses incohérences, on ne peut considérer cette vidéo comme un témoignage
au premier degré. Au contraire, sa violence et sa mise en scène
polysémique traduisent une volonté d'égarer le spectateur. Elle
apparaît dès lors comme un outil de propagande de la guerre des
civilisations, suscitant une lecture différente selon les groupes
culturels et renforçant les antagonismes.

I DS mobilitati contro Chavez e contro il popolo venezuelano

FULVIO GRIMALDI da CARACAS, 20/8/04

Questa e`una città bellísima, abbruttita dal potere ma riscattata da
questa sua umanità variopinta, nel senso etnico-estetico del termine,
che mimetizza la devastazione cementizia – magniloquenza fasscistoide
del dittatore Hímenes, speculazione alla Ciancimino del ladrone Carlos
Andres Perez, velleità manhattiane dell’ultimo sovrano della Quarta
Repubblica, Caldera, sopraffatto da Chavez e dalla rivoluzione della
Quinta – con la sua pervasiva e allegra motilità, una nuova-antica
musica che permea calcestruzzi e asfalti, lo sconfinato rosso della
testimonianza revoluzionaria in tessuto di maglia e di bandiera, il
formicolio dell’economia informale che secerne trovate e trovatine
sempre nuove. E’ una città che corre per il lungo, con per spina
dorsale un rapido, elegante e mortalmente condizionato metrò,sempre
zeppo di gente, mamme con bimbi disinvolti, già un po’ bolivariani,
tutti sempre premurosi e gentili. Come un fiume ha, sulle sponde
ripide, la pioggia delle favelas, qui ranchos, rosse di tegole e
traforati che, col procedere da ovest a est, degenerano in villette e
villone dei quartieri alti. E’ un percorso di classe e, qui piu`che
altrove, antropologico,quello lungo il metrò da ovest a est. Prima
Sucre, groviglio di superfetazioni tuguriali e improvvisazioni edilize
nate fatiscenti, ora in rapido risanamento, 90% chavisti, proletari e
anche quelli che qualcuno con scarsa equità definì “lumpen”, straccioni
un po’ malviventi, sottoproletari, ma che qui sono l’ossigeno della
rivoluzione altrochè, dopo le forze produttive di Lenin, Stalin e,
ahinoi, moderate da Togliatti, dopo la rivoluzione possibile anche con
i contadini senza passare per il capitalismo, almeno fino a Mao,
rivoluzione di sottoproletari e soldati, poi di contadini e poi di
operai. E pare che funzioni. Poi Bellas Artes, Capitolio, Plaza
Bolivar e Plaza Candelaria, cuore commerciale, microcommerciale, dei
servizi, piccole imprese, pubblico impiego, focosamente chavista
anch’esso, più da ideología che da bisogno. La transizione nei
quartieri Sabana Grande e Chacaito, dove tutto si mescola ed emerge
quel ceto medio urbano che la rivoluzione vorrebbe “positivo”, ma che
ancora si fa fatica a sottrarre ad aspirazioni e condizionamenti
culturali fasulli. Quinde l’orrore post- e neocolonialista creolo di
Altamira e La Castellana, zeppo di grottescherie alla Telefoni Bianchi,
con le ghette, o con i cappelli alla principessa Margaret, in stile
anni ’30, ma subitissimamente disponibili a precipitarse al di sotto di
ogni stile, nella barbarie di una volgarità tutta borghese, desposta a
tutto pur di tenere il tacco sul collo degli altri, quelli meno
bianco-lividi, meno malati, meno degradati in deriva genetica e
intellettuale. Sono, dal punto di vista fisico i più brutti, peggio
assai anche dei drop-out barbuti e barboni che ancora di notte
rovistano nei monti di basura, ancora sfuggiti a quegli incredibili
programmi – misiones – di emancipazione sociale che la rivoluzione, con
grande aiuti umani cubani, ha iniettato nella società: sanità,
istruzione, alfabetismo, casa, terra, sport, cultura.

Il casino che vanno facendo i sopravvissuti dello sfacelo borghese,
sempre foraggiati e istigati dai vampiro planetario del Nord, per
quanto buon viso a cattivo gioco vadano facendo in questi giorni del
trionfo irrimediabile di Chavez, nasce dalla coscienza di essere
cadaveri insepolti, un film dell’orrore girato e rigirato alla
disperata, con l’innesto ematico flebizzato da Washington, scienziato
pazzo che non demorde e manda la sua creatura a sfogare la sua
impotente mostruosità sulle forme di vita che invece fioriscono. Hanno
chiesto, con pretesti da farsa, di verificare i risultati del
referendum, divenuto da revocatorio imperiosamente confermativo,
l’hanno chiesto in forma irrituale, senza ricorrere alla Corte Suprema
con tanto di argomenti minimamente credibili, solo pestando
nevroticamente i piedi agganciati a quel “vedremo, una volta dissipati
i dubbi e le ombre” dei furbi statunitensi, dei vili europei, della
fetida Chiesa cattolica, immemore dei crimini inflitti alle genti di
questo continente. Generosamente, ma anche sicurissima del fatto suo,
la Commissione Elettorale Nazionale (tre membri onesti, due assoldati
dall’elite fascistoide e golpista) e gli Osservatori Internazionali,
compresi gli ex-amici fidati dell’oligarchia, Centro Carter e OSA, ora
rinnegati (fecero il diavolo a quattro per far riconoscere un milione
circa di firme di deceduti e replicanti per imporre il referendum)
hanno accettato. Hanno tirato a sorte 150 seggi, sono usciti gli stessi
identici risultati offerti dall’elettronica, anzi, ulteriori conteggi
di sezioni con procedimento manuale hanno portato la quota dei NO dal
58,25% al 59,60%. E allora hanno disconosciuto anche questa verifica,
hanno disconosciuto tutto, anche che a mezzogiorno sono le dodici, e
hanno proclamato la delegittimazione del governo.

Non scherziamo, sono diventati più pericolosi. Il 26 settembre si
giocano quanto rimane, cioè niente. Ci saranno quelle che qui chiamano
elezioni regionali, quelle nei 22 Stati, in ognuno dei quali ha vinto
Chavez (perlopiù con percentuali del 65-75%, bravi contadini, indigeni,
cooperative, meno nei grande agglomerati urbani) e, sull’onda di quanto
è successo domenica 15 agosto, è assolutamente prevedibile che la
rivoluzione, finora a capo di soli 13 Stati, li conquisti tutti quanti
. E allora sarà la fine davvero: la omogenizzazione rivoluzionaria del
paese, lo sradicamento dei caudillo che hanno governato su piedistalli
feudali di privilegio e corruzione, sistematicamente mettendo i bastoni
tra le ruote al lavoro rivoluzionario, all’emancipazione sociale delle
campagne dei militanti bolivariani: circoli, pattuglie, unità di
battaglia, così si chiamano, con buona pace di Lidia Menapace.
Linguaggio militaresco? Ebbene sì, linguaggio da combattimento e se non
è combattimento quello che queste masse e le loro organizzazioni
conducono contro l’imperialismo e i locali golpisti fascisti pronti a
tutto, che gli hanno sequestrato il capo democraticamente sette volte
eletto, che gli hanno inflitto una serrata padronale pari a un embargo
di taglio iracheno, che hanno disseminato terrorismo per le strade del
paese, che hanno cospirato con la Cia e con il Mossad, che hanno
assoldato killer, che brigano con il mafiopresidente colombiano per
squartare la propria nazione, e che da sempre hanno rubato, rubato,
rubato...

Oggi questa marmaglia da Notte dei morti viventi, vista la tenaglia in
cui si trova incastrato il padrino Bush tra criminalità organizzata di
Miami, che reclama il pagamento del debito contratto con il golpe
elettorale della cosca sion-fascista del gennaio 2000, e prezzo del
petrolio che la fantastica resistenza irachena infligge alle sue
speranze novembrine di rielezione e il cui calmiere solo Chavez può
assicurargli, pensa di poter forzare la mano agli USA lacerando le vene
del paese. Mendoza, governatore dello Stato di Miranda e capo della
cosiddetta Coordinadora Democratica, cupola mafiofascista
dell’opposizione, e Cisneiros,berlusconide mediatico, si sono
precipitati in Florida a raccattare sostegno al terrorismo. Si tratta
di mandare in vacca le elezioni di fine settembre, niente più elezioni
visto che le vincono gli altri, è la tradizionale lezione della classe
dirigente USA. E allora che si spari nelle strade, che i deputati
dell’opposizione vadano sull’Aventino, che si ricuperi tra gli amici
nel pianeta una fiducia, ora persa per la disfatta, attraverso la
delegittimazione istituzionale, che si torni a parlare del “colonello
golpista”, dell’autoritarismo pseudodemocratico del tiranno, delle
brigate armate clandestine a promozione della rivoluzione....

C’è già un precursore. L’Italia, come spesso di questi anni e decenni,
fa una figura di merda. E mica il governo, mica i forzaitalioti, anzi,
hanno riconosciuto, sulla scia di tutto il mondo, la vittoria di
Chavez, magari contorcendosi dagli spasmi. Qui c’è un giornale di
destra, massimo organo dell’oligarchia, una specie di “Libero” con meno
indegnità professionale, che si chiama “El Nacional”, fonte prediletta,
anzi, unica, dell’ANSA. Ieri pubblicava con fierezza, uno accanto
all’altro due articoli omologhi. Uno di tale “famoso costituzionalista”
Hermann Escarrà, faccia alla Bondi (e basterebbe), che, vista la caduta
di tutte le opzioni per la rivincita, si rivolge alle Forze Armate e,
democraticamente, le invita a ricordarsi che non devono essere “leali a
un uomo, bensì alla nazione, specie quando le istituzioni sono
delegittimate”. Un chiaro invito al golpe e, se non funziona, ci sono
sempre i paramilitari riabilitati e i militari di Uribe. Accanto,
appunto, foto e parole, entrambe rivoltanti nel contesto, di tale
Ignazio Vacca, dirigente dei DS, mi auguro, per il decoro della
famiglia, non parente di Salvatore. Vacca, osservatore internazionale
del referendum, non ufficiale per eccesso di sputtanamento, ma invitato
e accreditato dalla Coordinadora, cioè da quelli del golpe dei 17 morti
ammazzati, della serrata che ha fatto perdere 10 miliardi di dollari al
paese e la salute a tanti deboli,degli attentati terroristici di questa
primavera, del rifiuto di stare a qualsiasi regola del gioco. Un DS!
Vi potete sbigottire solo se non sapete che fu preceduto qui come
corifeo dell’oligarchia golpista da D’Alema, questo Vacca, che
nell’intervista arriva a minacciare, dopo diffuse imprecazioni contro
la “democrazia non articolata” dell’autoritario Chavez ed esaltazioni
della politica sociale e inclusiva dei fantaccini Cia di Plaza Altamira
(di cui apprezze le componenti progressiste), “l’intervento contundente
della comunità internazionale” qualora Chavez non mettesse la coda tra
le gambe.

Peggio di questo cialtrone diessino e del suo capo opusdeista solo il
cardinale Castillo Lara, presidente emerito della Pontificia
Commissione per lo Stato Vaticano, cui è stata messa a disposizione per
certe farneticazioni revansciste addirittura la Radio Vaticana. Il
prelato, che figura tra i papabili e sicuramente sarebbe degno del
predecessore finto pacifista e disintegratore della Jugoslavia e dei
poveri di America Indio-afro-latina, si dice sicuro del 65% per cento
conquistato dal “sì” alla revoca di Chavez, illuminato come tanti dallo
Spirito Santo, e afferma di sapere che ai poveri Chavez ha dato 60
dollari a testa perchè votassero “no”. Moltiplicate 60 per quasi sei
milioni e avrete gli introiti petroliferi del paese per un semestre.
Costo un po’ alto per uno che ha dietro da sei anni la maggioranza del
popolo. Del resto, la conferenza episcopale del Venezuela non è stata
da meno: guai a non dissipare i dubbi, a non cancellare le ombre del
voto...

Ho parlato con tanti amici qui: Rodrigo Chavez, coordinatore nazionale
dei Circoli Bolivariani, i soviet di questa rivoluzione, Hector
Navarro, ministro dell’istruzione superiore, Efraim Andrade,
ex-ministro e iniziatore della prima vera riforma agraria mai fatta in
America Indio-afro-latina, il deputato Willian Lara, coordinatore
nazionale del MVR, organizzatore straordinario della campagna
elettorale, braccio destro di Chavez, i compagni del PCV, la
coordinatrice nazionale della Scuola Bolivariana, pure una compagna,
l’altro deputato Rafael Lacava. Una squadra di tutto rispetto per una
rivoluzione di tutto rispetto. Se si appaiano ai nostri politici viene
da farsi flagellanti. I loro giornali non si arrendono alla logica e
alla disinformazione imperialiste: terrorismi, moltitudini,
disobbedienze, menate varie. Dovreste vedere come la TV di Stato e il
quotidiano della rivoluzione “Diario VEA” trattano la resistenza
irachena, con che rispetto, con che dettaglio, con che gratitudine per
questa eroica avanguardia della lotta antimperialista. Ieri, per
esempio, paginone centrale e grandi servizi tv sul 60. anniversario
della conquista di Parigi da parte dei partigiani francesi, grandi
ricordi di Garcia Lorca, assassinato in questo giorno del 1936, e della
battaglia rivoluzionaria dei repubblicani di Spagna. C’era pure la foto
del comandante Luigi Longo. E ora qui ci si presenta un Ignazio Vacca!
Non fanno confusione qui tra terrorismi e guerriglia, tra provocatori e
resistenti e ogni Intifada è sacra fino alla vittoria.

Mi ha detto Rafael Lacava, che pure frequenta Bertinotti, Gennaro,
anagraficamente Migliore, un Marco Consolo che si occuperebbe ( a noi
pare un po’ clandestinamente) di Sud America, di trovare inconcepibile
che si possa stare insieme a un D’Alema che qui appoggia apertamente i
fascisti, che ha bombardato e squartato la Jugoslavia, che accetta
altre guerre. A questi venezuelani qui, non credo che i compagni di RC
abbiano raccontato cosa dicono e fanno a proposito di Cuba (e di chi
Cuba difende con l’arma della verità), o la massima del detto Migliore
che “Intifada fino alla vittoria non sarà mai la nostra parola
d’ordine”. Non gli sarebbe convenuto... E, infatti, Lacava aggiunge:
noi qui abbiamo vinto e da sei anni vinciamo perchè al popolo abbiamo
proposto un programma totalmente alternativo, per una società
totalmente diversa, non ci siamo confusi con i residui del vecchio
regime, AD (Azione Democratica) o Copei (Socialcristiani, si fa per
dire), con un corredo di ex-trotzkisti che ancora si chiamano “Bandera
Roja” e altri fasulloni detti “MAS” (Movimiento al Socialismo), non
siamo stati moderatamente diversi. Avremmo perso. A copiare ci si
rimette sempre”. C’era da pensare a Treu, Bersani, Turco, Fassino... e
ai loro futuri alleati.

Ho fatto un bell’incontro ieri, al CNE (Commissione Elettorale
Nazionale). La più importante figura della sinistra sudamericana, la
più rivoluzionaria, quella che ai portoalegristi d’antan sbattè la
porta in faccia quando questi no-global e disobbedienti rifiutarono la
presenza di Fidel e delle FARC colombiane. L’anno dopo, poi, venne lì
Chavez, fu un trionfo e dei disobbedienti si parlò sempre meno, con i
risultati poi visti a Mumbai. Hebe de Bonafini, la madre delle Madri di
Plaza de Majo, qui anche lei come osservatrice, accanto all’altro
grande, Eduardo Galeano, mi racconta come fosse assai perplessa, anzi
contraria, su Chavez, “per via delle sue origini militari”. E aggiuge:
“Ma da quando ho capito chi fosse Chavez, cosa volesse e cosa facesse,
lo vedo con occhi ben diversi: Il suo è un processo che aiuta tutti noi
latinoamericani, un processo rivoluzionario impegnato, intelligente e
ingegnoso. Il presidente Chavez è un saggio, un tipo che se se ne
ascoltano discorsi, si capisce quello che dice, si sente uno che sa
molto, che ha letto, che si spiega in modo che lo si comprenda. Sono
pochi i presidenti che hanno queste qualità: Fidel Castro e Chavez, non
ne conosco altri. E’ così che vediamo il processo bolivariano con occhi
assai positivi. Questo presidente non retrocede, va avanti, cammina,
cammina, cammina... e avanza. C’è una bella diferenza, del resto, tra
militari argentini e militari venezuelani. I primi vengono dalla
borghesia, dai terratenientes, i secondi, da quando Chavez e i suoi vi
lavoravano negli anni ’80, sono figli del popolo, dei poveri e dei ceti
medi”. Del resto, arricciare il naso perchè uno viene dal militare,
almeno da queste parti, è come arricciarlo di fronte a chi proviene da
un ghetto nero.

Se lo dice Ebe. E quasi sei milioni di venezuelani...

(Ovaj tekst na srpskohrvatskom:
http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/kps.html )

http://komunist.free.fr
Dall’Archivio: Giugno 2004


Il Partito Comunista di Slovenia non riconosce la disgregazione della
RFS di Jugoslavia


Il PCS dichiara di non riconoscere la disgregazione forzata e
anticostituzionale della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia, ed in particolare l’abrogazione illegale delle
organizzazioni della Lega dei Comunisti; basandosi su e sottolineando
tutte le decisioni dell’AVNOJ [Fronte antifascista popolare di
liberazione della Jugoslavia], dichiara che, come allora, i popoli
jugoslavi non hanno mai riconosciuto la disgregazione fascista e
imperialista della Jugoslavia, e nemmeno ora la disgregazione e
frantumazione della RFSJ da parte delle forze unite antisocialiste, sia
quelle dall’estero che quelle dai territori della RFSJ. Dichiara
inoltre che, nello spirito dei principi socialisti sul diritto
all'autodeterminazione, proporrà la riunificazione ed il rinnovamento
della RFSJ nell’atto e nella forma di una democratica dichiarazione
sulla quale si esprimerà la maggiorparte della popolazione.

Negli anni 90, le forze unite antisocialiste, dall’estero e
dall’interno - i cosiddetti fattori esterni ed interni - hanno spaccato
la RFSJ con una routine di propaganda, con macchinazioni e menzogne,
stravolgendo i problemi, cioè imponendo la priorità di formare
staterelli con sistema capitalistico, contro il sistema socialista di
autogestione della RFSJ, schivando cosi' abilmente
un’autodeterminazione alternativa dei cittadini in favore del sistema
socialista o di quello capitalista. Nel processo distruttivo della
Jugoslavia hanno usato mezzi e metodi in chiaro contrasto con le norme
giuridiche, formalmente acquisite e verificate nelle relazioni
internazionali ed inserite nella Carta delle NU. Concretamente: il
divieto dell’intromissione negli affari interni di uno Stato e della
pianificazione della sua distruzione. Hanno organizzato ed usato gli
appartenenti di poteri borghesi spodestati e rampolli delle formazioni
armate occupatrici nella II Guerra mondiale, carrieristi, profittatori,
criminali ed altri traditori.

Con una propaganda che ha superato le fandonie della propaganda
fascista nella II Guerra mondiale, hanno lanciato false accuse di
disuguaglianza nazionale tra i popoli slavi incitandoli a scontri
nazional-religiosi con il chiaro intento di indurli alla reciproca
distruzione.

La barbara borghesia al potere, con una denazionalizzazione e
privatizzazione selvaggia dei beni nazionali e sociali, naturalmente ha
tolto ai lavoratori i diritti sociali acquisiti nel socialismo -
l’autogestione del lavoro, le decisioni sul reddito, sulla sanità e
sull’educazione gratuita, la previdenza sociale e lo sviluppo di ogni
singolo e famiglia - insieme a tanti altri diritti. Ha troncato i
percorsi di una vita comune e fruttuosa attraverso l’instaurazione di
frontiere statali, ed ha interrotto la cooperazione economica,
culturale, scientifica e le altre forme di cooperazione necessarie per
un comune sviluppo. Il saccheggio, la corruzione, la criminalità, la
distruzione morale e l’indebitamento oltre misura presso gli
sfruttatori stranieri sono stati un perfido inganno ai danni del popolo.

Nonostante il loro arresto, però, gli ideali dell’AVNOJ di unità e
fratellanza, di giustizia e di verità, per una più larga democrazia,
per una più completa felicità sia individuale che collettiva, senza i
quali non c'e' progresso nella civiltà, non sono stati distrutti.

Sono gli sfruttatori ad organizzare i conflitti, le crisi, il caos, gli
scontri, le guerre e tutto quello che esse comportano.

Invitiamo tutti i cittadini, cioè le masse popolari, la classe operaia,
i contadini, gli intellettuali, ad unire le proprie forze insieme al
proprio animo, contro tutte le disgrazie e pericoli delle minacce che
provengono dagli sfruttatori, e per la sicurezza dei popoli slavi.

30.5.2004

Comitato Centrale del PCS
Sezione Litorale sloveno

(Traduzione a cura del CNJ)

(SEE ALSO THE USEFUL LINKS BELOW)

Depleted uranium: Dirty bombs, dirty missiles, dirty bullets

A death sentence here and abroad
by Leuren Moret

SF Bayview, 18 August 2004
www.globalresearch.ca 21 August 2004

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/MOR408A.html


“Military men are just dumb stupid animals to be used as pawns in
foreign policy.” - Henry Kissinger, quoted in “Kiss the Boys Goodbye:
How the United States Betrayed Its Own POW’s in Vietnam”

Vietnam was a chemical war for oil, permanently contaminating large
regions and countries downriver with Agent Orange, and environmentally
the most devastating war in world history. But since 1991, the U.S. has
staged four nuclear wars using depleted uranium weaponry, which, like
Agent Orange, meets the U.S. government definition of Weapons of Mass
Destruction. Vast regions in the Middle East and Central Asia have been
permanently contaminated with radiation.

And what about our soldiers? Terry Jemison of the Department of
Veterans Affairs reported this week to the American Free Press that
“Gulf-era veterans” now on medical disability since 1991 number
518,739, with only 7,035 reported wounded in Iraq in that same 14-year
period.

This week the American Free Press dropped a “dirty bomb” on the
Pentagon by reporting that eight out of 20 men who served in one unit
in the 2003 U.S. military offensive in Iraq now have malignancies. That
means that 40 percent of the soldiers in that unit have developed
malignancies in just 16 months.

Since these soldiers were exposed to vaccines and depleted uranium
(DU) only, this is strong evidence for researchers and scientists
working on this issue, that DU is the definitive cause of Gulf War
Syndrome. Vaccines are not known to cause cancer. One of the first
published researchers on Gulf War Syndrome, who also served in 1991 in
Iraq, Dr. Andras Korényi-Both, is in agreement with Barbara Goodno from
the Department of Defense’s Deployment Health Support Directorate, that
in this war soldiers were not exposed to chemicals, pesticides,
bioagents or other suspect causes this time to confuse the issue.

This powerful new evidence is blowing holes in the cover-up
perpetrated by the Pentagon and three presidential administrations ever
since DU was first used in 1991 in the Persian Gulf War. Fourteen years
after the introduction of DU on the battlefield in 1991, the long-term
effects have revealed that DU is a death sentence and very nasty stuff.

Scientists studying the biological effects of uranium in the 1960s
reported that it targets the DNA. Marion Fulk, a nuclear physical
chemist retired from the Livermore Nuclear Weapons Lab and formerly
involved with the Manhattan Project, interprets the new and rapid
malignancies in soldiers from the 2003 war as “spectacular … and a
matter of concern.”

This evidence shows that of the three effects which DU has on
biological systems - radiation, chemical and particulate – the
particulate effect from nano-size particles is the most dominant one
immediately after exposure and targets the Master Code in the DNA. This
is bad news, but it explains why DU causes a myriad of diseases which
are difficult to define.

In simple words, DU “trashes the body.” When asked if the main
purpose for using it was for destroying things and killing people, Fulk
was more specific: “I would say that it is the perfect weapon for
killing lots of people.”

Soldiers developing malignancies so quickly since 2003 can be
expected to develop multiple cancers from independent causes. This
phenomenon has been reported by doctors in hospitals treating civilians
following NATO bombing with DU in Yugoslavia in 1998-1999 and the U.S.
military invasion of Iraq using DU for the first time in 1991. Medical
experts report that this phenomenon of multiple malignancies from
unrelated causes has been unknown until now and is a new syndrome
associated with internal DU exposure.

Just 467 U.S. personnel were wounded in the three-week Persian Gulf
War in 1990-1991. Out of 580,400 soldiers who served in Gulf War I,
11,000 are dead, and by 2000 there were 325,000 on permanent medical
disability. This astounding number of disabled vets means that a decade
later, 56 percent of those soldiers who served now have medical
problems.

The number of disabled vets reported up to 2000 has been increasing
by 43,000 every year. Brad Flohr of the Department of Veterans Affairs
told American Free Press that he believes there are more disabled vets
now than even after World War II.

They brought it home

Not only were soldiers exposed to DU on and off the battlefields,
but they brought it home. DU in the semen of soldiers internally
contaminated their wives, partners and girlfriends. Tragically, some
women in their 20s and 30s who were sexual partners of exposed soldiers
developed endometriosis and were forced to have hysterectomies because
of health problems.

In a group of 251 soldiers from a study group in Mississippi who
had all had normal babies before the Gulf War, 67 percent of their
post-war babies were born with severe birth defects. They were born
with missing legs, arms, organs or eyes or had immune system and blood
diseases. In some veterans’ families now, the only normal or healthy
members of the family are the children born before the war.

The Department of Veterans Affairs has stated that they do not keep
records of birth defects occurring in families of veterans.

How did they hide it?

Before a new weapons system can be used, it must be fully tested.
The blueprint for depleted uranium weapons is a 1943 declassified
document from the Manhattan Project.

Harvard President and physicist James B. Conant, who developed
poison gas in World War I, was brought into the Manhattan Project by
the father of presidential candidate John Kerry. Kerry’s father served
at a high level in the Manhattan Project and was a CIA agent.

Conant was chair of the S-1 Poison Gas Committee, which recommended
developing poison gas weapons from the radioactive trash of the atomic
bomb project in World War II. At that time, it was known that
radioactive materials dispersed in bombs from the air, from land
vehicles or on the battlefield produced very fine radioactive dust
which would penetrate all protective clothing, any gas mask or filter
or the skin. By contaminating the lungs and blood, it could kill or
cause illness very quickly.

They also recommended it as a permanent terrain contaminant, which
could be used to destroy populations by contaminating water supplies
and agricultural land with the radioactive dust.

The first DU weapons system was developed for the Navy in 1968, and
DU weapons were given to and used by Israel in 1973 under U.S.
supervision in the Yom Kippur war against the Arabs.

The Phalanx weapons system, using DU, was tested on the USS Bigelow
out of Hunters Point Naval Shipyard in 1977, and DU weapons have been
sold by the U.S. to 29 countries.

Military research report summaries detail the testing of DU from
1974-1999 at military testing grounds, bombing and gunnery ranges and
at civilian labs under contract. Today 42 states are contaminated with
DU from manufacture, testing and deployment.

Women living around these facilities have reported increases in
endometriosis, birth defects in babies, leukemia in children and
cancers and other diseases in adults. Thousands of tons of DU weapons
tested for decades by the Navy on four bombing and gunnery ranges
around Fallon, Nevada, is no doubt the cause of the fastest growing
leukemia cluster in the U.S. over the past decade. The military denies
that DU is the cause.

The medical profession has been active in the cover-up - just as
they were in hiding the effects from the American public - of low level
radiation from atmospheric testing and nuclear power plants. A medical
doctor in Northern California reported being trained by the Pentagon
with other doctors, months before the 2003 war started, to diagnose and
treat soldiers returning from the 2003 war for mental problems only.

Medical professionals in hospitals and facilities treating
returning soldiers were threatened with $10,000 fines if they talked
about the soldiers or their medical problems. They were also threatened
with jail.

Reporters have also been prevented access to more than 14,000
medically evacuated soldiers flown nightly since the 2003 war in C-150s
from Germany who are brought to Walter Reed Hospital near Washington,
D.C.

Dr. Robert Gould, former president of the Bay Area chapter of
Physicians for Social Responsibility (PSR), has contacted three medical
doctors since February 2004, after I had been invited to speak about
DU. Dr. Katharine Thomasson, president of the Oregon chapter of the
PSR, informed me that Dr. Gould had contacted her and tried to convince
her to cancel her invitation for me to speak about DU at Portland State
University on April 12. Although I was able to do a presentation, Dr.
Thomasson told me I could only talk about DU in Oregon “and nothing
overseas … nothing political.”

Dr. Gould also contacted and discouraged Dr. Ross Wilcox in
Toronto, Canada, from inviting me to speak to Physicians for Global
Survival (PGS), the Canadian equivalent of PSR, several months later.
When that didn’t work, he contacted Dr. Allan Connoly, the Canadian
national president of PGS, who was able to cancel my invitation and
nearly succeeded in preventing Dr. Wilcox, his own member, from showing
photos and presenting details on civilians suffering from DU exposure
and cancer provided to him by doctors in southern Iraq.

Dr. Janette Sherman, a former and long-standing member of PSR,
reported that she finally quit some time after being invited to lunch
by a new PSR executive administrator. After the woman had pumped Dr.
Sherman for information all through lunch about her position on key
issues, the woman informed Dr. Sherman that her last job had been with
the CIA.

How was the truth about DU hidden from military personnel serving
in successive DU wars? Before his tragic death, Sen. Paul Wellstone
informed Joyce Riley, R.N., B.S.N., executive director of the American
Gulf War Veterans Association, that 95 percent of Gulf War veterans had
been recycled out of the military by 1995. Any of those continuing in
military service were isolated from each other, preventing critical
information being transferred to new troops. The “next DU war” had
already been planned, and those planning it wanted “no skunk at the
garden party.”


The US has a dirty (DU) little (CIA) secret

A new book just published at the American Free Press by Michael
Collins Piper, “The High Priests of War: The Secret History of How
America’s Neo-Conservative Trotskyites Came to Power and Orchestrated
the War Against Iraq as the First Step in Their Drive for Global
Empire,” details the early plans for a war against the Arab world by
Henry Kissinger and the neo-cons in the late 1960s and early 1970s.
That just happens to coincide with getting the DU “show on the road”
and the oil crisis in the Middle East, which caused concern not only to
President Nixon. The British had been plotting and scheming for control
of the oil in Iraq for decades since first using poison gas on the
Iraqis and Kurds in 1912.

The book details the creation of the neo-cons by their “godfather”
and Trotsky lover Irving Kristol, who pushed for a “war against
terrorism” long before 9/11 and was lavishly funded for years by the
CIA. His son, William Kristol, is one of the most influential men in
the United States.

Both are public relations men for the Israeli lobby’s
neo-conservative network, with strong ties to Rupert Murdoch. Kissinger
also has ties to this network and the Carlyle Group, who, one could
say, have facilitated these omnicidal wars beginning from the time
former President Bush took office. It would be easy to say that we are
recycling World Wars I and II, with the same faces.

When I asked Vietnam Special Ops Green Beret Capt. John McCarthy,
who could have devised this omnicidal plan to use DU to destroy the
genetic code and genetic future of large populations of Arabs and
Moslems in the Middle East and Central Asia - just coincidentally the
areas where most of the world’s oil deposits are located - he replied:
“It has all the handprints of Henry Kissinger.”

In Zbignew Brzezinski’s book “The Grand Chessboard: American
Primacy and Its Geostrategic Imperatives,” the map of the Eurasian
chessboard includes four regions strategic to U.S. foreign policy. The
“South” region corresponds precisely to the regions now contaminated
permanently with radiation from U.S. bombs, missiles and bullets made
with thousands of tons of DU.

A Japanese professor, Dr. K. Yagasaki, has calculated that 800 tons
of DU is the atomicity equivalent of 83,000 Nagasaki bombs. The U.S.
has used more DU since 1991 than the atomicity equivalent of 400,000
Nagasaki bombs. Four nuclear wars indeed, and 10 times the amount of
radiation released into the atmosphere from atmospheric testing!

No wonder our soldiers, their families and the people of the Middle
East, Yugoslavia and Central Asia are sick. But as Henry Kissinger said
after Vietnam when our soldiers came home ill from Agent Orange,
“Military men are just dumb stupid animals to be used for foreign
policy.”

Unfortunately, more and more of those soldiers are men and women
with brown skin. And unfortunately, the DU radioactive dust will be
carried around the world and deposited in our environments just as the
“smog of war” from the 1991 Gulf War was found in deposits in South
America, the Himalayas and Hawaii.

In June 2003, the World Health Organization announced in a press
release that global cancer rates will increase 50 percent by 2020. What
else do they know that they aren’t telling us? I know that depleted
uranium is a death sentence … for all of us. We will all die in silent
ways.


To learn more

Sources used in this story that readers are encouraged to consult:

American Free Press four-part series on DU by Christopher Bollyn.

Part I: “Depleted Uranium: U.S. Commits War Crime Against Iraq,
Humanity,”
www.americanfreepress.net/depleted_uranium.html ;

Part II: “Cancer Epidemic Caused by U.S. WMD: MD Says Depleted
Uranium Definitively Linked,”
www.americanfreepress.net/html/cancer_epidemic_.html

August 2004 World Affairs Journal. Leuren Moret: “Depleted Uranium:
The Trojan Horse of Nuclear War,”
www.mindfully.org/Nucs/2004/DU-Trojan-Horse1jul04.htm and

http://globalresearch.ca/articles/MOR407A.html

August 2004 Coastal Post Online. Carol Sterrit: “Marin Depleted
Uranium Resolution Heats Up – GI’s Will Come Home To A Slow Death,”
www.coastalpost.com/04/08/01

World Depleted Uranium Weapons Conference, Hamburg, Germany,
October 16-19, 2004:
www.worlduraniumweaponsconference.de/speakers/speakers.htm

International Criminal Tribunal for Afghanistan. Written opinion of
Judge Niloufer Baghwat:
www.mindfully.org/Reform/2004/Afghanistan-Criminal-Tribunal10mar04.htm

“Discounted Casualties: The Human Cost of Nuclear War” by Akira
Tashiro, foreword by Leuren Moret,
www.chugoku-np.co.jp/abom/uran/index_e.html


Global Research Contributing Editor Leuren Moret is a geoscientist who
has worked around the world on radiation issues, educating citizens,
the media, members of parliaments and Congress and other officials. She
became a whistleblower in 1991 at the Livermore Nuclear Weapons Lab
after experiencing major science fraud on the Yucca Mountain Project.
An environmental commissioner in the City of Berkeley, she can be
reached at leurenmoret @ yahoo.com .

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équitable seulement.

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SEE ALSO:

Depleted Uranium: America's Silent Weapon of Mass Destruction
(by Sally Carless)

http://www.commondreams.org/views04/0713-13.htm

The Weapons of American Terrorism

http://free.freespeech.org/americanstateterrorism/weapons/
DepletedUranium.html

Gulf War Illnesses -- At Home and Abroad*
(by Janette Sherman, M.D.)

http://www.dissidentvoice.org/Aug04/Sherman0809.htm