Informazione



“Corpi di civili di pace” e politiche imperialiste

di Valter Lorenzi - Emanuela Grifoni*
05/05 2015

Ricostruire il movimento contro la guerra nella chiarezza e nell’indipendenza, fuori e contro logiche eurocentriche, subalterne e complici delle politiche aggressive del polo imperialista europeo.

Nel silenzio dei mass media, in questi mesi il Governo Renzi ha portato a compimento un progetto coltivato da tempo: il coinvolgimento diretto di strutture civili “di pace” all’interno delle future operazioni di guerra. Sul modello statunitense di inizi anni  ’60 del secolo scorso, si rende sistematica quella integrazione alla quale hanno lavorato precedenti governi di centro – sinistra, con l’attiva collaborazione di Centri studi universitari, OnG, Associazioni, sindacati concertativi. A chiudere il cerchio dell’operazione, che non a caso cade in un momento di alta tensione nel Mediterraneo e nell’Est Europa, raccolte di firme e campagne “pacifiste” provenienti da quello stesso mondo che in questi anni ha collaborato attivamente con i Ministeri degli Esteri, ai margini delle operazioni di “peace keeping” e “peace building” in ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libano. Il grado di maturità di un polo imperialista si misura anche dalla capacità d’integrazione ideologica, politica e militare di settori della “società civile”, corpi intermedi inservibili per la mediazione sociale “in patria”, ma potenzialmente utili come nuovi “missionari” nelle avventure coloniali prossime venture. 

Il 20 marzo 2003 il New York Times titolava in prima pagina: “La seconda potenza mondiale è scesa in piazza”. Così facendo, descriveva un grande movimento internazionale, che in oltre 600 città del mondo portò milioni di pacifisti in strada contro l’aggressione all’Iraq. Risolto il contenzioso storico con l’avversario sovietico, crollato su se stesso e sepolto sotto le macerie del muro di Berlino nel 1989, gli Stati Uniti d’America rilanciarono con forza la loro politica di potenza. Nel mondo dell’informazione, della cultura e dei movimenti altermondialisti si parlava di “Secolo americano”, di “fine della Storia”, di “moltitudini” in movimento.

Il Movimento pacifista, capace di mobilitare un così vasto numero di persone nel mondo, esprimeva e rappresentava un generalizzato senso di repulsa contro politiche aggressive che riportavano il mondo a epoche precedenti, quando il colonialismo occidentale imponeva, con le armi e l’occupazione fisica di grandi territori, la legge dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e umane. Quel movimento trovò nel nostro paese terreno fertile, trasformandosi in un fenomeno politico di prima grandezza, che affondava le radici in una sinistra ancora vitale, reduce dalle precedenti mobilitazioni no global.

Grandi mobilitazioni che avvenivano però in un contesto di “smobilitazione ideologica”, di rifiuto pregiudiziale delle categorie interpretative che avevano guidato la sinistra di classe nella lettura della realtà e delle sue dinamiche. La lotta contro le aggressioni militari si traduceva così in un rifiuto generico e generale della violenza, a favore di un mondo senza guerre. Prevaleva cioè una visione etico/morale dell’agire individuale e collettivo, di genuino rigetto dei massacri che si stavano perpetrando, di pacifismo interclassista e  non – violento, che non analizzava i processi materiali alla base della nuova spinta alla guerra, se non in termini di ingiusta rapina delle risorse di un Sud sfruttato da sempre da parte di un Occidente ricco e mal governato. Nel nostro paese quest’atteggiamento politico/culturale fu coltivato, esaltato e fomentato da una rappresentanza politica, sindacale, di “movimento” che si preparava a entrare nei governi Prodi e nei successivi esecutivi di centro sinistra, sino ad assumere ai giorni nostri ruoli di primo rilievo a livello nazionale ed europeo.

Una rappresentanza politica di “sinistra” sospinta in alto proprio da quei movimenti, che ha attraversato il decennio che abbiamo alle spalle con alterne vicende, fatte per alcuni di rovinose cadute, per altri di strepitosi successi personali oltre che politici: La sinistra “radicale” estromessa dal Parlamento nel 2008, alcune ex pacifiste proiettate ai massimi vertici del governo italiano e della UE.

Carriere costruite sul filo del rasoio, a cavallo tra guerra e pace, nel senso letterale del termine.

Negli anni del grande movimento pacifista d’inizio secolo, poco dopo l’esecutivo D’Alema (responsabile dei bombardamenti sulla Jugoslavia nel 1999) e prima dei governi di centro sinistra, agivano tra le fila dei pacifisti di professione personaggi allora sconosciuti, divenuti oggi figure di primo piano. Parliamo di Federica Mogherini, attivista ecoordinatrice del Social Forum di Firenze nel 2004, e di Roberta Pinotti boy scout e militante dei «Blocchi non violenti» genovesi. Tutte e due presenti alla kermesse no-global di Porto Alegre del 2001.  Come sappiamo oggi la prima è Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza (ex ministro degli Esteri del governo Renzi), la seconda è ministro della difesa nel Governo Renzi. Ci giunge notizia che l’ex nonviolenta genovese intende far partecipare l’Italia alla guerra dei droni: ha chiesto a Washington di poter armare gli MQ-9 Reaper, i droni killer Usa acquistati recentemente dall’Italia, di 14 missili «Fuoco dell’inferno»

Alla luce di questa brevissima ricostruzione storica, proprio per questo plasticamente esemplificativa della parabola di un intero ceto politico, c’è poco da sorprendersi per l’attuale disorientamento nelle aree socio/culturali che, nel decennio passato, espressero importanti livelli di mobilitazione sui temi della pace e della guerra.

Le responsabilità delle scelte politiche e personali appena ricordate non esauriscono però le ragioni dell’inabissamento e della scomparsa del movimento pacifista. Avversari altrettanto temibili hanno agito in questi anni.

Nel breve lasso di tempo di un decennio la Storia ha iniziato a correre grazie ad una crisi sistemica del capitalismo senza precedenti, accompagnata in questa volata verso l’abisso da una leadership politica, mediatica e militare impegnata a plasmare le opinioni pubbliche al nuovo corso, fatto di aggressioni militari sempre più devastanti, che stanno ridisegnando i rapporti di forza tra poli imperialisti e paesi una volta definiti “in via di sviluppo”, che oggi sono a capo di aree economiche  (BRICS) capaci di competere - sul terreno delle regole di mercato -  con i colossi d’Occidente.

In questi anni di grandi trasformazioni sono vorticosamente cambiate, e continuano a cambiare in corsa, alleanze e nemici da combattere. Da Al Qaeda si è passati all’ISIS, con un ritorno alla logica della “guerra di civiltà” e di religione che, nella propaganda, surclassa la campagna mediatica, repressiva e di guerra successiva all’attentato dell’11 settembre 2001 contro le torri gemelle.

Le recenti sollecitazioni di Papa Francesco alla “comunità internazionale” per fermare il genocidio di cristiani in Medio Oriente, le sue prese di posizione contro la Turchia nel centesimo anniversario dal massacro degli armeni, sono solo una delle cartine di tornasole che evidenzia il clima che si respira nel paese e a livello internazionale. Anche i terribili “effetti collaterali” delle aggressioni militari sono utilizzati cinicamente per mantenere alta la tensione in un’opinione pubblica già scossa dalle devastazioni economiche e sociali imposte dalla Troika europea. Parliamo degli attentati in Francia (Charlie Hebdo) e in Belgio, ma anche dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche. Fenomeni diversi, ma con le stesse radici, usati ossessivamente dai mass media per legittimare presenti e future scelte repressive e di guerra.

In questo clima tornano a essere utili organizzazioni che hanno progressivamente adeguato la loro prassi alle esigenze d’intervento “umanitario” e di “peace keeeping” nelle innumerevoli “missioni di pace” promosse in questi anni (oltre 4.500 militari italiani impegnati in 28 operazioni internazionali). Adeguamento e “affiancamento” premiati con lauti finanziamenti, carriere politiche e parlamentari. Parliamo di OnG, sindacati concertativi, associazionismo laico e cattolico, impegnati da sempre a orientare la propria base di massa su terreni di compatibilità con lo stato di cose presenti, soprattutto quando alla guida del paese s’insediano governi di centro sinistra. Il governo Renzi, anche per la presenza in quell’esecutivo delle due “signore della pace” (Mogherini / Pinotti), è il migliore per l’incontro tra questo “consorzio” di realtà socio/culturali e le future proiezioni all’estero dell’esercito tricolore, specie in una fase nella quale si torna a parlare di “corridoi umanitari” per risolvere la crisi dei flussi migratori.

Vediamo come.

Il decreto attuativo inserito nell’ultima Legge di Stabilità apre la strada alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace Firmato dai Ministri Poletti e Gentiloni il 30 gennaio 2015 e presentato a Palazzo Chigi il 2 febbraio 2015, alla presenza del succitato Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Bobba (Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle politiche giovanili e al servizio civile nazionale) e Mario Giro (Sottosegretario al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale). Un primo contingente di 500 volontari è già pronto per la sperimentazione, gestito dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

Un progetto che non parte da zero. Il primo importante momento di “promozione” di questo progetto fu nel 2007, quando durante il secondo governo Prodi l’allora viceministra degli Esteri Patrizia Sentinelli (PRC) convocò il Tavolo Interventi Civili di Pace (per vedere quali realtà fanno parte di questo Tavolo cliccate su http://www.interventicivilidipace.org/wp/tavolo-icp/ ).

In questi ultimi mesi abbiamo avuto modo di seguire la campagna “Un’altra Difesa è possibile!” (http://www.difesacivilenonviolenta.org/). Condita con la solita retorica non violenta, non armata e iper umanitarista, la campagna intende molto più prosaicamente connettersi con i su menzionati provvedimenti governativi. Basta andare alla proposta di legge http://www.difesacivilenonviolenta.org/la-proposta-di-legge/  per capire l’operazione. All’Art 1 – comma 1 immancabile il riferimenti all’articolo 11 della Costituzione, rafforzato però dal richiamo all’articolo 52, che parla invece dell’adempimento del dovere di “difesa della Patria”. Un accostamento che da solo rende l’idea del cambiamento di clima che s’intende interpretare e coadiuvare, anche se riflette una miopia politica evidente, data la subalternità delle “patrie” ai diktat dell’Unione Europea e della sua Troika.

Infine, basta scorrere di poche righe per trovare al comma 2 i  “Corpi Civili di Pace”…!  “la cui sperimentazione – prosegue il comma -  è inserita nella Legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede l’istituzione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto….

Per capire i legami tra questo mondo e i decreti attuativi dell’esecutivo Renzi occorre andare a vedere il video della firma del su citato decreto attuativo: https://www.youtube.com/watch?v=M_blvP2lGCo

Al minuto 3.55 del video, il Ministro Poletti dichiara che “La presidenza italiana durante il semestre europeo ha fortemente spinto l’idea del servizio civile europeo”, per cui è facile intendere come l’iniziativa che sta portando avanti la campagna  sia in piena compatibilità con i Ministeri presenti in conferenza stampa, compreso quello degli Esteri e di tutto il Governo Renzi.

Al min. 39.16 del video, Luisa del Turco del Tavolo Interventi Civili di Pace (sopra citati), si felicita del risultato ottenuto grazie alla sinergia col Ministero degli Esteri, ricordando che le associazioni che si occupano di peace building (come appunto il Tavolo Interventi Civili di Pace), sono nate proprio da un’iniziativa del Ministero degli Esteri. Oggi questi progetti trovano una forma concreta all’interno della programmazione ministeriale, e un finanziamento di 9 milioni di euro nella Legge di Stabilità.

Ecco il testo della conferenza stampa tenutasi a Roma il 29 gennaio 2015 http://www.gioventuserviziocivilenazionale.gov.it/dgscn-news/2015/1/corpi-civili-di-pace.aspx)

Sappiamo che le basi associative di queste organizzazioni sono fatte da tante persone in buona fede, spinte da motivazioni più che encomiabili, così come è risaputo che in zone di guerra non ci si va senza la “protezione” dei militari, ultimo anello della catena di comando al vertice della quale ci sono le decisioni di politica estera del governo in carica. Una contraddizione che salta agli occhi, e che in questi mesi ha creato non pochi dubbi tra chi doveva andare a convincere il passante ad aderire e firmare per la campagna “un’altra difesa è possibile”.

Di ben altra pasta sono fatti i leader e i quadri intermedi di quel network di “professionisti della pace”, impegnati in questi giorni a far approvare ordini del giorno e delibere in vari consigli comunali a sostegno della loro campagna, trovando non a caso totale e incondizionata approvazione bipartisan tra i consiglieri comunali e le Giunte di centro – destra – “sinistra”.

L’operazione ci pare evidente: riempire di “contenuti” le leggi quadro del governo Renzi, con “decreti attuativi” in salsa pacifista, al fine di intruppare quel poco che rimane del movimento pacifista all’interno delle politiche estere di un esecutivo intento a trovare, in ambito europeo e NATO, la forma migliore per riprendersi le agognate coste libiche, evitando i quotidiani rischi corsi dai pozzi petroliferi in mano all’ENI.

Uno scenario complesso, quello libico, forse ancor più di altri, per la molteplicità d’interessi che si muovono dietro le quinte della rappresentazione fantastica raccontataci quotidianamente da mass media oramai totalmente al servizio delle strategie di guerra dei singoli paesi, delle multinazionali del petrolio, di alleanze politiche e economiche che aggregano interi continenti, Unione Europea in primis. 

In quello scenario la funzione dei “corpi civili di pace” potrebbe essere molto importante, data la moltitudine di disperati che da quelle coste si muove per fuggire da rapine e guerre, a cercare miglior vita dopo aver superato la prova mortale del mare.

In questi mesi gli eventi bellici in corso hanno riacceso il dibattito all’interno di aree politiche da sempre sensibili alla lotta contro la guerra. La campagna No guerra No NATO e le iniziative “Guerra alla guerra” promosse dalla Rete dei Comunisti hanno destato l’interesse di migliaia di compagni, di organizzazioni politiche, sindacali, di movimento, intenzionate a riprendere la mobilitazione contro il bellicismo dei paesi imperialisti, che sta riportando l’umanità sull’orlo di esplosioni potenzialmente incontrollabili.

Occorre che nel lavoro di ricomposizione di un movimento contro la guerra all’altezza della sfida i militanti nowar abbiano chiaro, ancor più di ieri, di quali e quanti siano gli strumenti a disposizione dell’avversario, soprattutto nelle retrovie del conflitto, dove siamo chiamati a combattere. I “corpi civili di pace” sono parte integrante degli strumenti di guerra che l’imperialismo occidentale si è dato, a partire dai “peace corps” statunitensi istituiti dal democratico John F. Kennedy nel marzo 1961.  

Oggi in Italia il progetto renziano dei “corpi civili di pace” impone alle aree socio/culturali di riferimento del PD un passaggio senza ritorno, che chiude una storia d’infiltrazione, condizionamento e paralisi nei movimenti determinatisi negli anni scorsi contro militarismo e guerra. I burocrati del pacifismo professionale s’intruppano così nelle carovane imperialiste e coloniali, pronte a muoversi di nuovo verso i territori di riconquista. Un passaggio delicato, che implica un altissimo livello di mistificazione ideologica, al fine di “conquistare i cuori e le menti” di tante persone disorientate dalla quotidiana guerra mediatica sui temi di politica estera.  

Le caratteristiche della prossima guerra non sono le stesse di quella precedente.

Per combatterla occorre che i sinceri pacifisti, gli antimilitaristi, gli antimperialisti e i comunisti affinino le loro capacità di riconoscere e denunciare i “professionisti della pace”, ancora più pericolosi degli eserciti in armi, perché addestrati a parlare la “lingua dei giusti” in mezzo alla nostra gente.

Valter Lorenzi - Emanuela Grifoni (Rete dei Comunisti, Pisa)





(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

70.mo Liberazione / 3: 

NOVE MAGGIO 1945–2015

1) INIZIATIVE e LINKS
2) La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa
3) Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa
4) Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile
5) НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА (П. ИСКЕНДЕРОВ)


=== 1 ===

La Parata della Vittoria sulla Piazza Rossa il 9 maggio in diretta su Sputnik-Italia
http://it.sputniknews.com/mondo/20150508/358767.html

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MILANO 

IL 9 MAGGIO ALLE 14.00 VIA MERCANTI

FESTA per il GIORNO DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO OCCIDENTALE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

VI ASPETTIAMO PER LA PACE IN DONBASS E UCRAINA CONTRO IL NAZIFASCISMO GOVERNATIVO IN UCRAINA PAGATO DA NATO AMERICA E UE E SOSTENUTO DAL GOVERNO D'ITALIA...

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CESENA

9 Maggio 1945: vittoria sul nazi-fascismo 
70 anni fa l’Armata Rossa dei popoli dell’Unione Sovietica entrava a Berlino issando la bandiera sul Reichstag, ponendo fine ai deliri di Hitler e Mussolini saliti al potere grazie all’appoggio delle democrazie occidentali e delle loro banche per stroncare le spinte emancipatrici dei movimenti operai verso il socialismo.In Europa e in Italia da anni è in atto un pericoloso revisionismo storico che vuole cancellare il sacrificio di 27 milioni di sovietici caduti nella Seconda Guerra Mondiale e estirpare dalla memoria tutte le resistenze dei popoli aggrediti dal fascismo italiano: Etiopia, Libia, Grecia, Albania, Jugoslavia... E' un'operazione che mira a rilegittimare la guerra fuori dai confini in “difesa degli interessi nazionali” in barba al dettato Costituzionale. Oggi, dopo 20 anni di guerre ”giuste”, “umanitarie” o di “civiltà”, la NATO, l’Unione Europea e gli USA non si fanno scrupolo di finanziare e armare in Ucraina e nel Baltico forze apertamente neo-naziste al Governo contro le minoranze e la popolazione russa del Donbass in un pericoloso gioco da apprendisti stregoni dagli sviluppi imprevedibili come è successo in Medio Oriente dopo aver finanziato e armato Al Qaeda e L’ISIS. Esprimiamo e organizziamo solidarietà agli antifascisti ucraini di oggi che resistono, coscienti che il cammino della liberazione dallo sfruttamento e dall’imperialismo che affama, reprime e costringe ad emigrare centinaia di milioni di persone è ancora lungo e tortuoso.

Lunedì 11 maggio h.21.00 Circolo ARCI Magazzino Parallelo Via Genova (zona ex mercato ortofrutticolo) Cesena 
proiezione del film “Va' e vedi” regia di Elem Klimov (URSS 1986)
Il film, dallo sconvolgente impatto emotivo, mostra i massacri compiuti in Bielorussia dai nazisti dove centinaia di villaggi e paesi vennero cancellati insieme ai loro abitanti, attraverso gli occhi di un adolescente che, sconvolto dall’orrore, andrà a combattere con i partigiani per “restare umano”.

Giovedì 14 aprile [data da confermare] h.21.00 Via Cesare Battisti 57 Cesena 
Tornando dal Donbass. Ucraina: nazismo di ieri e di oggi. 
Incontro con Marco Santopadre (redazione di Contropiano – giornale comunista online) appena tornato dalle repubbliche popolari del Donbass raggiunte con la Carovana di solidarietà antifascista

Per info: Comitato Difesa Sociale Cesena e Rete dei Comunisti Cesena, email: momotombo@...

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Cinque cose da sapere sul Giorno della Vittoria (Riccardo Pessarossi, 08.05.2015)
http://it.sputniknews.com/opinioni/20150508/361705.html

Zweckgebundenes Gedenken (70 Jahre Befreiung von der NS-Herrschaft – GFP 08.05.2015) 
Uminterpretationen der Geschichte und eine Instrumentalisierung des NS-Gedenkens zu außenpolitischen Zwecken überschatten den 70. Jahrestag der Befreiung Europas vom NS-Terror. Antirussische Stellungnahmen haben heute die Gedenkveranstaltungen in mehreren NATO-Staaten geprägt. Moskau habe im Ukraine-Konflikt nichts Geringeres als "die europäische Friedensordnung" in Frage gestellt, hieß es im Deutschen Bundestag. Der polnische Staatspräsident BronisÅ‚aw Komorowski fühlte sich durch Russland "an die dunkelsten Zeiten der europäischen Geschichte des 20. Jahrhunderts" erinnert. Eine bekannte deutsche Tageszeitung schrieb den Bürgerkrieg in der Ostukraine allein einer "militärische(n) Offensive Russlands" zu, um diese dann mit dem NS-Vernichtungskrieg gegen die Sowjetunion zu parallelisieren. Man solle der Befreiung Europas vom NS-Terror nicht mehr gedenken, hieß es; vielmehr solle man Spenden sammeln "für Prothesen für die verkrüppelten ukrainischen Soldaten". In der von Berlin protegierten prowestlich gewendeten Ukraine wiederum werden ehemalige NS-Kollaborateure als "Befreier" gepriesen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59111)

РУСИЈА ОДЛИКОВАЛА СУБНОР СРБИЈЕ (Велико признање, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/veliko-priznanje

ВЕТЕРАНИ ЗНАЈУ ЗАШТО СУ ПРОТИВ РАТА (Међународна сарадња, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/medjunarodna-saradnja-25

БУКТИЊУ  СЛОБОДЕ  НИКО   НЕ  УТУЛИ (Јубилеј победе, 6. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/jubilej-pobede

Mosca: Alla parata della Vittoria sfileranno 16500 uomini e 200 unità di mezzi (04.05.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150504/342656.html

Disfatta e capitolazione incondizionata della Germania nazista
da: Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. X, Teti Editore, Milano, 1975 – Capitolo XIV

9 maggio 1945: Il discorso della Vittoria (9 Maggio 1945)
da: Stalin, Problemi della pace, Prefazione di Pietro Secchia, Edizioni di Cultura Sociale, 1953 
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custfe06-016295.htm


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La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa

28.04.2015

Soltanto un europeo su otto sa del ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella liberazione dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale.
Ciò emerge da un recente sondaggio svolto dalla britannica ICM Reserarch per l'agenzia Sputnik.

Tre mila persone di differente età e sesso provenienti da diverse paesi hanno preso parte nei sondaggi. (1000 persone in ogni Paese).


rispondenti dell'inchiesta, tenuta nel periodo tra il 20 marzo e il 9 aprile intervistando 3000 persone in Gran Bretagna, Francia e Germania, dovevano scegliere tra 5 varianti della risposta, e soltanto il 13% ha riconosciuto il ruolo decisivo dell'esercito sovietico.
Il 61% dei francesi e il 52% dei tedeschi hanno detto che furono gli Stati Uniti a liberare l'Europa. In Gran Bretagna questa variante è stata scelta dal 16%, mentre il 46% degli intervistati ha detto che le battaglie decisive furono vinte dai britannici.
Questi risultati sono una conseguenza diretta dei tentativi di riscrivere la storia.
Secondo le varie stime, l'Armata Rossa ha liberato quasi il 50% del territorio degli Stati che esistono oggi in Europa, senza considerare la parte europea della Russia. Il prezzo in vite umane, pagato dalla Russia, supera di alcune volte le perdite degli alleati. Nel territorio liberato dall'Armata Rossa, oggi diviso tra 16 Stati d'Europa, vivevano, complessivamente, più di 120 milioni di persone. Altri 6 paesi sono stati liberati dai sovietici insieme agli alleati.


=== 3 ===

Vedi anche: 

30 leader mondiali confermano presenza a Mosca per celebrazioni vittoria su nazifascismo (30.04.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150430/323846.html

Lavrov: se qualcuno non viene a Mosca il 9 maggio, per noi non è un problema (28.04.2015)
http://it.sputniknews.com/politica/20150428/316260.html

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Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa

08.05.2015

Il ministro degli Esteri Gentiloni sarà presente alla deposizione dei fiori alla Statua del Milite Ignoto e all’incontro al Cremlino. Stessa scelta per il suo omologo francese Fabius. La Merkel sarà in visita a Mosca il giorno successivo alla parata.

Diplomazie internazionali imbarazzate: partecipare o non partecipare alle celebrazioni della vittoria della Russia sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale? Dinanzi all'insostenibilità della tesi, prevalente sino a non poco più di un mese fa, d'ignorare il ruolo politico e militare della Russia nella sconfitta del nazismo, che avrebbe aggravato la tensione che si respira nei rapporti diplomatici fra Europa e Russia, oggi le cancellerie europee più importanti, agendo a geometria variabile, senza un accordo comune, vanno a Mosca non a stringere la mano, bensì a portare un gesto di saluto, con una chiave di lettura distensiva, ma certamente non comune a tutta l'unione Europea.

L'Italia, come al solito, per non dispiacere nessuno, ha scelto la consueta via di mezzo. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a margine di un convegno dell'Ispi, così si è espresso:

"L'Italia, come la Francia e altri paesi europei parteciperà" alla cerimonia di deposizione dei fiori alla Tomba del Milite Ignoto — al Giardino Alezandrovskij — e all'incontro al Cremlino domani, in occasione delle celebrazioni che si terranno a Mosca, nella giornata commemorativa del 70esimo anniversario della vittoria russa nella Seconda Guerra Mondiale, "perchè è giusto ricordare l'enorme contributo che l'allora Unione Sovietica ha dato alla liberazione dell'Europa dal nazifascismo e le milioni di vittime russe".

L'Italia, però, prosegue Gentiloni, "non parteciperà alla parata militare — che aprirà le celebrazioni — perchè è altrettanto giusto dare un segnale di distinzione rispetto a quello che è successo nell'ultimo anno con l'annessione della Crimea e con le tensioni in corso a est dell'Ucraina".

Alla parata del 9 maggio, la più grande nella storia della Russia contemporanea, a cui prenderanno parte 15 mila soldati, 200 mezzi militari e 143 tra aerei ed elicotteri sarà presente con le stesse modalità del ministro Gentiloni, anche il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. 

Mentre la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, effettuerà una visita ufficiale a Mosca il giorno successivo, 10 maggio. Le commemorazioni della vittoria sovietica sulle truppe hitleriane hanno portato in Russia anche il Ministro degli esteri tedesco. Ricevuto dal suo omologo Lavrov, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha reso omaggio a Volgograd, la Stalingrado di sovietica memoria, ai caduti dell'omonima battaglia che segnò le sorti del secondo conflitto mondiale, e ha espresso il cordoglio del popolo tedesco: "Chiedo perdono a nome della Germania per le incommensurabili sofferenze che i tedeschi portarono qui, in questa città e in tutta la Russia, in tutte quelle parti dell'ex Urss che oggi costituiscono l'Ucraina e la Bielorussia e in tutta l'Europa."

Alle celebrazioni nella capitale russa parteciperanno 30 capi di stato e di governo, come riferisce Dmitri Peskov, portavoce di Putin.

Tra essi spicca la presenza del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, a conferma di un rapporto sempre più stretto fra Cina e Russia, ma anche la partecipazione di Raul Castro, presidente della Repubblica di Cuba.

Saranno presenti alla parata anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il presidente della Repubblica dell'India, Pranab Mukherjee, il presidente della Repubblica di Serbia, Tomislav Nikolic e il premier greco, Alexis Tsipras.

Da parte sua, l'ex presidente dell'Urss, Mikhail Gorbaciov, condanna le assenze dei leader occidentali come un "segno di disprezzo" verso chi ha combattuto subendo forti perdite e ritiene che la scelta della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, di andare nella capitale russa senza però assistere alla parata sia frutto delle pressioni Usa.


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Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile

05.05.2015

Tali azioni sono amorali e estremamente pericolose

Cercare di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici, è cinico e inammissibile, ha dichiarato Vladimir Putin nel suo messaggio di saluto, inviato ai partecipanti della prima Conferenza russo-cinese sul "Ruolo dell'URSS e della Cina nella disfatta del nazifascismo e del militarismo giapponese nella Seconda guerra mondiale".

Il messaggio del presidente è stato letto dal vice ministro degli Esteri russo Igor Morgulov.

"Per noi sono assolutamente inammissibili i tentativi di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici. Tali azioni sono non solo amorali, ma anche estremamente pericolose, in quanto spingono il mondo verso nuovi conflitti, verso la crudeltà e la violenza", — legge il messaggio di Putin.

Il presidente della Russia si è detto convinto che la conferenza "potrà favorire l'affermazione di una visione veritiera in merito agli eventi della guerra, aiuterà a immortalare le azioni eroiche dei nostri padri e nonni, e apporterà un importante contributo all'educazione delle giovani generazioni nello spirito del patriottismo, dell'umanesimo e dell'amicizia fra i popoli".


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НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА


 

ПЕТАР ИСКЕНДЕРОВ:

Нацизам у Украјини може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе

Пораст нацизма у Европи, чији смо сведоци последњих година, као и активирање фашистичких групација и култивисање фашистичке идеологије на нивоу вођстава појединих држава, скрива иза себе дубоке узроке. Ова појава не може да се своди само на „несмотреност” западног јавног мњења и политичких елита и њихову неспособности да извлаче поуке из историје. Тежња западних граитеља Новог светског поретка да искористе савремени нацизам у својству европских интеграција (које су се већ практично слиле у евроатлантске интеграције) игра кључну улогу у овом процесу, који представља својеврсну ревизију резултата Другог светског рата и дезавуисање одлука Нирнбершког трибунала.
Ради се о тежњи да се, као прво, на подобан начин мобилише јавно мњење земаља и читавих региона под паролама евроатлантизма и русофобије, а, као друго, да се испровоцирају опоненти на одговарајућу реакцију како би са своје стране њих оптужили за дестабилизацију ситуације.
Поменути механизам први пут је испробан током деведесетих година на простору бивше Југославије. Тада је акценат стављен на националистичке и отворено фашистичке партије, покрете и организације, прво у Хрватској, потом у Босни и Херцеговини, а онда и у албанском табору на Косову и Метохији. Тим снагама је додељена улога катализатора антисрпског расположења на њиховим територијама у циљу стварања повољног сценарија за западно јавно мњење. Био је то први ниво коришћења нацизма и његових савремених носилаца. Други ниво је пуштен у погон после очекиване реакције Београда. Оваква реакција, независно од њене оправданости и конкретних пројава, проглашена је залагањем за великодржавље и покушај дестабилизације региона. То је омогућавало западној политици да се попне на трећи степен интервенције, стварајући неопходну пропагандистичку основу за оружане акције под окриљем УН (у Босни и Херцеговини) или чак и без њега (СР Југославија 1999. године). Поред тога, сличан приступ омогућио је да се развије широка обрада локалног јавног мњења, стављајући га пред дилему: или Србија… (Русија, Исток…) или Европска Унија (НАТО, западна цивилизација).

НАЦИСТИ БОРЦИ ЗА ЕВРОПСКЕ ВРЕДНОСТИ

Такав сценарио се у овом тренутку Запад реализује и у односу према Украјини. Било би наивно веровати да западни лидери, организације цивилног друштва и медији немају информације о деловању Десног сектора и других снага које су захватиле власт у Кијеву пре више од годину дана. Поготово што активност украјинских националиста представља директну претњу за опстанак и самог постојања многобројних етничких група које имају тесне везе са својим сународницима у Мађарској, Словачкој, Румунији, Грчкој и другим земљама-чланицама ЕУ. Међутим, западни сценарио захтева од ЕУ да затвори очи пред овом апсолутно очигледном опасношћу, како би искористила отворено националистичке и фашистичке снаге за максималну мобилизацију антиросијског и антируског фактора у Украјини, све под тим истим евроатлантистичким паролама. Овакав приступ предвиђа позиционирање савремених нациста у својству „бораца за демократију и европске вредности”, а њихових опонената у виду становника источне Украјине као присталица тоталитаризма, руске пете колоне и чак отворених терориста. Истовремено се апсолутно законита дејства Руске Федерације по питању пружања политичке и хуманитарне помоћи становништву Донбаса проглашавају за антиукрајинске акције и акт мешања у унутрашње послове суверене и притом демократске државе.

Сличан сценарио реализује се не само у Украјини него и на другим постсовјетским просторима. Од почетка деведесетих година вођство САД и ЕУ непрекидно жмуре пред акцијама фашистичких покрета и неонацистичких организација у прибалтичким земљама. А сваки покушај Русије да привуче пажњу светског јавног мњења и међународних организација на обнову нацизма и кршењу права рускојезичког становништва у прибалтичким земљама – квалификује се поново као руско „мешање у унутрашње послове”. Чак ни амерички конгресмен Дана Роранбахер, који је познат по доста уравнотеженој позицији, није се уздржао од сличне схеме у интервјуу који је дао руском часопису Коммерсант, позвавши Русију да се уздржи од „мешања у унутрашње послове балтичких држава”. [1]
Јасно је да је од Брисела и Вашингтона наивно очекивати да ће одустати од коришћења нацизма у својству покретачке силе и пропагандног обезбеђења евроинтеграцијских процеса у условима када идеје европских интеграција очигледно губе политичку, социјално-економску и финансијску привлачност, а у самој ЕУ се умножавају сукоби и правци унутрашњих раскола. Ипак, раст антибриселског расположења у земљама чланицама ЕУ сада приморава западне центре да почну са кориговањем својих позиција.

ЧЕШКО ДИСТАНЦИРАЊЕ

Други важан фактор је објективна способност фашистичких и неонацистичких снага да временом излазе изван контроле својих покровитеља и повереника. Чак и сада, поједини кораци власти у Кијеву почињу да изазивају забринутост у низу европских престоница. Поготово у Чешкој, која је већ затражила од украјинских власти објашњење у вези са прихватањем закона о хероизацији ОУН-УПА [2] од стране Врховне Раде, припретивши да у супротном она неће ратификовати споразум о асоцијацији Украјине са ЕУ.

Још пре самита у Риги у Праг је требало да слети украјински министар иностраних послова Климкин и објасни како стоје ствари са бандеровцима итд.”, изјавио је с тим у вези министар иностраних послова Чешке Љубомир Заоралек. [3]
Подразумева се да се од шефа ресора иностраних послова земље која је 1938. године постала жртва Минхенског договора Запада са Хитлером могла очекивати још жешћа формулација поводом догађаја у Украјини, поготово поводом одлука власти у Кијеву да изједначе Хитлерову Немачку са СССР. Ево како је то, на пример, описао шеф израелског Визентал центра Ефраим Зуроф: „Одлука да се забране нацизам и комунизам представља изједначавање најстрашнијег режима геноцида у историји људског рода са режимом који је ослободио Аушвиц и помогао да се оконча режим страха Трећег рајха”. [4]
Чак и у западним медијима већ се могу срести објективне оцене. Тако шведски часопис Aftonbladet подсећа да се „руководству и народу Совјетског Савеза не може порећи једно – жеља да се разбије Хитлеров режим… Ради тога је Црвена армија морала истерати Немце из окупираних земаља. Руси су чак морали освојити и саму Немачку. У том смислу Црвена армија се заиста реално борила за ослобођење источне Европе од фашизма”… [5]
Било како било, даље харање нацизма у Украјини прети да породи оружане сукобе не само на истоку него и на западу земље. А то са своје стране може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе. Наравно, под условом да су интереси сународника за њих важнији од наставка геополитичког играња са савременим нацистима у име евроантлантизма.
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Упутнице:
[1] Коммерсантъ, 27.04.2015
[2] ОУН-УПА – Украјинска устаничка армија и Организација украјинских националиста – две пронацистичке организације у Украјини из периода Другог светског рата (примедба преводиоца).
[3] http://www.fondsk.ru/news/2015/04/28/chehia-trebuet-razjasnenij-ot-ukrainy-po-povodu-zakona-o-geroizacii-oun-upa-33012.html
[4] The Jerusalem Post, 14.04.2015
[5] http://inosmi.ru/world/20150428/227758531.html#ixzz3Yg4ALiTZ






Cronache calcistiche... in Jugoslavia

1) 4 Maggio 1980: “La partita è sospesa, il compagno Tito è morto” (C. Perigli)
2) Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1 – C. Perigli)



=== 1 ===

Sulle manifestazioni di cordoglio per la morte di Tito, il 4 maggio 1980, si veda anche la nostra pagina dedicata:

VIDEO: Hajduk - Zvezda Druže tito Mi Ti Se Kunemo
https://www.youtube.com/watch?v=gyG7CzJbFHI

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http://popoffquotidiano.it/2015/05/04/la-partita-e-sospesa-il-compagno-tito-e-morto/

“La partita è sospesa, il compagno Tito è morto”

Carlo Perigli 
4 maggio 2015

La tensione agonistica venne spazzata via dalla disperazione, mentre la rivalità e la paura dei disordini lasciarono il posto ad un unico coro, intonato da tutto lo stadio

È il pomeriggio del 4 maggio 1980, al Pojiud di Spalato va di scena una delle partite più importanti della Prva Liga. I padroni di casa dell’Hajduk stanno affrontando la Stella Rossa di Belgrado, una sfida particolarmente sentita da più punti di vista. I croati, campioni in carica, dopo una stagione altalenante cercano di qualificarsi per la Coppa Uefa, mentre i serbi inseguono lo scudetto dopo due anni di diugono. Croati contro serbi, all’epoca importava meno, a preoccupare più che altro è la Torcida, il gruppo ultras dell’Hajduk. È una delle prime realtà organizzate d’Europa, all’epoca l’unica dei Balcani, e già dagli anni ’50 si è resa protagonista di numerosi scontri in tutta la Jugoslavia, subendo a più riprese la repressione del governo. Ora, di fronte all’Hajduk c’è la Stella Rossa, tradizionalmente la squadra del Ministero degli Interni, della polizia e  c’è il timore che possano ripetersi gli scontri che, solamente due anni prima, avevano caratterizzato l’incontro casalingo con il Partizan.

Fin da subito, la partita è particolarmente sentita e tesa. In campo si combatte senza esclusione di colpi, sugli spalti i tifosi ce la mettono tutta, mentre buona parte del Paese segue la partita tramite la tv nazionale jugoslava. Al 41’ minuto però, il pallone smette di rotolare e lo spettacolo agonistico si interrompe bruscamente. Tre uomini entrano in campo, indicando all’arbitro di sospendere la partita: c’è un annuncio da fare. I giocatori si avvicinano rapidamente, mentre sugli spalti regna il silenzio. Il presidente dell’Hajduk prende il microfono e rende pubblica la notizia che tutti aspettano da tempo, ma che nessuno avrebbe voluto sentire: «il compagno Tito è morto».

Sguardi allibiti, i giocatori in campo rimangono con lo sguardo fisso nel vuoto e le mani nei capelli. Molti piangono, altri, come la bandiera dell’Hajduk Zlatko Vujovic, non reggono la pressione e si accasciano sul terreno. Viene proclamato un minuto di silenzio, costantemente “interrotto” dalle lacrime dei presenti. Piangono i tifosi sugli spalti, tanto i serbi quanto i croati, piangono i fotografi e gli addetti al campo. Anche l’arbitro, il bosniaco Muharemagic, non riesce a dissimulare una disperazione che coinvolge tutti i 35mila presenti. La rivalità, gli attriti, la paura dei disordini, tutto lascia il passo ad un’unica voce, che in pochi attimi coinvolge tutto lo stadio. Torcida e tifosi della Stella Rossa, spalatini e belgradesi, ortodossi e cattolici, tutti abbracciati dalla stessa canzone. «Druze Tito mi ti se kunemo, da sa tvoga puta ne skrenemo».


=== 2 ===

http://popoffquotidiano.it/2015/04/28/come-uccisero-il-brasile-deuropa-parte-1/

Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1)

Carlo Perigli 
28 aprile 2015

Ascesa e scomparsa di una delle Nazionali di calcio più spettacolari di tutti i tempi. La Jugoslavia era pronta a vincere tutto, finchè la politica non entrò a gamba tesa

Sguardi persi nel vuoto, molti piangono, qualcuno addirittura per il nervosismo rigetta la cena. É la sera del 1 giugno 1992, il Brasile d’Europa è stato appena ucciso da un fax proveniente da Berna. Brasile d’Europa, così veniva chiamata la Nazionale di calcio jugoslava verso la fine degli anni ’80, per via di quello straordinario catalogo di estro e fantasia con cui quella generazione faceva sognare un Paese intero, da Lubiana a Skopje.

Quel fax parte dalla sede dell’Uefa e arriva a Stoccolma, dove la Jugoslavia è in ritiro a otto giorni dall’inizio dei campionati europei di Svezia. C’è scritto che, in osservanza della Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Jugoslavia non potrà essere accettata in alcuna competizione sportiva. È solamente il colpo di grazia al calcio jugoslavo, già duramente segnato da guerre e secessioni. In Svezia finisce una storia iniziata in tutt’altro modo, a cinque anni e migliaia di chilometri di distanza. Termina in lacrime ciò che nel 1987 era iniziato con i caroselli a Santiago de Chile, quando un gruppo di ragazzini terribili aveva inaspettatamente dominato e vinto il Mondiale Under 20.

Un vero e proprio fulmine a ciel sereno, tanto che nessuno credeva veramente in quella competizione. Sicuramente non la Federazione, che aveva deciso di risparmiare elementi di spicco come Boksic, Mihajlovic, Jugovic e Djordjevic, capitano della selezione. Tantomeno la stampa jugoslava, considerato che l’unico giornalista inviato in Cile, Torna Mihajlovic, lavorava per una rivista non sportiva, il settimanale “Arena”, ed era lì più che altro per preparare un reportage sulla comunità serba. Ciò che l’omonimo di Sinisa, come molti altri, non sapeva, è che la fascia da capitano Djordjevic l’aveva lasciata al diciottenne Robert Prosinecki, piede vellutato e temperamento da pub, che dì lì a poco sarebbe stato premiato come miglior giocatore della competizione, mentre Davor Suker arrivava secondo nella classifica marcatori.

La Jugoslavia si riscopre terreno fertile di campioni, si punta ad Italia ’90, questa selezione può eguagliare le gesta – per quanto in ultimo sfortunate – della Nazionale guidata da Dragan Dzajic negli anni ’60. A differenza di quegli anni però, sul Paese iniziano a spirare venti di guerra. Partono da lontano, la crisi economica pervade i Balcani, i diktat del Fondo Monetario internazionale preparano il terreno per una sorta di nazionalismo economico, che presto invaderà anche la scena politica. Il resto verrà da se.

(segue..)