Informazione


https://www.cnj.it/INIZIATIVE/jeantoschi.htm#fucina

7 anni fa le bombe umanitarie distruggevano la Jugoslavia.
Oggi il tribunale dell'Aja e la propaganda di guerra vogliono distruggere la verità.

Per contribuire a ricostruirla e per riflettere insieme

VENERDI' 7 APRILE ore 21
presso il CPO
LA FUCINA
Sesto San Giovanni, via Falck 44 (MM1 Rondò / Sesto FS)

presentazione del libro

il corridoio
viaggio nella Jugoslavia in guerra


di Jean Toschi Marazzani Visconti


Incontro con l'autrice, giornalista, collaboratrice de Il Manifesto, LiMes, Avvenimenti, Maiz

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/jeantoschi.htm#fucina

scarica il VOLANTINO (in formato Word)




Riceviamo e volentieri diffondiamo:
--------

Con sguardo preciso Romano Lil - http://romanolil.blog.tiscali.it/  - ti invita alla visione

"Roma Cisti - Roma pulita": raccolta rifiuti ingombranti
http://romanolil.blog.tiscali.it/ea2454592/

La testimonianza di un operaio del progetto "Roma pulita"
http://archivioromanolil.blog.tiscali.it/at2454601/

Sportello per avviamento al lavoro di Rom, Sinti e Camminanti
http://romanolil.blog.tiscali.it/kx2437327/

Rapporto dello sportello lavoro per Rom, Sinti e Camminanti
http://archivioromanolil.blog.tiscali.it/zy2437348/

"Pijats Romanò": i mercati romani dei Rom/Sinti
http://archivioromanolil.blog.tiscali.it/dw2507025/

Roma: vieni a trovarci ai "Pijats Romanò"
http://romanolil.blog.tiscali.it/jm2507014/

Romano Lil - http://romanolil.blog.tiscali.it/ - lavora per te!

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Porrajmos
http://archivioromanolil.blog.tiscali.it/gz2414859/

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COOPERATIVA SOCIALE  "Romano Pijats"
COOPERATIVA SOCIALE  PHRALIPE' – FRATERNITA'
Opera Nomadi sezione Lazio
Sportello di Segretariato Sociale  per l'avviamento al lavoro delle Comunità Rom, Sinti e Caminanti

celebrerà la

GIORNATA INTERNAZIONALE DEI ROM E DEI SINTI

(8 aprile: ricorrenza del primo Congresso Mondiale dei Rom, avvenuto a Londra l'8 aprile 1971)

In collaborazione con
 
Municipio Roma V
Municipio Roma VII
Municipio Roma VIII
Municipio Roma XI
Comune di Roma 5.o Dipertimento - Politiche sociali e della salute
Opera Nomadi sezione Lazio
Sportello di Segretariato Sociale  per l'avviamento al lavoro delle Comunità Rom, Sinti e Caminanti
 
ai "Pijats Romanò" (manifestazioni culturali e esposizioni artigianali dei Rom/Sinti!

domenica
dalle ore 8.00 alle ore 12
 
a Roma

davanti supermercato Auchan
Area Parcheggio Via Collatina di fronte Via Zanibelli
(Municipio Roma VII)

Davanti supermercato SISA

Area Parcheggio Via Mirtillo (Casale Caletto –zona La Rustica)
(Municipio Roma V)
Area Parcheggio Via Lungotevere Dante (Zona Ponte Marconi)
(Municipio Roma XI)
Area Parcheggio Viale Tor Bella Monaca (davanti Municipio Roma VIII)
(Municipio Roma VIII)
 
TROVERAI:
artigianato in rame, antiquariato
 abiti usati, collezionismo, bigiotteria etc…
 esibizione del lavoro effettuato dai maestri ramai Rom
musica balcanica
mostra storico – documentaria sul popolo dei Rom, Sinti e Camminanti
banchetti di libri e materiale informativo sul popolo dei Rom, Sinti e Camminanti



L'articolo che segue è apparso sul periodico triestino "La Nuova
Alabarda", n. 204 (3/2006) -
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-in_merito_agli_elenchi_dei_'deportati'_da_gorizia.php

In merito agli elenchi dei 'deportati' da Gorizia

STORIA O PROPAGANDA?

Ha fatto scalpore nei primi giorni di marzo (in curiosa coincidenza
con l'apertura ufficiale della campagna elettorale in Italia), la
notizia che la Slovenia avrebbe finalmente consegnato all'Italia un
elenco di nominativi di "deportati" dalla città di Gorizia nel maggio
1945 ad opera delle truppe jugoslave. L'ANSA si è subito distinta
nello scrivere, a proposito dei "deportati da Gorizia", che "di loro
non si è mai saputo nulla, ma si ritiene che la maggioranza vennero
uccisi nelle foibe carsiche", anche se, a leggere la documentazione
che è stata pubblicata sui quotidiani regionali, appare proprio il
contrario di tutto questo.
Facciamo quindi una breve analisi, per il momento ancora generica (ci
ripromettiamo di produrre un'analisi più dettagliata nei prossimi
tempi) di quanto è apparso sulla stampa. Innanzitutto vi indichiamo
una gustosa "bufala": sul "Messaggero Veneto" dell'8/3/06, tra le
varie foto di repertorio di recuperi di corpi dalle "foibe" (nessuna
della zona del Goriziano, da quanto possiamo vedere dalle nostre
conoscenze), c'è anche una foto che viene presentata come una
"immagine d'epoca che testimonia i rastrellamenti delle truppe
titine". Peccato che questa "foto d'epoca" sia invece un fotogramma
della (pessima) fiction prodotta l'anno scorso dalla RAI, "Il cuore
nel pozzo". Ma andiamo avanti.
Innanzitutto vediamo come sarebbe giunta in Italia questa
documentazione sui goriziani deportati. Il ministro sloveno Rupel
avrebbe consegnato uno studio della storica slovena Nataša Nemec al
sindaco di Nova Gorica, che lo avrebbe consegnato a sua volta, due
mesi or sono, al suo omologo goriziano, Vittorio Brancati. Il quale
avrebbe consegnato la documentazione non ad un istituto storico, non
ad un organismo ufficiale, ma alla rappresentante del Comitato dei
congiunti dei deportati goriziani, la signora Clara Morassi Stanta,
che è figlia di Giovanni Luigi Morassi (indicato nell'articolo come
"presidente della provincia di Gorizia, vicepodestà" e nell'elenco
prodotto dalla storica Nemec anche "PNF, gerarca, nemico degli
sloveni, collaborazionista dei tedeschi"), che fu arrestato e non fece
rientro, nonché vedova di Luigi Stanta, che il sedicente ricercatore
storico Marco Pirina, in "Genocidio…" indica come "Prof." e "Vice
Comandante" di una non meglio identificata "Divisione Gorizia", che
gli avrebbe dato le foto, pubblicate nel libro, relative ad un
"eccidio" di 20 militari inquadrati nel XIV Battaglione Costiero (in
linguaggio tecnico il "freiwillige Polizei bataillon", direttamente
sottoposto agli ordini del Reich).
Il primo interrogativo che ci viene in mente è questo: perché lo
"studio" è stato consegnato alla signora Morassi? Il secondo: perché
la signora Morassi lo ha consegnato alla Prefettura e quindi reso di
pubblico dominio proprio in questo particolare momento? Non avrebbe
avuto più senso, da un punto di vista logico, parlarne nel corso del
giorno del ricordo del 10 febbraio e non all'inizio della campagna
elettorale?
Ma questi sono interrogativi che alla fine non hanno molta importanza:
ciò che conta in effetti è la documentazione pubblicata. Dicevamo che
questo sarebbe uno "studio" curato dalla dottoressa Nemec: noi
pensiamo che qualunque storico dovrebbe, prima di rendere pubblico un
proprio studio, cercare di dargli una forma concreta e comprensibile,
e non limitarsi a ricopiare degli appunti, lasciando in piedi
contraddizioni non chiarite e via di seguito.
Per entrare nel merito, diciamo che può essere un criterio valido
dividere le persone a seconda delle proprie qualifiche (militari,
bersaglieri, polizia…), però quantomeno all'interno di uno stesso
elenco dovrebbe essere rispettato l'ordine alfabetico, cosa che non
abbiamo riscontrato; né la numerazione progressiva è corretta. Né
comprendiamo il motivo di fare un elenco a parte per chi fu internato
a Borovnica, un altro per chi morì a Borovnica o a Skofja Loka, e non
inserire questi nominativi nei singoli elenchi per qualifica, ma
questi al limite sono particolari di relativa importanza. Ciò che non
troviamo accettabile è che in questo elenco vengano compresi anche
"149 scomparsi prima del maggio 1945", tra i quali troviamo, al n. 17,
Coos Alfredo, morto in Corsica il 15/10/43; al n. 53 Iach Giuseppe,
partigiano e al n. 86 PUERI Giorgio, partigiano brigata Kosovel,
caduto presso Trnova nel 1944. A che scopo inserire questi nomi (od
anche gli altri nomi di persone che, comunque, sono morte nel corso
della guerra per i più svariati motivi e nei più svariati luoghi), se
non per aumentare la cifra totale dell'elenco e creare più scalpore
intorno al fatto? Lo stesso discorso per l'elenco dei 110 rientrati
dalla prigionia: se sono rientrati, perché comprenderli nell'elenco
che viene spacciato per quello dei "deportati e dispersi"?
Inoltre non è dignitoso, per una ricerca storica, che a fianco di
diversi di questi nominativi (come il già citato partigiano Iach)
appaiono annotazioni di questo tipo: "arrestato a Gorizia 9/5/45
disperso 1943-45". Se esistono dubbi sulla scomparsa o l'uccisione di
una persona, lo storico serio deve spiegare queste contraddizioni,
possibilmente indicando la fonte di ciascuna delle ipotesi (a parte
che nel caso specifico di Iach egli risulta negli studi più recenti
solo come partigiano caduto in combattimento).
Queste le brevi constatazioni in merito alla qualità dello studio che
è stato reso pubblico, uno studio che oltretutto non aggiunge nulla di
nuovo, come ha sostenuto anche Piero Delbello (direttore dell'Istituto
per la cultura istriano fiumano dalmata di Trieste, che comunque non
si vede cosa c'entri con questione relative a Gorizia, che non è né
Istria, né Fiume, né Dalmazia), rispetto agli elenchi di arrestati che
già si conoscevano da tempo. Ma a prescindere da questo, ciò che a
parer nostro invece è fondamentale da rilevare, è che questi elenchi,
lungi dal dimostrare "infoibamenti" e massacri indiscriminati da parte
dell'esercito jugoslavo o dei partigiani nei confronti degli abitanti
di Gorizia, evidenziano invece tutta un'altra serie di cose.
Innanzitutto, come abbiamo già accennato, in questo elenco di circa
1100 persone sono 110 i nominativi di rientrati dalla prigionia e 149
le persone morte prima del 1/5/45; circa 500 sono nominativi non di
"deportati" goriziani, ma di militari (provenienti da tutta Italia)
appartenenti a formazioni che erano di stanza nella ex provincia di
Gorizia (i bersaglieri ad esempio sono stati fatti prigionieri nella
zona di Tolmino, mentre il battaglione costiero nella zona di Cal di
Canale), compresi 33 domobranzi, che non erano una formazione
italiana, ma di sloveni inquadrati nell'esercito nazista; ed erano
inquadrati come "freiwillige" (cioè volontari") nell'esercito del
Reich sia il XIV Battaglione costiero, sia i bersaglieri del
battaglione "Mussolini". Andando avanti, troviamo anche 38 nominativi
di arrestati nella zona di Monfalcone, ed alla fine, dei "deportati
civili" da Gorizia ci rimane solo un elenco di circa 200 nomi, dei
quali, se leggiamo le qualifiche indicate, scopriamo che molti erano
squadristi, molti erano funzionari del Fascio e gerarchi, alcune donne
erano ausiliarie della contraerea (quindi militari da ogni punto di
vista), altri ancora collaborazionisti con la polizia nazista e via di
seguito.
Un discorso a parte va fatto per i carabinieri indicati nell'elenco:
ricordiamo che l'Arma dei Carabinieri fu sciolta, nell'Adriatisches
Küstenland, per ordine dei comandi germanici, con decorrenza 25 luglio
1944. I carabinieri furono quindi inquadrati in altre formazioni
collaborazioniste: generalmente nella Milizia Difesa Territoriale,
cioè il corrispettivo della Guardia Nazionale Repubblicana nel
territorio direttamente soggetto al Reich che non accettava la
presenza di organizzazioni militari "italiane". Altri carabinieri
furono inquadrati negli organismi di polizia (sempre soggetta al
comando germanico); i carabinieri che si rifiutarono di venire
inquadrati nelle formazioni militari soggette al Reich, perché
ritenevano ancora valido il proprio giuramento di fedeltà al Regno
d'Italia, furono deportati nei lager germanici dove molti persero la
vita. Soltanto pochissimi carabinieri rimasero in organico come tali,
quelli che curavano gli uffici stralcio dell'Arma, ma quelli che
furono arrestati, a Gorizia come a Trieste, nei primi giorni di maggio
del 1945 non potevano essere stati arrestati in quanto carabinieri, ma
in quanto ex carabinieri che erano stati inquadrati nelle formazioni
collaborazioniste (e difatti secondo altri elenchi di arrestati, la
maggior parte dei carabinieri dell'elenco di Nemec risultano essere
stati inquadrati nella MDT).
Un'altra cosa importante che appare da questo elenco, è che nessuno di
questi arrestati risulta essere stato "gettato nelle foibe",
nonostante quanto scritto dall'ANSA: gli arresti risultano essere
stati fatti in quanto le persone erano state coinvolte con il passato
regime (per alcuni nominativi troviamo l'indicazione "arrestato per
errore"), mentre la maggior parte, come abbiamo spiegato prima, è
composta da militari catturati ed internati nei campi di prigionia,
come previsto dai regolamenti di guerra. Non "foibe", quindi: arresti
sì, morti anche, ma non "infoibati".
Perché dunque continua questa strumentalizzazione dei morti, che ci si
ostina a definire "infoibati" anche se sono morti altrimenti?
Ricordiamo qui quanto scrivono Pupo e Spazzali (in "Foibe", Bruno
Mondatori 2003): "Quando si parla di foibe ci si riferisce alle
violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza
italiani, scatenatesi nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945
in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme
procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine
consolidatosi ormai oltre che nel linguaggio comune, anche in quello
storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo
significato simbolico e non letterale". Questo concetto è stato
ripreso, negli ultimi anni, da storiografi e divulgatori vari, da
Oliva a Rumici, al più recente Girardo.
Per capire questa mistificazione facciamo un passo indietro nel tempo.
Nel 1976, all'epoca del processo per i crimini della Risiera di San
Sabba (un campo di concentramento e sterminio per ebrei e partigiani
rastrellati nei territori occupati dai nazifascisti, dove si calcola
furono uccise tra le 4.000 e le 5.000 persone), ci fu una campagna
stampa che chiedeva, oggi si direbbe come "par condicio", che si
procedesse in via giudiziaria anche per le "foibe". In quell'occasione
lo storico triestino Giovanni Miccoli sostenne che l'accostamento tra
foibe e Risiera fosse "aberrante", in quanto la Risiera era "il frutto
razionale e scientificamente impostato dall'ideologia nazista, che
come ha prodotto Belsec e Treblinka, e Auschwitz e Mauthausen, e
Sobibor e Dachau, così ha prodotto la Risiera, e l'ha prodotta qui, ha
potuto produrla qui perché, per i fini ai quali doveva rispondere, ha
trovato compiacenti servizi in ambienti largamente predisposti dal
fascismo"; mentre le foibe "sono la risposta che può essere sbagliata,
irrazionale e crudele, ma pure sempre risposta alla persecuzione e
alla repressione violenta e sistematica cui per più di vent'anni lo
Stato italiano (…) aveva sottoposto le popolazioni slovene e croate di
queste zone. È assurdo parlare, riferendosi ad esse, di genocidio o di
programmazione sistematica di streminio, ma sì di scoppio improvviso
di odii e rancori collettivi a lungo repressi".
Miccoli conclude asserendo che un eventuale processo per "le foibe"
sarebbe un "accostamento storicamente e moralmente infondato se non,
ancora una volta, da un punto di vista nazionalista e fascista, un
processo non ad un'ideologia e a un sistema, e quindi occasione di
crescita e di consapevolezza civile, ma un processo ad una reazione
irrazionale e violenta che trovava rispondenza in tensioni e
lacerazioni di interi gruppi sociali, e perciò inevitabilmente aperto,
per gli equivoci gravi da cui nascerebbe, alla strumentalizzazione
fascista e nazionalista".
Nello scritto appare chiaramente come Miccoli considerasse le "foibe"
nel loro significato letterale e non "simbolico", volendo tenere conto
del linguaggio di Pupo e Spazzali. In effetti, stante che le varie
modalità di morte dei cosiddetti "infoibati" (così definiti appunto
secondo l'interpretazione "allargata") non hanno di per se stesse un
minimo comune denominatore, perché si tratta di episodi diversi tra di
loro che vanno inseriti tutti nell'enorme, abominevole, fenomeno che
fu la seconda guerra mondiale, non sarebbe possibile poter parlare di
un fenomeno "comune" per le "foibe", come invece si può parlare dei
"lager", che furono appunto il risultato di un programma politico
studiato e pianificato a tavolino da un regime autoritario. Mentre, se
si "accoglie" (sia pure nel suo significato "simbolico e non
letterale") l'uso del termine "infoibati", allargandolo anche a coloro
che morirono altrimenti (di tifo nei campi di internamento per
militari, fucilati dopo processo, in esecuzioni sommarie da
regolamenti di conti post-bellici e via di seguito), in base
all'analisi del professor Miccoli prima esposta, questo
"allargamento", che porta a considerare fenomeni diversi tra di loro
come componenti di uno stesso progetto (un non mai dimostrato
storicamente disegno politico del nascente stato jugoslavo di
"eliminazione" degli italiani per la conquista dei territori da essi
abitati) può avere un unico effetto: quello di paragonare il "fenomeno
delle foibe" (che è un "non-fenomeno") al disegno nazifascista di
eliminazione delle "vite zavorra", delle "razze inferiori" e degli
oppositori politici, realizzando in questo modo quell'accostamento
aberrante che era stato denunciato come pericolo da Miccoli ancora nel
1976.

Viene quindi da pensare che sia questo il motivo per cui tanti
divulgatori e storiografi si accaniscono nella propaganda a parlare di
"foibe" nel concetto "allargato" di Pupo e Spazzali,; viene il
sospetto che dietro queste interpretazioni storiografiche ci sia un
movente politico, lo scopo sia quello di criminalizzare e denigrare la
Jugoslavia di Tito, e con essa la lotta di liberazione compiuta a
prezzo di immani sacrifici assieme agli antifascisti di tutte le
nazioni che con essa hanno combattuto, ed infine anche il progetto
politico che fu di Tito e della sua Jugoslavia, il cercare di
costruire un tipo diverso di socialismo, autogestionario e non allineato.

Marzo 2006

Santo subito

0. Links

1. Benedetto XVI: un tedesco di guardia ai roghi (La Plebe)
2. Ancora insistono con la "pista bulgara" (Oss. Balcani)
3. Un uomo generoso e un papato disastroso (F. Barbero / Comunità
cristiana di base)
4. Le "Madres de Plaza de Mayo" al Papa sul caso Pinochet
5. Cile e Vaticano: Una pagina imbarazzante (G. Perreli, da L'
Espresso 10 dicembre 1998)

6. «Il primo Papa no global della storia»: l'unanime coro dei
genuflessi politici italiani


=== 0. LINKS ===

LE RESPONSABILITA' VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI.
a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia [1999]

https://www.cnj.it/CHICOMEPERCHE/sfrj_04.htm

---

Pagheremo caro…ma pagheremo tutti?

IL VATICANO NON DA' UNA MANO
Dossier

SOMMARIO
Introduzione
Pagheremo caro… ma pagheremo tutti?
APSA e IOR. Pilastri economici e finanziari del Vaticano
Il particolare ruolo della Mittel SpA
L'inganno dell'Otto per mille
L'esenzione dal pagamento dell'ICI
Quanto costa l'ora di religione?
Radio Vaticana: una radio al di sopra della legge

Dossier a cura di Radio Città Aperta

SCARICABILE ALLA PAGINA:

http://www.contropiano.org/ (sezione "Documenti")

---

De Jean-Paul II à Benoît XVI
L'Église catholique et le projet états-unien de « guerre des
civilisations »

Comme il existait un tandem Jean-Paul II/ Ronald Reagan, il existe
désormais un tandem Benoît XVI / George W. Bush. Cependant le nouveau
pape ne devrait pas marquer de rupture avec son prédécesseur, mais
poursuivre un virage qu'il a amorcé depuis plusieurs mois, en sa
qualité de régent de fait du Saint-Siège. L'Église catholique espère
que la croissance démographique de la communauté hispanique lui
permettra de devenir rapidement majoritaire aux États-Unis et de
devenir la religion officielle du nouvel Empire. Elle se propose aussi
d'exclure l'islam de l'Europe pour faire entrer le continent dans la «
guerre des civilisations ». Par Thierry Meyssan

http://www.voltairenet.org/article16943.html

---

Giovanni Paolo II, un grande amico dei Croati

04.04.2005 [Drago Hedl] Dal ruolo svolto nel riconoscimento
dell'indipendenza della Croazia all'appello alla riconciliazione,
pronunciato a Zagabria nel 1994. Papa Wojtyla ha avuto un'importanza
cruciale nella storia recente del Paese, che ha visitato tre volte. I
Croati piangono un padre [NOTA BENE: in questo articolo, profondamente
reticente e politically correct, non viene nemmeno menzionata la
beatificazione dell'arcivescovo nazista Stepinac e si scrive che nel
1994 le Krajne erano "occupate dai ribelli serbi" (sic).]

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4062/1/51/

---

Walter Peruzzi: I crimini di Dio

Negli ultimi decenni la crisi della modernizzazione ha determinato la
crescita delle religioni, prontamente sfruttata da imam, papi e
chierici vari per riproporre la teocrazia e lo scontro con il
razionalismo illuminista ed il pensiero laico. La chiesa cattolica
gode di una fama quanto mai immeritata di santità ed onestà. Dalle
origini ad oggi, si è contraddistinta per la difesa della schiavitù,
le crociate, la discriminazione delle donne, le campagne omicide
contro indios, eretici, atei.
25-02-2006 - 835 letture

http://www.terrelibere.org/counter.php?riga=218&file=218.htm


--- LINK BREVI:


IL PAPA HA `OCCULTATO' L'INCHIESTA SUGLI ABUSI SESSUALI
Una lettera confidenziale rivela che Joseph Ratzinger ordino' ai
vescovi di non svelare gli abusi sessuali su minori perpetrati da
ecclesiastici

http://www.nuovimondimedia.com/sitonew/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1238


1978-2003, IL GIUBILEO DEI REPRESSI: I 25 ANNI DEL PONTIFICATO DI PAPA
WOJTYLA VISTI DA UN'ALTRA PARTE
Il dossier rivela tutti i casi di repressione ecclesiale e teologica
disposti, a partire dal 1979, da papa Wojtyla e dai capi dicastero da
lui scelti

http://www.adistaonline.it/speciali/76italiano.pdf


Antonio Gramsci: Il Vaticano
Articolo di La Correspandance Internationale, 12.03.1924

http://www.resistenze.org/sito/te/cu/la/cula5d16.htm


Questo papa non è stato un grande papa - di Tiziano Tussi

http://www.resistenze.org/sito/te/cu/la/cula5d08.htm


I giorni deliranti del lutto mediatico - di Enrico Penati

http://www.resistenze.org/sito/te/cu/li/culi5d06.htm


La morte del Papa. Note inattuali - di Gino Candreva

http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust5d05.htm


Funerali del Papa: un episodio di Simonìa massmediatica - Contropiano
10-04-2005

http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.php?langue=5§ion=&id=23717


Hans Küng: Wojtyla, il Papa che ha fallito

http://it.groups.yahoo.com/group/aa-info/message/9997
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Documento/2005/03_Marzo/26/index_kung.shtml


Ratzinger su Stepinac (Visnjica broj 491)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4370


Lettera a Wojtyla di Don Vitaliano della Sala

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4368


L'altra faccia del Papa: l'eredità di Giovanni Paolo II nei Balcani
Another Side of the Pope: John Paul II's Balkan Legacy

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4366
http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=523


Habemus Europam (aprile 2005)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4378


KAROL WOJTYLA: Tutte le guerre dell'ultimo papa
di TOMMASO DI FRANCESCO da "IL MANIFESTO" del 9 aprile 2005

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4424


Il Santo Guerriero - di Enzo Bettiza

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4364


=== 1 ===

http://it.groups.yahoo.com/group/aa-info/message/10045

Benedetto XVI: un tedesco di guardia ai roghi

Sullo sfondo di un ventennale conflitto epocale, d'un regolamento di
conti immaginificamente in bilico tra il vecchio western e la guerra
fredda, l'umile lavoratore della vigna del Signore ha conquistato il
feudo più imponente del mondo. E se le luci della ribalta del suo
pontificato non diventeranno fuochi dell'Inquisizione spagnola sarà
solo per limiti tempo. Quel tempo che manca a Joseph Ratzinger, Papa
di transizione, settantottenne pastore tedesco.

::il libro bianco::

Nativo di Marktl, in Baviera, dove la locale pro-loco si affretta a
lucidare, per i turisti della fede, le pagane vestigia della sua vita
precedente (unghie e incrostazioni calcaree comprese), aviatore
tardivamente antinazista, prete negli anni Cinquanta e teologo
successivamente, ex-progressista folgorato sulla via di Damasco,
pupillo delle sette più oscurantiste, cardinale.

Arcivescovo di Monaco di Baviera, come rappresentante in capo della
influente e potentissima "ala tedesca", capeggiò da grande elettore la
nomina di Karol Woytjla al soglio pontificio, opzionato a sorpresa in
quanto papa debole e facilmente manipolabile, adatto alla contingenza
dello scontro interno e perciò stretto come preda tra le ragnatele del
potere ecclesiastico diviso in fazioni.

Da una parte la loggia massonico-curiale, dall'altra la crescente,
inarrestabile Opus Dei, reazionaria e medievale.

È del cardinale tedesco la regia della prima decisa svolta autoritaria
e restrittiva della gestione del polacco. Bersaglio: le suggestioni
conciliari più avanzate, i teologi che - bontà loro - ritenevano il
Vaticano II viatico dell'ecumenismo moderno e - eretici! -
individuavano nelle istanze del Concilio una giusta integrazione del
cattolicesimo con le istanze più moderate del protestantesimo,
un'apertura alla modernità.

Che il Concilio Vaticano II fosse pietra dello scandalo e pesasse -
come pietra - sulle scelte delle fazioni in lotta entro le mura, non è
mai stato un segreto per nessuno. Settori dell'integralismo vi
intravedevano finanche la "morte della Chiesa" e, nell'attesa di
smantellarne i precetti, provvedevano ad eroderne i contenuti.

Capofila della battaglia al riformismo, la santa piovra dell'Opus Dei,
congregazione segreta che annovera Ratzinger tra le punte di diamante.

Nella seconda metà del 1979 la Congregazione per la dottrina della
fede (l'antica Inquisizione) guidata dal cardinale croato Franjo
Seper, dopo aver attaccato il teologo francese Jacques Pohier e
l'olandese Edward Schillebeeckx, trascina sotto processo lo svizzero
Hans Kung, docente progressista presso l'Università di Tubinga. In
cabina di regia: Joseph Ratzinger. Kung, giudicato "deviazionista"
dalla "verità integrale della Chiesa" perse la cattedra.
Ratzinger ipotecò la poltrona di prefetto dell'ex Sant'Uffizio, che
ottenne il 25 novembre del 1981. L'Opus Dei ne gioì vistosamente. Da
tempo il Panzerkardinal aveva avuto modo di farsi conoscere per le sue
tesi anticonciliari ed antimoderniste e, con dalla sua una laurea
honoris causa dell'Università dell'Opus di Pamplona, si era già
meritato il soprannome di Adolf.

::digressione::

Ma i più accorti compagni, da qualche settimana apertamente adoranti
verso ogni feticcio che sappia di potere temporale ecclesiastico,
tirano il freno e mettono in guardia dal giudicare troppo
affrettatamente simili dettagli e dal relegare un pontificato nei
parametri della politica. L'ultimo avviso in tal senso è venuto dal
compagno Nichi Vendola, neo-governatore delle terre di Puglia.
Rispondiamo, ossequiosi come sempre, che costoro non hanno nulla da
temere dal nostro ostinato lavoro di ricerca: solo perché uno è
tedesco, volava con la Luftwaffe, combatteva in tonaca il comunismo
sul fronte orientale, scomunicava i teologi progressisti, rinnegava il
modernismo e nelle cerchie vaticane lo chiamano Adolf, non è detto che
non possa essere un buon papa compatibile con i precetti del
socialismo! (ironia da sottolineare, vista la tristezza che dilaga nel
movimento).

::la scalata::

All'inizio del 1983 esplode, nei ranghi ecclesiastici, la polemica
sulla "deterrenza nucleare" reaganiana. L'episcopato statunitense
gradirebbe una critica aperta del Vaticano alla corsa al riarmo e
nell'attesa fa da sé, con un documento in cui giudica "immorale" la
minaccia nucleare. Gli Usa si irritano. Ratzinger è fuori di sé dalla
rabbia. Chiude a doppia mandata le porte dell'assemblea vaticana e
presiede, accanto al "progressista" Casaroli, una due giorni con
esponenti dell'episcopato europeo, dal quale esce brandendo un
documento che all'unanimità obbliga i colleghi di tonaca americani a
prendere atto della "moralità" della politica di Raegan. Il pastore
tedesco, a margine della sudata, commentò: "Credo che l'etica, per
essere seria, non possa prescindere da un certo realismo".

Il 26 novembre 1983 è lui ad avere l'onore storico di vergare la
parola "fine" nell'antica controversia tra cattolicesimo e massoneria,
infliggendo un colpo semi-mortale alla fazione curiale, da sempre
attiva in Vaticano con metodi che rasentavano l'agire delle Logge. In
pratica il Santo Uffizio di Ratzinger corregge la posizione tollerante
del Codice di diritto canonico woytjliano e ribadisce
l'inconciliabilità tra Chiesa e massoneria. Da quel momento in poi
ogni avversario dell'Opus nelle cerchie infernali del Vaticano potrà
essere etichettato come "massone" e ricevere il benservito tramite
sempiterna scomunica. Colpo di classe.

A distanza di un anno, il 6 novembre 1984, prosegue l'opera di
restaurazione dichiarando pubblicamente chiusa la "primavera
conciliare", madre di decadenza, degenerazioni inaccettabili, fino
alla paventata "autodistruzione": "dopo le esagerazioni di una
apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo
positive di un mondo agnostico e ateo" Ratzinger definisce la
restaurazione "auspicabile" e "già in atto". Ribadirà il tutto,
rincarando la dose, nel suo libro-intervista Rapporto sulla fede,
pubblicato nel maggio del 1985. L'Opus Dei plaude al suo pupillo e, da
quel momento in maniera definitiva, lo candida alla successione di
Woytjla.

Il dissidente Hans Kung commentò: "Per Ratzinger, oggi esiste al mondo
un unico buon teologo: Joseph Ratzinger. È l'orgoglio dell'uomo di
potere che del potere si è impossessato". Ebbe inoltre il tempo, il
silurato Kung, di sottolineare come l'Opus Dei fosse
"un'organizzazione segreta, un'istituzione teologicamente e
politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università
e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici"
sottratta al dominio dei vescovi grazie allo status di "prelatura
personale" concessole da Giovanni Paolo II.

Dopo il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, qualcuno osservò:
"è stato seppellito il Vaticano II, ma senza certificato di morte né
funerale". Lo strapotere della fazione opusiana era evidente e
straripante.

Un ex-membro dell'organizzazione scrisse: "Non ci sono dubbi che
l'obiettivo dell'Obra è di conquistare il potere politico, bancario,
militare. Il sogno, la cospirazione machiavellica che muove gli uomini
dell'Opus è di entrare in tutti i gangli vitali della vita del Paese,
per condizionarli".

::la successione::

Nel 1992 il mondo si accorse, suo malgrado, delle precarie condizioni
di salute di Karol Woytjla. Il Sommo Pontefice era malato del morbo di
Parkinson. Quella stessa estate la guida del pontificato venne di
fatto assunta da un direttorio composto da sei eminenti personaggi
della curia: Ratzinger c'era. Con lui Dziwisz, Re, Navarro-Valls,
Sodano e Ruini.

Il 22 febbraio 1996 al febbricitante Pontefice fu fatta firmare la
costituzione apostolica Universi Dominaci Gregis, contenente
innovazioni importanti sul futuro conclave e disposizioni
sull'elezione del nuovo Papa della cristianità, la più importante
delle quali prevedeva l'annullamento del quorum dei due/terzi dei
votanti già alla trentaquattresima votazione. In sostanza si
facilitava l'avvento della maggioranza semplice. E con la pioggia di
Concistori del pontificato polacco, con la nomina di più di un
centinaio di nuovi cardinali a maggioranza opusiana, l'Opus si
garantiva la successione. Semmai ce ne fosse stato bisogno, giacché a
Papa infermo, dal Giubileo in poi, le consultazioni sono avvenute a
Papa vivo, in un clima grottesco e tragico. Ciò giustifica la brevità
da record del Conclave a cui abbiamo assistito per ventiquattro ore.
Un conclave a lungo preparato, preconfezionato, inscatolato dalla
macchina bellica dell'Opus Dei per riaffermare la propria assoluta
padronanza dell'Impero papale e - secondo qualcuno - organizzato senza
un valido avversario dell'aviatore tedesco, per via della debacle
della fazione curiale, residuale dopo il pontificato di Woytjla, il
Papa dell'Opus.

Magari esclusivamente orientato contro le mire del cardinale Carlo
Maria Martini, progressista e innovativo, definito una "sventura"
dalla mafia spagnola togata.

Di cui un suo ex-membro dice: "L'Opus è come una droga, e fa anche
male alla salute mentale. Ci sono molti che hanno perduto la salute
psichica vivendo dentro l'Obra. Ho conosciuto personalmente due casi
di persone che hanno avuto gravissime crisi psichiche, vivendo
nell'Opus."Ho un problema di vocazione, padre", annunciava ogni tanto
qualche giovane socio. E loro, quelli dell'Opus, rispondevano a tutti
nello stesso modo: "Vai a letto, figliolo, e prenditi un Valium".

Seguite il consiglio del buon padre e buon pontificato a tutti.

La redazione di "Plebe" - riverente e foggiana

20 aprile 2005


=== 2 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4059/1/51/

Bulgaria, tra lutto ed indignazione

04.04.2005 scrive Tanya Mangalakova
1981. Attentato al Papa. Emerge una pista bulgara, mai dimostrata. Nel
2002 lo stesso Pontefice, durante una visita a Sofia, nega vi siano
connessioni tra l'attentato da lui subito e la Bulgaria. Ma non basta,
e proprio in questi tragici giorni, la pista bulgara è emersa
nuovamente. Le reazioni in Bulgaria


Tutti i principali media bulgari si sono occupati con servizi speciali
della morte di Papa Giovanni Paolo II, lo scorso 2 aprile. I cattolici
della Bulgaria sono in lutto. In Bulgaria la comunità cattolica
ammonta – secondo il censimento del 2001 - a 43.000 persone circa, lo
0,6% della popolazione. Quest'ultima è concentrata soprattutto nella
città di Plovdiv, Bulgaria centrale, ed ha reagito al tragico evento
con forte trasporto. La maggioranza della popolazione del villaggio di
Rakovski, non lontano di Plovdiv, dove il 90% della popolazione è
cattolico, ha dichiarato di essere pronta e recarsi in pellegrinaggio
a Roma per i funerali del Papa.

Il principale canale della televisione pubblica, BNT 1, ha
ritrasmesso le immagini della visita del Pontefice in Bulgaria, nel
maggio del 2002. "Non ho mia creduto nella cosiddetta "pista bulgara".
Sono molto legato ed affezionato al popolo bulgaro", riferì Giovanni
Paolo II al presidente Georgi Parvanov in quell'occasione.

I media bulgari in questi giorni non si sono solo occupati nel
seguire con attenzione gli ultimi giorni del Papa ma anche del
riemergere delle polemiche – e della pista bulgara - riguardanti
l'attentato che il Papa subì nel 1981. Le autorità bulgare – che
avevano molto lavorato nel 2002 affinché proprio la visita del
Pontefice potesse finalmente cancellare quell'onta che ritenevano
pesasse sull'immagine del proprio Paese – hanno reagito con indignazione.

Così ha fatto ad esempio lo scorso 1 aprile il Presidente Parvanov
che ha dichiarato che "Lo stesso Papa, nella sua visita del 1981,
aveva escluso quest'ipotesi ritenendola un'ingiustizia nei confronti
del nostro Paese".

Il Presidente bulgaro si è detto inoltre sorpreso che quest'ipotesi
sia riemersa proprio due settimane prima della visita ufficiale del
Presidente italiano Azeglio Ciampi a Sofia. "Il governo bulgaro
considera chiusa la questione. Non vi è alcuna connessione tra la
Bulgaria e l'attentato al Papa nel 1981" ha dichiarato ai media locali
Germana Granchova, vice Ministro degli Esteri.

Dal punto di vista giudiziario si era messa la parola fine alle
ipotesi con l'assoluzione in un processo in Italia di Sergei Antonov -
un ex dipendente della compagnia aerea a Roma Balkan Air accusato di
aver partecipato all'organizzazione dell'attentato - per insufficienza
di prove. Il governo bulgaro ha dichiarato comunque di essere a
disposizione per rispondere ad ogni richiesta di informazione, pur
specificando che sino ad ora non ve ne sarebbe stata alcuna.

Documenti segreti

I media bulgari, riprendendo i colleghi italiani, hanno scritto che
l'Italia riaprirà un'inchiesta in modo da venire in possesso dei
documenti riservati delle autorità bulgare sulla questione. I media
bulgari hanno riportato di articoli in Italia dove si affermava che in
questi documenti vi si troverebbero le prove che il KGB sovietico
avrebbe pianificato l'attentato, ed i sevizi segreti della DDR, STASI,
e della Bulgaria, vi avrebbero preso parte.

Secondo Metodi Andreev, in passato a capo della Commissione
parlamentare sui dossier dei servizi segreti, vi sarebbero almeno un
miglio di carteggi tra la STASI ed i servizi segreti bulgari. "Tra
queste ve ne è una dove i servizi segreti bulgari richiedono alla
STASI di fare tutto il possibile per provare l'estraneità della
Bulgaria alla vicenda e per difendere i suoi agenti", ha ricordato
Andreev. Questo, secondo i media bulgari, non proverebbe però nulla:
la Bulgaria avrebbe solo richiesto l'aiuto della DDR per dimostrare la
propria innocenza. Il portavoce del governo, Dimitar Tzonev, ha reso
noto che tutti questi documenti sono a piena disposizione delle
autorità italiane.

La polemica era partita da Berlino. Nei giorni scorsi i media
internazionali avevano infatti riportato che alcuni documenti
rinvenuti nell'archivio della STASI dimostrerebbero il coinvolgimento
di quest'ultima e del KGB e della Bulgaria nell'attentato al Papa. Due
dei principali quotidiani della Bulgara, Troud e 24 Chassa, riportano
però smentite. "Non abbiamo e non abbiamo mai avuto documenti che
rappresentino una prova del coinvolgimento di KGB, STASI o servizi
segreti bulgari nell'attentato a Giovanni Paolo II", ha dichiarato ai
due quotidiani Christian Boos, portavoce della commissione che a
Berlino si occupa del mantenimento dell'archivio della STASI.

Reazioni

Si è scatenata una forte emotività in Bulgaria sul riemergere della
questione. Anche perché questo è avvenuto in concomitanza con la fine
del pontificato di Giovanni Paolo II. I media ne sono stati un fedele
specchio. Il quotidiano Monitor ha scritto nelle sue colonne che i
bulgari non debbono farsi attrarre dalla trappola creata dal giudice
in pensione Ferdinando Imposimato - che a lungo si è occupato del
caso - che non ha mai smesso di diffondere versioni della vicenda che
richiamavano questi archivi della STASI. Troud invece riconduce
l'emersione della pista bulgara al 1982 quando ne parlò per la prima
volta lo statunitense Readers Digest.

Dure le reazioni sempre di Troud ad un'intervista rilasciata da
Ferdinando Imposimato per il settimanale italiano Oggi. "Vi sono
almeno tre grossolani errori del magistrato nell'intervista
rilasciata" si afferma in un editoriale "innanzitutto si afferma che
Dimitar Stoyanov era Ministro degli esteri, ed invece era Ministro
degli interni. Poi Imposimato ha dichiarato che Sergei Antonov – uno
dei tre bulgari sospettati di aver partecipato all'attentato - era un
genrale dei servizi segreti ed invece era un impiegato in una
compagnia aerea, tant'è che ora vive di una pensione di 100 euro.
Imposimato ha inoltre richiesto di incontrare Jordan Ormankov, che in
passato si era occupato in Bulgaria dell'inchiesta ed aveva anche
interrogato Ali Agca, condannato poi per aver sparato al Pontefice, ma
Ormankov è morto ben 3 anni fa. Certa gente per continuare ad avere
emozioni forti sprofonda nel passato. Ma la verità è una sola: quella
sottolineata dal Papa durante la sua visita in Bulgaria del 2002",
conclude al vetriolo Troud.

"Non ho mia creduto nella pista bulgara e questo è stato uno dei
principali motivi delle mie dimissioni" ha affermato durante una
trasmissione su BNT 1 Melvin Goodman, ex membro della CIA nel
dipartimento che si occupava dell'Unione Sovietica. Goodman ha poi
aggiunto che era a conoscenza del fatto che la Bulgaria non fosse
coinvolta nell'attentato. "Il direttore della CIA di allora, William
Casey ed il suo vice, mi ordinarono di produrre alcuni documenti che
potessero addossare le responsabilità dell'attentato a URSS e Bulgaria".

Secondo alcuni commentatori il riemergere di questa questione
potrebbe essere derivato dal tentativo di screditare l'immagine del
Paese alla vigilia della firma dell'accordo per l'integrazione della
Bulgaria nell'UE, prevista il prossimo 25 aprile.

Vi sono stati anche alcuni commenti sarcastici: "Viva la pista
bulgara!" ha scritto sul settimanale 168 Chassa lo scrittore Stefan
Kissiov "Non è una questione ciclica ma eterna. E' tempo di prenderne
atto. Come i rumeni hanno fatto i soldi con Dracula, noi dovremmo
farli con la pista bulgara. Qualche ONG potrebbe investire in un museo
titolato a quest'ultima. Si potrebbero anche vendere cappellini con la
scritta: "Ho sparato al Papa, prossimamente sparerò anche a Berlusconi!".


=== 3 ===

25 anni di pontificato

Un uomo generoso e un papato disastroso

La gara è aperta. Chierichetti di destra e di sinistra, su tutti i
video e su tutti i giornali (le eccezioni quasi non si vedono) stanno
andando a gara nello "straparlare", nel tessere elogi per questo
pontificato che "ha cambiato la storia", "si è aperto a tutte le
religioni", "ha visitato tutto il mondo", "ha parlato ai grandi e ai
piccoli", "si è esposto come un eroe della pace". E chi più ne ha più
ne metta. In tutto questo interessato esercizio di retorica ci sono
parecchie omissioni, numerose menzogne, molte dimenticanze. In questo
modo si fanno tacere i fatti.

La struttura della chiesa

Non voglio certo negare la generosità dell'uomo Karol Wojtyla e le sue
intenzioni sincere. Non stiamo parlando di questo. La sua attuale
sofferenza (a parte l'uso interessato e perverso che ne fa
l'istituzione ecclesiastica) ci inclina al rispetto. Anzi, di Wojtyla
mi è sempre piaciuta la passione, anche se quasi sempre essa è stata
contaminata da una cultura del dominio e della spettacolarità.

I fatti ci dicono che in questi 25 anni il papa ha cambiato tutta la
gerarchia, ma soprattutto ha azzerato la collegialità, soffocandola
sotto la sua immagine imperiale onnipresente e sotto una curia
vaticana onnipotente. I vescovi sono stati ridotti a "caporali di
giornata" perché il minimo sgarro può segnare la destituzione,
l'accantonamento o il prepensionamento. Gli ultimi "frammenti" del
Concilio sono stati sepolti sotto una montagna di documenti vaticani.

Su questioni vitali per la testimonianza del Vangelo nel mondo di oggi
(bioetica, etica sessuale, femminismo, ministero delle donne,
possibilità delle seconde nozze, omosessualità, celibato dei preti,
innovazioni liturgiche .) questo papato ha avuto l'arroganza di porsi
come detentore della verità, lasciando in eredità una serie di
pronunciamenti che potranno degnamente figurare nell'albo familiare
del "cristianesimo criminale".

Ha avuto la spudoratezza di presentare come modello, di proclamare
"santo" Escrivà De Balaguer, un uomo autoritario, amico della
dittatura, sessuofobico. Non parliamo poi di ecumenismo: si dialoga
con tutti, ma da un trono sopraelevato. Il papato ha dovuto
necessariamente "rifare i conti" con l'ebraismo, con l'Olocausto, con
l'islam e le religioni asiatiche. Tutto è avvenuto con toni e
linguaggi diplomatici, ma con l'incessante e sottile richiamo alla
indiscussa "supremazia cattolica". La teologia della compagnia, del
"camminare alla pari" è stata totalmente disattesa. Così pure questo
papato è giunto alla scomunica ufficiale (si pensi al caso del teologo
Tissa Balasuriya) e alla defenestrazione sistematica di teologi, di
preti, di operatori pastorali mentre ha promosso ai massimi livelli
della curia romana un cardinale come Pio Laghi, grande collaboratore
nello sterminio di giovani argentini invisi alla dittatura.

Il sospetto per la libertà di ricerca e di espressione ha determinato
un atteggiamento sacrale (il sacerdozio al centro della chiesa) e
tradizionalistico, sopprimento la ricca pluralità della tradizione
cristiana. Insomma. la "struttura wojtyliana" della chiesa ha prodotto
un'amara macedonia, una velenosa miscela di patriarcalismo, di
sessuofobia-omofobia, di sacralità, di repressione, di oscurantismo.
Né possono bastare solenni confessioni dei peccati passati come
"captatio benevolentiae" se poi non avviene una reale conversione.

Non si dica che ci vorrà un altro papato per riparare i guasti di
questo "papa re e imperatore". Potremmo trovarci qualche brutta
sorpresa nei prossimi mesi. Il gioco della successione è in atto e non
promette nulla di buono. Ma non spendo la mia speranza nel cambiamento
del timoniere. Ci vuole ben altro: è necessaria, a mio avviso, una
generazione di donne e di uomini che prendano in mano la gestione
della propria fede, senza più attendere il permesso, l'autorizzazione
o la benedizione della casta gerarchica. Da oggi, senza attendere un
miracoloso domani.

Il mito del papa della pace

Questa è l'ultima favola: Wojtyla eroe della pace. Non mi sembra che
un papato di pace avrebbe diviso la chiesa in chi è dentro e chi è
fuori, in ortodossi e in eretici, in "naturali" e "contro natura", in
buoni e cattivi, in maschi che possono esercitare il ministero e in
donne che debbono servire, in clero che comanda e laici che
obbediscono. Non solo: un papa di pace non avrebbe toccato la mano,
dato la comunione e benedetto un tiranno assassino come Pinochet.

Gesù, quando incontrava i potenti, parlava chiaro. Se tutti ora
partecipano ai festeggiamenti per questi 25 anni di pontificato, è
perché, tutto sommato, anche i più criminali non si sono sentiti
profeticamente attaccati ed evangelicamente sconfessati dalla retorica
papale. A Gesù i potenti hanno fatto ben altri festeggiamenti a
Gerusalemme e sul Calvario.

Restano le parole del papa nel corso dell'ultima guerra. Parole
decantate da tutti come "straordinaria profezia di pace". Il convegno
annuale di "Missione Oggi", mensile dei saveriani, svoltosi a Brescia
il 17 maggio, ha analizzato le dichiarazioni delle gerarchie
cattoliche sulla guerra. Le conclusioni sono chiare: le gerarchie
cattoliche non sono pacifiste.

L'agenzia Adista, in data 7 giugno 2003, riporta le affermazioni di
Massimo Tosco, uno studioso non sospetto: "Se le chiese non vogliono
sfigurare il Vangelo devono testimoniare con forza la pace, senza
addentrarsi in improbabili distinzioni, dalla legittima difesa alla
necessità di disarmare i dittatori. Le gerarchie ecclesiastiche
all'inizio non erano contro la guerra, ma solo contro la guerra
preventiva. E anche successivamente, quando hanno 'radicalizzato' le
loro posizioni, non sono mai riuscite a dire no alla guerra in quanto
tale: basta leggere le dichiarazioni e gli interventi del card. Ruini,
o i documenti delle associazioni e dei movimenti ecclesiali benedetti
dalla Conferenza episcopale italiana come le Sentinelle del mattino"
(cfr. Adista 25 e 28/03). Lo stesso Giovanni Paolo II, secondo
Toschi,è su questa linea: "Il papa non ha mai pronunciato un no alla
guerra 'senza se e senza ma'; ha invece sempre arricchito i suoi
discorsi di sottili distinzioni ispirate alla dottrina della guerra
giusta, come in occasione del discorso agli ambasciatori accreditati
in Vaticano" (cfr. Adista 7/03). La novità sorprendente è che,
"nonostante queste distinzioni, le parole del papa sono state
interpretate come un no secco alla guerra dai cattolici, che non hanno
tenuto in nessun conto i concetti della legittima difesa o della
necessità di disarmare l'aggressore. Hanno invece, con molta
semplicità, interpretato il Vangelo dalla parte delle vittime",
facendo passare anche il papa per un pacifista assoluto, il che non è
vero.

La speranza che non muore

Oltre le ambiguità e i disastri di questo papato, resta intatta la
speranza. La chiesa imperiale e il cristianesimo del potere sono
giunti al capolinea. Le televisioni di tutto il mondo riempiranno gli
schermi e diffonderanno ovunque le immagini di un funerale faraonico e
di un conclave sacro e storico. Sarà uno spettacolo di grande smalto e
di catturanti emozioni. Solenni liturgie in cui i grandi della terra
faranno adeguata comparsa. I gerarchi vaticani, nelle loro porpore,
annunceranno al mondo che lo Spirito Santo ci regala un nuovo "vicario
di Cristo" mettendo sul conto di Dio la perpetuazione di una
istituzione mondana e oppressiva come il papato.

Sono sicuro che anche nel cuore di qualche cardinale si fa strada una
profonda inquitudine. Bisogna sempre ritornare a Nazareth, sui
sentieri del Nazareno, riprendere il suo messaggio e il suo progetto
di semplicità, di amore e di giustizia. Il resto appartiene alla
storia dei potenti.

Pinerolo, 16 ottobre 2003

Franco Barbero

Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base

c.so Torino 288 10064 Pinerolo (To) -- tel. 0121322339 - 0121500820
-- fax 01214431148

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=== 4 ===

Fonte: Indymedia, Friday, Apr. 08, 2005

Le "Madres de Plaza de Mayo" al Papa sul caso Pinochet

Buenos Aires, 23 febbraio 1999

Signor Giovanni Paolo II

Ci è costato varii giorni il subire la domanda di perdono
che Lei, signor Giovanni Paolo II Wojtila, ha richiesto per il
genocida Pinochet.
Ci rivolgiamo a Lei come ad un cittadino comune perché ci
sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa nel Vaticano, senza
conoscere né aver sofferto in carne propria il pungolo elettrico
(picana), le mutilazioni, lo stupro, si animi in nome di Gesù Cristo a
chiedere clemenza per l'assassino.
Gesù è stato crocifisso e le sue carni lacerate dai giuda
che come Lei oggi difendono gli assassini.
Signor Giovanni Paolo, nessuna madre de1 terzo mondo che
ha dato alla luce un figlio che ha amato, coperto e curato con amore e
che poi è stato mutilato e ucciso dalla dittatura di Pinochet, di
Videla, di Banzer o di Stroessner accetterà rassegnatamente la sua
richiesta di clemenza.
Noi La incontrammo in tre occasioni, però Lei non ha
impedito il massacro, non ha alzato la sua voce per le nostre migliaia
di figli in quegli anni di orrore.
Adesso non ci rimangono dubbi da che parte Lei stia, però
sappia che
sebbene il suo potere sia immenso non arriva fino a Dio, fino a Gesù.
Molti dei nostri figli si ispirarono a Gesù Cristo, nel
donarsi al popolo.
Noi, la Associazione "Madres de Plaza de Mayo"
supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si
estenderà per il mondo, che non perdoni Lei signor Giovanni Paolo II,
che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di
esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle
mani dei responsabili di genocidio che Lei difende e sostiene,
diciamo: No lo perdone, Señor, a Juan Pablo Segundo.

Asociación Madres de Plaza de Mayo


=== 5 ===

Cile e Vaticano: Una pagina imbarazzante. Caro Pinochet, il papa La
benedice
di Gianni Perreli

da L' Espresso 10 dicembre 1998

A vent'anni dal golpe la legittimazione più calorosa arrivò al
dittatore Augusto Pinochet dalle stanze del Vaticano. 18 febbraio
1993: la privatissima ricorrenza delle sue nozze d'oro viene allietata
da due lettere autografe in spagnolo che esprimono amicizia e stima e
portano in calce le firme di papa Wojtyla e del segretario di Stato
Angelo Sodano. «Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua
distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle
loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie
divine», scrive senza imbarazzo il Sommo Pontefice, «con grande
piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione
apostolica speciale. Giovanni Paolo II.» Ancor più caloroso e prodigo
di apprezzamenti è il messaggio di Sodano, che era stato nunzio
apostolico in Cile dal '77 all'88, e che nell'87 aveva perorato e
organizzato la visita del papa a Santiago, trascurando le accese
proteste dei circoli cattolici impegnati nella difesa dei diritti umani.

Il cardinale scrive di aver ricevuto dal pontefice «il compito di far
pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l'autografo
pontificio qui accluso, come espressione di particolare benevolenza».
Aggiunge: «Sua Santità conserva il commosso ricordo del suo incontro
con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria
visita pastorale in Cile». E conclude, riaffermando al signor
Generale, «l'espressione della mia più alta e distinta considerazione».

Il Vaticano non rese pubbliche queste missive così partecipi. Né lo
fece Pinochet, che pure probabilmente le aveva sollecitate. Si decise
di mantenerle nell'ambito della sfera privata, per timore che
l'eccesso di enfasi attizzasse nuove polemiche. Ma tre mesi dopo
prevalse la vanità del dittatore. I documenti furono portati alla luce
dal quotidiano cileno "El Mercurio". E furono ripresi da "Témoignage
Chrétien", la rivista francese dei cattolici progressisti. Provocando
«reazioni di rivolta, di tristezza e di vergogna», nel ricordo delle
barbare esecuzioni e delle feroci torture perpetrate dal regime di
Pinochet.

Molti lettori indirizzarono al Vaticano lettere di indignazione. Un
gruppo di preti-operai di Caen diede una risposta particolarmente
risentita all'iniziativa del Papa e di Sodano. Opponendo al commosso
ricordo di Wojtyla «l'emozione davanti alla morte del presidente
Allende e di molti suoi collaboratori; davanti alla retata e al
parcheggio dei sospetti nello stadio di Santiago; davanti alle dita
amputate del cantante Victor Jara per impedirgli di intonare sulla sua
chitarra gli accordi della libertà; davanti alle sparizioni, alle
carcerazioni, alle torture». E la Fraternità e la Comunità Francescana
di Béziert espressero la loro costernazione in modo lapidario:
«Durante il potere di Pinochet Gesù Cristo era crocifisso ancora».

Sentimenti di ripulsa che in Francia si sono riaffacciati dopo
l'arresto a Londra del dittatore. E che subito dopo il recente
incontro in Vaticano fra il cardinal Sodano e il sottosegretario
cileno agli Esteri Mariano Fernandez, visto come un tentativo di
attivare il Vaticano in soccorso di Pinochet, hanno riproposto gli
inquietanti interrogativi che accompagnarono la rivelazione dei
messaggi di auguri. Nel '93, Pinochet non era più il capo dello Stato,
ma solo il comandante delle Forze Armate. E Sodano era tornato già da
cinque anni in Italia dove aveva preso il posto di Agostino Casaroli
al vertice della diplomazia pontificia.

Che ragione c'era di elargire al dittatore riconoscimenti così
entusiastici, coinvolgendo anche il papa in prima persona, per una
ricorrenza non così straordinaria che avrebbe al massimo meritato un
asciutto telegramma di felicitazioni? La risposta, a sentire i
cattolici cileni che lavoravano a Santiago per la Vicaria de la
Solidaridad, un organo della curia che per sedici anni - dal '76 al
'92 - si è battuto contro le atrocità della dittatura, è nel feeling
che, nonostante le tensioni provocate dalle denunce dei sacerdoti
socialmente più impegnati e dagli episodi di cronaca più scabrosi, si
era instaurato fra Sodano e Pinochet.

Nel conflitto fra ragion di Stato e difesa dei diritti umani, pur
senza plateali favoreggiamenti, il nunzio apostolico avrebbe
privilegiato il dialogo con il regime, assecondando l'ipocrita
transizione che provoca ancor oggi nel Cile tante lacerazioni. Negli
inevitabili scontri con Pinochet, Sodano avrebbe badato a difendere
l'istituzione Chiesa più che l'incolumità delle vittime perseguitate
dalla dittatura. Certo, erano tempi tremendi. Ed è probabile che
l'approccio sfumato dell'ambasciatore di Wojtyla sia servito a
prevenire una repressione ancor più spietata. È meno comprensibile
che, come dimostra l'estrema cordialità dei messaggi augurali per le
nozze d'oro, a distanza di pochi anni il Vaticano abbia rimosso le
pagine più tragiche della storia cilena e si sia profuso in attestati
di stima verso il carnefice.

La lunga permanenza di Sodano a Santiago è coincisa con un processo di
spaccatura all'interno della Chiesa cilena. Da un lato le frange più
conservatrici del mondo cattolico facevano quadrato intorno alla
dittatura in nome dell'anticomunismo. Dall'altro gli ambienti più
aperti trasformavano la Vicaria de la Solidaridad nel vero simbolo
dell'antipotere. Una divisione che nelle concitate reazioni
all'arresto del generale affiora ancor oggi. Oltre la metà dei
cattolici cileni teme che la soluzione di processare Pinochet in
patria, per la quale si sta affannando il governo Frei, potrebbe
rivelarsi una beffa alla giustizia. In Cile né la magistratura
militare né quella penale (che anche dopo il ritorno della democrazia
si è ben guardata dall'aprire processi alla dittatura) garantirebbero
imparzialità di giudizio. E si scatenerebbe una nuova ondata di
disordini. Solo un pubblico pentimento di Pinochet - ipotesi
considerata inverosimile - introdurrebbe una nota di distensione,
scongiurando il rischio che i mai sopiti rancori sfocino inaltrettanti
regolamenti di conti.

Da circa sette anni la Vicaria de la Solidaridad, che già dopo il
referendum da cui uscì sconfitto Pinochet nell'88 aveva perso la
funzione primaria, si è trasformata in un centro documentazione.
Attraverso i suoi archivi è possibile ricostruire nei dettagli i
controversi rapporti fra una Chiesa di ispirazione progressista e il
generale che si richiamava anche ai principi della fede cattolica per
giustificare la sua azione disterminio.

Già negli anni Venti la forza della Dc cilena si sviluppa intorno alle
attività umanitarie dei sacerdoti che si schierano al fianco dei
poveri e lottano contro il latifondo premendo per la distribuzione
della terra ai contadini. Una sensibilità immune dagli estremismi
della teologia della liberazione, che nel '70 non ostacola l'ascesa al
governo del socialista Salvador Allende. In quel periodo,
l'arcivescovo di Santiago Raúl Silva Henriquez, cardinale dal '61,
accoglie con benevolenza Fidel Castro che prolunga una visita di Stato
in Cile per 25 giorni, e al momento del congedo gli regala una Bibbia.
Dopo il colpo di stato militare (11 settembre '73), accolto con
moderato sollievo anche dalla Dc nonostante il suicidio di Allende,
Henriquez prende le distanze dal regime. E il 18 settembre, una
settimana dopo il golpe, in occasione della festa nazionale,
impartisce una prima umiliazione a Pinochet rifiutandosi di celebrare
come ogni anno il Te deum davanti alle autorità dello Stato nella
cattedrale, e allestendo la cerimonia in una chiesa meno
rappresentativa. Fonda poi l'8 ottobre, insieme ai responsabili delle
altre fedi religiose, unComitato nazionale per la pace che si scaglia
contro le malefatte del regime. Agli attacchi della stampa e
alleminacce dei golpisti, il cardinale risponde alzando il tiro. E a
Paolo VI, che disgustato dal clima di terrore gli offre sostegno,
risponde che pensa di potercela fare da solo. Se il generale non
allenterà la presa, potrebbe incorrere in una scomunica. Ma Pinochet
stringe sempre più il Cile nella sua morsa. Si allentano le
resistenze, si sfalda anche il fronte religioso. Nel '75 è Henriquez
che chiede aiuto a Paolo VI. Che stavolta si dichiara impotente. La
guerra fredda ha procurato qualche consenso internazionale a Pinochet.

Qualche mese più tardi è il tiranno a tentare un'apertura. Dopo
l'uccisione d uno dei leader dell'ultrasinistra, un gruppo di marxisti
si rifugia nella Nunziatura. E allora Pinochet decide di scrivere al
cardinale: questo è un governo cattolico che vorrebbe buone relazioni
con la Chiesa. Con lei personalmente non ci sono problemi. Il problema
è il Comitato. Il cardinale intuisce che dietro le formalità si cela
un ordine. Il generale non tollera più intralci. E il cardinale finge
di obbedire, senza abdicare ai principi. Scompare il Comitato e al suo
posto, come emanazione della sola curia cattolica, nasce agli inizi
del '76 la Vicaria de la Solidaridad. Un rifugio per le vittime del
regime a cui vengono assicurati patrocinio legale e assistenza medica.

In aperta sfida a Pinochet, pochi mesi dopo l'arrivo di Sodano a
Santiago, Henriquez proclama il '78 anno dei diritti umani in Cile. E
indice un convegno internazionale sulla materia. Sodano si defila. E
quando arriva un messaggio augurale del papa, minimizza attribuendolo
al cardinale di Stato Jean Villot.

I rapporti fra la curia e la chiesa si fanno particolarmente aspri
nell'83, decennale del golpe. Henriquez si spinge a definire inumano
il programma economico varato da Pinochet che applicando le teorie
monetariste dei Chicago's boys ha rimesso in ordine i conti dello
Stato sacrificando però i programmi di assistenza sociale per le
classi meno abbienti. E la giunta militare sbatte in carcere i tre
sacerdoti stranieri che più avevano alzato la voce nelle proteste.
Sodano chiede la loro liberazione. E i tre vengono espulsi.Per evitare
fratture più traumatiche, papa Wojtyla, tramite Sodano, invita i
militari a cercare risposte positive alle condizioni e alle situazioni
di violenza. Pinochet, in cerca di legittimazioni, si dichiara in
sintonia con le aspettative del pontefice: il governo cileno è
impegnato nella creazione di un sistema democratico di ispirazione
occidentale e cristiana; il messaggio di Sua Santità è uno strumento
prezioso per la realizzazione di questi obiettivi. Ma appena sorge
qualche contrasto con la curia di Santiago, si affretta a inviare a
Roma Sergio Rillon, il funzionario governativo per le relazioni con il
Vaticano, che non manca mai di sottolineare l'irritazione del
generale. L'anagrafe dà intanto una mano a Pinochet. Per limiti d'età
va in pensione il cardinale Henriquez. E a sostituirlo viene chiamato
Juan Francisco Fresno, un arcivescovo più in sintonia con Sodano, che
non si sottrarràagli scontri con la dittatura ma li condurrà in modo
meno battagliero.

L'84 per Sodano è un anno vissuto pericolosamente. A Santiago, nella
parrocchia di San Francesco si invoca la punizione divina contro i
torturatori di Stato. Colti di sorpresa, i militari dichiarano guerra
alle frange sovversive della Chiesa. E consegnano a Sodano un dossier
da inoltrare in Vaticano, in cui si proclamano salvatori della patria.

Scoppia poi la grana dei terroristi del Mir, presunti killer del
sindaco di Santiago Carlos Urzia, che attraverso i locali
dell'ambasciata francese trovano rifugio negli uffici della
Nunziatura. È una brutta rogna per Sodano. Anche se il Vaticano non ha
firmato la convenzione sull'asilo politico, ragioni umanitarie
sconsigliano la consegna dei ribelli a un governo che non dà alcuna
garanzia sulla regolarità di un processo. Sodano chiede che ai quattro
venga rilasciato un salvacondotto. I militari si irrigidiscono. E
l'ira dell'ammiraglio José Toribio Merino Castro si scaglia verso
l'obiettivo massimo: il papa, infallibile nelle cose divine, fallibile
in quelle umane

È una mancanza di cortesia, è la prudente replica di Sodano che sulla
sostanza però tiene duro e chiede per la prima volta aiuto legale agli
avvocati della Vicaria, istituzione che ha sempre percepito
pericolosamente estranea alla sua linea diplomatica. Snobbava spesso
le sue ricorrenze, alle quali interveniva l'intero corpo diplomatico.
E secondo i racconti che circolavano nelle comunità ecclesiali,
avrebbe dissuaso un cattolico torturato dal sollecitare l'intervento
della Vicaria. Nel braccio di ferro stavolta è Pinochet a cedere.

Dopo circa tre mesi di battaglie legali, i quattro guerriglieri del
Mir ottengono il salvacondotto e salgono su un aereo diretto in
Ecuador. Ma per Sodano le insidie non sono finite. Il sacerdote
francese Pierre Dubois, parroco de La Victoria (quartiere proletario
della capitale), e Carlos Camus, vescovo di Linares, creano nuovi
attriti col regime, lanciando anatemi dai pulpiti.

Nel 1985 Sodano lancia appelli (ascoltati) per la liberazione
dell'attivista dell'opposizione Carmen Hales, sequestrata e picchiata
da gruppi di estrema destra. Ed entra in rotta di collisione col
governo per gli editoriali anti-Pinochet della rivista cattolica
"Mensaje". Ma dopo il fallito attentato a Pinochet nell'86, Sodano
elabora una strategia della distensione che culmina con la visita del
Papa a Santiago. Ai fedeli che esprimono indignazione, il nunzio
assicura che si tratta di una missione esclusivamente pastorale. Ma
anche se Wojtyla incontra esponenti dell'opposizione, il clou del
viaggio è l'apparizione sul balcone presidenziale del pontefice al
fianco del dittatore. La Vicaria viene invece appena sfiorata. Il Papa
saluta i suoi dirigenti nel cortile antistante, senza mettere piede
nei locali.

Sodano lascia Santiago nel giugno '88. E nell'accomiatarsi si dice
preoccupato per «l'attuale situazione del paese, perché vedo che non
vi è un profondo rispetto degli uni per gli altri.» Cinque anni dopo,
a freddo, il segno del suo rispetto lo riserverà al dittatore.



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dalla Gazzetta del Mezzogiorno, aprile 2005

I politici italiani unanimi: lascia un segno indelebile nella Storia

ROMA - Giovanni Paolo II lascia un segno indelebile nella storia. I
politici italiani, in interviste rilasciate a vari quotidiani, sono
unanimi nel riconoscere la rilevanza del ruolo giocato dal Papa nei
quasi 27 anni di pontificato e nel sottolineare l'importanza
dell'eredità che lascia al mondo intero per gli anni a venire.

«Questo Papa - dice il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in
un'intervista a `Il Messaggero' - lascia un segno importante nella
storia, ha riportato in primo piano la dignità e i valori della
persona umana. Ha rotto il velo ipocrita delle ideologie ed è riuscito
con il presidente degli Usa Reagan a sconfiggere il comunismo».
«E' una figura straordinaria -aggiunge il premier- riconosciuta e
amata da tutto il mondo. Il Suo calvario fisico è pari alla Sua
grandezza morale e spirituale».

«La sua eredità - afferma invece Francesco Rutelli in un intervento su
`Europa' - è gigantesca; nessun uomo di Stato del ventesimo secolo è
stato testimone e attore di così grandi e profondi cambiamenti. E
nessuna autorità religiosa è stata così profetica e visionaria, dando
al cattolicesimo il senso profondo del suo significato letterale di
universalità».

«Il primo Papa no global della storia», lo definisce in un'intervista
a «La Stampa» il segretario di Rifondazione comunista Fausto
Bertinotti. «Durante tutto il suo pontificato - spiega il leader del
Prc - Wojtyla ha ingaggiato un corpo a corpo con la modernità. Sia
nell'immersione in essa sia nell'inquietudine di fronte a una
secolarizzazione erosiva dei valori della religione. Qualsiasi cosa
fosse in campo, il Papa l'ha vissuta con lo spirito del militante. Nel
bene e nel male».

«Un innovatore, un coraggioso», per il senatore a vita Giulio
Andreotti. «Adesso - spiega sempre a 'La Stampa' - si vuole
politicizzare tutto, e anche in modo sbagliato. Se c'è una persona che
sfugge a queste classificazioni è proprio questo Papa, che è nello
stesso tempo conservatore nella tradizione, ma anche capace di
aperture enormi in tanti altri campi».
«Ha fatto fare alla Chiesa dei passi giganteschi. Per esempio penso
alla revisione della posizione della Chiesa su Galileo. E poi alla
pacificazione con gli Ebrei, all'apertura in dialogo con l'Islam. Un
uomo estremamente moderno».

Insomma, sintetizza a «Il Messaggero» il sindaco di Roma Walter
Veltroni, «un esempio per credenti e non».