Informazione

UN SOLDATO (STATUNITENSE) DI NOME EMMA


«lo avevo seguito da Commissario europeo le esperienze di Gino
Strada, anche in Kurdistan, e penso che abbia un atteggiamento cosi
ambiguo, tra l'umanitario e il politico, che si può prestare a
qualunque illazione». Emma Bonino, ministro per il commercio
internazionale e le politiche europee, da Radio radicale attacca il
fondatore di Emergency: «Fa un lavoro umanitario, ma ha un
comportamento nettamente politico, di parte, di un partito suo.
Scientemente o incoscientemente, che sarebbe ancora peggio, finisce
per giocare un ruolo che è ambiguo, tra torturati e torturatori.
Quando uno si mette a praticare una linea così poco limpida, si
presta a qualunque gioco altrui. Nell'illusione di tirare lui le fila
finisce che il burattinaio non è lui». (dal Corriere della Sera - 10
aprile 2007)


Sulle passioni guerrafondaie di Emma Bonino si vedano anche, ad
esempio, i testi:

ASSASSINI ALL'INGROSSO: UN UOMO CHIAMATO EMMA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4921

MUSKARAC PO IMENU EMA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3065

Dove sono finite le lotte, il dolore, le speranze?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4924

PER UNA VOLTA CHE NE AVEVA DETTA UNA GIUSTA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4766

Kosovo - le potenze imperialiste preparano la soluzione finale (nota 8)
https://www.cnj.it/documentazione/acatone05.htm



JUGOSLAVENSKI GLAS (Svakog drugog utorka na Radio Citta' Aperta)

Emisija je u direktnom prijenosu u 14. sati. Moze se pratiti  i preko  Interneta:
                   

Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
Pisite nam na jugocoord@tiscali .it, ili fax  +39-06-4828957.
Trazimo zainteresirane za usvajanje djece na daljinu, t.j. djacke stipendije za djecu prognanika. Podrzavajte ovaj slobodni glas "Od Triglava do Vardara...", kupovanjem knjiga, brosura, video kazeta koje imamo na raspolaganju.

                            


VOCE JUGOSLAVA  (Ogni secondo martedi')

su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio, alle ore 14. Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio,  via Internet:
                   

La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità) ed in diretta. Brevi interventi telefonico allo 06-4393512.
Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando video cassette, libri, bollettini a nostra disposizione; In difesa della Jugoslavia, Il dossier nascosto del "genocidio" di SREBRENICA, cd "Partigiani", video cassette; Kosovo 2005, Fascist legacy...

Scriveteci all'indirizzo email: jugocoor@tiscali .it, tel/fax 06-4828957. 

 

Program                             10. IV 2007              Programma
Datumi da se ne zaborave                                       Date da non dimenticare

 

"Od Triglava do Vardara..."                              "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."
8 godina od NATO bombardiranja                    8 anni dai bombardamenti NATO

 

9 aprile 1999; Viene colpita da 6 missili la fabbrica automobili "Zastava" di Kragujevac. Sono rimasti feriti 124 operai.
Sta bruciando...
Ne parliamo con un compagno italiano che e' stato recentemente a Kragujevac.

 

9. aprila pogodjena je "Zastava" sa 6 raketnih projektila. 124 radnika je ranjeno.
Govorit cemo sa jednim drugom, koji je posjetio pred dva tjedna Kragujevac.

                                                                                        

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(questo resoconto è disponibile nella versione in formato Word, corredata di fotografie, alla URL:


RITORNO DALLA  ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
Viaggio del 15-18 marzo 2007

(resoconto di viaggio  a cura di Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA Trieste)

Questa relazione e’ suddivisa nove parti.

1 Introduzione
2 Un nuovo camion di aiuti
3 Viaggio a Trieste e Brescia di una delegazione da Kragujevac
4 Il punto sugli affidi a distanza
5 Delegazione in visita e materiale trasportato
6 Cronaca del viaggio 
7 I progetti in corso e le possibilita’ future
8 Informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava 
9 Conclusioni

Nella relazione scorsa per la prima volta in tanti anni avevo inserito una ventina di foto; poiche’ la cosa e’ stata trovata interessante da molti, inserisco anche qui 22 foto.

1 - Introduzione

Vi invio la relazione del viaggio svolto due settimane fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle (Gruppo Zastava di Trieste e sezione del Veneto) e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.ì
Vi ricordo  il sito del coordinamento RSU,  sul quale trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative
Trovate tutte le informazioni seguendo il link 
Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
che contiene migliaia di articoli sulla situazione nei Balcani difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.


2 – Un nuovo camion di aiuti 

Il 23 febbraio scorso siamo riusciti a inviare un nuovo camion di aiuti (il settimo da luglio 2005, quando abbiamo cominciato queste spedizioni).
La spedizione e’ stata effettuata in collaborazione con:
Cooperazione Odontoiatrica Internazionale 
Fondazione Luchetta, Ota, D'Angelo, Hrovatin di Trieste
Comunita' Serba Ortodossa di Trieste
Associazione di Solidarieta' Internazionale Triestina
Associazione Zastava Brescia per la solidarieta' internazionale
Caritas Trieste
Il carico era costituito da:
1 pantomografo Siemens 
1 riunito odontoiatrico Kavo e mobili annessi
1 compressore per riunito odontoiatrico
1 aspiratore odontoiatrico
2 macchine per maglieria
2 seggioloni
3 carrozzine
2 computer 
1 trapano a colonna 
6 ciclomotori 
5 biciclette 
164 colli di vestiario, scarpe, biancheria, giocattoli e pannoloni (2842) per adulti,

Per spedire tutto questo materiale abbiamo speso 900 euro. 
Il materiale medico servira’ per realizzare lo studio dentistico presso la Scuola Tecnica Za Masinstovo I Saobracaj, secondo gli accordi firmati lo scorso dicembre.
I 2842 pannoloni saranno consegnati all’associazione malati di sclerosi multipla di Kragujevac che ce ne aveva fatto richiesta a settembre scorso 2006; e’ il secondo carico che consegnamo a questa associazione; saranno suddivisi tra le tre associazioni di Kragujevac, Nis e Gornji Milanovac.

                             

(FOTO: La preparazione della spedizione)


3 – Resoconto della visita a Trieste di una delegazione del Sindacato Zastava

Come ogni anno da molto tempo a questa parte abbiamo organizzatoa febbraio scorso una visita di una delegazione sindacale della Zastava in Italia.
Questa volta erano presenti:
Radoslav Delic Presidente della Jedinstvena Sindikalna Organizacija 
Rajko Blagojevic Vice presidente della Jedinstvena Sindikalna Organizacija 
Rajka Veljovic Interprete e coordinatrice dell ufficio internazionale adozioni del Sindacato.
Scopo della visita come sempre era il consolidamento e il rilancio delle iniziative di solidarieta' materiale che come associazione abbiamo in piedi con i lavoratori che essi rappresentano e piu' in generale con la citta' di Kragujevac.
Il programma della visita si e' articolato cosi':
giovedi' 22 febbraio:
arrivo a Trieste alla sera; incontro con la nostra associazione e con la Cooperazione Odontoiatrica Internazionale per fare il punto sugli affidi a distanza e sui numerosi progetti in corso nel campo della sanita', delle scuole e della disabilita'
venerdi 23 febbraio:
incontro con la municipalita' di San Dorligo della Valle, che da molto tempo ormai ci aiuta con alcuni affidi sul proprio territorio, ma soprattutto da due anni con una grande raccolta di materiale di tutti i generi che si svolge tra la popolazione alla fine dell'anno.
Successivamente nella sede dell'assessorato all’istruzione, alla cultura, allo sport e al volontariato abbiamo incontrato l'assessore regionale Roberto Antonaz, per illustrargli i modi con cui fino ad ora sono stati impiegati i fondi che il suo assessorato ci ha dato per lo sviluppo dell'odontoiatria sociale a Kragujevac.
Nel pomeriggio siamo stati ricevuti al Consolato di Serbia a Trieste.
La sera infine alla casa del popolo Canciani di Sottolongera c'e' stata una affollata cena di solidarieta' con la musica del trio Etno Ploc (musica balcanica e non solo); ringraziamo caldamente questi amici per aver partecipato gratuitamente alla riuscitissima serata.
Il sabato 24 al pomeriggio abbiamo avuto un incontro con la municipalita' e la cittadinanza del Comune di San Giorgio di Nogaro e con la Misericordia della Bassa Friulana.
Come ricorderete a giugno 2006 una delegazione del Comune e della Misericordia era venuta con noi durante il periodico viaggio a Kragujevac, portando una ambulanza  donata al Centro Medico Zastava ed il denaro per l'acquisto degli arredi della palestra di una scuola superiore della citta'.
Anche in questo incontro e' stata ribadita la volonta' di collaborare con noi da parte dei due enti; ci sono stati consegnati generosi contributi in denaro, sono stati sottoscritti due nuovi affidi e ci e' stato donato da un medico della cittadina un elettrocardiografo portatile.


4 – Il punto sugli affidi a distanza

Nel corso di questi anni il numero degli affidi aperti dalla nostra associazione e’ costantemente cresciuto ad ogni viaggio. Attualmente sono 172.
Durante il mese di gennaio e febbraio scorsi con l’ufficio adozioni del sindacato abbiamo sottoposto a verifica la situazione di tutti gli affidi aperti dall’inizio del 2001 alla fine del 2004, trovando un solo caso in cui la situazione personale dell’affidato era cambiata (una ragazza di che si era sposata). Per tutti gli altri la situazione e’ rimasta inalterata, od in alcuni casi peggiorata per l’insorgere di malattie in famiglia o per licenziamenti.
I ragazzi e le ragazze che ci erano stati affidati in quegli anni avevano generalmente un’eta’ compresa tra i quattro e i dieci anni all’apertura dell’affido, ora hanno dunque tra gli otto e i diciassette anni, vanno quasi tutti a scuola e le difficolta’ familiari sono sempre enormi. Per quanto riguarda gli affidi degli anni successivi le eta’ sono le pu’ disparate, si va dai 3-4 anni fino ad oltre i 20 (casi di studenti universitari in particolari situazioni di bisogno).
Nel marzo 2004 erano stati aperti circa una ventina di affidi da parte di distretti della COOP Nord-Est del Friuli e del Veneto ed un'altra decina da privati riconducibili al mondo COOP, con l'impegno di finanziarli per almeno tre anni. Alla fine dei tre anni piu' quindici di questi affidi non sono stati  finanziati, a fronte d situazioni sempre critiche.
Tre distretti COOP hanno deciso di confermare i loro affidi, e se ne e' aggiunto uno nuovo, oltre ad un dirigente COOP come affidatario privato.
Oltre a questi, per fortuna abbiamo trovato tredici nuovi affidatari privati, il che ci ha permesso di confermare quasi tutte le adozioni in scadenza.
A malincuore ne abbiamo dovute sospendere due, relative a due ragazzi che hanno finito gli studi lo scorso anno, benche' la situazione familiare complessiva sia inalterata rispetto al passato.
L'associazione ha poi preso in carico due degli affidi cancellati, utilizzando gli esigui fondi a disposizione provenienti da donazioni di privati. A fronte di una situazione familiare particolarmente difficile  e' stato aperto un ulteriore nuovo affido sempre a nome della associazione. Vi preghiamo di aiutarci a sostenere questo sforzo! Bastano piccole quantita' di denaro aggiuntive alle vostre quote annuali. 
A giugno prossimo questa situazione si ripetera' probabilmente in cinque casi; infatti non riceviamo piu' notizie da alcuni affidatari, benche' sollecitati piu' volte per posta od e-mail.
Noi siamo determinati a non far mancare a questi ragazzi il nostro sostegno, ma per questo abbiamo bisogno di tutto il vostro aiuto.


5 - Delegazione in visita e materiale trasportato

La delegazione era formata da Claudia, Gilberto, Giuliano, Linda, Paolo, Rita e Tiziana di Trieste, Giuseppina di Biella e Oliviero di Roma.
La nostra Boba di Napoli era arrivata a Kragujevac un giorno prima di noi.
Abbiamo usato il solito pullmino della ASIT.
Gli affidi a distanza da distribuire erano 172, di cui 2 nuovi, per un valore di 15060 euro, per la maggior parte in quote trimestrali da 75 euro o da 85 euro.
Avevamo inoltre:
900 euro da consegnare al centro per ragazzi Down 21 ottobre (secondo le voci di spesa del progetto sulla sanita’ cofinanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia) 
1000 euro da consegnare alla Scuola Tecnica (sempre sullo sullo stesso capitolo di spesa)
1700 euro per saldare le fatture relative al materiale didattico e illustrativo dei progetti regionali sulla sanita’.
1192 euro per l’acquisto di due computers, uno da consegnare al Sindacato ed uno al centro medico Zastava, sempre utilizzando fondi del progetto regionale.
4000 euro per il finanziamento dei lavori edili ed elettrici nel locale che sara’ adibito a centro di aggregazione giovanile nel quartiere di Zdraljica.
Avevamo inoltre 80 quote semestrali per complessivi 15.000 euro che ci erano stati spediti dalla associazione di Bari Most za Beograd (Un ponte per Belgrado) da consegnare ai loro affidati.
Avevamo anche farmaci per il Centro Medico Zastava per circa 15.000 euro e molto materiale di consumo per dentisti.
Infine un riunito odontoiatrico portatile  (per i pazienti non autosufficienti) e una batteria (con relativo caricabatteria) per una sedia a rotelle elettrica.


6 - Cronaca del viaggio

Siamo partiti da Trieste verso le 9 del mattino di giovedi’ 15 marzo e siamo arrivati a Kragujevac alle 7 di sera, senza alcun problema durante il viaggio; una volta tanto abbiamo attraversato Belgrado senza le solite difficolta’ di intasamenti dell’autostrada.
Abbiamo avuto sempre tempo bello.
Appena arrivati abbiamo verificato le liste delle adozioni e preparato le buste con il denaro per l’assemblea che abbiamo tenuto la mattina del sabato 17 marzo. 
Mi limito ora a descrivere sommariamente gli incontri che abbiamo avuto.
Nel prossimo paragrafo li illustrero’ in dettaglio insieme ai progetti in corso e a quelli futuri.

Venerdi’ 16 al mattino ci siamo divisi in due perche’ sette di noi hanno incontrato in Comune Slavica Saveljic, assessore alle politiche sociali del Comune per la consegna della prima tranche del denaro necessario per la realizzazione del centro di aggregazione giovanile nel quartiere di Zdraljica ed altri tre (la parte della delegazione facente capo alla Cooperazionje Odontoiatrica Internazionale) si sono recati alla Scuola Tecnica per tenere un corso di aggiornamento al personale sanitario impegnato nei progetti di odontoiatria sociale.
Siamo poi andati a trovare i nostri amici  del centro 21 ottobre per ragazzi Down, abbiamo visitato di nuovo i locali di Zdraljica ed un nuovo edificio che potrebbe essere messo a disposizione dei nostri futuri progetti.
In tarda mattinata ci siamo ritrovati tutti insieme al Centro medico della Zastava dove abbiamo consegnato il materiale sanitario che aveva viaggiato con noi e firmato i protocolli di intesa per il progetto sanitario che sara’ sviluppato quest’anno.
Nel pomeriggio abbiamo avuto un lungo incontro presso la Scuola Tecnica Za Masinstovo I Saobracaj, in relazione all’ambulatorio dentistico destinato agli studenti che entrera’ presto in funzione e visitato altri locali dismessi che potrebbero essere destinati a nuovi progetti.

La mattina di sabato 17 marzo si e’ tenuta l’assemblea per la consegna delle quote di affido, nella  grande sala della direzione. 
Come detto sopra avevamo da distribuire 172 quote della nostra associazione e 80 provenienti da Bari. Per evitare un affollamento insostenibile, sono state fatte due consegne a distanza di un’ora e mezza dall’altra.
Questa assemblea si e’ tenuta a ridosso di una data tristemente simbolica: una settimana  dopo, il 24 marzo, cadeva l’ottavo anniversario dell’inizio dei bombardamenti NATO sulla Serbia.
Nonostante questo ricordo, che era presente in tutti, l’assemblea e’ stata come al solito festosa, ed abbiamo riempito cinque valigie ed alcune casse con i regali da consegnare in Italia.

(FOTO: Alcuni momenti dell’assemblea di consegna quote affidi)

Il pomeriggio abbiamo vistato due famiglie con figli in affido, dalle quali non eravamo mai stati.
Infine la sera Paolo ed io, in compagnia di Oliviero, abbiamo steso un resoconto degli incontri avuti sul terreno della sanita’, per non dimenticare nessun dettaglio.
Domenica alle 9 siamo ripartiti per Trieste, senza fermarci come al solito a Belgrado.
In uscita dalla Croazia, per la prima volta dopo moltissimi viaggi, un doganiere con l’aria truce ha voluto frugare tra i bagagli; per fortuna ce la siamo cavata solo con parole pesanti, senza multe o peggio sequestri per tutta la rakja ricevuta in regalo: a fronte di  nove bottiglie come limite massimo ne avevamo circa cinquanta...
Siamo arrivati a Trieste senza altri problemi la sera verso le 19.


7 - I progetti in corso e di possibile realizzazione

Ormai da tre anni e’ stata presa la decisione di realizzare progetti che vadano incontro a reali bisogni sociali esistenti in citta’, unendo eventualmente i nostri sforzi a quelli di altre associazioni. Si conferma la collaborazione con l’associazione Zastava Brescia e con la Cooperazione odontoiatrica Internazionale (COI); si e’ aggiunta nel 2006 l’associazione ABC, Solidarieta’ e Pace di Roma, che ha inviato un ulteriore generoso contributo a febbraio 2007, dopo quello dello scorso anno.
Da questo viaggio possiamo contare anche sulla collaborazione della associazione Fabio Sormanni di Milano, con la quale due anni fa avevamo realizzato la sala ristoro per gli studenti della Scuola Tecnica di Kragujevac.
Questi sono gli indirizzi dei siti delle associazioni:
Da sottolineare inoltre che la Misericordia della Bassa Friulana ed il Comune di San Giorgio di Nogaro hanno promesso ulteriori contributi, dopo quelli dello scorso anno.

A) Collaborazioni con il Comune di Kragujevac: centro di aggregazione giovanile a Zdaljica ed una nuova proposta, una vera sorpresa!

A dicembre scorso l’assessore Slavica Saveljic ci aveva proposto di prendere in carico un grande locale (circa 150 metri quadrati) di proprieta’ pubblica, posto al centro di un quartiere operaio sito alle spalle della Zastava auto. Ne avevamo discusso a lungo con l’associazione di Brescia a preso poi la decisione di accettare la proposta per realizzare un centro in cui fosse presente una biblioteca, una sala informatica con collegamenti internet, una videoteca con proiettore, in modo da dare ai ragazzi del quartiere la possibilita’ di vari strumenti culturali che li aprano almeno virtualemente al mondo. 
Abbiamo ricevuto a gennaio scorso un ben articolato preventivo di spesa per quanto riguarda i primi lavori da effettuare:
costruzione di un bagno
costruzione di una piccola cucina
rifacimento pavimento
rifacimento impianto elettrico
costruzione pareti mobili e imbiancatura
grate di protezione per le finestre e per la porta di ingresso
per complessivi 447.000 dinari (circa 5600 euro)
Abbiamo firmato il protocollo d’accordo per questa realizzazione e consegnato il 70% del denaro necessario (4000 euro). La cifra restante (1600 euro) sara’ consegnato all’inizio di giugno dalla Associazione Zastava Brescia durante il loro prossimo viaggio. A questo progetto partecipano anche ABC e la associazione Sormanni.

(FOTO:
Esterno dell'edificio per il nuovo   Interno, vista parziale         Firma del protocollo di accordo, 
centro di aggregazione giovanile         alla mia sinistra l’assessore Saveljic )


Ed ora la sorpresa.



"The program the US State Department prescribed to rid Zimbabwe of Mugabe and his land reform politics had been used successfully to oust Yugoslavia’s president Slobodan Milosevic in 2000. The basis of the program is to pressure the civilian population through a program of bombing, sanctions or military threat, in order to galvanize the population to rise up against its government..."




By Stephen Gowans


Ever since veterans of the guerrilla war against apartheid Rhodesia violently seized white-owned farms in Zimbabwe, the country’s president, Robert Mugabe, has been demonized by politicians, human rights organizations and the media in the West. His crimes, according to right-wing sources, are numerous: human rights abuses, election rigging, repression of political opponents, corruption, and mismanagement of the economy. Leftist detractors say Mugabe talks left and walks right, and that his anti-imperialist rhetoric is pure demagogy.

I’m going to argue that the basis for Mugabe’s demonization is the desire of Western powers to change the economic and land redistribution policies Mugabe’s government has pursued; that his lapses from liberal democratic rectitude are, in themselves, of little moment to decision makers in Washington and London; and that the ultimate aim of regime change is to replace Mugabe with someone who can be counted on to reliably look after Western interests, and particularly British investments, in Zimbabwe.

I am also going to argue that the Zanu-PF government’s abridgment of formal liberties (including freedom of assembly and freedom to travel outside the country) are warranted restraints, justified by the need to protect the political program of the elected government from hostile outside interference. In making this argument I am challenging a widely held, and often unexamined, view that civil and political liberties are senior to all other liberties, including rights related to economic sovereignty and freedom from oppression and exploitation.

Before 1980 Zimbabwe was a white-supremacist British colony named after the British financier Cecil Rhodes, whose company, the British South Africa Company, stole the land from the indigenous Matabele and Mashona people in the 1890s. British soldiers, who laid claim to the land by force of arms on behalf of Rhodes, were each rewarded with nine square miles of territory. The Matabele and Mashona — those who weren’t killed in the British land grab — were rewarded with dispossession, grinding poverty, misery and subjugation. By the turn of this century, in a country of 13 million, almost 70 percent of the country’s arable agricultural land was owned by some 4,500 mostly white farmers, many descendant from the original British settlers.

After a long campaign for national liberation, independence talks were held in 1979. Talks almost broke down over the land question, but Washington and London, eager for a settlement, agreed to ante up and provide financial support for a comprehensive land reform program. This, however, was to be short-lived. Britain found a way to wriggle out of its commitment, blocking the march toward the national liberation struggle’s principal goal.
George Shire’s grandfather Mhepo Mavakire used to farm land in Zimbabwe, before it was handed to a white man after the Second World War. Shire argues that “The unequal distribution of land in Zimbabwe was one of the major factors that inspired the rural-based liberation war against white rule and has been a source of continual popular agitation ever since.” (1)

“The government,” says Shire, “struggled to find a consensual way to transfer land,” but with inadequate funds and insufficient assistance from London, land reform made little headway. (2) Frustrated, and under pressure from war veterans who had grown tired of waiting for the land reform they’d fought for, Mugabe embarked on a course that would lead him headlong into collision with Western governments. He passed legislation enabling the government to seize nearly 1,500 farms owned by white Zimbabweans, without compensation. As Zimbabwe’s Foreign Affairs Minister from 1995 to 2005, Stan Mudenge put it, at that point “all hell broke loose.” (3) Having held free and fair elections on time, and having won them, Mugabe now became an international pariah. Overnight, he was transformed into a dictator, a stealer of elections and a thug.

Displeased with Mugabe’s fast track land reform program and irritated by other economic policies the Mugabe government was pursuing, the EU concluded that Mugabe would have to go, and that he would have to be forced out by civil society, the union movement or NGO’s, uprisings in the street, or a military coup. On 24 January, 1999, a meeting was convened at the Royal Institute of International Affairs to discuss the EU’s conclusion. The theme of the meeting, led by Richard Dowden, now the executive director of the pro-imperialist Royal African Society, was “Zimbabwe - Time for Mugabe to Go?” Mugabe’s “confiscating” of white-held land compelled an unequivocal yes to the conference’s rhetorical question. Dowden presented four options:

1) a military coup;

2) buying the opposition;

3) insurrection;

4) subverting Mugabe’s ZANU-PF party.

A few months later, Washington weighed in. The US State Department held a seminar to discuss a strategy for dealing with the “Zimbabwe crisis.” Civil society and the opposition would be strengthened to foment discontent and dissent. The opposition would be brought together under a single banner to enhance its chances of success at the polls and funding would be funnelled to the opposition through Western backed NGO’s. Dissident groups could be strengthened and encouraged to take to the streets. (4)


The Milosevic Treatment

The program the US State Department prescribed to rid Zimbabwe of Mugabe and his land reform politics had been used successfully to oust Yugoslavia’s president Slobodan Milosevic in 2000. The basis of the program is to pressure the civilian population through a program of bombing, sanctions or military threat, in order to galvanize the population to rise up against its government, the proximal cause of its discomfort. (In Zimbabwe, the hoped for response is: If only Mugabe hadn’t antagonized the West, we wouldn’t be under this pressure.) This was illustrated by US Air Force General, Michael Short, who explained the purpose of the NATO’s 1999 bombing campaign against Yugoslavia was to create disaffection with Milosevic. “If you wake up in the morning,” explained Short, “and you have no power to your house and no gas to your stove and the bridge you take to work is down and will be lying in the Danube for the next 20 years, I think you begin to ask, ‘Hey, Slobo, what’s this all about? How much more of this do we have to withstand?’” (5)

Paired with outside pressure is the enlistment of a political opposition and grassroots movement to discipline and organize the population’s disaffection so that it’s channelled in the direction of forcing the government to step down. Western powers create the pain, and inject a fifth column of “democracy” activists and a “democratic” opposition to offer the removal of the current government as the cure. In the end, the people administer the cure themselves. Because the Milosevic treatment is typically deployed against the leaders of revolutionary societies (though the revolution may have happened some time ago), the opposition can be thought of as a counter-revolutionary vanguard. The vanguard has two components: a formal political opposition, whose job it is to contest elections and cry foul when it doesn’t win, and an underground grassroots movement, mandated to carry out extra-parliamentary agitation and to take to the streets in planned “spontaneous” uprisings, using allegations of electoral fraud as a pretext for pursuing insurrectionary politics.

In Yugoslavia, the underground movement, known as Otpor, was established, funded, trained and organized by the US State Department, USAID, the US Congress-funded National Endowment for Democracy (which is said to do overtly what the CIA used to do covertly) and through various NGO’s like Freedom House, whose board of directors has included a rogues’ gallery of US ruling class activists: Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Otto Reich, Jeane Kirkpatrick, Zbigniew Brzezinski and Steve Forbes.

Otpor has been the inspiration for similar groups elsewhere: Zubr in Belarus, Khmara in Georgia, Pora in the Ukraine. Otpor’s Zimbabwean progeny include Zvakwana, “an underground movement that aims to …. undermine” the Mugabe government and Sokwanele, whose “members specialize in anonymous acts of civil disobedience.” (6) Both groups receive generous financing from Western sources. (7) While the original, Otpor, was largely a youth-oriented anarchist-leaning movement, at least one member of Sokwanele is “A conservative white businessman expressing a passion for freedom, tradition, polite manners and the British Royals.” (8)

Members of Zvakwana say their movement is homegrown and free of foreign control. (9) It may be homegrown, and its operatives may sincerely believe they chart their own course, but the group is almost certainly not free of foreign funding. The US Zimbabwe Democracy and Economic Recovery Act, signed into law by US President George W. Bush in December 2001, empowers the president under the US Foreign Assistance Act of 1961 to “support democratic institutions, the free press and independent media” in Zimbabwe. It’s doubtful Zvakwana has not been showered with Washington’s largesse.

Zvakwana’s denial that it’s under foreign control doesn’t amount to a denial of foreign funding. Movements, political parties and media elsewhere have knowingly accepted funding from Western governments, their agencies and pro-imperialist foundations, while proclaiming their complete independence. (10) Members of these groups may genuinely believe they remain aloof from their backer’s aims (and in the West it is often the very groups that claim not to take sides that are the favored recipients of this lucre), but self-deception is an insidious thing – and the promise of oodles of cash is hard to resist.

There’s no doubt Zvakwana is well-financed. It distributes flashy stickers, condoms bearing the movement’s Z logo, phone cards, audiotapes and packages of seeds bearing anti-Mugabe messages, en masse. These things don’t come cheap. What’s more, its operatives study “videotapes on resistance movements in Poland, Chile, India and Serbia, as well as studying civil rights tactics used in Nashville.” (11) This betrays a level of funding and organization that goes well beyond what the meager self-financing of true grassroots movements — even in the far more affluent West – are able to scrape together.

If Zvakwana denies its links to the US, other elements of the Western-backed anti-Mugabe apparatus are less secretive. Studio 7, an anti-ZANU-PF radio program carries programming by the Voice of America, an agency whose existence can hardly be said to be independent of promoting the aims of US capital around the world. The radio station SW Radio Africa, the self-styled “independent voice of Zimbabwe,” broadcasts from the UK by short-wave radio. It may call itself independent, but the broadcaster is as independent as the British Foreign Office is, which, one suspects, is one of the principal backers of the “international pro-democracy groups” that fill the station’s coffers with the cash that allow it to operate. (12) The radio station’s website evinces a fondness for British Prime Minister Tony Blair’s take on Zimbabwe, which happens to be more or less equivalent to that of the formal political opposition in Zimbabwe, which also happens to be more or less equivalent to that of foreign investors, banks, and shareholders. That the station operates out of studios in London — and it seems, if it had its druthers, would not only put an end to Harare’s crackdown on foreign meddling in Zimbabwe’s internal affairs, but see to it that policies friendly to the rent, profits and interest of foreign owners and investors were allowed to flourish — should leave little doubt as to who’s behind the “international pro-democracy groups” that have put SW Radio Africa on the air.

In late March 2007, Richard from SW Radio Africa contacted me by e-mail to find out if I had been hired by the Mugabe government to write an article that appeared on the Counterpunch website, titled What’s Really Going On in Zimbabwe? (13)

Stephen,

Do you promise (cross your heart) that you received no money from Zimbabwe’s Ministry of Information (or any group acting on their behalf) to write this piece?

The rhetoric does sound awfully familiar.

Richard

Richard,

From your e-mail address I take it you work for UK-based SW Radio Africa, which broadcasts Studio 7, the Zimbabwe program of the Voice of America, funded by the US government.

I don’t receive money, support, assistance — not even foot massages — from anyone in Zimbabwe, the Zimbabwean government or any of its agents or representatives.

Now, do you promise (cross your heart) that you receive no money from the US or British governments or from the US Ministry of Truth, viz., the Voice of America, (or any group acting on their behalf)?

Your rhetoric sounds awfully familiar.

Steve

Richard replied with assurances that “We are, in truth, totally independent, sponsored by a variety of groups that support democracy and freedom of expression,” but didn’t explain how Radio SW Africa could be “totally independent” and at the same time dependent on its sponsors. When I asked who the station’s sponsors were, he declined to tell me.

An equally important component of the counter-revolutionary vanguard is the formal political opposition. This to be comprised of a single party which unites all the opposition parties under a single banner, to maximize the strength of the formal political forces arrayed against the government, and therefore to increase the probability of the anti-government forces making a respectable showing at the polls. The united opposition is to have one goal: deposing the government. In order that it is invested with moral gravitas, its name must emphasize the word “democracy.” In Serbia, the anti-Milosevic opposition united under the banner, the Democratic Opposition of Serbia. In Zimbabwe, the opposition calls itself the Movement for Democratic Change. This serves the additional function of calling the government’s commitment to democracy into question. If the opposition is “the democratic opposition” then what must the government be? The answer, of course, is undemocratic.

Integral to the Milosevic treatment is accusing the government of electoral fraud to justify a transition from electoral to insurrectionary politics. The accusations build and build as the day of the vote approaches, until, by sheer repetition, they are accepted as a matter of indisputable truth. This has a heads I win, tails you lose character. If the opposition loses the election, the vote is confirmed to be illegitimate, as all the pre-election warnings predicted it would be, unleashing a torrent of people onto the streets to demand the government step down. If the opposition wins the election, the accusations are forgotten.

The US, the European Union and international human rights organizations denounced the last election in Zimbabwe as tilted in favour of the governing party. The evidence for this was that the state controls the state-owned media, the military, the police and the electoral mechanisms. Since the state of every country controls the military, the police and the electoral mechanisms, and the state-owned media if it has one, this implies elections in all countries are titled in favour of the governing party, a manifestly absurd point of view.

So far the Milosevic treatment has failed to achieve its desired end in Zimbabwe. One of the reasons why is that the formal political opposition has failed to execute the plan to a tee. The lapse centers around what is know as Plan B. The Los Angeles Times describes Plan B this way: “Insiders are asking what happened to the opposition’s ‘Plan B’ that they had designed to put into operation the day after the March (2005) elections. The plan called for (the MDC leader, Morgan) Tsvangirai to claim a confident victory, with masses of his jubilant supporters flooding the streets for a spontaneous victory party — banking on the idea that with observers from neighbouring African countries and the international media present, Mugabe’s security forces would hesitate to unleash violence.” (14) (Note the reference to the planned “spontaneous” victory party.) That Plan B wasn’t executed may be the reason Tsvangirai is no longer in control of a unified MDC, and is vying with Arthur Mutambara, an Oxford educated robotics engineer who worked as a management consultant, to lead the opposition.


Countering the Milosevic Treatment

The problem, from the perspective of the US State Department planners who formulated the Milosevic treatment, is that if you do it too often, the next victim becomes wise to what you’re up to, and can manoeuvre to stop it. With successes in Yugoslavia, Georgia and Ukraine, but failure so far in Belarus, the element of surprise is lost, and the blatancy of what the US government is up to becomes counter-productive. So obvious has the Milosevic treatment become, US government officials now express surprise when the leaders they’ve targeted for regime change put up with it. (15)

Mugabe, however, hasn’t put up with it, and has imposed a number of restrictions on civil liberties to thwart destabilization efforts. One measure is to ban NGOs that act as instruments of US or British foreign policy. NGOs that want to operate in Zimbabwe cannot receive foreign funding and must disclose their sources of financial support. This stops Washington and Britain from working within the country, through proxy, to meddle in the country’s internal affairs. For the same reason, legislation was put forward in Russia in 2005 to require the 450,000 NGOs operating there to re-register with the state, to prevent foreign-funded political activity. The legislation’s sponsors characterized “internationally financed NGOs as a ‘fifth column’ doing the bidding of foreigners.” (16)

In a similar vein, foreign journalists whose reporting appears to be motivated by the goal of promoting the foreign policy objectives of hostile nations, like the US and UK, are banned. CNN reporters are prohibited from reporting from Zimbabwe because the government regards them, with justification, as a tool of US foreign policy. What reasonable person of an unprejudiced mind would dispute CNN’s chauvinism? Given that one of the objects of US foreign policy is to intervene in Zimbabwe’s affairs to change the government, the ban is a warranted restraint on press freedom.

Limitations on press freedom are not unique to Zimbabwe, although those imposed by Mugabe are a good deal more justifiable than those imposed by the West. In the wake of the March 2006 re-election of Belarus president Aleksandr Lukashenko, the US planned to sanction 14 Belarus journalists it labelled “key figures in the propaganda, distortion of facts and attacks on the democracies (i.e., the US and Britain) and their representatives in Belarus.” (17) In 1999, NATO bombed the Serb Radio-TV building, because it said Serb Radio-TV was broadcasting propaganda.

Laws “sharply curbing freedoms of the press and public assembly, citing national security” were enacted during the 2002 elections. (18) Mugabe justified the restrictions as necessary to counter Western plans to re-impose domination of Zimbabwe. “They want our gold, our platinum, our land,” he argues. “These are ours forever. I will stand and fight for our rights of sovereignty. We fought for our country to be free. These resources will remain ours forever. Let this be understood to those in London.” (19)

Mugabe’s warning about the danger of re-colonization “underpins the crackdown on the nation’s most formidable independent forces, pro-democracy groups and the Movement for Democratic Change, both of which have broad Western support, and, often, financing,” as the New York Times put it. (20) (Note the reference to the opposition being independent even though it’s dependent on broad Western support and financing.)

This “fortress-Zimbabwe strategy has been strikingly effective. According to a poll of 1,200 Zimbabweans published in August (2004) by South African and American researchers, the level of public trust in Mr. Mugabe’s leadership has more than doubled since 1999, to 46 percent – even as the economy has fallen into ruin…and anger over economic and living conditions is pervasive.” (21)

Mugabe, his detractors allege, secures his support by focusing the public’s anger on outside forces to keep the public from focusing its anger on him (the same argument the US government and anti-Castro forces have been making about Castro for years.) If this is true, the groundswell of opposition to Mugabe’s government that we’re led to believe threatens to topple Mugabe from power any moment, doesn’t exist; it’s directed at outside forces. Consistent with this is the reality that the US-based Save Zimbabwe Campaign “does not…have widespread grassroots support.” (22)

Implicit in the argument that Mugabe uses anti-imperialist rhetoric to stay in power is the view that (a) outside forces aren’t responsible for the country’s deep economic crisis and that (b) Mugabe is. This is the view of US ambassador to Zimbabwe Christopher Dell, and many of Mugabe’s leftist detractors. “Neither drought nor sanctions are at the root of Zimbabwe’s decline. The Zimbabwe government’s own gross mismanagement of the economy and corrupt rule has brought on the crisis.” (23)

Yet, in a country whose economy is mainly based on agriculture, the idea that drought hasn’t caused serious economic trouble, is absurd. Drought is a regional phenomenon, whittling away at populations in Mali, Ethiopia, Malawi, Mauritania, Eritrea, southern Sudan and Zimbabwe. Land redistribution hasn’t destroyed agriculture in Zimbabwe; it has destroyed white commercial, cash-crop farming, which is centred on the production of tobacco for export.

Equally absurd is the notion that sanctions are economically neutral. Sanctions imposed by the US, EU and other countries deny Zimbabwe international economic and humanitarian assistance and disrupt trade and investment flows. Surgical or targeted sanctions are like surgical or targeted bombing: not as surgical as their champions allege and the cause of a good deal of collateral damage and suffering.

Left critics of Mugabe ape the argument of the US ambassador, adding that Mugabe’s anti-imperialist and leftist rhetoric is, in truth, insincere. He is actually right-wing and reactionary — a master at talking left while walking right. (24) But if Mugabe is really the crypto-reactionary, secret pro-imperialist some people say he is, why are the openly reactionary, pro-imperialists in Washington and London so agitated?

Finally, if Mugabe uses outside interference as an excuse to keep tight control, why not stop interfering and deny him the excuse?

Mugabe’s government also denies passports to any person believed to be travelling abroad to campaign for sanctions against Zimbabwe, or military intervention in Zimbabwe. The justification for this is the opposition’s fondness for inviting its backers in Washington and London to ratchet up punitive measures against the country.

No country has ever provided unqualified public advocacy rights, rights of association, and freedom of travel, for all people, at all times. Always there has been the idea of warranted restraint. And the conditions under which warranted restraint have been imposed are conditions in which the state is threatened. There’s no question the ZANU-PF government, and the movement for national liberation it champions, is under threat.

Archbishop Pius Ncube tells a gathering that “we must be ready to stand, even in front of blazing guns, that “this dictatorship must be brought down right now, and that “if we can get 30,000 people together Mugabe will just come down. I am ready to lead it.” (25) Arthur Mutambara boasts that he is “going to remove Robert Mugabe, I promise you, with every tool at my disposal” and that he’s not “going to rule out or in anything – the sky’s the limit.” (26) If I declared an intention to remove Tony Blair with every tool at my disposal, that no tool was ruled out, and I did so with the backing of hostile foreign powers, it wouldn’t be long before the police paid me a visit.


Why the West wants Mugabe gone

It’s not Mugabe per se that Washington and London and white commercial farmers in Zimbabwe want to overthrow. It’s his policies they want to be rid of, and they want to replace his policies with their own, very different, policies. There are at least five reasons why Washington and London want to oust Mugabe, none of which have anything to do with human rights.

The first reason to chase Mugabe from power is that in the late 90’s his government abandoned IMF-mandated structural adjustment programs – programs of bleeding people dry to pay interest on international debt. These are policies of currency devaluation, severe social program cuts – anything to free up money to pay down debt, no matter what the human consequences.

The second is that Mugabe sent troops to the Democratic Republic of Congo to bolster the Kabila government. This interfered with Western designs in the region.

The third is that many of Mugabe’s economic policies are not congenial to the current neo-liberal orthodoxy. For example, Mugabe recently announced the nationalization of a diamond mine, which seems to be, in the current climate, an anachronism. If you nationalize anything these days, you’re called radical and out of date. The MDC – which promotes the neo-liberal tyranny — wants to privatize everything. It is for this reason that Mugabe talks about the opposition wanting to sell off Zimbabwe’s resources. The state continues to operate state-owned enterprises. And the government imposes performance requirements on foreign investors. For example, you may be required to invest part of your profits in government bonds. Or you may be required to take on a local partner. Foreign investors, or governments that represent them, bristle at these conditions.

The fourth is that British companies dominate the Zimbabwean economy and the British government would like to protect the investments of British banks, investors and corporations. If you read the British press you’ll find a fixation on Zimbabwe, one you won’t find elsewhere. Why does Britain take such a keen interest in the internal affairs of Zimbabwe? The usual answer is that Britain has an especial interest in Zimbabwe because it is the country’s former colonial master, but why should Britain’s former colonial domination of Zimbabwe heighten its interest in the country? The answer is that colonization paved the way for an economic domination of the country by British corporations, investors and banks – and the domination carries on as a legacy of Britain’s former colonial rule. If you’re part of the British ruling class or one of its representatives, what you want in a country in which you have enormous investments is a trustworthy local ruler who will look after them. Mutambara, who was educated in Britain and lived there, and has absorbed the imperialist point of view, is, from the perspective of the British ruling class, far more attractive than Mugabe as a steward of its interests.

Finally, Western powers would like to see Mugabe replaced by a trustworthy steward who will abandon the fast track land reform program, which apart from violating sacrosanct principles of the capitalist church, if allowed to thrive, becomes a model to inspire the indigenous rural populations of neighbouring countries. Governments in Canada, Australia, and New Zealand also look askance at Mugabe’s land reform policy, and wish to see it overturned, for fear it will inspire their own aboriginal populations.

Mugabe’s government accelerated its land redistribution program in the late 90s, breaking with the completely unworkable, willing buyer, willing seller policy that only allowed the government to redistribute the country’s arable land after the descendants of the former colonial settlers, absentee landlords and some members of the British House of Lords were done using it, and therefore willing to sell. Britain, which had pledged financial assistance to its former colony to help buy the land, reneged, leaving Harare without the means to expropriate with compensation the vast farms dominated by the tiny minority of white descendants of British colonists.

“Zimbabwe finally abandoned the ‘willing buyer, willing seller’ formula in 1997. The formula was crippled from the start by parsimonious British funding, and it was a clear that the program’s modest goals were more than Great Britain was willing to countenance. In a letter to the Zimbabwean Minister of Agriculture in November of that year, British Secretary of State for International Development Clare Short wrote, ‘I should make it clear that we do not accept that Britain has a special responsibility to meet the costs of land purchase in Zimbabwe.’ Referring to earlier British assistance funding, Short curtly stated, ‘I am told that there were discussions in 1989 and 1996 to explore the possibility of further assistance. However that is all in the past.’ Short complained of ‘unresolved’ issues, such as ‘the way in which land would be acquired and compensation paid – clearly it would not help the poor of Zimbabwe if it was done in a way which undermined investor confidence.’ Short was concerned about the interests of corporate investors, then. In closing, Short wrote that ‘a program of rapid land acquisition as you now seem to envisage would be impossible for us to support,’ as it would damage the ‘prospects for attracting investment’” (27)

It was only after Mugabe embarked on this accelerated land reform program that Washington and London initiated their campaign of regime change, pressuring Mugabe’s government with sanctions, expulsion from the Commonwealth, assistance to the opposition, and the usual Manichean demonization of the target government and angelization of the Western backed opposition.

The MDC, by comparison, favours a return to the unworkable willing seller, willing buyer regimen. The policy is unworkable because Harare hasn’t the money to buy the farms, Britain is no longer willing to finance the program, and even if the money were available, the owners have to agree to sell their farms before the land can be redistributed. Land reform under this program will necessarily proceed at a snail’s pace. The national liberation movement always balked at the idea of having to buy land that had been stolen from the indigenous population. It’s like someone stealing your car, and when you demand it back, being told you’re going to have to buy it back, and only when the thief is willing to sell.


Conclusion

One thing opponents and supporters of Mugabe’s government agree on is that the opposition is trying to oust the president (illegally and unconstitutionally if you acknowledge the plan isn’t limited to victory at the polls.) So which came first? Attempts to overthrow Zimbabwe’s ZANU-PF government, or the government’s harsh crackdown on opposition?

According to the Western media spin, the answer is the government’s harsh crackdown on opposition. Mugabe’s government is accused of being inherently authoritarian, greedy for power for power’s sake, and willing do anything – from stealing elections to cracking skulls — to hang on to its privileged position. This is the typical slander levelled at the heads of governments the US and UK have trouble with, from Milosevic in his day, to Kim Jong Il, to Castro.

Another view is that the government’s authoritarianism is an inevitable reaction to circumstances that are unfavorable to the attainment of its political (not its leaders’ personal) goals. Mugabe’s government came to power at the head of a movement that not only sought political independence, but aspired to reverse the historical theft of land by white settlers. That the opposition would be fierce and merciless – has been so – was inevitable. Reaction to the opposition, if the government and its anti-colonial agenda were to survive, would need to be equally fierce and merciless.

At the core of the conflict is a clash of right against right: the right of white settlers to enjoy whatever benefits stolen land yields in profits and rent against the right of the original owners to reclaim their land. Allied to this is a broader struggle for economic independence, which sets the rights of investors and corporations abroad to profit from untrammelled access to Zimbabwe’s labor, land and resources and the right of Zimbabweans to restrict access on their own terms to facilitate their own economic development.

The dichotomy of personal versus political motivation as the basis for the actions of maligned governments recurs in debates over whether this or that leader or movement ought to be supported or reviled. The personal view says that all leaders are corrupt, chase after personal glory, power and wealth, and dishonestly manipulate the people they profess to champion. The political view doesn’t deny the personal view as a possibility, but holds that the behavior of leaders is constrained by political goals.

“Even George Bush who rigs elections and manipulates news in order to stay in office and who clearly enjoys being ‘the War President,’ wants the presidency in order to carry out a particular program with messianic fervor,” points out Richard Levins. “He would never protect the environment, provide healthcare, guarantee universal free education, or separate church and state, just to stay in office.” (28)

Mugabe is sometimes criticized for being pushed into accelerating land reform by a restive population impatient with the glacial pace of redistribution allowed under the Lancaster House agreement. His detractors allege, implausibly, that he has no real commitment to land reforms. This intersects with Patrick Bond’s view. According to Bond, “Mugabe talks radical — especially nationalist and anti-imperialist—(to hang on to power) but acts reactionary.” He only does what’s necessary to preserve his rule.

If we accept this as true, then we’re saying that the behavior of the government is constrained by one of the original goals of the liberation movement (land reform) and that the personal view is irrelevant. No matter what the motivations of the government’s leaders, the course the government follows is conditioned by the goals of the larger movement of national liberation.

There’s no question Mugabe reacted harshly to recent provocations by factions of the MDC, or that his government was deliberately provoked. But the germane question isn’t whether beating Morgan Tsvangirai over the head was too much, but whether the ban on political rallies in Harare, which the opposition deliberately violated, is justified. That depends on whose side you’re on, and whether you think Tsvangirai and his associates are earnest citizens trying to freely express their views or are proxies for imperialist governments bent on establishing (restoring in Britain’s case) hegemony over Zimbabwe.

There’s no question either that Mugabe’s government is in a precarious position. The economy is in a shambles, due in part to drought, to the disruptions caused by land reform, and to sanctions. White farmers want Mugabe gone (to slow land redistribution, or to stop it altogether), London and Washington want him gone (to ensure neo-liberal “reforms” are implemented), and it’s likely that some members of his own party also want him to step down.

On top of acting to sabotage Zimbabwe economically through sanctions, London and Washington have been funnelling financial, diplomatic and organizational assistance to groups and individuals who are committed to bringing about a color revolution (i.e., extra-constitutional regime change) in Zimbabwe. That includes Tsvangirai and the MDC factions, among others.

For the Mugabe government, the options are two-fold: Capitulate (and surrender any chance of maintaining what independence Zimbabwe has managed to secure at considerable cost) or fight back. Some people might deplore the methods used, but considering the actions and objectives of the opposition – and what’s at stake – the crackdown has been both measured and necessary.


1. The Guardian (January 24, 2002)
2. Ibid.
3. Zimbabwe’s Land Reform Programme (The Reversal of Colonial Land Occupation and Domination): Its Impact on the country’s regional and international relations. Paper presented by Dr I.S.G. Mudenge, Zimbabwe Minister of Foreign Affairs, to the Conference ‘The Struggle Continues’, held in Harare, 18-22 April 2004.
4. http://www.zimfa.gov.zw/speeches/minister/min014.htm
5. Globe and Mail (May 26, 1999)
6. “Grass-Roots Effort Aims to Upend Mugabe in Zimbabwe,” The New York Times, (March 28, 2005)
7. Los Angeles Times (July 8, 2005)
8. Ibid.
9. New York Times (March 27, 2005)
10. See Frances Stonor Saunders, “The Cultural Cold War: The CIA and the World of Arts and Letters,” New Press, April 2000; and “The Economics and Politics or the World Social Forum,” Aspects of India’s Economy, No. 35, September 2003, http://www.rupe-india.org/35/contents.html
11. New York Times (March 27, 2005)
12. Globe and Mail (March 26, 2005)
13. “What’s Really Going on in Zimbabwe? Mugabe Gets the Milosevic Treatment,” Counterpunch.com. March 23, 2007, http://www.counterpunch.org/gowans03232007.html
14. Los Angeles Times (July 8, 2005)
15. New York Times, (December 4, 2005)
16. Washington Post (November 18, 2005)
17. New York Times (March 29, 2006)
18. New York Times (December 24, 2004)
19. Globe and Mail (March 23, 2007)
20. New York Times (December 24, 2004)
21. Ibid.
22. Globe and Mail (March 22, 2007)
23. The Herald (November 7, 2005)
24. Patrick Bond, “Mugabe: Talks Radical, Acts Like a Reactionary: Zimbabwe’s Descent,” Counterpunch.com, March 27, 2007, http://www.counterpunch.org/bond03272007.html
25. Globe and Mail (March 23, 2007)
26. Times Online (March 5, 2006)
27. Gregory Elich, “Zimbabwe’s Fight for Justice,” Center for Research on Globalisation, May 6, 2005, globalresearch.ca/articles/ELI505A.html
28. “Progressive Cuba Bashing,” Socialism and Democracy, Vol. 19, No. 1, March 2005.




Ce texte en langue française: 
Sous l'égide de l'ancien Reich

Dieser Tekst auf deutscher Sprache:
Unter der Führung des Reiches 


INTERVIJU 

Prof Annie Lacroix Riz

»Pod vodstvom njemačkog Rajha« 

O počecima takozvanog evropskog ujedinjenja german-foreign-policy.com je 22.03.2007. godine u Parizu razgovarao sa Prof. Annie Lacroix-Riz. Gospodja Lacroix-Riz je profesorica istorije na pariskom univerzitetu VII.

german-foreign-policy.com: Povodom proslave 50-godisnjice osnivanja EU  njemačko ministarstvo vanjskih poslova govori o »nevjerovatnom uspjehu« ovog saveza. Francuska je pokusavala jos u vrijeme Predsjednika de Gaulle-a (de Gol) provesti ujedinjenje Evrope, ali su, kako je rečeno, »nepoznati« razlozi to spriječili...

Prof. Annie Lacroix-Riz: To je svakako »nevjerovatan uspjeh«, jer ujedinjenje Evrope, ka čemu se dvije ili tri godine nakon drugog svjetskog rata otvoreno krenulo (ideja potiče, zapravo, jos iz vremena nakon zavrsetka prvog svjetskog rata) sa ciljem potpuno slobodnog protoka kapitala i rigorozne politike deflacije ličnih dohodaka, tako da su ova dva osnovna cilja – u stvari jedina za koje su predstavnici kapitalističke i finansijske moci Francuske, Njemačke i ostalih zemalja tog dijela Evrope stvarno imali interesa, sto oni od 1948/49 privatno bez prikrivanja i priznaju – su u potpunosti ostvareni. Na taj način bi zaustavljanje rasta plata (suprotnost slobodi profita) bilo jos djelotvornije, jer to ne bi bilo ostvarivano samo od strane poslodavaca svake drzave pojedinačno, posto su oni obavezno izlozeni direktnom pritisku sopstvenog naroda. Zajednička politika protiv povečanja plata bila bi provodjena od nekoliko takvih drzava, i to tako da bi svaka zemlja sa manjim (prosjecnim) ličnim dohotkom stavljala pod pritisak one zemlje koje imaju bolje organizovanu i borbeniju, dakle, odlučniju radničku klasu. Iz toga, dakle, proizilazi »socijalna Evropa« - tema kojom se redovno zagovara narod koji vec pripada EU. Objasnjeno je da ce ono »socijalno« (dobre plate) doci poslije, bolje rečeno, to je jos jedino sto »evropskoj« industriji nedostaje, ali ce svakako biti dostignuto. Narodima istočnoevropskih zemalja, koji su nedavno pristupili EU, na početku je praktično obecano da ce po pristupanju svakoga čekati jedan mercedes. Kada su bili primljeni u EU i njima je servirana vec prije spomenuta argumentacija o buducoj »socijalnoj Evropi«.
Prije svega za Njemacku je to bio »nevjerovatan uspjeh« narocito ako se zna da je njemacki ministar vanjskih poslova (50-ih godina) ne bas ljubaznim rijecima cestitao na fijasku francuskih nastojanja da preuzme vodecu ulogu u EU. U stvarnosti je vecina vodecih krugova zapadne Evrope jos prije kraja drugog svjetskog rata znala sta je ne-njemacka elita svom vlastitom narodu presutjela: ovaj projekat bi bio ostvaren pod vodstvom nekadasnjeg njemackog Rajha, koji bi uz podrsku i pod pokroviteljstvom USA obuhvatio granice iz 1937. (ili cak i nakon 1937.) godine. Dobro je kad jedan njemacki ministar sam sebi pred sopstvenim narodom cestita za, navodno, tesko izborenu pobjedu i uspjeh. Isto tako je dobro kad de Gaulle – povukao se 1946. godine sa mjesta predsjednika republike – sopstveni narod uvjeri kako »mi drzimo Rajnu«, iako se bas zbog toga povukao, jer je francuska »njemacka politika« zbog njemacko-americkog saveza bila osudjena na propast i jer on vise nije vjerovao da se moze suprotstaviti tom razvoju dogadjaja. 

gfp.com: Izlaganje (njemackog) ministarstva vanjskih poslova ignorise ulogu koju su odigrale USA u borbi inetersa za preuzimanje privredne i politicke moci. Kada i kako su USA preuzele uticaj na takozvano ujedinjenje Evrope i sta je bio njihov cilj?

Lacroix-Riz: Ciljevi USA u Evropi su bili sazeti u Vilsonovih 14 tacaka: Evropa je trebala biti otvorena za kapital i izvoz iz USA – i to kako kolonije tako i kolonijalne sile. Imperijalna prednost, koju su imale imperijalne sile Evrope, uzimale su povoljne sirovine koje su americkom kapitalu bile prijeko potrebne. USA su radile na ovom cilju jos izmedju dva rata i to s jedne strane prije svega uz pomoc svoje enormne finansijske moci, poslije rata (1918) kao povjerilac englesko-francuske antante, a poslije 1920. godine i kao povjerilac njemackog Rajha, koji je svoje naoruzanje ubrzano finansirao preko vanjskih dugova. S druge strane su u pravcu dostizanja svog cilja USA posebno radile kao investitor (prije svega u Njemackoj). Kao posljedica ekonomske krize tog vremena bilo je, naravno, i negativnih rezultata. Ovo je evropsku konkurenciju navelo na izvjesno distanciranje, kao sto su to prije toga radile USA u vrijeme izrastanja njihovog sopstvenog kapitalizma. Prema misljenju nekih istoricara, kao npr. Gabriela Kolko-a, najtezi udarac kojeg je Vasington dozivio izmedju dva rata bio je donosenje odluke o »imperijalnim prednostima«, koju je u svoju korist donijela Velika Britanija na konferenciji Komonvelta u Otavi 1932. godine. 
Drugi svjetski rat je pobjednickim i znatno bogatijim USA donio odlucujuce prednosti pri stvaranju jednog evropskog bloka, kom su sada one mogle imati slobodan pristup: Velika Britanija je bila visoko zaduzena, kao uostalom i cijela »zapadna Evropa« (to je dovelo do toga da su svi finansijski i privredni uslovi koje su postavile USA bili prihvaceni – zajedno sa kolonijama); konvertibilnost dolara u zlatu i multilateralnost u kojoj Vasington stoji u centru paznje, bili su doneseni na konferenciji u Bretton Woods u julu 1944. godine (isto tako bili su dobri izgledi za preuzimanje kontrole nad carinama i racionalizaciji); od proljeca 1945. godine potpadaju tome i obe »zapadne zone«, najbogatiji dio Njemacke zajedno sa Rurom, koji je bio osnova ratne privrede – sa izgledima na relativno brzo preuzimanje moci nad regijama istocne Evrope koji su jos bili u interesnoj zoni SSSR-a; pored toga su USA preuzimale direktno (AMGOT u Italiji) ili indirektno starateljstvo u zapadnoj interesnoj zoni, cija im se privredna i politicka vodstva nisu mogla suprotstaviti: Kao spasioci drzavne finansijske moci USA su garantovale sigurnost i buducnost eliti, koja je svojim ponasanjem jos od 1930. godine i posebno za vrijeme (njemacke) okupacije bila izkompromitovana. 
SSSR je u svojim projektima »ponovnog uspostavljanja« njemackog Rajha (izgradnje Njemacke) bio zaustavljen; USA su, nakon sto su slomile otpor drugih drzava po pitanju ponovne izgradnje Njemacke u svojoj interesnoj zoni, mogle od dojucerasnjeg neprijatelja stvoriti centar buduce evropske unije: nakon sto je Francuska 1948. godine potpuno odustala od svojih ciljeva u Njemackoj, a njena okupaciona zona bila dodijeljena americko-engleskim zonama, put ka carinskoj uniji, koja je bila pripremljena u Vasingtonu jos za vrijeme rata i u kojoj je Njemacka trebala da preuzme vodecu ulogu, bio je slobodan. 

gfp.com: Koje je ekonomske interese imala Francuska u odnosu na zapadnu Njemacku nakon zavrsetka drugog svjetskog rata? 

Lacroix-Riz: Francuska je bila pobjednica 1918. godine tako da je sama definisala svoju politiku prema Njemackoj, i to politiku Versajskog ugovora, koju, zapravo, i nije sprovodila. Politika Francuske prema Njemackoj 1945. godine – nakon sramnog poraza iz 1940. godine – bila je obiljezena jednom neugodnom realnoscu: granice su, naime, bile napravljene od strane Vasingtona. Francuski politicari su u svojim izlaganjima iznosili zahtjeve za ratne reparacije, ali ovaj cilj, o kom se s ponosom govorilo pred sopstvenim narodom, nije se poklapao sa namjerama engleza (provizornih gospodara u rurskoj oblasti) i amerikanaca. A ovi nisu zeljeli prerano otvarati rurske rudnike uglja (jer su oni bili konkurencija njihovim sopstvenim rudnicima), prodavali su ono malo sto je eksploatisano za dolare, a amerikanci nisu dozvoljavali da stanovnici zapadne Evrope dobiju previse uglja – bio je kvalitetniji i dvostruko jeftiniji od americkog. USA su, zapravo, na evropskom trzistu namjeravale prodavati sopstveni ugalj, kojeg su u poslijeratnom periodu imali previse. Francuskoj su dodatno prepustili tzv. »kosti Sarlanda«, dio koji je bio izbacen iz americke i engleske okupacione zone. Ova provizorna nadleznost je posluzila Bidault-u (Bido-u) da na moskovskoj konferenciji u aprilu i maju 1947. godine raskine sa SSSR-om: ministar vanjskih poslova Francuske je sve predstavio kao protivljenje Staljina da Sarland pripadne Francuskoj, cime se Pariz osjetio prisiljenim da izabere »zapadni« put; on je sopstvenom narodu svjesno presutio da mu anglo-amerikanci nisu htjeli dati ugalj, cak ni kada bi ga placao dolarima. Ova velika laz o, navodnoj, Staljinovoj odgovornosti za raskid javnost je prihvatila, a prava istina nije bila ni spomenuta.
Osim toga, francuska politika je tezila dobijanju na vremenu u cilju sprecavanja ponovnog jacanja moci Njemacke (ukljucujuci i jacanje vojne moci). Ipak, to jacanje je uslijedilo polako ali sigurno nakon sto su englezi i amerikanci proveli Marsalov plan (juni 1947.) i zvanicno prekinuli sa ogranicavanjem proizvodnje (juli 1947.), koja je bila dogovorena na Jalti i u Potsdamu. Godine 1950., odmah nakon govora Roberta Sumana odrzanog 9. maja, u kom je najavljeno osnivanje evropske unije za tesku industriju – navodno »djelo pomirenja« izmedju Francuske i Njemacke, koje je, u stvari, ponovo uspostavilo kartel proizvodnje celika –Konrad Adenauer se pred njemackim narodom mogao okititi uspjehom ukidanja niza zabrana i ogranicenja, koja su bila rezultat ratnog poraza. 

gfp.com: Da li je Francuska vec izgubila bitku za uticajem kada je 1957. godine doslo do osnivanja EU (rimski ugovori)?

Lacroix-Riz: Rezultat borbe za uticajem je od strane vodecih ljudi Francuske bio jos od ljeta 1945. godine prihvacen sa velikom rezignacijom, a to je jedan od razloga, kako sam prije vec navela, zbog kojih je de Gaulle (de Gol) podnio ostavku – on nije htio na sebe preuzeti odgovornost za potpunu nemoc Francuske u Njemackoj. Francuski politicari, koji su ga slijedili, nisu krili svoju ljutnju u privatnim krugovima, a ponekad i pred samim amerikancima: Bidault (Bido) je u ljeto 1947. godine zbog njih bjesnio, ali se i sam pobrinuo za to da njegove zalbe ostanu bez rezultata, jer je prilicno neupadljivo sazvao konferenciju sesnaestorice u Parizu (koja je trasirala put ka danasnjem ujedinjenju Evrope) i sopstvenom narodu obecao »Eldorado« koji ce im donijeti Marsalov plan. SSSR je optuzio da ima zle namjere po pitanju zapadne Evrope i da ne dozvoljava da siromasne i porobljene nacije istocne Evrope (kao sto su Poljska i Cehoslovacka) dobiju ponesto od americkog blaga. 
Ali on nije htio na sebe preuzeti odgovornost za londonsku deklaraciju iz ljeta 1948. godine, kojom je potopljena svaka nada za jacanje francuskog uticaja na politku Njemacke. Njegovu ulogu preuzeo je veoma poslusni Robert Suman, predstavnik »teske industrije« i vjerni sluga dinastije Wendel jos iz prijeratnog perioda. U vrijeme ovog »oca evropskog ujedinjenja« – kao ministar vanjskih poslova bio je veoma omiljen u Vasingtonu i Bonu – francuski politicari su prestali sa svojim protivljenjem: priklonili su se vidjenjima kako USA, tako i interesa mocnika francuskih kartela za proizvodnju celika, koji su jos dvadesetih i tridesetih godina bili spremni na prihvatanje kompromisa sa Njemackom. Ali odgovorni iz drzavnog aparata su u razmjenama misljenja (pismeno i, naravno, ne pred ocima sopstvene javnosti) bez okolisanja stavili do znanja, da Francuska jos od pocetka 1947., a posebno od 1948. godine vise ne vazi za okupacionu silu u Njemackoj. Francuska tajna sluzba (SDECE) je u januaru 1947. godine vec znala da amerikanci vide Njemacku, a ne Francusku, kao centar evropskog politickog i privrednog sistema. Jean Chauvel (Zan Sovel), generalni sekretar francuskog ministarstva vanjskih poslova, koji je mnogo vremena proveo hvaleci Marsalov plan kroz koji je vodeca uloga Francuske u buducoj ujedinjenoj Evropi izgledala kao mnogo obecavajuca perspektiva, ozaloscen je pred americkim ambasadorom u Parizu, Jeffersonom Caffery-em, spoznao, da ce (od strane Vasingtona) sa francuskom vladom  biti postupano kao i sa vladom SSSR-a.

gfp.com: Kako biste okvalifikovali privredne predispozicije, kojima je od 1957. godine poceo politicki prosperitet zapadne Njemacke? Da li su tada udareni temelji danasnje njemacke hegemonije u Evropi? 

Lacroix-Riz: To sto sam do sada iznijela pokazuje da je 1957. godine uradjeno ono, sto je jos prije vise od deset godina sve vec bilo odluceno. Sve je usporila americka namjera da od Njemacke ponovo stvori industrijsku silu i istovremeno odobravanje da ona u okvirima sjevernoatlantskog pakta (NATO) treba ponovo dobiti pravo na naoruzavanje (a sve je usmjereno protiv navodne »crvene opasnosti«): kada je Francuska u jesen 1950. godine pokrenula evropsku odbrambenu uniju sa ciljem da se zvanicni ulazak Njemacke u NATO odgodi, praktikovana je taktika »cekanja«, koja je onda prerasla u novu politiku prema Njemackoj. André François-Poncet, predstavnik teskoindustrijalaca otjelovljavao je francusko prilagodjavanje na vladavinu dvojice, USA i Njemacke, i to prije, za vrijeme i poslije rata – nakon sto je 30-ih godina i za vrijeme drugog svjetskog rata akceptirao vladavinu samo njemackog Rajha. Godine 1953. pokazivao je kao da vjeruje da ce njemacka hegemonija nad evropskim blokom koji je stajao pod americkim uticajem, predstavljati samo jedan buduci (nemoguci) rizik: »Onog dana, kad francuska industrija bude prinudjena na stagnaciju i ne bude predstavljala protutezu Ruru (industriji rurske oblasti) jednakost snaga na kojoj pociva zajednica (tadasnja EU) bi mogla biti slomljena. Luxemburg bi prije ili kasnije prestao da bude glavni evropski centar teske industrije pod francuskim vodstvom. Tada bi industrijalci svih zapadnoevropskih zemalja bili prinudjeni ici u Düsseldorf po naredjenja i zadatke.«
U tom momentu je stadij rizika vec bio prilicno prekoracen. Velicanstvena pobjeda USA iz 1945. godine je, prakticno, omogucila Njemackoj da se oslobodi posljedica ratnog poraza. 

(prevod: Valter i Rudi)



www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 31-03-07 

da: www.kscm.cz , mailto:leftnews@...
 
Dichiarazione sul pericolo di rottura dell’integrità territoriale della Repubblica Serba

 

Partito Comunista di Boemia e Moravia
 
26 marzo 2007

 

Nell’attuale confronto sul futuro del Kosovo-Metohija, che ha assunto una dimensione internazionale, il Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM) si schiera dalla parte della legge e del sostegno al mantenimento della piena integrità territoriale della Serbia, e rifiuta i piani che promuovono la divisione dello Stato serbo a vantaggio del separatismo locale dei cosiddetti Albanesi del Kosovo.

 

Sia il caso di Monaco, nel 1938, che quello dell’aggressione NATO, nel 1999, stanno a ricordarci che ogni violenza provoca danni irrimediabili ed esecrabili.

 

La regione del Kosovo-Metohija resta parte integrante del territorio dello Stato serbo, nonostante sia attualmente considerata un protettorato sotto amministrazione internazionale. Ciò è sancito dalla costituzione e dai documenti internazionali che hanno ratificato i confini dello Stato serbo, ed è stabilito anche dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in base alla quale è stato definito l’attuale assetto della regione. Purtroppo, dopo circa 8 anni, assistiamo a drammatici inadempimenti nell’osservanza della Risoluzione 1244, per quanto riguarda la sicurezza di tutti i cittadini, la loro libertà di movimento, il ritorno dei profughi serbi alle loro case, i diritti dei serbi e dei non albanesi all’uso delle loro proprietà. Ne consegue che non si è realizzato alcun progresso dall’estate 1999 in nessuno degli ambiti che non vedono colpe e responsabilità dei serbi, neppure per quanto riguarda la coesistenza multietnica, con i serbi nel ruolo di vittime.

 

Il Comitato Centrale del KSCM impegna il proprio gruppo parlamentare ad adoperarsi perché il governo della Repubblica Ceca presenti un rapporto sulla situazione in Kosovo-Metohija e in merito alle modalità attraverso cui risolvere la situazione, e non permetta che le truppe del nostro paese in Kosovo siano unilateralmente impiegate per azioni che non siano in accordo con le posizioni ufficiali della Repubblica Serba e con il dettato della Carta dell’ONU.

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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www.resistenze.org - popoli resistenti - repubblica ceca - 31-03-07 

da: www.ksm.cz , mailto:radim.gonda@...
 
Nessuna base dell’imperialismo sul nostro territorio!

 

Il KSM contro la base militare USA nella Repubblica Ceca

 

26 marzo 2007

 

L’Unione della Gioventù Comunista (KSM) nella Repubblica Ceca ha lanciato alla vigilia delle elezioni parlamentari dell’estate 2006, prima tra le organizzazioni del paese, una campagna contro il piano che prevede la costruzione di una base missilistica USA nella Repubblica Ceca che dovrebbe far parte del sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti. Negoziati in merito a tale progetto erano stati avviati segretamente dal governo degli USA e dal governo della Repubblica Ceca, guidato dal partito socialdemocratico, molti anni prima che informazioni a riguardo venissero pubblicate grazie ad un parlamentare del Partito Comunista di Boemia e Moravia. Di conseguenza, il KSM ha avviato la lotta contro questo piano, e ad esso gradualmente si sono aggiunte altre organizzazioni.

 

Il KSM conduce la sua campagna contro la base militare USA su due direttrici: 1/ il KSM organizza la propria campagna comunista insieme al Partito Comunista di Boemia e Moravia e ad un paio altre organizzazioni civiche e 2/ il KSM partecipa attivamente a una più estesa iniziativa chiamata “No alle basi militari”, che raggruppa un più ampio schieramento di forze.

 

La situazione nella Repubblica Ceca si è ulteriormente complicata dopo le elezioni parlamentari menzionate. Dopo 7 mesi di crisi politica senza un governo sorretto dalla maggioranza del parlamento, si è insediato un nuovo governo con una maggioranza di destra, guidato dal più forte partito politico di destra del paese, il Partito Civico Democratico (ODS).

 

Occorre ricordare in particolare che il governo USA ha aspettato che il governo di destra capeggiato dall’ODS ottenesse la maggioranza nella Camera dei Deputati del Parlamento della Repubblica Ceca, per annunciare ufficialmente la sua decisione di chiedere al nostro governo di accordare il suo consenso alla costruzione della base missilistica USA nel paese. Infatti, l’annuncio del governo USA è stato pubblicato solo alcuni minuti dopo che il governo di destra aveva ottenuto il sostegno della maggioranza dei parlamentari (tra cui 2 deputati socialdemocratici).

 

Il KSM nella sua campagna ha avanzato la richiesta della pubblicazione di tutti i documenti dei negoziati segreti in merito al progetto di costruzione della base militare USA, si è risolutamente opposto a tale piano e ha chiesto lo svolgimento del referendum su una questione strategica che riguarda l’intero paese e i suoi abitanti.

 

Le posizioni dei più importanti partiti politici sulla questione della base militare USA e sul referendum differiscono in modo significativo. Il Partito Civico Democratico (ODS) rifiuta in linea di principio l’istituzione democratica del referendum, sostiene che al popolo non compete di decidere sulle questioni della sicurezza nazionale come questa, di carattere strategico, e lotta instancabilmente per gli interessi USA, nel tentativo di dimostrare la sua fedeltà all’alleato. Un altro partito di centro-destra, il Partito Cristiano Democratico-Partito Popolare Cecoslovacco, non si è impegnato in modo così appariscente su questa materia, ma in generale sostiene la stessa linea seguita dall’ODS. Il terzo partito di governo, il Partito Verde, che aveva invocato il referendum nelle sue iniziative elettorali, atteggiandosi a partito non militarista, ha abbandonato le sue promesse che avevano attratto numerosi elettori, in particolare giovani, e, anche per il suo anticomunismo, ha preferito scegliere una posizione senza principi di appoggio alla base USA, ponendo la sola condizione che essa faccia ufficialmente parte del sistema NATO. La posizione del Partito Verde della Repubblica Ceca sulla questione delle basi militari, unita ai suoi atteggiamenti anticomunisti, rende questo partito oggetto di rilievi critici da parte di partiti Verdi stranieri. Le posizioni del Partito Socialdemocratico Ceco riguardanti la questione della base militare USA meritano un commento più dettagliato. I negoziati in merito al piano di costruzione della base nella Repubblica Ceca erano stati avviati ai tempi del governo guidato dai socialdemocratici. Anche il presidente del partito socialdemocratico, Jiri Paroubech, dopo le sue ambigue dichiarazioni iniziali, aveva dichiarato di appoggiare la base USA nel paese. Tuttavia, quando il partito socialdemocratico è stato estromesso dal potere ha ufficialmente dichiarato il suo approccio negativo nei confronti del piano relativo alla base USA e ha sostenuto l’idea del referendum sulla materia. Allo stesso tempo, voci significative interne al partito socialdemocratico si pronunciavano per la costruzione della base USA. Se ne deve concludere che in generale la posizione del partito socialdemocratico è stata determinata dalla sua condizione non governativa e ha seguito la logica della massimizzazione del suo capitale politico, contando sul fatto che, in una situazione in cui una vasta maggioranza della società si oppone al progetto della base, la sua opposizione gli avrebbe fruttato consensi politici. La sola forza importante che si oppone alla base è il Partito Comunista di Boemia e Moravia, che ha anche avanzato una proposta di referendum, respinta però nel parlamento. L’atteggiamento nei confronti della richiesta di un referendum nazionale testimonia quale sia l’effettiva propensione democratica dei più importanti partiti politici della Repubblica Ceca, dove il Partito Comunista, nel confronto politico, viene ripetutamente accusato da essi di non avere un carattere democratico: un argomento che torna utile per delegittimare i principali oppositori politici.

 

Ci sono state anche richieste di organizzazione di referendum su scala locale nei municipi che sono potenziali vicini della base militare USA. In tal modo un referendum è stato organizzato nella municipalità di Trokavec dove la grande maggioranza degli abitanti si oppone all’installazione della base. Occorre anche segnalare che in 3 delle 4 municipalità nelle strette vicinanze del sito della base i sindaci appartengono al Partito Comunista di Boemia e Moravia.

 

Originariamente il piano consisteva nella costruzione di basi sia nella Repubblica Ceca che in Polonia. In seguito il progetto è stato modificato, quando ci si è resi conto del peso dell’opposizione dell’opinione pubblica nella Repubblica Ceca, dove circa l’80% della popolazione esprime la sua contrarietà alla presenza della base militare USA nel paese. La nuova proposta è stata quella di costruire una base missilistica in Polonia ed una base radar, a supporto della prima, nella Repubblica Ceca.

 

La campagna contro la base del KSM ha avuto un grande successo. Il KSM ha organizzato una serie di proteste pubbliche, dimostrazioni, dibattiti con i cittadini ed anche una petizione che ha raccolto 80.000 firme. E’ certo un grande successo, se si tiene conto del fatto che si tratta di una petizione lanciata dal KSM, un’organizzazione che è stata ufficialmente dissolta dallo stato (una raccolta parallela, su iniziativa della più vasta campagna “No alle basi militari”, ha raggiunto le 20.000 firme). Il lavoro del KSM nelle strade è importante anche perché dimostra che questa organizzazione giovanile messa al bando lotta in prima linea per le rivendicazioni concrete della maggioranza del popolo.

 

Radim Gonda
Vicepresidente del KSM
Repubblica Ceca

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


(Con la votazione del 9 marzo u.s. sull'invio degli aerei Tornado in
Afghanistan, la Germania ha compiuto un passo ulteriore nella
direzione tracciata dai primi interventi offensivi compiuti al di
fuori del territorio tedesco: quelli contro lo "storico" nemico serbo
- Serbien muss sterbien! -, in Jugoslavia negli anni Novanta...)


http://www.zeit-fragen.ch/ausgaben/2007/nr12-vom-2632007/deutsche-
tornados-fuer-afghanistan/

Deutsche Tornados für Afghanistan


von Dr. Heinz Loquai, Brigadegeneral a. D., Meckenheim



Am 9. März stimmte der deutsche Bundestag einem Antrag der
Bundesregierung zu, der eine Verlegung einer Kampfgruppe von Tornado-
Aufklärungsflugzeugen nach Afghanistan und eine Beteiligung dieses
deutschen Kontingents am Krieg in Afghanistan zum Ziel hat. Es war
nicht anders zu erwarten, als dass das deutsche Parlament mit
deutlicher Mehrheit diesem Vorhaben der Regierung zustimmen würde.
Wie bei anderen Kriegseinsätzen der Bundeswehr stand die Zustimmung
des Parlaments auch für diesen Kampfeinsatz nicht in Frage. Politisch
interessant erschien vor allem das Ausmass der Mehrheit. Wenn es um
Auslandeinsätze der Bundeswehr geht, ist das deutsche Parlament ein
verlässlicher Partner der Bundesregierung. «Im Ausland zu Hause»
titelt der «Bonner Generalanzeiger» am 24. Februar. Die «Zukunft der
Bundeswehr» liege im Ausland, sie rücke weltweit aus, «um die
globalen Interessen der Mittelmacht Deutschland zu schützen», meint
der Verfasser Holger Möhle. Das scheint – kurz gefasst – heute das
Leitmotiv deutscher Aussen- und Sicherheitspolitik quer durch den
grössten Teil der deutschen Medien- und Parteienlandschaft zu sein.
Dies wird der zweite Kriegseinsatz der bundesdeutschen Luftwaffe
werden. Acht Jahre ist es her, seit die Luftwaffe sich mit Flugzeugen
zur bewaffneten Aufklärung am Nato-Krieg gegen Jugoslawien beteiligte
– der erste Kriegseinsatz deutscher Soldaten nach dem Zweiten
Weltkrieg. Gibt es zwischen der damaligen Entscheidungssituation und
heute Parallelen? Zeigt sich daran schliesslich auch eine Art
Kontinuität deutscher Politik, nicht zuletzt im Umgang mit der
deutschen Öffentlichkeit?



Die FDP hat vor kurzem eine «unzulängliche und unehrliche
Informationspolitik der Bundesregierung, besonders
Verteidigungsministers Jung (CDU) beanstandet». («Frankfurter
Allgemeine Zeitung» vom 8. März) In der Tat, Jung hat versucht, den
Einsatz der Bundeswehr klein zu reden. Er vertrat die Auffassung, die
deutschen Tornados betrieben «nur» Aufklärung, dies sei kein
Kampfeinsatz. Der SPD-Fraktionsvorsitzende Struck stellte klar, dass
es sich hier um einen Kampfeinsatz handle. Denn jeder, der nicht bar
jeden militärischen Sachverstandes ist, weiss, dass die deutschen
Aufklärer beim Kriegseinsatz in Afghanistan Zielinformationen für die
Jagdbomber anderer Nato-Staaten liefern werden. Sie sind ein
integraler Bestandteil der Luftkriegsführung der Nato in Afghanistan
und sind für deren Folgen mitverantwortlich. Die bei Luftangriffen
der USA getöteten Zivilpersonen gehen nun auch mit auf das deutsche
Schuldkonto. Deutsche Piloten können so rasch mitschuldig werden. Die
militärischen Vorgesetzten bis hoch zum Minister sollten dies nicht
auf die leichte Schulter nehmen.
In der Sitzung des Bundestags am 9. März bemängelte vor allem Frau
Künast (Die Grünen) die Informationspolitik der Bundesregierung, die
nur wenig getan habe, den Einsatz zu erklären. «So wenig Information
war noch nie», so das Fazit der ehemaligen Ministerin. Und die
«Süddeutsche Zeitung» kritisiert, die Regierung habe in dieser
Sitzung geschwiegen. Die «Abstinenz der Regierung» habe «den fatalen
Eindruck» erweckt, «hier ginge es um eine Routineangelegenheit, die
sich mal so eben im Vorbeigehen erledigen liesse.»
Auch im Vorfeld des Nato-Krieges gegen Jugoslawien wurden der
Bundestag und die deutsche Öffentlichkeit vielfach fehlinformiert,
getäuscht und belogen. Die Sitzung des Bundestages am 16. Oktober
1998, die eine deutsche Kriegsbeteiligung mandatierte, war geradezu
ein Forum für Desinformation. Hier nur ein Beispiel: Proklamiertes
Ziel der Kriegsvorbereitung der Nato war die «Abwendung einer
humanitären Katastrophe» in Kosovo. Durch diplomatische Bemühungen
und den Abzug jugoslawischer Truppen hatte sich die Lage vor Ort
tatsächlich schon entspannt. Die Berichterstattung der deutschen
Botschaft in Belgrad machte dies deutlich. Der damalige
Aussenminister Klaus Kinkel verkündete jedoch im Bundestag, die Lage
habe sich «dramatisch verschlechtert». Bei den massgeblichen Stellen
der Bundesregierung, insbesondere im Verteidigungsministerium und
Auswärtigen Amt, waren zutreffende, aktuelle Informationen über die
Lage in Kosovo vorhanden, sie wurden jedoch dem Bundestag und der
Öffentlichkeit vorenthalten. Die dem Parlament gegebenen
Informationen waren insgesamt unzureichend für eine Entscheidung über
Krieg und Frieden.



Die politische Geringschätzung des Völkerrechts

Für den Krieg gegen Jugoslawien gab es kein Mandat des
Sicherheitsrats der Vereinten Nationen. Dieser Krieg war auch nicht
mit Selbstverteidigung zu rechtfertigen, denn Jugoslawien hatte kein
Nato-Land angegriffen. Nach der bis dahin allgemein üblichen
völkerrechtlichen Beurteilung handelte es sich um einen
völkerrechtswidrigen Angriffskrieg der Nato. Der damalige deutsche
Justizminister Edzard Schmidt-Jortzig hatte gerade diese Auffassung
bei den Beratungen im Kabinett vertreten und war der Abstimmung im
Bundestag ferngeblieben. Das Plenum des Bundestags und die
Öffentlichkeit erfuhren von dieser Einschätzung des zuständigen
Fachministers natürlich nichts. Ex-Bundeskanzler Helmut Schmidt
bezeichnete den Krieg als vierfachen Rechtsbruch: der Charta der
Vereinten Nationen, des Nato-Vertrags, des Zwei-Plus-Vier-Vertrags
und des deutschen Grundgesetzes.
Auch in der Debatte am 9. März 2007 spielten juristische Fragen kaum
eine Rolle. Die angekündigte Verfassungsklage der Abgeordneten
Gauweiler (CSU) und Wimmer (CDU) wurde lediglich von der Linkspartei
thematisiert. Doch bezeichnend ist die Medienkampagne der
«Frankfurter Allgemeine Zeitung» gegen die «Abweichler». Die beiden
Unionsabgeordneten werden als «Persönlichkeiten mit notorischem Hang
zum Abweichen» diffamiert. («Frankfurter Allgemeine Zeitung», 10.
März) Das mediale Sperrfeuer aus den Frankfurter Redaktionsstuben
trifft natürlich auch die Linkspartei. Die SPD leide «sichtbar unter
dem gnadenlosen Popu lismus der Linkspartei». Die Abgeordneten der
Linkspartei seien «notorische Neinsager» und «fundamentalistische
Gegner». Man gewinnt den Eindruck, der «Frankfurter Allgemeinen
Zeitung» wären «volksdemokratische Mehrheiten» von nahe 100 Prozent
am liebsten, wenn es um Kriegseinsätze der Bundeswehr geht. Ein
positives Beispiel ist allerdings die «Süddeutsche Zeitung», die über
wichtige Argumente der Verfassungsklage der beiden Abgeordneten
informiert (vgl. auch Zeit-Fragen, 5. März) und auch darauf hinweist,
dass der 57 Seiten lange Schriftsatz der Klage von dem versierten
Verfassungsrechtler Dietrich Murswiek stammt, dem Direktor des
Instituts für Öffentliches Recht an der Universität Freiburg
(«Süddeutsche Zeitung», 10. März).



Legitimator «Bündnissolidarität»

Der Hinweis auf die Bündnissolidarität ist heute ein «Pflichttor» bei
jeder Debatte um Auslandeinsätze der Bundeswehr. Dem nahe steht das
Argument, das grösser gewordene Deutschland müsse seiner gewachsenen
internationalen Verantwortung gerecht werden. Dem könne sich die
deutsche Politik nicht entziehen. Nun gibt es durchaus «bestellte
Anforderungen» aus dem internationalen Bereich. «Innerhalb der
Bundeswehr drängelt die Luftwaffe schon lange …» («Frankfurter
Allgemeine Zeitung», 5. Januar) für den Einsatz ihrer Tornados in
Afghanistan. Ein Arrangement zwischen höchstrangigen
Luftwaffengeneralen und ihren angelsächsischen Kollegen hat wohl die
«Nato-Anfrage» nach deutschen Aufklärungs-Tornados in Gang gesetzt.
Die Bundesregierung glaubte offenbar durch eine positive Antwort auf
diese Anfrage, weitergehende Anforderungen aus dem Bündnis für den
afghanistanweiten Einsatz zusätzlicher deutscher Bodentruppen
abwehren zu können. In der Bundestagssitzung vom 9. März zerstörte
der CDU-Abgeordnete von Klaeden diese Illusion. Der aussenpolitische
Sprecher der CDU-Fraktion stellte fest: «Als Bündnispartner müssen
wir bereit sein, nicht nur dieselben Lasten zu tragen, sondern auch
dieselben Risiken.» («Frankfurter Allgemeine Zeitung», 10. März) In
den Medien liest sich das so: «Wer also deutsche Tornados in
Afghanistan überall hinschickt, kann Bodentruppen für den Süden nicht
verweigern.» («Süddeutsche Zeitung», 17. Februar)
Aus deutschen Regierungskreisen wird argumentiert, die
Aufklärungsergebnisse der deutschen Tornados kämen vor allem der von
der Nato geführten Stabilisierungstruppe zugute und würden «nur
eingeschränkt und kontrolliert» an die von den USA geführte Operation
«Enduring Freedom» weitergegeben. Dies ist politische Augenwischerei.
Beide Operationen sind allmählich in kleinen Schritten aufeinander
abgestimmt und in einem Hauptquartier zusammengeführt worden. Die
Ausdehnung auf ganz Afghanistan, so der Experte Lothar Rühl, «hat
jenseits der juristischen Feinheiten alle beteiligten Verbündeten
faktisch zu Kriegsparteien gemacht». («Frankfurter Allgemeine
Zeitung», 30. Oktober 2006) Selbstverständlich werden
Aufklärungsergebnisse der deutschen Tornados den Einsatzplanern
anderer Nato-Länder für die Zielauswahl zur Verfügung gestellt. Alles
andere ist Täuschung der Öffentlichkeit.
Blicken wir zurück. Auch in der Debatte im Herbst 1998 über den Krieg
gegen Jugoslawien spielte das Argument der Bündnissolidarität eine
überragende Rolle. Die neue rot-grüne Regierung schien sich geradezu
auf dem internationalen Prüfstand ihrer Bündnisfähigkeit und -
solidarität zu sehen. Aussenminister Kinkel vor dem Bundestag: «Es
geht schliesslich um die europäische Friedensverantwortung und um
unsere Verlässlichkeit im Bündnis.» Kinkel forderte auch: «Wir dürfen
nicht auf eine schiefe Bahn kommen, was das Gewaltmonopol des
Sicherheitsrats anbelangt.» Die inzwischen eingetretene
Vernachlässigung des Völkerrechts und des Gewaltmonopols der Uno auch
in der deutschen Sicherheitspolitik zeigen, welche längerfristigen
Wirkungen der Präzedenzfall «Kosovo-Krieg» hatte und wie weit man auf
der «schiefen Ebene» hinabgeglitten ist.



Relativierung des Holocaust

Ein Blick auf die politischen Debatten über die Kriegseinsätze
deutscher Tornado-Aufklärungsflugzeuge 1998/1999 und 2007 zeigt
Parallelen in der politischen Argumentation.
Einmalig in der jüngeren deutschen Geschichte ist jedoch, was sich
zwei deutsche Bundesminister bei der Legitimation des Krieges gegen
Jugoslawien leisteten. Doch lassen wir hierzu einen Überlebenden von
Auschwitz zu Wort kommen. Die «Frankfurter Allgemeine Zeitung»
dokumentierte am 27. Januar eine Rede von Arno Lustiger bei einer
Gedenkveranstaltung des Hessischen Landtags für die Opfer des
Nationalsozialismus. Lustiger sagte unter anderem: «Seit dem 24. März
1999 bombardierte die Nato Jugoslawien unter der Mitwirkung der
Bundeswehr in einem von den UN nicht sanktionierten Krieg. Ziel war,
die Bewohner Kosovos zu schützen. Bei einem Bundeswehrbesuch sagte
Verteidigungsminister Scharping: ‹Die Bundeswehr operiert in Kosovo,
um ein neues Auschwitz zu verhindern.› Am 7. April 1999 erklärte
Aussenminister Fischer: ‹Ich habe nicht nur gelernt: Nie wieder
Krieg. Ich habe auch gelernt: Nie wieder Auschwitz.› Die Opfer der
Nazis mussten die Parallelisierung Kosovo – Auschwitz als eine neue
Art der Auschwitz-Lüge betrachten, denn dies ist die Leugnung der
Einmaligkeit des Verbrechens und des mit Auschwitz verbundenen
Zivilisationsbruches. Es war eine Funktionalisierung und
Instrumentalisierung von Auschwitz für anderweitige Zwecke.»
Deutsche Bundesminister als Relativierer, als Funktionalisierer und
Instrumentalisierer des Holocaust zur Legitimierung einer deutschen
Kriegsbeteiligung – dies blieb Deutschland zumindest bei der
politischen Argumentation für den zweiten Kriegseinsatz von Tornado-
Aufklärungsflugzeugen erspart.




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Nr.12 vom 26.3.2007 © 2006 Genossenschaft Zeit-Fragen

Italia pattumiera della NATO

02.04.2007

Source: Pravda.ru

URL: http://italia.pravda.ru/italia/5267-0

Avevamo già sottolineato, nel caso della base americana di Ghedi,
l'uso a dir poco disinvolto che fa il nostro"fratello maggiore
alleato" del nostro territorio, compresi i laghi e i mari, che
evidentemente scambia per pattumiere, non di semplice sporco, ma di
ordigni mortiferi e forse radioattivi.

Sempre la base di Ghedi è al centro di un altro fatto inquietante: il
mattino del 16 Aprile 1999, in piena guerra del Kosovo, un caccia-
bombardiere F-15 U.S.A. Nato, in missione sui cieli della Ex-
Yugoslavia, è costretto a fare ritorno alla base per un "incidente
bellico" non specificato.

Ma la procedura di sicurezza (la loro, si immagina) dice che un aereo
non può atterrare in base carico di esplosivo, ...
... e siccome il caccia ha il ventre pieno di bombe, prosegue e
sgancia prima i due serbatoi supplementari, pieni di carburante,
sulle montagne di Asiago, e subito dopo 4 o 6 ordigni nel bel mezzo
del Lago di Garda, a metà tra Punta S. Vigilio e Gardone Riviera,
secondo I testimoni oculari di Toscolano Maderno e di altri paesini
della sponda bresciana. Anche dei pescatori, in barca al largo,
videro l'aereo basso che sganciava le bombe.

Bombe che risultarono essere, come affermato sommariamente da fonti
militari, del tipo "Cluster Bomb" a guida laser, contenenti ognuna da
200 a 400 "bomblet", che sono quei cilindretti, di solito di colore
giallo, che "seminati" inesplosi - come hanno fatto gli Israeliani in
Libano di recente - diventano delle vere e proprie mine anti-uomo,
per giunta anche galleggianti, pare.

All'epoca il Procuratore capo di Brescia, dott. Giancarlo Tarquini,
notò nella sua relazione che "per quanto attiene al tipo di bombe
scaricate dall'aereo Nato-Usa, sussiste la possibilità, concreta e
oggettiva, della rottura del contenitore, in gergo "canister"
nell'impatto con l'acqua e quindi può esservi presenza di ordigni
"bomblet" vaganti, che possono essersi innescati per semplice
rotazione."

Per questa considerazione fu vietata per alcuni giorni la navigazione
sul Lago.
Seguirono costose ricerche di Esercito e Marina Tricolore che non
portarono a nulla, se non ad un ulteriore aggravio per il
contribuente, anche perchè i responsabili a stelle e striscie come al
solito se ne fregarono, invece di rimediare al danno provocato.
Le solite Autorità preposte minimizzarono e glissarono dicendo che le
bombe non rappresentavano un pericolo essendo per così dire,
"annacquate" a 150 mt di profondità, e quindi innocue. Così dissero
questi irresponsabili, in palese mala fede.

Su sollecitazione di due parlamentari, Tiziana Valpiana (PRC) e
Sergio Divina (Lega), appartenenti alla nuova commissione che indaga
sull'uranio impoverito, presieduta dalla Sen. Lidia Menapace, sembra
che il "caso Garda" sia di nuovo attuale, anche perchè pare sia in
atto nella zona Gardesana un aumento dei linfomi di Hodgkin, forse
correlato al munizionamento all'uranio impoverito presente negli
ordigni finiti nel Lago.

La commissione vuol vederci chiaro, insomma. Verrà riaperta
l'inchiesta e il primo ad essere chiamato in causa dovrebbe essere -
il condizionale è d'obbligo, dati i precedenti) - il pilota dell'
F15 , nella remota speranza che possa fornire dati certi sul tipo,
quantità e contenuto degli ordigni gettati nel Lago.

La commissione auspica anche che le nuove ricerche, che inizieranno a
breve nel triangolo Padenghe-Sirmione-Punta S. Vigilio, possano dare
un migliore esito. Auspica inoltre detta commissione, con evidente
ingenuità, che il Governo vari una Legge che imponga agli aerei Nato
di non considerare i nostri mari e laghi come luoghi- pattumiera.
Vale la pena di ricordare che all'epoca c'era al governo il beneamato
centro-sinistra a guida D'Alema, mentre sappiamo che esiste una
precisa mappatura NATO, concordata con le autorità italiane, in cui
si designano le zone idonee per scaricare munizioni nei casi di
emergenza come quello del 16 aprile 1999.

Quindi il governo non poteva non sapere.

Va aggiunto che la zona di Lago in questione è tutt'altro che
geologicamente stabile, passando per il fondale una profonda faglia
già all'origine di terremoti recenti, come quello che due anni fa
sconvolse la città di Salò. Esiste inoltre una vena lavica che
alimenta le Terme di Sirmione.

Sono proprio "immerse e affogate" al sicuro, le bombe "amiche" usate
per le missioni di pace.

Mentre i nostri governanti fingono di andare a mettere ordine e
pulizia in casa d'altri, spendendo fra l'altro fior di quattrini - i
nostri - per sminare l'Afghanistan o il Libano, non si fà nulla per
recuperare le mine vaganti che, come frutti del male, allignano nel
Lago più grande e bello del Bel Paese.

Bisognerà aspettare che un gruppo di bambini in gita scolastica trovi
un simpatico "grappolo" di canisters, venuto magari a riva con la
corrente, o che un traghetto carico di gitanti vada a sbattere contro
una di queste bombe, venuta magari a galla, per gridare ancora una
volta all'ennesimo, inutile scandalo?

Claudio Negrioli (Clausneghe)

Tratto da: www.luogocomune.net


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Eighth Anniversary of NATO’s Aggression against Yugoslavia

1) Report from the House of Commons Meeting – London 27 March 2007

2) 8e anniversaire des bombardements de l'OTAN : Serbes et Kosovars albanais célèbrent à leur manière (AP) 

3) From Yugoslavia to Iraq to Sudan (Workers World)


=== 1 ===


Report from the House of Commons Meeting –

27 March 2007


 Eighth Anniversary of NATO’s Aggression against Yugoslavia

“The tearing up of the UN Charter,” “an aggressive war in which NATO violated its own charter”, “the crossing of the Rubicon” and “events which were momentous for the people of the world”.  These were some of the assessments of NATO’s attack on Yugoslavia presented to a well attended public meeting at the House of Commons held to commemorate the eighth anniversary of the NATO countries’ bombing of Serbia and Yugoslavia that began on 24th March 1999.


Some seventy people who filled Committee Room 15 heard speeches from Tony Benn (former Cabinet Minister), Bob Wareing, MP, Alice Mahon, former Labour MP, Mark Littman, QC, and Neil Clark, journalist and writer.  The meeting was chaired by Misha Gavrilovic of the Nedaist Initiative -  “Aggressors shall not write our history”.

Mr Gavrilovic opened the meeting explaining that it was now the 8th time in 8 years that “the first inter-continental war of aggression against a sovereign state in Europe” was being commemorated in the House Commons. This had been made possible by a number of courageous British MPs who had stood by their principles and had spoken out against the illegal war.  A minute’s silence was held to commemorate those killed during the bombing and those whose lives were ended prematurely due to massive damage to the health system and cancer resulting from Nato's use of depleted uranium (DU) bombs.

Tony Benn, the first speaker, addressed the meeting by stating that the aggression was in breach of the UN Charter.  It was “a very significant move, a tearing up of the Charter by the Clinton-Blair alliance.  They are war criminals.”  The use of DU was a war crime.

He described the US as a "declining Empire" and said its strategy was to break up and destroy states that challenged its policies. He referred to the cynicism and hypocrisy of the Empire that had first described the KLA as “terrorists” and then supported them.  But “a declining Empire is a wounded tiger – a very, very dangerous animal”.  

Mr Benn reminded the meeting that in 1941 Germany invaded Serbia before it attacked Russia.  People in Belgrade had said “No” to Hitler. “The Serbs were our only allies then”.   

Mr Bob Wareing, who first visited Yugoslavia in 1964 and made some 40 visits since then, spoke of “how very close to his heart” the country had been to him and his wife. In 1991 he visited Yugoslavia as part of a Labour Party parliamentary delegation when he met presidents Milosevic and Tudjman at separate meetings. “Mr Milosevic listened to us, but I found Mr Tudjman forbidding - he wouldn’t listen.”

In 1993 he was together with MP John Reid at Bosanski Brod in Bosnia where they spoke to Bosnian Serb deputies about the proposed Vance-Owen peace plan.  He had dreadful memories of that visit.  Radovan Karadzic asked him whether he had seen a mass grave with murdered Serbs. He and John Reid then went and saw the mass grave with some 36 bodies killed by Croat forces. The stench of death was everywhere. The memory haunts him.  To this day he still sees in his mind the woman in a blue and white spotted skirt whose head fell off as she was pulled from the grave 

John Reid tried subsequently to get out the news about the killed Serbs in Bosnia and contacted several newspapers in Scotland.  The editors’ position was that such a story would only "confuse people"! The story would not fit the ongoing anti-Serb propaganda and hysteria.  Serbs were cast as “baddies” and could not be presented as victims. 

Speaking about Kosovo, Mr Wareing reminded the meeting that Kosovo was 15% of the landmass of Serbia. The UN had not carried out the terms of UN Resolution 1244. There have been no returns by Serbian refugees, but some 250,000 Albanians had come over from Albania to Kosovo, often to settle in refugee homes.   

“Serbs are outlawed in their own country”. One hundred and fifty Orthodox churches have been demolished and 253 mosques built with money from Saudi Arabia.  NATO forces have done very little to protect the Serbian population in Kosovo.”

Mr Aahtisari had reached an impasse over the future of Kosovo; he said “We have to be resolute in defending Serbia’s right as the sovereign power over Kosovo.  The UK shouldn’t be in the business of encouraging the division of countries. 

“I object to a British Prime Minister playing a Mussolini to Bush as Hitler in the plan for global domination.  We should be opposing George Bush's policies. There should be proper negotiations between Serbia and the UN,” he stated. 

It was pointed out that on the day of the anniversary meeting (27th March) precisely 66 years ago a popular putsch in Belgrade had unseated a regime that had signed a Pact with Hitler's Germany. In the very same building in which the anniversary meeting was now taking place Prime Minister Winston Churchill had said that “Yugoslavia had found its soul”

Mark Littman, QC, who had produced a report eight years ago deeming the NATO attack to be illegal, said at the meeting that the events of 1999 were both calamitous for the people of Yugoslavia and momentous for the people of the world.  It was not a war of self-defence, nor was there a resolution of the Security Council to support it. The whole purpose of the UN Charter was to ensure perpetual peace.

“The failure to honour the Charter has been fatal to that second attempt after World War II to secure peace in the world, and for myself I see nothing ahead except disaster,” he said.

Alice Mahon, the first woman from a Western European parliament to visit Yugoslavia during the bombing, told the meeting that war crimes were committed when NATO bombed a sovereign country that had committed no aggression. The KLA insurgency was a deliberate provocation.

She said 80% of the NATO targets were civilian.

“I stood on the last bridge in Novi Sad before it was destroyed.  That was a civilian target. I saw from the hotel window the bombing of the oil refinery at Pancevo and the resulting contamination.  That was a civilian target.  There was no concern from the propagandists about the air that people there were breathing.”

She spoke of the destruction of the car factory in Kragujevac by 21 cruise missiles in spite of the fact that the workers and trade unionists had sent the coordinates to the White House begging them to spare the factory – another civilian target.

“I think people should still be accountable for these crimes,” she said.

She spoke of ethnic cleansing by Albanians of Serbs and the attempt to wipe out their culture.  “It will go down in history as deeply shameful”.

Mrs Mahon was the last witness at the trial of President Milosevic on 1st March 2006.  She had two meetings with him.   “He conducted himself with great dignity.  They had no evidence to substantiate charges against him and as head of state he was entitled to put down an uprising in his country”.  "What if there were armed gangs roaming in Yorkshire?  I am sure Tony Blair would send in the Army and Police to sort them out” 

Mr Milosevic told her that he was a ‘political prisoner’ and that he didn’t think he would get out The Hague alive.  “How prophetic”, she said, “a week after I gave evidence, he was dead.”  “It was a victors’ court and an absolute disgrace.”

“I am not sure the fight is over.  If you give away a bit of a sovereign country who is going to be next? We have to try and counter the propaganda; we must not give up hope and we must carry on fighting.”


Neil Clark said that what happened on 24 March 1999 cannot be underestimated in the history of the twentieth century.  It was a crossing of the Rubicon.  It was an aggressive war in which NATO violated its own Charter.

“The attack on Yugoslavia did not take place in a vacuum.  It had been going on for some time as part of the plan for global domination.  Two years later came the attack on Afghanistan, then Iraq.  It is all part of a continuum.  We have to understand why Yugoslavia was attacked.  The idea was to demonstrate that there is no place in the world for a state that resists a market economy.  It is a case of divide and conquer – a classical strategy since Roman times.  It is a long term project and the Americans lit the fuse in Bosnia.”

“Milosevic was demonised so much precisely because he wanted to keep Federal Yugoslavia together and to keep some sort of social ownership.  The New World order won’t allow that. We are being forced to give in to pressures to open our countries to market forces.”

Has Kosovo been a success? The Americans now have their Camp Bondsteel military base and most of the province's assets have been privatised. But for ordinary people in the region it has been a disaster.  How can this be called a success?

He said that the propaganda war directed against the Serbs in the media had been ongoing for over 10 years.  “A large section of the West's public were brainwashed into believing the case for a humanitarian crusade.  It was very clever how the New World Order has got the people on the Left to accept or support the war”.

“Even Hitler didn’t bomb the BBC.  We must try to link up the war against Yugoslavia with the Afghan and Iraq wars to see the global strategy. Who is going to be next? We have to say NO to try to stop this juggernaut."

“Yugoslavia refused to pay Danegeld to the Empire and they were bombed.  We should want to live in a world that respects international law and where sovereign countries are free to conduct their own affairs.”

Misha Gavrilovic,spoke of the continuing need to decipher the language of 'Natospeak' linked to war propaganda. He referenced an interview given during the bombing by Mr Milosevic to a US station. There were two ongoing wars he had then stated. The physical one carried out with Nato bombs and the media war of lies and disinformation that had started years earlier in order to justify the aggression.

According to Mr Gavrilovic there is little that can be done by most ordinary citizens against Nato bombs - on the other hand everyone should learn to defend against 'Natospeak'. A good example of this begins with the deliberate naming of NATO first war as the "Kosovo War". Thereby an "intercontinental war of aggression led by a non-European power” is being presented as a local and regional conflict between Serbs and Albanians with the purpose of camouflaging the role of international aggressors. 

He also referred to the judgement made recently at the International Court of Justice in The Hague where Serbia was cleared of the genocide charge. "It is not pleasant to be associated for over 12 years with a country that has thus been libelled and internationally demonised - especially so in NATO countries." Now that the judgement has been made Serbia should refuse to even discuss any further charges before Western governments and their corporate media mouthpieces make a public apology. “The Government of Serbia should have charged the NATO countries with a blood libel case”.

Concerning the much-advertised "independence" for Kosovo he pointed out that the region, now almost 8 years under Nato occupation, has certainly been independent of Belgrade. The real issue is who is going to control the resources and property in the Serbian province. Belgrade has no control but it holds the property deeds. Does anyone really believe that if these are transferred to Pristina that the interventionists will not take their cut in the process? The valuable Trepca mine is presently being exploited by and for the benefit of Western corporations without either Belgrade or Pristina having been consulted or asked for permission to do so.

The meeting ended with several contributions from the floor.


=== 2 ===


8e anniversaire des bombardements de l'OTAN : Serbes et Kosovars albanais célèbrent à leur manière

Associated Press (AP) 
24/03/2007 15h48   

 

Dans l'attente d'une décision du Conseil de sécurité des Nations unies sur l'avenir du Kosovo, Serbes et Kosovars albanophones ont marqué samedi d'une manière fort différente le huitième anniversaire des premiers bombardements de l'OTAN sur la province aujourd'hui sous administration de l'ONU.

 

À Belgrade, le Premier ministre Vojislav Kostunica et d'autres hauts responsables serbes ont assisté à un office religieux en l'église Saint-Marc à la mémoire des centaines de Serbes morts au cours des frappes aériennes de l'Alliance atlantique.

 

Au même moment, le président indépendantiste du Kosovo, Fatmir Sejdiu, estimait à Pristina que l'intervention de l'OTAN avait «annoncé l'aube de la liberté pour le peuple du Kosovo qui traversait l'une de ses pires tragédies».

 

«La plus grande alliance militaire au monde était confrontée au Mal de (Slobodan) Milosevic et de ses nombreux partisans en Serbie», a rappelé M. Sejdiu dans son allocution d'anniversaire, ajoutant qu'«après presque huit années de liberté, le Kosovo est près d'exaucer son voeu d'indépendance et de souveraineté.»

 

En Serbie, le Parti radical serbe, formation ultranationaliste qui gouvernait avec Milosevic dans les années 90, a pour sa part observé dans un communiqué que l'OTAN et ses pays membres «poursuivent leur agression en tentant de retirer» le Kosovo à la Serbie. En hommage aux «milliers de victimes innocentes, la Serbie ne devra jamais oublier» «l'agression» du 24 mars 1999, a-t-il ajouté.

 

Ce jour-là, l'Alliance atlantique avait entamé une campagne de frappes aériennes sur des objectifs serbes pour faire cesser la répression militaire exercée par le régime de Belgrade contre les séparatistes albanophones du Kosovo. Après 78 jours de bombardements, Milosevic avait retiré ses troupes de la province et autorisé l'OTAN et une mission des Nations unies à en prendre le contrôle.

 

Au terme d'une médiation d'une année entre les deux communautés du Kosovo, l'émissaire spécial de l'ONU Martti Ahtisaari a récemment recommandé une indépendance sous supervision internationale pour la province à majorité albanophone.

 

Reste que les autorités serbes, appuyées par leur allié russe, s'opposent à ce plan onusien et préconisent une large autonomie pour la province, ce qui pourrait donner lieu à un bras de fer avec les autres membres permanents du Conseil de sécurité de l'ONU lorsque le rapport Ahtisaari y sera débattu.


=== 3 ===


EDITORIAL

From Yugoslavia to Iraq to Sudan


Published Mar 29, 2007 8:15 PM


Eight years ago on March 24, 1999, the U.S. began bombing the city of Pristina in Kosovo, the opening of the 79-day war on Yugoslavia.

The brutality of the U.S. bombers is intentionally forgotten by the big U.S. media. U.S. bombs and rockets targeted civilians, hitting passenger trains, destroying the chemical industry, and poisoning the Danube River. Schools were bombed as were hospitals as well as television broadcast centers during live newscasts. As has been documented since that time, U.S. generals told the Yugoslav leaders that unless they surrendered, the capital city of Belgrade would be carpet-bombed so heavily that nothing would be left standing.

Now, eight years later, this war is not being described as the crime it was.

Like the U.S. war on Iraq, the war on Yugoslavia was based on lies. The lies were told by President Bill Clinton, his cabinet members and his generals.

The big lie was that the war was necessary to “stop genocide,” even though there was no genocide to stop.

Genocide has a legal definition under international law, and the U.S. imperialists claimed that gave them legal justification for their war on Yugoslavia. Genocide in that case means the massive, systematic killing of an “ethnic, racial or religious group” by a state power.

The U.S. sanctions on Iraq before the war that killed more than a million Iraqis probably qualifies under this definition as genocide. The U.S. invasion and occupation of Iraq has involved the massive killing of Iraqis.

But in a ruling that also comes eight years after the war, the International Court of Justice—though packed with U.S.-friendly judges—could find no basis for charging the Yugoslav government or the Serbian government with genocide. The headlines, put into the back pages of the newspapers and mostly ignored on the TV news, said: “Serbia not guilty of genocide.”

The ruling did not say there were no deaths, that there was no brutality. It says that there was no genocide being carried out by the Yugoslav government, which was the basis that Clinton and the Pentagon launched the 1999 war.

The significance of this should not be lost. Just as there were no “weapons of mass destruction” in Iraq, there was no genocide in Yugoslavia. But the Clinton administration was threatening war unless Yugoslavia surrendered to a U.S. takeover. The reports of genocide were intentionally whipped up in order to create a justification for the war. This is the same formula the Bush administration used for its war on Iraq.

Similar formulas have been used to justify other imperialist wars. And will be used again in the future unless the imperialists are stopped.

Already claims of “genocide” in Darfur are being used to whip up calls for imperialist military intervention in Sudan. The well-financed “Save Darfur Coalit

(Message over 64 KB, truncated)


(da compagni sloveni, ma significativamente in lingua serbocroata, riceviamo questo testo che incita all'unificazione dei partiti e delle organizzazioni anticapitaliste in terra jugoslava. A cura di Rudi ed Olga)


M I Š L J E N J A

SLOVENSKI KOMUNISTIČKI ODBOR: šljanja u okviru razmene mišljenja.

Predstavnicima komunističkih i radničkih Partija i Društvenih organizacija Srbije.

Sa interesovanjem i zadovoljstvom pratimo informacije o Vašim aktivnostima-dogovorima za zajednički nastup na predstojećim lokalnim izborima u Srbiji. Posebno, smatramo važnim Vaša opredelenja i rad na ujedinjenju komunističkih i radničkih Partija i Društvenih organizacija.
Verujemo da bi Vaš uspeh mogao biti značajan faktor, podstreh a i putokaz za objedinjavane komunističko-socijalističkih snaga na prostorima do nedavno zajedničke socijalističke države, a i šire. Nije potrebno dokazivati, kakav ogromni istoriski značaj će imati ponovno ujedinjavanje za naše narde i narodnosti, prevarene lažnom i zlobnom propagandom od strane udruženih protivsocijalističkih snaga, razdvojene, suprostavljene i posvađane! Pozdravljajući Vaša opredelenja u, nazovimo je početnom fazom ujedinjavanja, Komunistički Odbor Slovenije smatra korisnim upoznati Vas sa svojim razmišljanjima o nekim važnim pitanjima u vezi ideje i delovanja u cilju ujedinjavanja svih socijalističko-komunističkih snaga na teritoriji nedavne zajedničke države.


1.Programsko jedinstveno opredelenje.

Smatramo da je od presudne važnosti za međunarodni radnički pokret, posebno za socijalističko-komunističke snage na teritoriji razbijene SFRJ-e, da sve Partije upišu u svoje Programe glavna marksistička izvorna načela, koja su klasici socijalizma-komunizma odredili kao neophodne pretpostavke za uspeh socijalističke-komunističke ideologije. Načela su poznata:Da radnička klasa osvoji vlast i da istinski vlada u društvu, sve do ukidanja-nestanka klasa (ne da vladaju drugi u njeno ime), da radnička klasa organizuje u društveno vlasništvo glavna privredna dobra (privredne resurse, proizvodne objekte, srestva za proizvodnju i drugo) i da u realnom obimu-okviru ograniči privatno vlasništvo, da potpuno onemogući eksploataciju tuđeg rada i sticanje bogastva tuđim radom,  da obzbedi pravo radnih ljudi na rad sa društvenim sredstima za proizvodnju, da istinski obezbedi pravo poizvođača da odlučuju o raspodeli i upotrebi proizvodne vrednosti ostvarene zajedničkim društvenim radom. Pretpostavke će biti ostvarljive ukoliko društveni rad proizvede dovoljno materijalnih dobara za odgovarajući solidan materijalno društveni standard građana.
Za ostvarenje tog strateškog cilja, klasici su opredelili važan uslov ujedinjavanje socijalističko-komuističkih snaga-posebno, radničke klase, na svim prostoima i svim nivoima, sa rukovodećim strukturama i kadrovima, klasno opredeljenim i istinski odanim marksističko-komunističkoj ideologiji. 
Sa tom namenom, osnivane su I. II. i III. internacionale (Kominterna). Nažalost, gorka iskustva iz prošlosti potvrđuju neuspehe, razjedinjavanje i poraze, uglavnom, zbog odstupanja i deformacija navedenih načela, kao što su: nametanje neravnopravnih odnosa, diktat i samovolja brojnijih ili razvijenijih, frakcije, kompromisni stavovi prema buržoaziji, izdaja i prelazak na suprotnu stranu. Nije ispunjavana i jedna od najvažnijih predpostavki (bila je uneta i u Program jugoslovenskih komunista), da na najodgovornije rukovodeće funkcije dođu socijalizmu odani kadrovi. Naprotiv, posle odlaska naših klasika i starih revolucionarnih kadrova, poznato je kakvi su došli na najodgovrnije partiske i državne funkcije: karijeristi, vlastoljubci, foteljaši, izdajnici i protivnici komunistčke ideologije. Ustvari, neograničeni ego-egoisti. 
Jednako je u jugoslovenskoj stvarnosti, a i kod drugih, potvrđena opravdanost upozorenja klasika na opasnost koju za radničku klasu, po dolasku na vlast, prestavlja njena sopstvena birokratija.Kada je sa pozicije vlasti-vladanja nad društvom, morala sići na poziciju služenja istinskoj samoupravnoj vladavini radničke klase i radnih ljudi, prihvatila je izdaju, prešla na stranu svrgnute buržoazije i odano joj služi za prljavu-sramnu nagradu izdaje.

   

Klasici su ukazivali, a i praksa je potvrdila, da izgradnja prelaznog socijalističkog društva nije lak posao. Staze i putevi koji vode ka tome cilju, nisu ravne i utabane, neispitane su i raznovrsne, hod po njima težak i spor. Rešenja se moraju tražiti u usklađivanju hoda sa izvornim načelima, analizama pređenog, korekcijama u okviru realnosti, racionalnosti, objektivnosti, tolerancije različitog pristupa i mišljenja. 
Naravno, ne odstupajući od strateškog cilja- boriti se za izgradnju socijalističko-komunističkog bezklasnog društva. Mišljenja smo, ukoliko bi komunističko radničke partije, koje žele biti dosledne socijalističko-komunističkoj ideologiji, delovale u skladau sa izvornim marksističkim načelima, ne bi moglo doći do tragičnih razilaženja, podela, neuspeha i poraza, kao u prošlosti. Jednako smatramo, da odlučno treba odbaciti i raskrinkavati tzv. kritičare marksizma, koji tvrde da je isti utopija i da je zastareo. Tvrde da se nije ostvarilo Marksovo predviđanje o potiskivanju nacionalnog i verskog faktora i odumiranje država, klasne konfrutacije, polarizacije i sl. da, po njihovom, ti faktori u stvarnosti jačaju. Da su iluzorna i Marksova predviđanja kako će eksploatisani slojevi prispeti u proleterijat, jer da je u praksi ekonomsko-tehnološka preobrazba promenila uslove rada i uslovila nastanak "šarenila" nehemogenih socijalnih grupa sa različitim interesima. 
Nadri kritičari nisu u pravu, jer su ostvarena i sve više se ostvaruju Marksova predviđanja, da je buržoazija pretvorila i pretvara u najamne radnike: lekare, pravnike, pesnike, naučnike, pa i duhonike. U kriznim situacijama, kada te grupe ostanu bez posla i bez sredstava za život, još više pripadaju proleterijatu. Takođe, da sve te "šarene" socijalne grupe povezuje zajednički interes, borba protiv eksploatacije, potpuno nagrađivanje rada i odlučivanje o zarađenom!
Mišljenja smo, da su neprihvatljivi neki stavovi o gradnji- kombinaciji mešovitog socijalističko-kapitalističkog sistema-društvenog poretka, koji dopušta eksploataciju tuđeg rada ! 
Još pre Marksa, socijalistički teoretičari zastupali su tezu o podeli sveta na manjinsku klasu bogatih eksplatatora  i većinsku eksplatisanih i obespravljenih. Životna praksa, od tog vremena do danas, potvrđuje da su te podele sve veće, a suprotnosti i nepomirljivost-među njima sve izrazitije, onako kako su klasici marksizma predviđali.
U vezi prednjeg, mišljenja smo da je potrebno uvažavati kriterij za ocenu, koliko su neke Partije socijalističko- komunističke (prave levice), prema tome da li svoje programe zasnivaju na marksističikm načelima i da li se dosledno zalažu za jihovu primenu u praksi. Marksističke Partije ne mogu biti one koje su protiv marksističke ideologije, prihvataju kapitalistički sistem (neoganičeno privatno vlasništvo, eksploataciju i dr.). 
Takve su danas tzv. socijalističke, socijaldemokratske, demiokratske, laburističke, liberalne i druge, koje kada dođu na vlast, ne menjaju ništa bitno u kapitalističkom sistemu. Sa takvima ne može biti programskog kompromisa.  Uostalom, i kapitalistička ideologija zastupa teze da komunizam teba iskoreniti i to u praksi čine. To ne znači da nije potrena sradnja sa drugima, po svim pitanjima i akcijama koja slabe bilo koji segment kapitalističkog sisema.


2. Nepriznavanje razbijanja SFRJ-e.

Smatramo da bi ujedinjavanju socijalističko-komunističkih snaga na prostoru nedavne zajedničke države znatno doprineo jedinstven stav i zajednička izjava o nepriznavanju razbijanja SFRJ-e. Ukoliko zastupamo stav, na osnovu poznatih nepobitnih činjenica, da je Socijalistička Jugoslavija nasilno razbijena, nije opravdano priznati legitimnost nasilja. Ukoliko akt nasilja ne osudimo zvaničnom izjavom o nepriznavanju nasilja, prećutno bi odobrili legitimnost i legalnost nasilja, koje je izvršeno protivno pravu  SFRJ-e i međunarodnom pravu.. Osnov i oslonac za nepriznavanje nasilnog razbijanja i komadanja SFRJ-e je u Odulci II. zasedanja AVNOJ-a, 29. novembra 1943.godine,  u bosanskom gradu Jajcu. 

Nema bitne razlike između oba razbijačka čina, sem vremenskog faktora, oblika i  broja protagonista-učesnika u razbijanju. U oba primera agresori su propagirali " novi" svetski poredak, a cilj je bio indentičan, okupacija i podela teritorija, promena vlasti i silom nametanje fašističkog ili kapitalističkog eksploatatorskog sistema. Primena oružane sile, organizovanje, naoružavanje i rukovođenje protiv državnih pobuna i paravojnih formacija, međujnacionalnih i međuverskih sukoba, podela teritorija i sve drugo. Ukoliko se ima u vidu oružana agresija NATO snaga na pojedine delove države, upotrebljene su znatno veće oružane snage, nego l941. godine, jača i sveobuhvatna protivsocijalistička propaganda. Fašističke agresorske države, 1941. nisu mogle izolovati žrtve u međunarodnim odnosima, kako su to učinile agresorske imperijalističke države, 1990-ih godina (paralisanjem OUN, ušutkivanjem svetske javnosti i drgim drastičnim merama).
Socijalističko-komunističke snage, nepriznavanjem razbijanja svoje socijalističke države, iako realno ona ne postoji, ne čine ništa protivpravno i nelogično. Naprotiv, moralno opravdano afirmišu svoje pravo da se bore za povratak onog što im je nasiljem oduzeto, državu koja je bila suverena, međunarodno pravno priznata, a posebno, cenjena kao značajan međunarodni faktor, primeran borac za mir i međudržavne ravnopravne odnose. Uostalom, i Povelja OUN priznaje pravo državi žrtvi agresije da se brani i da ne priznaje silom-agresijom nametnuto stanje. Zbog razlike u svetskim zbivanjima, 1940-ih i 1990-ih godina, očekivanja za rekonstrukciju i konsolidaciju razbijene države traju i trajat će duže nego u prvom slučaju, ali to ne može biti razlog za skepsu i iluzije. 



3. Otimanje Kosova i Metohije.

U vezi sa prednjim, danas je važno pitanje jedinstvenog stava o Kosovu, obzirom da je sastavni deo Republike Srbije i SFRJ-e kao celine. Opredelenje za rekonstrukciju razbijene države, naravno, podrazumeva i Kosovo u u njoj, bilo da se naziva Oblast, Pokrajina ili kakav drugi deo organizovanosti teritorije države. Zato je, bilo čija podrška nezavisnosti Kosova, suprotna ideji o obnavljanju razbijene države i znači podršku fašističko-imperijalističkim planovima, porobljavanja, razdvajanja, suprostavljanja i zavađanja naroda, što imperijalisti sprovode, da bi lakše vladali nad razdeljenim delovima.
Imperijalisti su vešto koristili istoriske okolnosti u životu albanskog naroda-narodnosti i sklonosti albanskih nacionalističkih vođa da usiljavaju "rešavanje" albanskih nacionalnih interesa i emancipacije u svađi i sukobima sa drugim narodima, sa kojima su živeli i žive na istom geografskom prostoru. Na nacionalističkoj platformi uspevali su pridobiti većinu Albanaca na strani zavojevača (primer u I. i II. svetskom ratu, kao i danas za seperatističku ideju, pod okriljem imperijalista). Od brojnih manipulacija sa albanskim narodom-naronosti, naročito je štetna indoktrinacija Albanaca na naučno nedokazanoj tezi o njihovom ilirskom poreklu, na čemu su nacionalisti izgradli strategiju o etničkom čišćenju nealbanskoih nacionalnih zajednica sa tih prostora, što takođe, podržavaju kapitalističko-imperijalistički osvajači. I kada bi ta teza bila istinita, ne može pravdati etničko čišćenje, inače, svojstveno nacionalističko-fašističkoj i imperijalističkoj ideološkoj praksi.

Jugoslovenski komunisti su, uglavnom, imali pravilan stav o albanskom pitanju i stvarnom interesu albanskog naroda. Osuđivali su revanšistički odnos prema albanskoj narodnosti, u pojedinim fazama vladavina nacionalističkog vođstva blakanskih država, posebno srpskih. 
Pozivali su albansku narodnost da ne sledi put nacionalista, konfrutacije i sukoba sa drugim nacionalnim zajednicama, te da se udruži sa drugim jugoslovenskim narodima u borbi za nacionalno oslobođenje i punu ravnopravnost sa drugima. 

Kao što je poznato, albanska narodnost se odazvala na poziv komunista, masovnijim učešćem u oslobođenju zemlje, krajem II svetskog rata i uključivanjem u jugoslovensku zajednicu-izgradnju socijalističke države. 
Poznati su i pozitivni rezultati koje je albanska narodnost postigla u zajenici,  uz pomoć svih jugosloenskih naroda. Uspehe su često isticali albanski rukovodioci, među kojima je značajna izjava dugogodišnjeg istaknutog rukovodioca na Kosmetu Fadilj Hodže, koju je kroisno često citirati: "Albanska narodnost Kosova ostvarila je takav razvoj kakv nije imala u svojoj istoriji, od kako se na ovom tlu zna za ime Albanac. Nikada u prošlosti nije imala brži i dinamičniji uspon. I ne samo to, mogu reći da meni nije poznato da postoji ijedan drugi narod koji je u ovako kratkom vremenu postigao tako veliki napredak, kakav su ostvarili Albanci na Kosovu. Za svega četiri decenije savladali smo teški feudalizam i neviđenu kulturnu i drugu zaostalost. 
Danas mi Albanci imamo sve mogućnosti da razvijamo i negujemo sve vrednosti koje čine naš nacionalni indentitet…". Fadiljeva izjava, kao i brojni dokumenti koji se odnose na predmetno pitanje, nepobitno potvrđuju da je nacionalno pitanje albanske narodnosti bilo najpovoljnije rešeno u Socijalističkoj Jugoslaviji.

Nema razloga za promenu stava komunista do albanskog pitanja. Taj stav je, potrebno ga je stalno isticati: Uverenost komunista da je istinski interes albanske narodnosti suživot u zajednici sa drugim narodima i narodnostima nedavne zajedničke države, koja garantuje ravnopravnost i pravo na svestrani razvoj, koji mogu nastaviti i ostvarivati samo u socijalističkoj zajednici-Jugoslaviji, da teritorija na kojoj žive, jednako pripada svim narodnim zajednicama koji na njoj žive. Zbog toga je budućnost svih u zajedništvu, ne u konfrutacijama i etničkim progonima, kako ih usmeravaju nacionalističke vođe i imperijalisti.


Samostalnost Kosova ne bi poboljšalo socijalno stanje i životni standard Albanac i drugih. Naprotiv, jačalo bi siromaštvo i eksploatacija građana i prirodnog bogastva Kosova. 

Sadašnje kritično i haotično stanje to dokazuje, (npr. po nekim statističkim podacima okupaciske vlasti; postoji 2/3-ska nezaposlenost, 1/3 građana živi sa manje od 1,42 evra na dan, od toga oko polovna sa manje od 0,93 evra na dan, privreda uništena bombardovanjem, ono što je ostalo, opljačkano je ili ne proizvodi. Nema ni kavalifikovanih stručnih kadrova). Pored ostalog, razvijena je korupcija,kriminal, šverc sa drogom, sa čime Kosovo prednjači na Balkanu i šire. U socijalizmu svega toga nije bilo, ili je bilo neznatno. 

U vezi navedenog, Slovenski Komunistički Odbor smatra da je i danas, još više nego pre, dužnost komunista da se bore za usmeravanje albanske narodnosti na pravi put- povratka u zajedničku socijalističku državu i predlaže da  se nacionalnim zajednicama Kosmeta, sa posebnim naglaskom ili posebno albanskoj zajednici, uputi proglas ili apel, sa pozivom na suživot sa drugim nacionalnim zajednicama, na povratak u socialističku zajednicu, barbu za oslobođenje ispod okupacje. U proglasu ukazati na stvarne interese svih na Kosovu, na štetnost nacionalističke i seperatističke politike, na gorka i tragična iskustva iz prošlosti, kao posledice nacionalističko razdvajačke politike i usmeravanja. 
Takođe, krivce koji su prouzrokovali sadašnje siromašno stanje itd. Proglas bi trebale potpisati sve Komunističke Partije i Društvene oranizacije sa prostora nedavne sopcoijalističke države.
Očekivati je da bi takvi apeli imali uspeha, jer treba verovati da većina osiromašenih i opljačkanih građana Kosmeta, zna ceniti, šta su imali u socijalizmu, a šta su izgubili razbijanjem socijalističke države.

Verovatno bi ranije obraćanje komunista albanskom narodu bilo efikasnije, a nadati se da nikad nije kasno.
O pozitivnim  efektima Proglasa i apela, postoje iskustva KPJ iz II. svetskog rata, na istoj teritoriji Kosmeta, i u sličnim uslovima rada, kada je većina albanske narodnosti bila zavedena nacionalističko-fašističkom propagandom i podržavala okupatore. Upornom borbom komunista, među ostalim i preko proglasa, uspelo se pridobiti većinu albanske narodnosti na pozicije NOP-a i NOB-e, koja je masovno učestvovala u završnoj fazi oslobađanja zemlje.Tada su proglasi objavljivani u partiskim publikacijama, a vrlo uspešno su ih rasturali po selima i gradovima osobno aktivisti NOP-a. 

U tadašnjoj situaciji, bilo je od kapitalne važnosti imati istinske komuniste Albance, iako ih je bilo u manjem broju, bili su dragoceni i znatno su doprinosili uspehu razvoja NOP-a na Kosmetu. Potestimo na nekoliko svetlih likova i heroja Albanaca komunista; Ramiz Sadihu, Emin Duraku, Ali Šukriju, Meta Barjaktari i još neki. Sigurno i danas među Albancima ima pojedinaca i grupa spremnih da se odlučno svom snagom bore za socijalizam i marksističku ideologiju. Dužnost je svih organizovanih komunista da ih pozovu u zajedničku borbu, jedini je ispravan put u današnjoj teškoj situaciji. 
Činjenica je da je bilo i izdajnika socijalizma , kao i u drugim delovima SFRJ-e! Komunisti moraju dokazivati da su interesi svih koji žive na Kosmetu jednaki: pravo na rad, bolji životni sandard, odlučivanje o vrednostima stvorenim radom, svestrani razvoj u punoj ravnopravnosti itd. Da se to može ostvarivati i postići u socijalističkoj državi, u miru, te  samo većinskim opredelenjem svake nacionalne zajednice ka istom zajedničkom cilju.
Napominjemo, da naša razmišljanja predočavamo objašnjenjem i predlogom, u okviru razmene mišljenja.I ranije smo objavljivali slične stavove i predloge, ali do sada na njih nije bilo odziva, osim Organizacije SKOJ-a, koja podržava  stav o nepriznavanju razbijanja države - SFRJ-e.

 27.03. 2007                                                              
Drugarski pozdrav, aktuelnim geslom-UJEDINIMO SE!   

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(da M. Gemma, con preghiera di diffusione, riceviamo e giriamo)

Ucraina

Gli “arancioni” stanno apertamente preparando un colpo di stato,
per instaurare una dittatura nazionalista

Dichiarazione di Piotr Simonenko
Primo Segretario del Partito Comunista di Ucraina (KPU)
http://www.komunist.com.ua , 23 marzo 2007

Una grave crisi istituzionale sta investendo nuovamente l’Ucraina.
Il 31 marzo decine di migliaia di manifestanti si sono riversati
nelle piazze della capitale Kiev, in un braccio di ferro che vede
contrapposti l’opposizione “arancione”, nazionalista, liberista e
filo-NATO, capeggiata da Julja Timoshenko, sostenuta dal presidente
della Repubblica Viktor Juschenko e finanziata dall’amministrazione
nordamericana, e la coalizione di governo formata dal Partito delle
Regioni del premier Viktor Janukovich, vincitore delle ultime
elezioni parlamentari, dai comunisti e dai socialisti.
Il Partito Comunista (non a caso, negli ultimi tempi, bersaglio
privilegiato di attacchi e attentati organizzati dai “radicali” di
destra appoggiati dalla NATO) ha avuto un ruolo di primo piano
nell’organizzazione della manifestazione a sostegno del governo, a
cui hanno preso parte oltre 100.000 persone. Il leader del KPU, Piotr
Simonenko è stato il primo degli oratori ad intervenire nel comizio
che ha chiuso l’evento.
Sulle ragioni dell’acutizzazione della crisi politica, lo stesso
Simonenko era intervenuto alcuni giorni prima con una dichiarazione
pubblicata nelle pagine del giornale del suo partito.
Di seguito la traduzione.

Gli avvenimenti di questi giorni testimoniano che la squadra
“arancione”, non essendo stata capace di adempiere ad una sola delle
sue promesse elettorali e avendo perso la fiducia della gente, sta
premendo per una soluzione di forza di carattere revanscista,
preparandosi apertamente al colpo di stato.

Ciò è risultato particolarmente evidente dopo il viaggio di Ju.
Timoshenko negli USA. Nel tentativo di realizzare le decisioni dei
suoi sponsor politici e contando sulle garanzie ricevute oltreoceano,
la cosiddetta opposizione si è avviata sulla strada della
destabilizzazione della situazione nel paese e della preparazione
delle condizioni per l’instaurazione di una dittatura nazionalista.
Sotto il patrocinio del presidente i radicali di destra addestrano
reparti armati per l’organizzazione di disordini di massa. Essi sono
“ispirati” da Jurij Luzenko, braccio destro di Juschenko, che sta
distribuendo in tutta l’Ucraina i soldi che gli oligarchi gli hanno
generosamente regalato, per incitare impunemente alla sedizione.

I cospiratori “arancioni” cercano di stroncare la volontà del nostro
popolo di resistere alla dittatura incombente. A tal fine cercano di
utilizzare tutti gli strumenti che da sempre si trovano nell’arsenale
dei nazionalisti. Cercano di provocare l’odio tra le regioni, le
etnie e le religioni, di inserire un cuneo tra le generazioni, di
schernire la nostra grande storia, di convincere la gente che la
trasformazione dell’Ucraina in una semicolonia dell’Occidente, sotto
gli stivali della NATO, rappresenta una questione ormai risolta, da
non mettere assolutamente in discussione. Per il raggiungimento del
loro criminale obiettivo – impadronirsi di tutto il potere e di tutti
i beni dell’Ucraina – queste persone agiscono sulla base del
principio del “tanto peggio, tanto meglio” e cercano consapevolmente
di destabilizzare la situazione economico-sociale del paese, sperando
di vedersi restituire il monopolio del potere sull’onda della crisi
da loro stesse provocata.

Gli “arancioni” tentano di seminare la paura tra coloro che vogliono
e sono pronti a resistere al loro colpo di stato. E’ proprio questo
lo scopo perseguito dai vigliacchi, che hanno aggredito recentemente
le sedi di partito del KPU in alcune regioni dell’Ucraina. E’ chiaro
anche ai non addetti ai lavori che tali episodi non sono dovuti al
caso, ma sono stati realizzati sulla base di un piano preparato in
alte sfere.

Noi comunisti dichiariamo che non ci faremo intimidire. Facciamo
appello ai cittadini dell’Ucraina perché siano vigili e non
permettano uno sviluppo della situazione che corrisponda agli scenari
elaborati oltreoceano.

Esigiamo che gli organi di ordine pubblico, che oggi in maniera
illegale sono subordinati al presidente, mantengano la loro fedeltà
al giuramento e non solo non diano corso a decreti criminali, nel
caso si presentino, ma stronchino qualsiasi tentativo di conquista
incostituzionale del potere.

Avendo ben presente la pericolosità di un colpo di stato “arancione”,
il gruppo parlamentare del KPU intende chiedere immediatamente conto
a tutti i dirigenti delle strutture di sicurezza dello stato delle
misure che si stanno adottando per il mantenimento dell’ordine
pubblico, per la difesa della democrazia e della sicurezza dei
cittadini dell’Ucraina.

Non passeranno!

Traduzione dal russo di Mauro Gemma per www.resistenze.org