Informazione
Da: ICDSM Italia
Data: Lun 11 Ott 2004 14:23:40 Europe/Rome
A: icdsm-italia@ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] Parodia di giustizia all’Aja
Parodia di giustizia all’Aja
(traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
1. Lettera aperta di Christopher Black, presidente del Comitato legale
dell’ICDSM
2. Lettera di un gruppo di testimoni degli Stati Uniti al Presidente
Slobodan Milosevic
3. Rifiuto di Leonida G. Ivachov di partecipare al « processo » come
testimone
4. Dichiarazione del Comitato Greco per la Distensione internazionale e
per la Pace (EEDYE)
5. TPI - Tribunale Penale Internazionale : Washington manda un
avvertimento a Belgrado
--- ( 1 ) ---
Lettera aperta di Christopher Black, presidente del Comitato legale
dell’ICDSM, Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23028
Christopher Black 14/09/2004
Il Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Yugoslavia (ICTY),
una associazione di criminali che non è ne’una organizzazione
internazionale ne’una organizzazione giudiziaria, è stato insediato in
violazione del diritto internazionale e dei principi fondanti della
Carta delle Nazioni Unite.
Questo Tribunale produce false accuse, organizza arresti e carcerazioni
senza la minima autorità legale e dirige quelli che definisce
“processi”, in violazione del diritto internazionale e di tutte le
leggi nazionali e delle norme di giustizia.
Questo Tribunale costituisce un’arma con la quale gli Stati Uniti e i
loro alleati tentano di distruggere il principio fondamentale della
sovranità delle nazioni, che costituisce la base essenziale
dell’autodeterminazione dei popoli e della democrazia, per cui gli
Alleati della Seconda Guerra Mondiale hanno fatto mostra di combattere
i fascisti Tedeschi, Italiani e Giapponesi.
Oggi, i fascisti hanno fatto la loro ricomparsa e, essendosi
impadroniti del potere negli Stati Uniti e negli altri paesi alleati
della NATO, pretendono di creare un Nuovo Ordine mondiale in seno al
quale essi soli decideranno chi deve vivere e chi morire, chi deve
essere libero e chi imprigionato, come pure le condizioni economiche e
sociali nelle quali tutti noi dovremo vivere.
In nome della libertà, stanno creando la schiavitù. In nome
della giustizia e dei diritti dell’uomo, mutilano e massacrano. In nome
del diritto internazionale, hanno instaurato le norme di un potere
assoluto e implacabile. In nome della democrazia, stanno distruggendo
la democrazia. In nome dei popoli, stanno instaurando una dittatura
mondiale.
Una componente essenziale della dittatura consiste nel
sistema delle non-leggi e dei non-tribunali che loro hanno creato,
sistema di cui si viene a prendere assoluta consapevolezza nella forma
di questi tribunali criminali, che hanno l’unico obiettivo di sostenere
il Nuovo Ordine mondiale e di distruggere qualsiasi nazione o governo
nazionale che si opporranno loro.
I ben noti non-tribunali, come l’ICTY o il suo omologo per
il Rwanda ICTR, e i loro quasi omologhi per la Sierra Leone, la
Cambogia e Timor Est, sono stati istituiti e sono mantenuti in carica e
sotto controllo principalmente dagli Stati Uniti, con l’obiettivo di
demonizzare coloro che resistono alle loro imposizioni; questo in vista
della distruzione della sovranità di quei paesi e, di conseguenza, si
creano i presupposti per minare la sovranità di tutte le nazioni, gli
Stati Uniti da tutto questo sono automaticamente esclusi, e si manovra
in modo che i meccanismi della propaganda presentino versioni distorte
degli avvenimenti che sono avvenuti in quei paesi, trasformando senza
eccezioni le vittime dell’aggressione americana in capri espiatori e
“criminali”, e mascherando l’effettivo ruolo giocato in questi
avvenimenti dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
L’ICTY è stato insediato con questi obiettivi, di distruggere la
Yugoslavia, di controllare i Balcani e di minacciare la Russia. L’ICTR
è stato insediato al fine di distruggere il Rwanda, in quanto Stato
progressista, e di controllare le immense risorse dell’Africa centrale.
I Tribunali ibridi, mezzo ONU, mezzo nazionali, per la Sierra Leone, la
Cambogia e Timor Est, sono stati creati con il medesimo scopo, di
schiacciare l’opposizione agli interessi degli Stati Uniti e dei loro
alleati in quei paesi.
In questo caso, gli Stati Uniti, utilizzando la loro influenza sul
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno prodotto delle strutture
criminali, che hanno la pretesa di definirsi tribunali, con funzionari
che si pavoneggiano in pubblico con abbigliamenti stravaganti, tutti
paludati di titoli roboanti e di un senso morale professionalmente
basso, e che hanno redatto degli “statuti”, dei pezzi di carta
straccia, di nessun significato, salvo quello di mirare a conferirsi
una vernice legale immediatamente confutata dalle loro regole
procedurali e dalle prove destinate ad impedire la messa in atto di
processi veramente legali ed ugualmente impedire sempre alla verità di
essere divulgata.
I sostenitori di queste strutture pretendono che esse agiscono
secondo i principi di giustizia, legalità ed umanità. Il fatto di
imporre un consulente-consigliere al Presidente Milosevic, scelto dal
tribunale per ridurre al silenzio il Presidente Milosevic e sabotarne
la difesa, azione che non avrebbe potuto aver luogo se non in ragione
dell’assenza completa di morale nella famiglia di giuristi rispondenti
al nome di Kay, costituisce l’atto fra i più densi di livore da parte
del triumvirato di marionette della NATO che portano le toghe rosse
dell’Inquisizione e che non sono altro che delle auto-parodie di
giudici.
La natura fascista di questi tribunali si è palesata in modo
chiarissimo. La giustezza della causa del Presidente Milosevic salta
agli occhi.
I popoli del mondo devono riconoscere che il Presidente Milosevic e
tutti gli altri prigionieri del Nuovo Ordine mondiale sono ostaggi di
questo Ordine, privati della loro libertà ad esempio per noi tutti. I
popoli di questo mondo devono agire per mettere un termine a queste
ingiustizie ed evitare che queste proseguano prima che anche noi
diventiamo tutti vittime. I prigionieri di questi tribunali “ad hoc”
devono essere rilasciati. I tribunali devono venire bloccati. Coloro i
quali li hanno imposti devono affrontare la giustizia dei tribunali dei
loro stessi paesi per i crimini di guerra che hanno commesso. La
sovranità delle nazioni e il diritto internazionale devono essere
restaurati. Le leggi internazionali dovranno essere restaurate. Da noi
tutti insieme, dunque il potere di fare questo sta nelle nostre mani!
Christopher Black,
Presidente del Comitato legale dell’ICDSM
Arusha, Tanzania.
--- ( 2 ) ---
Lettera di un gruppo di testimoni degli Stati Uniti al Presidente
Slobodan Milosevic
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23055
12/09/2004
Caro Presidente Milosevic,
Noi sottoscritti, siamo indignati per la decisione del tribunale
dell’Aja (ICTY) di imporvi un consigliere legale contro la vostra
volontà e di privarvi del vostro diritto fondamentale della vostra
autodifesa. Benché noi immediatamente siamo stati consenzienti a
testimoniare a vostra difesa, in queste condizioni noi non possiamo ne’
vogliamo partecipare come testimoni, viste le attuale procedure.
La decisione del tribunale non solo viola le norme legali ed etiche
fondamentali, ma disprezza apertamente i suoi propri regolamenti e il
proprio status giuridico. Secondo l’articolo 21, al paragrafo 4 dello
statuto dell’ICTY, un accusato viene abilitato ad ottenere alcune
“garanzie minimali”, ivi compreso il diritto “di assicurare a lui
stesso la propria difesa o l’assistenza legale di una persona di sua
scelta”. Inoltre, lo statuto stabilisce che un processo deve essere
condotto “nel pieno rispetto dei diritti dell’accusato”. Allora il
nostro unico commento è che, in tutta evidenza, il senso della parola
“garanzie” differisce evidentemente in modo totale dall’accezione che
ne da il tribunale.
Noi possiamo assicurarvi che restiamo pronti e d’accordo a comparire
come testimoni nel caso che vi venga restituito il vostro diritto
all’autodifesa, sempre che voi desideriate sempre invitarci. Noi
restiamo fermamente uniti nel nostro credere che le accuse contro di
voi sono false e che rappresentano la continuazione della guerra
condotta contro la Yugoslavia e contro il popolo Serbo da parte degli
Stati Uniti e i loro alleati della NATO. Noi inviamo una copia di
questa lettera al tribunale, in modo da informarlo della nostra
decisione.
Firmato,
Gregory Elich, Sara Flounders, Barry Lituchy, Michael Parenti
copia conforme: Registro dell’ICTY, l’Aja
--- ( 3 ) ---
Rifiuto di Leonida G. Ivachov di partecipare al « processo » come
testimone
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23027
Leonida G. Ivachov è stato capo settore del Dipartimento della
Cooperazione Militare Internazionale del Ministero della Difesa della
Federazione Russa dal 1996-2001, vice presidente dell’Accademia per le
Questioni geopolitiche, dottore in Scienze storiche, colonnello
generale della riserva.
Mosca, 9 settembre 2004
Dichiarazione
(traduzione di J-M.Flémal)
In risposta all’invito del Presidente dell’ex Repubblica Federale di
Yugoslavia (RFY), Signor Slobodan Milosevic, io, Leonida Grigorievitch
Ivachov, cittadino della Federazione Russa, mi sono dimostrato
d’accordo a testimoniare in favore della sua difesa nel corso del
processo che si sta svolgendo davanti al Tribunale penale
internazionale per l’ex Yugoslavia (ICTY). Ho agito in tal modo in
piena coscienza, cercando di contribuire al conseguimento
dell’obiettività e della verità sulle questioni Europea e Yugoslava
durante il periodo 1997-2000.
A mio parere, la partecipazione al processo dell’Aja era importante per
le seguenti motivazioni circostanziali:
in primo luogo, io ho partecipato direttamente agli avvenimenti in
questione; in secondo luogo non posso ignorare il fatto che l’accusa
presentava come testimoni molte persone che hanno direttamente
preparato e perpetrato l’aggressione armata contro uno Stato sovrano,
vale a dire la Repubblica Federale di Yugoslavia, e che si sono resi
responsabili della morte di centinaia di persone e della violazione
delle norme del diritto internazionale.
Tuttavia, le recenti decisioni del tribunale mi hanno costretto a
rivedere la mia precedente decisione. L’ICTY, in violazione dei suoi
stessi statuti (articolo 21, paragrafo 4), impone un consigliere legale
a Slobodan Milosevic che, fino a questo momento, si è avvalso del suo
diritto all’autodifesa.
Fra i compiti del consigliere imposto, figura quello di determinare
quali sono le persone che dovrebbero comparire come testimoni della
difesa, quale sarà la natura delle loro testimonianze e le loro
possibili interpretazioni.
Non è possibile considerare cosa normale che il consigliere imposto
sia un cittadino del paese che ha calpestato le norme del diritto
internazionale, la lettera e lo spirito della Carta delle Nazioni Unite
e che, in modo ripetuto, ha commesso aggressioni contro alcuni Stati
sovrani, e fra questi la Repubblica Federale di Yugoslavia.
In queste condizioni, visto che la mia testimonianza in qualità di
testimone della difesa può venire utilizzata addirittura contro
Slobodan Milosevic e non si ricerca l’obiettività e non viene adottata
una procedura giusta, mi rifiuto di prendere parte al processo.
Nello stesso tempo, confermo la mia intenzione di comparire al
processo quando l’ICTY metterà in atto condizioni legalmente corrette e
giuste e rispetterà le norme del diritto internazionale.
Léonide G. Ivachov
--- ( 4 ) ---
Dichiarazione del Comitato Greco per la Distensione internazionale e
per la Pace (EEDYE)
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23035
Atene, 15 settembre 2004
Al Comitato internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
All’Organizzazione SLOBODA di Serbia e Montenegro
All’Associazione internazionale degli Avvocati democratici
Cari amici,
Con grande inquietudine e collera stiamo seguendo gli avvenimenti che
avvolgono il « processo » all’ex Presidente della Repubblica Federale
di Yugoslavia, Slobodan Milosevic, « processo » che si sta svolgendo
presso il celebre « Tribunale penale internazionale per la Yugoslavia »
(ICTY), dove i diritti fondamentali dell’accusato vengono violati
giorno dopo giorno, e nello stesso tempo ogni senso di diritti umani e
democratici.
Dopo due anni e circa 300 giorni di processo, le accuse presentate
puntano a legittimare i crimini della NATO durante i bombardamenti
barbari e inumani contro la Yugoslavia, nel 1999.
Durante questo periodo si sono moltiplicate le violazioni dei diritti
fondamentali che assolutamente sono propri dell’accusato. Slobodan
Milosevic ha subito sistematicamente ostacoli che gli hanno impedito di
comunicare con la sua famiglia e con i suoi consiglieri legali, i
quali, fra l’altro, hanno sgomberato gli intoppi raccogliendo nuovi
elementi di prova e risorse destinate ad affermare la sua innocenza.
Inoltre, i tempi necessari a questi preparativi e alla sua difesa sono
stati tagliati in maniera draconiana, e contemporaneamente il numero
dei testimoni a difesa è stato contingentato, mentre al contrario la
lista degli accusatori è stata allungata in modo considerevole, perfino
quando il processo aveva avuto inizio.
Il punto culminante di queste violazioni consiste nel fatto che,
malgrado siano manifesti i riferimenti agli statuti dell’ICTY (Art. 21,
paragrafo 4) che affermano che l’accusato ha il diritto di « essere
giudicato in sua presenza, e di vedere assicurata a lui medesimo la
propria difesa o attraverso una assistenza giuridica da lui stesso
scelta », noi stiamo ora assistendo a una violazione flagrante di
questo diritto, in quanto il tribunale gli impone un consigliere legale
alla difesa, e questo, malgrado le veementi e categoriche obiezioni di
Slobodan Milosevic e la sua insistenza a volere difendersi da solo.
Noi pensiamo che questa evoluzione conferma il carattere politico
del tribunale e dello stesso processo, che si svolge con una procedura
che costituisce una provocazione per qualsiasi avvocato e giurista,
come pure per tutto il sistema giuridico che l’umanità ha conosciuto
fino a questo momento. Il diritto di cui oggi è stato privato Slobodan
Milosevic non era stato rifiutato nemmeno dal regime dell’apartheid a
Nelson Mandela, neppure dai nazisti a Georgi Dimitrov.
In nome del Comitato Greco per la Distensione internazionale e per la
Pace, in nome di tutte le persone che in Grecia coltivano la pace, noi
indirizziamo le nostre proteste, le più veementi, all’Organizzazione
delle Nazioni Unite per questa farsa di processo che non fornisce la
benché minima garanzia di un processo libero e leale.
Dal più profondo del nostro cuore, esprimiamo la nostra solidarietà nei
riguardi dei popoli della Yugoslavia nella loro lotta per la pace e il
progresso, contro i piani imperialistici che concernono i Balcani.
Per il Comitato Greco per la Distensione internazionale e per la Pace
(EEDYE)
Evangelos Mahairas
Presidente dell’EEDYE
Presidente onorario del Consiglio mondiale per la Pace (WPC)
Ex Presidente dell’Associazione degli Avvocati e dei giuristi di Atene
--- ( 5 ) ---
TPI - Tribunale Penale Internazionale : Washington manda un
avvertimento a Belgrado
di Roland Marounek
Fonte : alerte-otan @...
AFP - 30 settembre 2004
Washington manda un avvertimento a Belgrado
Gli Stati Uniti hanno messo in guardia Belgrado, giovedì scorso, contro
una persistente mancanza di cooperazione con il Tribunale Penale
Internazionale (TPI), sottolineando che questa cattiva volontà
impedisce la sua integrazione con la “comunità internazionale”.
«Disgraziatamente, gli obblighi di Belgrado nei confronti del TPI non
vengono assolti», ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa il
Segretario di Stato aggiunto per gli Affari Politici degli Stati Uniti,
Marc Grossman.
La sua visita, in compagnia dell’Ambasciatore itinerante degli USA per
i crimini di guerra, Pierre-Richard Prosper, avviene nel momento in cui
Belgrado è sottoposta a forti pressioni da parte della “comunità
internazionale” perché si arresti l’ex comandante in capo dell’esercito
Serbo-bosniaco Ratko Mladic.
«Mladic si trova sempre in libertà», ha sottolineato M. Grossman. «La
data ultima (del suo arresto) é scaduta ieri », ha insistito.
Considerato come un eroe da moltissimi Serbi, il generale Mladic, in
fuga dal 1996, è accusato dal TPI di genocidio, crimini contro
l’umanità e crimini di guerra durante il conflitto in Bosnia (1992-95).
Alla vigilia dell’arrivo dei signori Grossman e Prosper a Belgrado,
erano circolate alcune indiscrezioni su una operazione di vaste
dimensioni a Valjevo (Sud-Ovest) per arrestarlo, ma i giornalisti
presenti sul posto non hanno constatato alcun dispositivo particolare.
Secondo M.Grossman, Belgrado già «sta patendo un danno» per questa
mancanza di cooperazione con il TPI. «Voi siete tenuti in disparte
dall’Unione Europea, dal programma di Partenariato per la pace della
NATO», ha rimarcato il responsabile americano, dopo un incontro con il
Ministro per gli Affari Esteri, Vuk Draskovic.
Assieme al Presidente Boris Tadic, M. Draskovic è uno dei rari
responsabili Serbi a anelare che il suo paese collabori con il TPI.
«Voi non desiderate (…) che la Serbia-Montenegro rimanga un’isola priva
di contatti e questo è quello che attualmente sta accadendo», ha
dichiarato M. Grossman.
D’altro canto, il Presidente Tadic, un riformista, che dopo la sua
elezione avvenuta nel luglio scorso «coabita» con il primo Ministro
Vojislav Kostunica, considerato un nazionalista moderato, ha
sottolineato di tenere in conto «molto seriamente» gli avvertimenti
americani. «Noi cercheremo di adottare una soluzione che sarà
accettabile per la nostra nazione e per il nostro Stato», così si è
pronunciato dopo aver ricevuto M. Grossman.
La posizione di M. Tadic sembra essersi rinforzata dopo che la sua
formazione politica, il partito democratico (DS) ha realizzato il
miglior risultato al primo turno di elezioni amministrative, dieci
giorni fa. Domenica prossima avverrà il secondo turno.
M. Grossman h comunque salutato la decisione della magistratura serba
di emettere mandato di cattura contro quattro generali dell’esercito e
della polizia, incolpati di crimini di guerra da parte del TPI.
Belgrado insiste perché siano giudicati in Serbia, cosa che Washington
sembra pronta ad accettare se Mladic venisse arrestato. Ma nel caso in
cui non avvenisse alcun arresto, «questo potrebbe apparire molto più
difficile», ha avvertito M. Grossman.
Attualmente la pressione su Belgrado andrà decisamente a
intensificarsi, visto che la Rappresentante dell’Accusa del TPI Carla
Del Ponte deve incontrarsi lunedì prossimo con i rappresentanti serbi,
dopo aver partecipato venerdì ad una conferenza sui crimini di guerra.
==========================
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Data: Lun 11 Ott 2004 14:23:40 Europe/Rome
A: icdsm-italia@ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] Parodia di giustizia all’Aja
Parodia di giustizia all’Aja
(traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
1. Lettera aperta di Christopher Black, presidente del Comitato legale
dell’ICDSM
2. Lettera di un gruppo di testimoni degli Stati Uniti al Presidente
Slobodan Milosevic
3. Rifiuto di Leonida G. Ivachov di partecipare al « processo » come
testimone
4. Dichiarazione del Comitato Greco per la Distensione internazionale e
per la Pace (EEDYE)
5. TPI - Tribunale Penale Internazionale : Washington manda un
avvertimento a Belgrado
--- ( 1 ) ---
Lettera aperta di Christopher Black, presidente del Comitato legale
dell’ICDSM, Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23028
Christopher Black 14/09/2004
Il Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Yugoslavia (ICTY),
una associazione di criminali che non è ne’una organizzazione
internazionale ne’una organizzazione giudiziaria, è stato insediato in
violazione del diritto internazionale e dei principi fondanti della
Carta delle Nazioni Unite.
Questo Tribunale produce false accuse, organizza arresti e carcerazioni
senza la minima autorità legale e dirige quelli che definisce
“processi”, in violazione del diritto internazionale e di tutte le
leggi nazionali e delle norme di giustizia.
Questo Tribunale costituisce un’arma con la quale gli Stati Uniti e i
loro alleati tentano di distruggere il principio fondamentale della
sovranità delle nazioni, che costituisce la base essenziale
dell’autodeterminazione dei popoli e della democrazia, per cui gli
Alleati della Seconda Guerra Mondiale hanno fatto mostra di combattere
i fascisti Tedeschi, Italiani e Giapponesi.
Oggi, i fascisti hanno fatto la loro ricomparsa e, essendosi
impadroniti del potere negli Stati Uniti e negli altri paesi alleati
della NATO, pretendono di creare un Nuovo Ordine mondiale in seno al
quale essi soli decideranno chi deve vivere e chi morire, chi deve
essere libero e chi imprigionato, come pure le condizioni economiche e
sociali nelle quali tutti noi dovremo vivere.
In nome della libertà, stanno creando la schiavitù. In nome
della giustizia e dei diritti dell’uomo, mutilano e massacrano. In nome
del diritto internazionale, hanno instaurato le norme di un potere
assoluto e implacabile. In nome della democrazia, stanno distruggendo
la democrazia. In nome dei popoli, stanno instaurando una dittatura
mondiale.
Una componente essenziale della dittatura consiste nel
sistema delle non-leggi e dei non-tribunali che loro hanno creato,
sistema di cui si viene a prendere assoluta consapevolezza nella forma
di questi tribunali criminali, che hanno l’unico obiettivo di sostenere
il Nuovo Ordine mondiale e di distruggere qualsiasi nazione o governo
nazionale che si opporranno loro.
I ben noti non-tribunali, come l’ICTY o il suo omologo per
il Rwanda ICTR, e i loro quasi omologhi per la Sierra Leone, la
Cambogia e Timor Est, sono stati istituiti e sono mantenuti in carica e
sotto controllo principalmente dagli Stati Uniti, con l’obiettivo di
demonizzare coloro che resistono alle loro imposizioni; questo in vista
della distruzione della sovranità di quei paesi e, di conseguenza, si
creano i presupposti per minare la sovranità di tutte le nazioni, gli
Stati Uniti da tutto questo sono automaticamente esclusi, e si manovra
in modo che i meccanismi della propaganda presentino versioni distorte
degli avvenimenti che sono avvenuti in quei paesi, trasformando senza
eccezioni le vittime dell’aggressione americana in capri espiatori e
“criminali”, e mascherando l’effettivo ruolo giocato in questi
avvenimenti dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
L’ICTY è stato insediato con questi obiettivi, di distruggere la
Yugoslavia, di controllare i Balcani e di minacciare la Russia. L’ICTR
è stato insediato al fine di distruggere il Rwanda, in quanto Stato
progressista, e di controllare le immense risorse dell’Africa centrale.
I Tribunali ibridi, mezzo ONU, mezzo nazionali, per la Sierra Leone, la
Cambogia e Timor Est, sono stati creati con il medesimo scopo, di
schiacciare l’opposizione agli interessi degli Stati Uniti e dei loro
alleati in quei paesi.
In questo caso, gli Stati Uniti, utilizzando la loro influenza sul
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, hanno prodotto delle strutture
criminali, che hanno la pretesa di definirsi tribunali, con funzionari
che si pavoneggiano in pubblico con abbigliamenti stravaganti, tutti
paludati di titoli roboanti e di un senso morale professionalmente
basso, e che hanno redatto degli “statuti”, dei pezzi di carta
straccia, di nessun significato, salvo quello di mirare a conferirsi
una vernice legale immediatamente confutata dalle loro regole
procedurali e dalle prove destinate ad impedire la messa in atto di
processi veramente legali ed ugualmente impedire sempre alla verità di
essere divulgata.
I sostenitori di queste strutture pretendono che esse agiscono
secondo i principi di giustizia, legalità ed umanità. Il fatto di
imporre un consulente-consigliere al Presidente Milosevic, scelto dal
tribunale per ridurre al silenzio il Presidente Milosevic e sabotarne
la difesa, azione che non avrebbe potuto aver luogo se non in ragione
dell’assenza completa di morale nella famiglia di giuristi rispondenti
al nome di Kay, costituisce l’atto fra i più densi di livore da parte
del triumvirato di marionette della NATO che portano le toghe rosse
dell’Inquisizione e che non sono altro che delle auto-parodie di
giudici.
La natura fascista di questi tribunali si è palesata in modo
chiarissimo. La giustezza della causa del Presidente Milosevic salta
agli occhi.
I popoli del mondo devono riconoscere che il Presidente Milosevic e
tutti gli altri prigionieri del Nuovo Ordine mondiale sono ostaggi di
questo Ordine, privati della loro libertà ad esempio per noi tutti. I
popoli di questo mondo devono agire per mettere un termine a queste
ingiustizie ed evitare che queste proseguano prima che anche noi
diventiamo tutti vittime. I prigionieri di questi tribunali “ad hoc”
devono essere rilasciati. I tribunali devono venire bloccati. Coloro i
quali li hanno imposti devono affrontare la giustizia dei tribunali dei
loro stessi paesi per i crimini di guerra che hanno commesso. La
sovranità delle nazioni e il diritto internazionale devono essere
restaurati. Le leggi internazionali dovranno essere restaurate. Da noi
tutti insieme, dunque il potere di fare questo sta nelle nostre mani!
Christopher Black,
Presidente del Comitato legale dell’ICDSM
Arusha, Tanzania.
--- ( 2 ) ---
Lettera di un gruppo di testimoni degli Stati Uniti al Presidente
Slobodan Milosevic
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23055
12/09/2004
Caro Presidente Milosevic,
Noi sottoscritti, siamo indignati per la decisione del tribunale
dell’Aja (ICTY) di imporvi un consigliere legale contro la vostra
volontà e di privarvi del vostro diritto fondamentale della vostra
autodifesa. Benché noi immediatamente siamo stati consenzienti a
testimoniare a vostra difesa, in queste condizioni noi non possiamo ne’
vogliamo partecipare come testimoni, viste le attuale procedure.
La decisione del tribunale non solo viola le norme legali ed etiche
fondamentali, ma disprezza apertamente i suoi propri regolamenti e il
proprio status giuridico. Secondo l’articolo 21, al paragrafo 4 dello
statuto dell’ICTY, un accusato viene abilitato ad ottenere alcune
“garanzie minimali”, ivi compreso il diritto “di assicurare a lui
stesso la propria difesa o l’assistenza legale di una persona di sua
scelta”. Inoltre, lo statuto stabilisce che un processo deve essere
condotto “nel pieno rispetto dei diritti dell’accusato”. Allora il
nostro unico commento è che, in tutta evidenza, il senso della parola
“garanzie” differisce evidentemente in modo totale dall’accezione che
ne da il tribunale.
Noi possiamo assicurarvi che restiamo pronti e d’accordo a comparire
come testimoni nel caso che vi venga restituito il vostro diritto
all’autodifesa, sempre che voi desideriate sempre invitarci. Noi
restiamo fermamente uniti nel nostro credere che le accuse contro di
voi sono false e che rappresentano la continuazione della guerra
condotta contro la Yugoslavia e contro il popolo Serbo da parte degli
Stati Uniti e i loro alleati della NATO. Noi inviamo una copia di
questa lettera al tribunale, in modo da informarlo della nostra
decisione.
Firmato,
Gregory Elich, Sara Flounders, Barry Lituchy, Michael Parenti
copia conforme: Registro dell’ICTY, l’Aja
--- ( 3 ) ---
Rifiuto di Leonida G. Ivachov di partecipare al « processo » come
testimone
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23027
Leonida G. Ivachov è stato capo settore del Dipartimento della
Cooperazione Militare Internazionale del Ministero della Difesa della
Federazione Russa dal 1996-2001, vice presidente dell’Accademia per le
Questioni geopolitiche, dottore in Scienze storiche, colonnello
generale della riserva.
Mosca, 9 settembre 2004
Dichiarazione
(traduzione di J-M.Flémal)
In risposta all’invito del Presidente dell’ex Repubblica Federale di
Yugoslavia (RFY), Signor Slobodan Milosevic, io, Leonida Grigorievitch
Ivachov, cittadino della Federazione Russa, mi sono dimostrato
d’accordo a testimoniare in favore della sua difesa nel corso del
processo che si sta svolgendo davanti al Tribunale penale
internazionale per l’ex Yugoslavia (ICTY). Ho agito in tal modo in
piena coscienza, cercando di contribuire al conseguimento
dell’obiettività e della verità sulle questioni Europea e Yugoslava
durante il periodo 1997-2000.
A mio parere, la partecipazione al processo dell’Aja era importante per
le seguenti motivazioni circostanziali:
in primo luogo, io ho partecipato direttamente agli avvenimenti in
questione; in secondo luogo non posso ignorare il fatto che l’accusa
presentava come testimoni molte persone che hanno direttamente
preparato e perpetrato l’aggressione armata contro uno Stato sovrano,
vale a dire la Repubblica Federale di Yugoslavia, e che si sono resi
responsabili della morte di centinaia di persone e della violazione
delle norme del diritto internazionale.
Tuttavia, le recenti decisioni del tribunale mi hanno costretto a
rivedere la mia precedente decisione. L’ICTY, in violazione dei suoi
stessi statuti (articolo 21, paragrafo 4), impone un consigliere legale
a Slobodan Milosevic che, fino a questo momento, si è avvalso del suo
diritto all’autodifesa.
Fra i compiti del consigliere imposto, figura quello di determinare
quali sono le persone che dovrebbero comparire come testimoni della
difesa, quale sarà la natura delle loro testimonianze e le loro
possibili interpretazioni.
Non è possibile considerare cosa normale che il consigliere imposto
sia un cittadino del paese che ha calpestato le norme del diritto
internazionale, la lettera e lo spirito della Carta delle Nazioni Unite
e che, in modo ripetuto, ha commesso aggressioni contro alcuni Stati
sovrani, e fra questi la Repubblica Federale di Yugoslavia.
In queste condizioni, visto che la mia testimonianza in qualità di
testimone della difesa può venire utilizzata addirittura contro
Slobodan Milosevic e non si ricerca l’obiettività e non viene adottata
una procedura giusta, mi rifiuto di prendere parte al processo.
Nello stesso tempo, confermo la mia intenzione di comparire al
processo quando l’ICTY metterà in atto condizioni legalmente corrette e
giuste e rispetterà le norme del diritto internazionale.
Léonide G. Ivachov
--- ( 4 ) ---
Dichiarazione del Comitato Greco per la Distensione internazionale e
per la Pace (EEDYE)
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23035
Atene, 15 settembre 2004
Al Comitato internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
All’Organizzazione SLOBODA di Serbia e Montenegro
All’Associazione internazionale degli Avvocati democratici
Cari amici,
Con grande inquietudine e collera stiamo seguendo gli avvenimenti che
avvolgono il « processo » all’ex Presidente della Repubblica Federale
di Yugoslavia, Slobodan Milosevic, « processo » che si sta svolgendo
presso il celebre « Tribunale penale internazionale per la Yugoslavia »
(ICTY), dove i diritti fondamentali dell’accusato vengono violati
giorno dopo giorno, e nello stesso tempo ogni senso di diritti umani e
democratici.
Dopo due anni e circa 300 giorni di processo, le accuse presentate
puntano a legittimare i crimini della NATO durante i bombardamenti
barbari e inumani contro la Yugoslavia, nel 1999.
Durante questo periodo si sono moltiplicate le violazioni dei diritti
fondamentali che assolutamente sono propri dell’accusato. Slobodan
Milosevic ha subito sistematicamente ostacoli che gli hanno impedito di
comunicare con la sua famiglia e con i suoi consiglieri legali, i
quali, fra l’altro, hanno sgomberato gli intoppi raccogliendo nuovi
elementi di prova e risorse destinate ad affermare la sua innocenza.
Inoltre, i tempi necessari a questi preparativi e alla sua difesa sono
stati tagliati in maniera draconiana, e contemporaneamente il numero
dei testimoni a difesa è stato contingentato, mentre al contrario la
lista degli accusatori è stata allungata in modo considerevole, perfino
quando il processo aveva avuto inizio.
Il punto culminante di queste violazioni consiste nel fatto che,
malgrado siano manifesti i riferimenti agli statuti dell’ICTY (Art. 21,
paragrafo 4) che affermano che l’accusato ha il diritto di « essere
giudicato in sua presenza, e di vedere assicurata a lui medesimo la
propria difesa o attraverso una assistenza giuridica da lui stesso
scelta », noi stiamo ora assistendo a una violazione flagrante di
questo diritto, in quanto il tribunale gli impone un consigliere legale
alla difesa, e questo, malgrado le veementi e categoriche obiezioni di
Slobodan Milosevic e la sua insistenza a volere difendersi da solo.
Noi pensiamo che questa evoluzione conferma il carattere politico
del tribunale e dello stesso processo, che si svolge con una procedura
che costituisce una provocazione per qualsiasi avvocato e giurista,
come pure per tutto il sistema giuridico che l’umanità ha conosciuto
fino a questo momento. Il diritto di cui oggi è stato privato Slobodan
Milosevic non era stato rifiutato nemmeno dal regime dell’apartheid a
Nelson Mandela, neppure dai nazisti a Georgi Dimitrov.
In nome del Comitato Greco per la Distensione internazionale e per la
Pace, in nome di tutte le persone che in Grecia coltivano la pace, noi
indirizziamo le nostre proteste, le più veementi, all’Organizzazione
delle Nazioni Unite per questa farsa di processo che non fornisce la
benché minima garanzia di un processo libero e leale.
Dal più profondo del nostro cuore, esprimiamo la nostra solidarietà nei
riguardi dei popoli della Yugoslavia nella loro lotta per la pace e il
progresso, contro i piani imperialistici che concernono i Balcani.
Per il Comitato Greco per la Distensione internazionale e per la Pace
(EEDYE)
Evangelos Mahairas
Presidente dell’EEDYE
Presidente onorario del Consiglio mondiale per la Pace (WPC)
Ex Presidente dell’Associazione degli Avvocati e dei giuristi di Atene
--- ( 5 ) ---
TPI - Tribunale Penale Internazionale : Washington manda un
avvertimento a Belgrado
di Roland Marounek
Fonte : alerte-otan @...
AFP - 30 settembre 2004
Washington manda un avvertimento a Belgrado
Gli Stati Uniti hanno messo in guardia Belgrado, giovedì scorso, contro
una persistente mancanza di cooperazione con il Tribunale Penale
Internazionale (TPI), sottolineando che questa cattiva volontà
impedisce la sua integrazione con la “comunità internazionale”.
«Disgraziatamente, gli obblighi di Belgrado nei confronti del TPI non
vengono assolti», ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa il
Segretario di Stato aggiunto per gli Affari Politici degli Stati Uniti,
Marc Grossman.
La sua visita, in compagnia dell’Ambasciatore itinerante degli USA per
i crimini di guerra, Pierre-Richard Prosper, avviene nel momento in cui
Belgrado è sottoposta a forti pressioni da parte della “comunità
internazionale” perché si arresti l’ex comandante in capo dell’esercito
Serbo-bosniaco Ratko Mladic.
«Mladic si trova sempre in libertà», ha sottolineato M. Grossman. «La
data ultima (del suo arresto) é scaduta ieri », ha insistito.
Considerato come un eroe da moltissimi Serbi, il generale Mladic, in
fuga dal 1996, è accusato dal TPI di genocidio, crimini contro
l’umanità e crimini di guerra durante il conflitto in Bosnia (1992-95).
Alla vigilia dell’arrivo dei signori Grossman e Prosper a Belgrado,
erano circolate alcune indiscrezioni su una operazione di vaste
dimensioni a Valjevo (Sud-Ovest) per arrestarlo, ma i giornalisti
presenti sul posto non hanno constatato alcun dispositivo particolare.
Secondo M.Grossman, Belgrado già «sta patendo un danno» per questa
mancanza di cooperazione con il TPI. «Voi siete tenuti in disparte
dall’Unione Europea, dal programma di Partenariato per la pace della
NATO», ha rimarcato il responsabile americano, dopo un incontro con il
Ministro per gli Affari Esteri, Vuk Draskovic.
Assieme al Presidente Boris Tadic, M. Draskovic è uno dei rari
responsabili Serbi a anelare che il suo paese collabori con il TPI.
«Voi non desiderate (…) che la Serbia-Montenegro rimanga un’isola priva
di contatti e questo è quello che attualmente sta accadendo», ha
dichiarato M. Grossman.
D’altro canto, il Presidente Tadic, un riformista, che dopo la sua
elezione avvenuta nel luglio scorso «coabita» con il primo Ministro
Vojislav Kostunica, considerato un nazionalista moderato, ha
sottolineato di tenere in conto «molto seriamente» gli avvertimenti
americani. «Noi cercheremo di adottare una soluzione che sarà
accettabile per la nostra nazione e per il nostro Stato», così si è
pronunciato dopo aver ricevuto M. Grossman.
La posizione di M. Tadic sembra essersi rinforzata dopo che la sua
formazione politica, il partito democratico (DS) ha realizzato il
miglior risultato al primo turno di elezioni amministrative, dieci
giorni fa. Domenica prossima avverrà il secondo turno.
M. Grossman h comunque salutato la decisione della magistratura serba
di emettere mandato di cattura contro quattro generali dell’esercito e
della polizia, incolpati di crimini di guerra da parte del TPI.
Belgrado insiste perché siano giudicati in Serbia, cosa che Washington
sembra pronta ad accettare se Mladic venisse arrestato. Ma nel caso in
cui non avvenisse alcun arresto, «questo potrebbe apparire molto più
difficile», ha avvertito M. Grossman.
Attualmente la pressione su Belgrado andrà decisamente a
intensificarsi, visto che la Rappresentante dell’Accusa del TPI Carla
Del Ponte deve incontrarsi lunedì prossimo con i rappresentanti serbi,
dopo aver partecipato venerdì ad una conferenza sui crimini di guerra.
==========================
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c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
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[ In Austria, il "Premio Kurt Vorhofer" per il giornalismo politico e'
stato vinto dall'editorialista Hans Rauscher, che si e' distinto non
solo per i suoi commenti giustificazionisti rispetto ai crimini
commessi dagli statunitensi in Iraq, ma anche, negli anni passati, per
la sua serbofobia ed i suoi toni violentemente anti-jugoslavi. Secondo
Rauscher, i serbi sono "una banda di guerrieri balcanici primitivi, che
conoscono solamente l'arcaica vendetta di sangue... Chi ne conosce la
psiche, non puo' essere ottimista". Naturalmente, per la sua faziosita'
razzista nella guerra fratricida inter-jugoslava, a Rauscher erano gia'
stati attribuiti anche altri riconoscimenti professionali... ]
Da: joesb
Data: Sab 9 Ott 2004 22:09:39 Europe/Rome
Oggetto: Rauschers Serbenhatz belohnt
Kurt Vorhofer Preis für Politikjournalismus an Hans Rauscher verliehen.
Anmerkungen zu Journalistenpreisen.
Wer die Tradition eines Journalismus pflegt, "der geistige
Unabhängigkeit und Verantwortung mit brillantem Stil kombiniert", der
erweist sich diesen Kriterien des vor neun Jahren geschaffenen Kurt
Vorhofer Preises würdig (Vorhofer war stellv. Chefredakteur der
,Kleinen Zeitung'). Heuer wurde der Preis an den Kolumnisten Hans
Rauscher ("Standard", "Format", früher "Kurier") verliehen. In einem
Festakt, wo das "who is who" vor allem der linken Reichshälfte
versammelt war würdigte unser Herr Bundespräsident Fischer vor allem
"den weiten Horizont, Stil und Gefühl für die richtigen Themen"
Rauschers und für die Jury ist der so Geehrte besonders" im Rahmen
seines liberalen Weltbildes sozial engagiert".
Zur Illustration einige wenige Rauscher-Zitate zu den wohl am
wichtigsten und gravierendsten internationalen Ereignissen der letzten
eineinhalb Jahrzehnte:
Zu den Opferzahlen der US- Bombardements im Irak-Krieg 1991 schreibt
Rauscher u.a. auf Seite eins damals (noch) im Kurier: "Angesichts der
enormen Zahl der Angriffsflüge sind viele geneigt, die phantastischen
Zahlen, die aus trüben Quellen sprudeln, zumindest für denkbar zu
halten" und erklärt fachmännisch, dass "Lufteinsätze nicht gleich
Bombeneinsätze" wären, denn "mindestens die Hälfte seien Begleitflüge",
dass "sich nur ein Teil der Bombeneinsätze gegen militärische Ziele in
zivilen Umfeld" richte. Er zitiert die damalige ORF-Reporterin Antonia
Rados, "die von erstaunlich präzisen Bombenangriffen" und "relativ
geringen Verwüstungen" berichtet und die - man staune über so viel
Wissen! - nur "täglich fünf bis zehn Todesopfer" schätzt.
Zu den trüben Quellen: Der deutsche Luftwaffengeneral von Opel schätzte
1991 über 200.000 Opfer und das Pentagon gestand, dass an die 80 % der
konventionellen Bomben die militärischen Ziele verfehlten. Die ARD
("Weltspiegel") drehte damals einen Film in Bagdad und Kerbala
("Bericht aus einem zerschlagenen Land") der international sehr
beachtet war und die erschütternden Zustände vor allem in den
Kinderspitälern dokumentierte: schwere Verbrennungen, unzählige Fälle
von Dysenterie wegen der Zerstörung der Wasseraufbereitungsanlagen,
keine Medikamente mehr, hilfloses Sterben und Verzweiflung. Und Hans
Rauscher zitiert Antonia Rados' ORF-Reportagen, dass der
"unerträglichste Schrecken dieses Krieges bisher vermieden wurde." Frau
Rados erhielt übrigens - neben viele anderen Preisen - den Concordia
Preis für ihre "humane Grundkonzeption" ihrer Berichte.
Rauscher-Zitate zum Balkankrieg und zum serbischen Volk
Für Rauscher sind die Serben "...eine Bande von verschlagenen
primitiven Balkankriegern, die nur ihre archaische Blutrache
kennen...die bosnischen Serben in ihrem Blutrausch und nationalen Wahn
von einem ethnisch reinen Staat...so wird die Zivilisation am Balkan
lächeln zu Grabe getragen...wer die Psyche der Serben kennt, kann hier
nicht besonders optimistisch sein. Die Heldenvolk - Phantasien, die
Mischung aus Selbstmitleid und Brutalität." Worte wie "Bestialität",
"Blutrausch" oder "Raketen, die entweder Saddam Hussein oder Nordkorea
liefert" - an die Serben natürlich! - gehörten in seinen
Balkan-Kommentaren im "Standard" zu Rauschers Repertoire. (Zitate aus
dem Buch des Balkan-Kenners und langjährigen
ORF-Auslandsberichterstatters Dr. Malte Olschewski "Von den Karawanken
bis zum Kosovo" Braumüller-Verlag, 2ooo; Seite 250. Olschewski zieht
übrigens Vergleiche zu der Judenhetze im "Stürmer" der Nazizeit.)
Für seine Reportagen vom Balkan (und Afghanistan) wurde übrigens
ORF-Reporter Friedrich Orter 2002 (neben anderen Ehrungen) mit dem
OSZE-Journalistenpreis ausgezeichnet, weil er sich "in hervorragender
Weise für Demokratie und Menschenrechte einsetzt". Wer Orters häufig
verzerrt antiserbischen Berichte vor allem aus den ersten Jahren des
Balkankrieges kennt, fragt sich, ob hier manche Preise nach Prominenz
und Einfluss verteilt werden.
Selbst wenn es neben vielen berechtigten kritischen Beiträgen Rauschers
nur diese wenigen hier zitierten Beispiele gäbe u n d sich Rauscher
für seine Ausfälle entschuldigt hätte, bleibt die Frage erlaubt, ob die
hehren Vorgaben des Preises erfüllt und die in den Lautadios
gepriesenen Vorzüge der Kolumnen des so Geehrten wirklich zutreffen.
**************************************
Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung
Meiselstraße 46/4
A-1150 Wien
Tel&Fax: (+43 1) 9202083
joesb@ vorstadtzentrum. org
http://www.vorstadtzentrum.org/joesb
stato vinto dall'editorialista Hans Rauscher, che si e' distinto non
solo per i suoi commenti giustificazionisti rispetto ai crimini
commessi dagli statunitensi in Iraq, ma anche, negli anni passati, per
la sua serbofobia ed i suoi toni violentemente anti-jugoslavi. Secondo
Rauscher, i serbi sono "una banda di guerrieri balcanici primitivi, che
conoscono solamente l'arcaica vendetta di sangue... Chi ne conosce la
psiche, non puo' essere ottimista". Naturalmente, per la sua faziosita'
razzista nella guerra fratricida inter-jugoslava, a Rauscher erano gia'
stati attribuiti anche altri riconoscimenti professionali... ]
Da: joesb
Data: Sab 9 Ott 2004 22:09:39 Europe/Rome
Oggetto: Rauschers Serbenhatz belohnt
Kurt Vorhofer Preis für Politikjournalismus an Hans Rauscher verliehen.
Anmerkungen zu Journalistenpreisen.
Wer die Tradition eines Journalismus pflegt, "der geistige
Unabhängigkeit und Verantwortung mit brillantem Stil kombiniert", der
erweist sich diesen Kriterien des vor neun Jahren geschaffenen Kurt
Vorhofer Preises würdig (Vorhofer war stellv. Chefredakteur der
,Kleinen Zeitung'). Heuer wurde der Preis an den Kolumnisten Hans
Rauscher ("Standard", "Format", früher "Kurier") verliehen. In einem
Festakt, wo das "who is who" vor allem der linken Reichshälfte
versammelt war würdigte unser Herr Bundespräsident Fischer vor allem
"den weiten Horizont, Stil und Gefühl für die richtigen Themen"
Rauschers und für die Jury ist der so Geehrte besonders" im Rahmen
seines liberalen Weltbildes sozial engagiert".
Zur Illustration einige wenige Rauscher-Zitate zu den wohl am
wichtigsten und gravierendsten internationalen Ereignissen der letzten
eineinhalb Jahrzehnte:
Zu den Opferzahlen der US- Bombardements im Irak-Krieg 1991 schreibt
Rauscher u.a. auf Seite eins damals (noch) im Kurier: "Angesichts der
enormen Zahl der Angriffsflüge sind viele geneigt, die phantastischen
Zahlen, die aus trüben Quellen sprudeln, zumindest für denkbar zu
halten" und erklärt fachmännisch, dass "Lufteinsätze nicht gleich
Bombeneinsätze" wären, denn "mindestens die Hälfte seien Begleitflüge",
dass "sich nur ein Teil der Bombeneinsätze gegen militärische Ziele in
zivilen Umfeld" richte. Er zitiert die damalige ORF-Reporterin Antonia
Rados, "die von erstaunlich präzisen Bombenangriffen" und "relativ
geringen Verwüstungen" berichtet und die - man staune über so viel
Wissen! - nur "täglich fünf bis zehn Todesopfer" schätzt.
Zu den trüben Quellen: Der deutsche Luftwaffengeneral von Opel schätzte
1991 über 200.000 Opfer und das Pentagon gestand, dass an die 80 % der
konventionellen Bomben die militärischen Ziele verfehlten. Die ARD
("Weltspiegel") drehte damals einen Film in Bagdad und Kerbala
("Bericht aus einem zerschlagenen Land") der international sehr
beachtet war und die erschütternden Zustände vor allem in den
Kinderspitälern dokumentierte: schwere Verbrennungen, unzählige Fälle
von Dysenterie wegen der Zerstörung der Wasseraufbereitungsanlagen,
keine Medikamente mehr, hilfloses Sterben und Verzweiflung. Und Hans
Rauscher zitiert Antonia Rados' ORF-Reportagen, dass der
"unerträglichste Schrecken dieses Krieges bisher vermieden wurde." Frau
Rados erhielt übrigens - neben viele anderen Preisen - den Concordia
Preis für ihre "humane Grundkonzeption" ihrer Berichte.
Rauscher-Zitate zum Balkankrieg und zum serbischen Volk
Für Rauscher sind die Serben "...eine Bande von verschlagenen
primitiven Balkankriegern, die nur ihre archaische Blutrache
kennen...die bosnischen Serben in ihrem Blutrausch und nationalen Wahn
von einem ethnisch reinen Staat...so wird die Zivilisation am Balkan
lächeln zu Grabe getragen...wer die Psyche der Serben kennt, kann hier
nicht besonders optimistisch sein. Die Heldenvolk - Phantasien, die
Mischung aus Selbstmitleid und Brutalität." Worte wie "Bestialität",
"Blutrausch" oder "Raketen, die entweder Saddam Hussein oder Nordkorea
liefert" - an die Serben natürlich! - gehörten in seinen
Balkan-Kommentaren im "Standard" zu Rauschers Repertoire. (Zitate aus
dem Buch des Balkan-Kenners und langjährigen
ORF-Auslandsberichterstatters Dr. Malte Olschewski "Von den Karawanken
bis zum Kosovo" Braumüller-Verlag, 2ooo; Seite 250. Olschewski zieht
übrigens Vergleiche zu der Judenhetze im "Stürmer" der Nazizeit.)
Für seine Reportagen vom Balkan (und Afghanistan) wurde übrigens
ORF-Reporter Friedrich Orter 2002 (neben anderen Ehrungen) mit dem
OSZE-Journalistenpreis ausgezeichnet, weil er sich "in hervorragender
Weise für Demokratie und Menschenrechte einsetzt". Wer Orters häufig
verzerrt antiserbischen Berichte vor allem aus den ersten Jahren des
Balkankrieges kennt, fragt sich, ob hier manche Preise nach Prominenz
und Einfluss verteilt werden.
Selbst wenn es neben vielen berechtigten kritischen Beiträgen Rauschers
nur diese wenigen hier zitierten Beispiele gäbe u n d sich Rauscher
für seine Ausfälle entschuldigt hätte, bleibt die Frage erlaubt, ob die
hehren Vorgaben des Preises erfüllt und die in den Lautadios
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joesb@ vorstadtzentrum. org
http://www.vorstadtzentrum.org/joesb
NUOVO LIBRO: Kosovo Buco nero d'Europa
presentazioni a Bari e Molfetta
---
Kosovo, vi dice niente questa parola? I riflettori di giornali e TV da
tempo si sono spenti su questa provincia grande quanto la Basilicata
sulla quale nella primavera del 1999 fu rovesciato dalla NATO un
torrente di missili e bombe, per scongiurare – si disse – un
genocidio. Oltre 5 anni dopo, sotto gli occhi delle truppe della NATO,
si è realizzata la pulizia etnica a danno di serbi, rom e delle altre
minoranze non albanesi: oltre 250.000 profughi, più di 2.500 tra
uccisi e desaparecidos per mano dei separatisti albanesi, interi
villaggi rasi al suolo, città come Pristina e Prizren "ripulite".
Circa 150 monasteri e chiese ortodosse devastati e incendiati. Tra
questi i capolavori dell'arte medievale... E per la minoranza serba
rimasta, una vita impossibile, fatta di insicurezza quotidiana, di
vessazioni, di apartheid: una prigione a cielo aperto. Da recentissimi
viaggi in Kosovo un reportage documentato e appassionato, un racconto
nel presente e nella memoria.
Presentazioni del libro-reportage
Kosovo Buco nero d'Europa
Di Uberto Tommasi e Mariella Cataldo. Prefazione di Andrea Catone
Edizioni Achab, ottobre 2004 - 11 euro
--- Molfetta ---
venerdì 15 ottobre - ore 19.30
Casa dei popoli,via tenente Ragno 62
Intervengono
Uberto Tommasi, reporter di guerra, Verona
Mariella Cataldo, Ass. Most za Beograd, Bari
Prof. Ugo Villani, docente di Diritto Internazionale, Università "La
Sapienza" di Roma
I dannati del Kosovo (2002)
film di Michel Collon e Vanessa Stojlković
--- Bari ---
Sabato 16 ottobre - ore 18.30
Ass. Altair, via re David 116/a
Intervengono
Uberto Tommasi, reporter di guerra, Verona
Mariella Cataldo, Ass. Most za Beograd, Bari
Prof. Nico Perrone, docente di Storia contemporanea, Università di Bari
--- per contatti:
Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava
via Abbrescia 97 - 70121 BARI - most.za.beograd @ libero.it
presentazioni a Bari e Molfetta
---
Kosovo, vi dice niente questa parola? I riflettori di giornali e TV da
tempo si sono spenti su questa provincia grande quanto la Basilicata
sulla quale nella primavera del 1999 fu rovesciato dalla NATO un
torrente di missili e bombe, per scongiurare – si disse – un
genocidio. Oltre 5 anni dopo, sotto gli occhi delle truppe della NATO,
si è realizzata la pulizia etnica a danno di serbi, rom e delle altre
minoranze non albanesi: oltre 250.000 profughi, più di 2.500 tra
uccisi e desaparecidos per mano dei separatisti albanesi, interi
villaggi rasi al suolo, città come Pristina e Prizren "ripulite".
Circa 150 monasteri e chiese ortodosse devastati e incendiati. Tra
questi i capolavori dell'arte medievale... E per la minoranza serba
rimasta, una vita impossibile, fatta di insicurezza quotidiana, di
vessazioni, di apartheid: una prigione a cielo aperto. Da recentissimi
viaggi in Kosovo un reportage documentato e appassionato, un racconto
nel presente e nella memoria.
Presentazioni del libro-reportage
Kosovo Buco nero d'Europa
Di Uberto Tommasi e Mariella Cataldo. Prefazione di Andrea Catone
Edizioni Achab, ottobre 2004 - 11 euro
--- Molfetta ---
venerdì 15 ottobre - ore 19.30
Casa dei popoli,via tenente Ragno 62
Intervengono
Uberto Tommasi, reporter di guerra, Verona
Mariella Cataldo, Ass. Most za Beograd, Bari
Prof. Ugo Villani, docente di Diritto Internazionale, Università "La
Sapienza" di Roma
I dannati del Kosovo (2002)
film di Michel Collon e Vanessa Stojlković
--- Bari ---
Sabato 16 ottobre - ore 18.30
Ass. Altair, via re David 116/a
Intervengono
Uberto Tommasi, reporter di guerra, Verona
Mariella Cataldo, Ass. Most za Beograd, Bari
Prof. Nico Perrone, docente di Storia contemporanea, Università di Bari
--- per contatti:
Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava
via Abbrescia 97 - 70121 BARI - most.za.beograd @ libero.it
The Balkans continues to fracture
by Paul Mitchell (WSWS)
Part 1:
http://www.wsws.org/articles/2004/sep2004/bal1-s29_prn.shtml
Part 2:
http://www.wsws.org/articles/2004/oct2004/balk-o01_prn.shtml
World Socialist Web Site www.wsws.org
WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans
The Balkans continues to fracture
---
Part 1 - 29 September 2004
---
The Balkans region continues to fracture as a result of the inability
of the western powers to solve the political and economic crisis in the
region. Instead they have produced a humanitarian disaster and
cultivated inter-ethnic conflict that threatens to destabilise the
entire region once again.
The US-backed Radio Free Europe has warned that more observers are now
saying that Kosovo, Serbia, and Bosnia-Herzegovina and maybe some of
their neighbours could become failed states or “black holes”.
However, this disaster is treated as though there is no connection to
the support given by US and European powers to separatists and
capitalist free market advocates in the break up of the former
Yugoslavia.
Instead of the promised prosperity and freedom, the region is at the
mercy of the banks and financial institutions of the major imperialist
powers and is run in an essentially colonialist manner. Where matters
are not decided openly by western-imposed proconsuls, the threat of
exclusion from the European Union (EU) and NATO are wielded to ensure
governments implement policies of privatisation and welfare reforms
with sufficient rigour.
The social crisis in the region has intensified. Unemployment is 40 to
70 percent and wages average just $100 to $200 a month.
The leaders the west actively promoted as “saviours” of the Balkans and
who are responsible for these policies have become widely mistrusted
amongst the Balkan people. This has resulted in election participation
reaching an all-time low. But the loss of political confidence in the
revolutionary capacities of the working class and the prospects of
socialist revolution has opened the way for a growth of nationalist and
separatist forces.
The largest entity arising from the break-up of the former Yugoslavia
is the formation of the union of Serbia and Montenegro in 2002, which
was masterminded by the European Union. The new union has not resolved
the critical issues in the relationship between the two states. All of
the attributes of independence that the west allowed Montenegro to
develop over the previous decade were retained as was the hope of full
independence—kept alive by the clause stating that membership of the
union can be reconsidered in 2006.
The resulting impasse has caused the EU to signal another policy change
and propose a twin-track approach for the two republics that involves
the economies of Serbia and Montenegro being integrated separately into
the EU.
Demands for self-determination and greater autonomy for Montenegro were
initially encouraged by the western powers in order to undermine the
Serbian regime of Slobodan Milosevic. The Montenegrin government
assumed more federal responsibilities such as foreign trade and customs
and by 1998 it had taken full control of tax policy, monetary and
foreign policy. The German mark was introduced as a parallel currency
to the Yugoslav dinar and then the euro. The republic was afforded
international recognition normally reserved for sovereign states—with a
seat at international and regional institutions.
Following the putsch that removed the Milosevic government, the western
powers were no longer so willing to tolerate demands for Montenegrin
independence as a political counterweight to Belgrade’s new pro-western
regime. In 2001, the EU warned the Montenegrin government to abandon
its plans for a referendum on independence, saying that it would deepen
divisions within Montenegro where even today polls indicate only
slightly more than half the people support independence. The calls for
a referendum also threaten the unresolved status of Kosovo and increase
separatist pressure on the Serbian Republika Srpska in neighbouring
Bosnia-Herzegovina.
The Twin-Track Approach
The new twin-track approach was first aired publicly in early September
at a meeting of foreign ministers of the 25 EU member countries. On
September 10 the Montenegrin paper Vijesti published a leaked memo
written in July purporting to come from EU external affairs spokesman
Chris Patten. It was addressed to EU Foreign and Security Policy Chief
Javier Solana and the chair of the EU Ministerial Council and Dutch
foreign minister Bernard Bot.
In the memo Patten suggests a “significant change to our current
policy” because there has been no progress towards a common economic
market or harmonisation of the two economic systems in Serbia and
Montenegro after two year’s of discussions and that there was no
prospect of it happening. Patten explains that the application for
membership in the World Trade Organisation has been “totally blocked”
and that there are “serious doubts” whether direct elections for the
union’s federal assembly will take place in March 2005 as planned
making it “totally dysfunctional”.
Patten continues, “Pro-European reformists have nothing to show to
their voters, which perhaps is linked to the unpleasantly high score of
45 percent of the vote for [Serbian Radical Party member Tomislav]
Nikolic in the recent presidential election [in Serbia]. Fortunately,
[the Democratic Party’s] Boris Tadic managed to win in the end.
However, the current minority government is unstable and may not last
for much longer”.
The new EU policy has allowed both supporters of Montenegrin
independence and supporters of union with Serbia to claim victory for
their causes.
The ruling coalition led by Prime Minister Milo Djukanovic and his
Democratic Party of Socialists is pressing for Montenegrin independence
and wants a referendum. Montenegro’s President Filip Vujanovic said,
“The Belgrade Agreement represented an attempt to establish new
relations through the model of a two-member state union. It was a model
that had never existed before, in theory or in practice.” He continued
“Montenegro sees itself as a hostage of the state union ... that only
incurs inappropriate expenses” and warned, “If Serbia insists on the
preservation of the union, a citizens’ referendum will have to take the
final decision.”
The opposition is mainly composed of parties that support the union and
have 40 percent of the seats in Montenegro’s assembly. They believe
they will win direct elections for the union’s federal assembly next
March, as independence supporters will probably boycott them.
Polls suggest that the joint state has strong support from pro-Serbian
Montenegrins, but is not popular in Serbia. In Serbia most parties have
supported the union on orders from the EU, but in recent months the
small G17 Plus party has campaigned for Serbia and Montenegro to become
independent of each other. At the core of G17 Plus is a group of 17
free market economists who functioned as a pressure group before they
formed a political party in 2003. The leader of G17 Plus is Miroljub
Labus. He is also deputy prime minister of the Serbian government and
minister for economic relations with abroad in Prime Minister Vojislav
Kostunica’s coalition government. Labus said the twin-track policy
“does not represent defeat for the European idea in the western Balkans
but, on the contrary, it means abandoning the idea of the planned
economy on which Yugoslav unity was once based.”
A sign of the reactionary character of the Kostunica government and the
influence of the Serbian Orthodox Church is the banning of English
lessons in schools by Education Minister Ljiljana Colic. Colic, a
founding member of Kostunica’s DSS, also wanted to ban Darwin’s theory
of evolution because it was “full of voids”, but reversed her decision
after a public outcry. She has since resigned.
Within Serbia, elections are characterised by huge abstentions.
However, several factors have combined to made Vojislav Seselj’s
extreme nationalist Serbian Radical Party (SRS) the largest party in
the country. There have been years of economic hardship made worse by
NATO’s bombing in 1999. In the course of 35,000 sorties, several
thousand people were killed and a vast portion of the industrial and
social infrastructure of the country shattered, leaving several hundred
thousand workers without jobs.
During the Balkan conflict, the western powers denied that the Serbs
had a legitimate reason to be dissatisfied with the consequences of the
sudden dissolution of Yugoslavia and the danger facing the Serbian
community living in different parts of the old Federation. A
disproportionate number of Serbs have since been indicted at The Hague
war crimes tribunal—a fact that Seselj skilfully exploited by giving
himself up voluntarily to the tribunal for war crime charges laid
against him.
It is a situation that prompted regional analyst Ines Sabalic to
remark, “Serbia is almost in a Weimar situation.”
Not only did the SRS’s Nikolic come close to beating Tadic and the
Democratic Party in the Serbian presidential elections in June (in a
turnout of just 48.5 percent) but in the first round of municipal
council elections on September 19 the SRS and Democratic Party were
equally split with no clear majority in any electorate. The second
round of voting is on October 3.
In the same municipal elections Kostunica’s Democratic Party of Serbia
(DSS) slumped to fourth place. For a period Kostunica could sideline
the SRS by presenting himself as the saviour of the Serb nation and a
dedicated nationalist who was opposed to the break-up of the former
Yugoslavia. However, his nationalist rhetoric could not hide the full
consequences of the western dictated economic programme he has
championed and the catastrophic results it has had for the broad mass
of the Serbian population.
---
Part 2 - 1 October 2004
---
Kosovo’s status
An important consideration in European Union external affairs spokesman
Chris Patten’s letter was the unresolved status of Kosovo. By
accelerating Montenegro’s progress towards EU accession but postponing
the question of a referendum on independence, he hopes this “would not
interfere with the international community’s timeline for the solution
to Kosovo’s final status”.
Kosovo is marked by a 50 percent unemployment rate that government
officials admit may be as high as 70 percent since many do not
register. There is an escalating social crisis, as emigration is cut
off and funds from abroad decline. The United Nations Mission in Kosovo
(UNMIK) has just announced the sale of 500 socially owned enterprises,
which will lead to large-scale job losses.
Officially, Kosovo is part of Serbia and Montenegro, but the region is
administered by UNMIK “pending a final settlement” of its status. This
“final status” is framed as an attempt to appease both the
pro-imperialist ethnic Albanian forces that supported the United States
and European powers in their efforts to dismantle Yugoslavia, and the
pro-western regime that was subsequently installed in Belgrade.
According to Security Council Resolution 1244 the settlement involves
“substantive autonomy,” but also a commitment to “the sovereign and
territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia [now Serbia
and Montenegro].”
In March this year communal violence orchestrated by former Kosovo
Liberation Army (KLA) leaders resulted in the death of 19 people and
injury to hundreds more. More than 4,000 people—mainly Serbs—were
forced to flee. A leaked internal UN report said UNMIK was on “the
point of near collapse.”
There are conflicts amongst the imperialist powers on how to stabilise
this worsening situation, with some favouring greater autonomy for
Kosovo as demanded by Albanian nationalists and others considering
Serbian proposals for the “cantonisation” of northern Kosovo.
The UN envoy to the Balkans, Norwegian Kai Eide, recently called for
policy reversal in Kosovo and the start of talks on the final status of
Kosovo. On September 7, whilst Germany’s Foreign Minister Joschka
Fischer was telling Germany’s diplomats that the current international
policy in Kosovo was working, German Defence Minister Peter Struck told
a parliamentary committee that it was time to reconsider this
policy—echoing statements by the opposition Free Democratic Party for
Kosovo to become a protectorate administered by the EU. Struck pointed
out that many troops involving much expense are needed to protect often
small and isolated settlements, and that “more consolidated” Serbian
enclaves should be considered.
The US and Britain have called for faster handover of some authorities
to ethnic Albanian institutions in Kosovo. US Ambassador to Serbia and
Montenegro Michael Polt has said that whilst the US agrees with Eide
that clarifying Kosova’s final status is vital, Washington’s official
policy remains the current “standards before status.”
New elections are scheduled for October 23 of this year and have become
the focus of intense conflict between ethnic Albanian forces pressing
for full independence and Serbian nationalists seeking to maintain
Kosovo’s existing status.
The Democratic Party of Kosova, a successor organisation to the pro-US
stooge KLA, runs Kosovo, under Prime Minister Bajram Rexhepi. Its
Assembly—which, like the forthcoming elections is boycotted by the
Serbs—voted on July 8 to adopt several constitutional changes,
including the right to hold a referendum on independence.
The Albanian government supports these moves, with its president Alfred
Moisiu recently declaring his country’s interest in resolving Kosovo’s
final status.
The Presevo Valley and Macedonia
Albanian nationalists are pushing for the integration of ethnic
Albanian areas in the area of south Serbia known as the Presevo
Valley—where 60,000 Albanians outnumber around 30,000 Serbs. The region
was the scene of armed conflict in 2000 involving the Liberation Army
of Presevo, Bujanovac and Medvedja (UCPBM)—a KLA offshoot.
In the Serbian municipal elections of September 19 the Albanian Party
for Democratic Action made a clean sweep in the Presevo Valley.
Speaking of the South Serbia Coordination Centre that acts as an
assembly for the area, DPA leader Ragmi Mustafa said, “Obviously the
coordination body doesn’t have the same authority as before and must be
transformed.” Earlier this year another DPA leader, Saip Kamberi,
stated that, “It is only natural that Albanians today say this region
should be united with Kosovo.”
In 2001, the Presevo Valley conflict was exported over the border into
Macedonia by a KLA-UCPMB offshoot, the Albanian National Liberation
Army (NLA), which also wanted incorporation into Kosovo.
On November 7 the Macedonian government will hold a referendum on its
plans to redraw the boundaries of some municipalities to make Albanians
within them a majority. The referendum threatens to upset relations
between ethnic Macedonians and the approximately 25 percent Albanian
minority, and endanger the 2001 Ohrid peace agreement. The Ohrid
agreement was signed by the previous Macedonian government headed by
President Ljubco Georgijevski of the Vmro-Dpmne party and the NLA.
The US turned against Giorgijevski’s coalition when it became obvious
it had no support in the country. Mass demonstrations and general
strikes met attempts to privatise state assets and cut welfare
provision. The western powers wanted a more compliant regime that would
integrate the NLA, which a mountain of evidence suggests was secretly
backed by Washington, into government structures, and to more
vigorously pursue privatisation strategies.
The country now has a government headed by President Branko
Crvenkovski’s Social Democratic Alliance in coalition with the Liberal
Democratic Party and the NLA’s successor organisation, the Democratic
Union of Integration.
Last year the EU took command of the NATO mission in Macedonia in
Operation Concordia. Though it was a relatively small operation
sponsored by Germany, France and Belgium, it was the first military
operation in EU history.
Bosnia Herzegovina
The EU is also planning to take command of the much larger and more
complex NATO operation in Bosnia Herzegovina (BiH) involving 7,000 NATO
troops at the end of the year, although the US will maintain its base
at Tuzla.
The Office of the UN High Representative set up under the Dayton
Agreement to oversee BiH is being restructured and downsized, with UN
High Representative Paddy Ashdown saying “my own role as EU Special
Representative is growing.”
Ashdown admitted, “The international community does not have an exit
strategy here,” but “it has an entry strategy for BiH to join Europe.
And we will stay until the job is done.”
BiH remains divided into the virtually independently operating
Republika Srpska and Croat-Muslim Federation, both of which have
Assemblies run by the same nationalist parties that came to power
during the 1992-95 war. Local elections that are taking place on
October 2 seem certain to reinforce that division.
Ashdown exerts all real power in the country and recently fired 60 Serb
officials, including the interior minister and parliament speaker, whom
he accused of helping war crimes fugitives, Bosnian Serb leaders
Radovan Karadzic and Ratko Mladic.
The UN recently said that nearly half of the 2.2 million refugees from
Bosnia had returned, but Udo Janz, the UN High Commissioner for
Refugees representative in Bosnia added, “The situation remains
volatile in many parts of the country” and 500,000 people had decided
to permanently settle elsewhere.
Earlier this month there were riots in Konjevic Polje between Serbs and
Muslims. Political analyst Tanja Topic told the Centre for Peace in the
Balkans that war could break out again at “any time” and that “in
post-war Bosnia neither local politicians, nor the international
community succeeded in politically stabilising the country.”
This view was shared by political and military analyst Gostimir
Popovic, who said, “The current peace in Bosnia and the region is not
permanent. This territory is still referred to as a ‘powder keg’ and
very little is needed for new conflicts to emerge.”
Hungarian intervention
Ethnic tensions have also risen in the Vojvodina province of Serbia,
which has a Hungarian-speaking minority. The province is also the home
to about 220,000 Serb refugees expelled from Croatia and Kosovo. During
the 1990s there was relative ethnic peace, but ethnic Hungarian parties
aided by Hungary have raised the temperature there, blaming refugees
influenced by the SRS. In early August, Hungary’s Foreign Minister Lszl
Kovcs complained of “atrocities” being committed against 300,000 ethnic
Hungarians, and Interior Minister Mnika Lamperth said, “Hungary is very
concerned about the increasing reports of atrocities including physical
attacks and abuses, against the ethnic kin.”
Jzsef Kasza, leader of the Vojvodina Alliance of Hungarians (VMSZ), has
said repeatedly the attacks were reminiscent of the ways the wars in
Croatia, Bosnia and Kosovo started.
The “atrocities” cited relate to 67 incidents including graffiti and
defacing tombstones linked to the SRS reported by the Serbian Interior
Ministry. The Hungarian government claims the number of incidents is
closer to 300 and called for the “internationalization” of the issue.
It has suggested sanctions be imposed and a “solution to the minority
issue” before Serbia and Montenegro is admitted to EU.
The two major Hungarian-American Lobby groups, the Hungarian-American
Coalition and the Centre for Hungarian-American Congressional
Relations, are trying to focus US policymakers on the issue. The
Hungarian-born US Congressman Tom Lantos has written to Serbian Prime
Minister Kostunica, and 13 Congressmen signed another letter.
Although Hungary’s President Ferenc Madl later said the incidents were
“the effects of the recent [Balkan] wars and the difficult economic
situation” and Kroly Pl, deputy chairman of the VMSZ, blamed the
attacks on the economy’s collapse and lack of opportunities for the
young in particular, the Hungarian bourgeoisie still appeal to a
diaspora of Hungarian speakers in neighbouring countries.
The previous Fidesz party administration introduced a Status Law in
January 2002 that it saw not simply as a benefits package covering
employment, health and education, but “a means of supporting
self-organisation by Hungarians outside Hungary.”
The Hungarian Socialist Party-Alliance of Free Democrats coalition
replaced the Fidesz government in 2002 and has continued its policies
in all essential aspects.
Prime Minister Pter Medgyessy said, “Hungary’s political parties may
debate many issues, but they have all agreed that they bear
responsibility for the cause of Hungarians beyond the country’s borders
and that everything possible must be done in the interest of the
Hungarian nation, in terms of national identity and consciousness.”
His government is considering a referendum in support of granting dual
citizenship to Hungarian speakers in neighbouring countries, but is
wary that this would encourage emigration from poorer areas into
Hungary itself
The situation in the Balkans is a bitter indictment of the western
powers’ intervention. Poverty, corruption and ethnic separation have
become endemic in the Balkan region as a result of the attempt to
dismantle the former Yugoslavia.
That intervention was carried out under the cloak of humanitarianism,
but signalled the legitimisation of the naked use of overwhelming
military power against small countries in pursuit of strategic of “Big
Power” interests, the cynical violation of the principle of national
sovereignty, the de facto reestablishment of colonialist forms of
subjugation, and the revival of inter-imperialist antagonisms that
carry within them the seeds of a new war.
Copyright 1998-2004
World Socialist Web Site
All rights reserved
by Paul Mitchell (WSWS)
Part 1:
http://www.wsws.org/articles/2004/sep2004/bal1-s29_prn.shtml
Part 2:
http://www.wsws.org/articles/2004/oct2004/balk-o01_prn.shtml
World Socialist Web Site www.wsws.org
WSWS : News & Analysis : Europe : The Balkans
The Balkans continues to fracture
---
Part 1 - 29 September 2004
---
The Balkans region continues to fracture as a result of the inability
of the western powers to solve the political and economic crisis in the
region. Instead they have produced a humanitarian disaster and
cultivated inter-ethnic conflict that threatens to destabilise the
entire region once again.
The US-backed Radio Free Europe has warned that more observers are now
saying that Kosovo, Serbia, and Bosnia-Herzegovina and maybe some of
their neighbours could become failed states or “black holes”.
However, this disaster is treated as though there is no connection to
the support given by US and European powers to separatists and
capitalist free market advocates in the break up of the former
Yugoslavia.
Instead of the promised prosperity and freedom, the region is at the
mercy of the banks and financial institutions of the major imperialist
powers and is run in an essentially colonialist manner. Where matters
are not decided openly by western-imposed proconsuls, the threat of
exclusion from the European Union (EU) and NATO are wielded to ensure
governments implement policies of privatisation and welfare reforms
with sufficient rigour.
The social crisis in the region has intensified. Unemployment is 40 to
70 percent and wages average just $100 to $200 a month.
The leaders the west actively promoted as “saviours” of the Balkans and
who are responsible for these policies have become widely mistrusted
amongst the Balkan people. This has resulted in election participation
reaching an all-time low. But the loss of political confidence in the
revolutionary capacities of the working class and the prospects of
socialist revolution has opened the way for a growth of nationalist and
separatist forces.
The largest entity arising from the break-up of the former Yugoslavia
is the formation of the union of Serbia and Montenegro in 2002, which
was masterminded by the European Union. The new union has not resolved
the critical issues in the relationship between the two states. All of
the attributes of independence that the west allowed Montenegro to
develop over the previous decade were retained as was the hope of full
independence—kept alive by the clause stating that membership of the
union can be reconsidered in 2006.
The resulting impasse has caused the EU to signal another policy change
and propose a twin-track approach for the two republics that involves
the economies of Serbia and Montenegro being integrated separately into
the EU.
Demands for self-determination and greater autonomy for Montenegro were
initially encouraged by the western powers in order to undermine the
Serbian regime of Slobodan Milosevic. The Montenegrin government
assumed more federal responsibilities such as foreign trade and customs
and by 1998 it had taken full control of tax policy, monetary and
foreign policy. The German mark was introduced as a parallel currency
to the Yugoslav dinar and then the euro. The republic was afforded
international recognition normally reserved for sovereign states—with a
seat at international and regional institutions.
Following the putsch that removed the Milosevic government, the western
powers were no longer so willing to tolerate demands for Montenegrin
independence as a political counterweight to Belgrade’s new pro-western
regime. In 2001, the EU warned the Montenegrin government to abandon
its plans for a referendum on independence, saying that it would deepen
divisions within Montenegro where even today polls indicate only
slightly more than half the people support independence. The calls for
a referendum also threaten the unresolved status of Kosovo and increase
separatist pressure on the Serbian Republika Srpska in neighbouring
Bosnia-Herzegovina.
The Twin-Track Approach
The new twin-track approach was first aired publicly in early September
at a meeting of foreign ministers of the 25 EU member countries. On
September 10 the Montenegrin paper Vijesti published a leaked memo
written in July purporting to come from EU external affairs spokesman
Chris Patten. It was addressed to EU Foreign and Security Policy Chief
Javier Solana and the chair of the EU Ministerial Council and Dutch
foreign minister Bernard Bot.
In the memo Patten suggests a “significant change to our current
policy” because there has been no progress towards a common economic
market or harmonisation of the two economic systems in Serbia and
Montenegro after two year’s of discussions and that there was no
prospect of it happening. Patten explains that the application for
membership in the World Trade Organisation has been “totally blocked”
and that there are “serious doubts” whether direct elections for the
union’s federal assembly will take place in March 2005 as planned
making it “totally dysfunctional”.
Patten continues, “Pro-European reformists have nothing to show to
their voters, which perhaps is linked to the unpleasantly high score of
45 percent of the vote for [Serbian Radical Party member Tomislav]
Nikolic in the recent presidential election [in Serbia]. Fortunately,
[the Democratic Party’s] Boris Tadic managed to win in the end.
However, the current minority government is unstable and may not last
for much longer”.
The new EU policy has allowed both supporters of Montenegrin
independence and supporters of union with Serbia to claim victory for
their causes.
The ruling coalition led by Prime Minister Milo Djukanovic and his
Democratic Party of Socialists is pressing for Montenegrin independence
and wants a referendum. Montenegro’s President Filip Vujanovic said,
“The Belgrade Agreement represented an attempt to establish new
relations through the model of a two-member state union. It was a model
that had never existed before, in theory or in practice.” He continued
“Montenegro sees itself as a hostage of the state union ... that only
incurs inappropriate expenses” and warned, “If Serbia insists on the
preservation of the union, a citizens’ referendum will have to take the
final decision.”
The opposition is mainly composed of parties that support the union and
have 40 percent of the seats in Montenegro’s assembly. They believe
they will win direct elections for the union’s federal assembly next
March, as independence supporters will probably boycott them.
Polls suggest that the joint state has strong support from pro-Serbian
Montenegrins, but is not popular in Serbia. In Serbia most parties have
supported the union on orders from the EU, but in recent months the
small G17 Plus party has campaigned for Serbia and Montenegro to become
independent of each other. At the core of G17 Plus is a group of 17
free market economists who functioned as a pressure group before they
formed a political party in 2003. The leader of G17 Plus is Miroljub
Labus. He is also deputy prime minister of the Serbian government and
minister for economic relations with abroad in Prime Minister Vojislav
Kostunica’s coalition government. Labus said the twin-track policy
“does not represent defeat for the European idea in the western Balkans
but, on the contrary, it means abandoning the idea of the planned
economy on which Yugoslav unity was once based.”
A sign of the reactionary character of the Kostunica government and the
influence of the Serbian Orthodox Church is the banning of English
lessons in schools by Education Minister Ljiljana Colic. Colic, a
founding member of Kostunica’s DSS, also wanted to ban Darwin’s theory
of evolution because it was “full of voids”, but reversed her decision
after a public outcry. She has since resigned.
Within Serbia, elections are characterised by huge abstentions.
However, several factors have combined to made Vojislav Seselj’s
extreme nationalist Serbian Radical Party (SRS) the largest party in
the country. There have been years of economic hardship made worse by
NATO’s bombing in 1999. In the course of 35,000 sorties, several
thousand people were killed and a vast portion of the industrial and
social infrastructure of the country shattered, leaving several hundred
thousand workers without jobs.
During the Balkan conflict, the western powers denied that the Serbs
had a legitimate reason to be dissatisfied with the consequences of the
sudden dissolution of Yugoslavia and the danger facing the Serbian
community living in different parts of the old Federation. A
disproportionate number of Serbs have since been indicted at The Hague
war crimes tribunal—a fact that Seselj skilfully exploited by giving
himself up voluntarily to the tribunal for war crime charges laid
against him.
It is a situation that prompted regional analyst Ines Sabalic to
remark, “Serbia is almost in a Weimar situation.”
Not only did the SRS’s Nikolic come close to beating Tadic and the
Democratic Party in the Serbian presidential elections in June (in a
turnout of just 48.5 percent) but in the first round of municipal
council elections on September 19 the SRS and Democratic Party were
equally split with no clear majority in any electorate. The second
round of voting is on October 3.
In the same municipal elections Kostunica’s Democratic Party of Serbia
(DSS) slumped to fourth place. For a period Kostunica could sideline
the SRS by presenting himself as the saviour of the Serb nation and a
dedicated nationalist who was opposed to the break-up of the former
Yugoslavia. However, his nationalist rhetoric could not hide the full
consequences of the western dictated economic programme he has
championed and the catastrophic results it has had for the broad mass
of the Serbian population.
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Part 2 - 1 October 2004
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Kosovo’s status
An important consideration in European Union external affairs spokesman
Chris Patten’s letter was the unresolved status of Kosovo. By
accelerating Montenegro’s progress towards EU accession but postponing
the question of a referendum on independence, he hopes this “would not
interfere with the international community’s timeline for the solution
to Kosovo’s final status”.
Kosovo is marked by a 50 percent unemployment rate that government
officials admit may be as high as 70 percent since many do not
register. There is an escalating social crisis, as emigration is cut
off and funds from abroad decline. The United Nations Mission in Kosovo
(UNMIK) has just announced the sale of 500 socially owned enterprises,
which will lead to large-scale job losses.
Officially, Kosovo is part of Serbia and Montenegro, but the region is
administered by UNMIK “pending a final settlement” of its status. This
“final status” is framed as an attempt to appease both the
pro-imperialist ethnic Albanian forces that supported the United States
and European powers in their efforts to dismantle Yugoslavia, and the
pro-western regime that was subsequently installed in Belgrade.
According to Security Council Resolution 1244 the settlement involves
“substantive autonomy,” but also a commitment to “the sovereign and
territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia [now Serbia
and Montenegro].”
In March this year communal violence orchestrated by former Kosovo
Liberation Army (KLA) leaders resulted in the death of 19 people and
injury to hundreds more. More than 4,000 people—mainly Serbs—were
forced to flee. A leaked internal UN report said UNMIK was on “the
point of near collapse.”
There are conflicts amongst the imperialist powers on how to stabilise
this worsening situation, with some favouring greater autonomy for
Kosovo as demanded by Albanian nationalists and others considering
Serbian proposals for the “cantonisation” of northern Kosovo.
The UN envoy to the Balkans, Norwegian Kai Eide, recently called for
policy reversal in Kosovo and the start of talks on the final status of
Kosovo. On September 7, whilst Germany’s Foreign Minister Joschka
Fischer was telling Germany’s diplomats that the current international
policy in Kosovo was working, German Defence Minister Peter Struck told
a parliamentary committee that it was time to reconsider this
policy—echoing statements by the opposition Free Democratic Party for
Kosovo to become a protectorate administered by the EU. Struck pointed
out that many troops involving much expense are needed to protect often
small and isolated settlements, and that “more consolidated” Serbian
enclaves should be considered.
The US and Britain have called for faster handover of some authorities
to ethnic Albanian institutions in Kosovo. US Ambassador to Serbia and
Montenegro Michael Polt has said that whilst the US agrees with Eide
that clarifying Kosova’s final status is vital, Washington’s official
policy remains the current “standards before status.”
New elections are scheduled for October 23 of this year and have become
the focus of intense conflict between ethnic Albanian forces pressing
for full independence and Serbian nationalists seeking to maintain
Kosovo’s existing status.
The Democratic Party of Kosova, a successor organisation to the pro-US
stooge KLA, runs Kosovo, under Prime Minister Bajram Rexhepi. Its
Assembly—which, like the forthcoming elections is boycotted by the
Serbs—voted on July 8 to adopt several constitutional changes,
including the right to hold a referendum on independence.
The Albanian government supports these moves, with its president Alfred
Moisiu recently declaring his country’s interest in resolving Kosovo’s
final status.
The Presevo Valley and Macedonia
Albanian nationalists are pushing for the integration of ethnic
Albanian areas in the area of south Serbia known as the Presevo
Valley—where 60,000 Albanians outnumber around 30,000 Serbs. The region
was the scene of armed conflict in 2000 involving the Liberation Army
of Presevo, Bujanovac and Medvedja (UCPBM)—a KLA offshoot.
In the Serbian municipal elections of September 19 the Albanian Party
for Democratic Action made a clean sweep in the Presevo Valley.
Speaking of the South Serbia Coordination Centre that acts as an
assembly for the area, DPA leader Ragmi Mustafa said, “Obviously the
coordination body doesn’t have the same authority as before and must be
transformed.” Earlier this year another DPA leader, Saip Kamberi,
stated that, “It is only natural that Albanians today say this region
should be united with Kosovo.”
In 2001, the Presevo Valley conflict was exported over the border into
Macedonia by a KLA-UCPMB offshoot, the Albanian National Liberation
Army (NLA), which also wanted incorporation into Kosovo.
On November 7 the Macedonian government will hold a referendum on its
plans to redraw the boundaries of some municipalities to make Albanians
within them a majority. The referendum threatens to upset relations
between ethnic Macedonians and the approximately 25 percent Albanian
minority, and endanger the 2001 Ohrid peace agreement. The Ohrid
agreement was signed by the previous Macedonian government headed by
President Ljubco Georgijevski of the Vmro-Dpmne party and the NLA.
The US turned against Giorgijevski’s coalition when it became obvious
it had no support in the country. Mass demonstrations and general
strikes met attempts to privatise state assets and cut welfare
provision. The western powers wanted a more compliant regime that would
integrate the NLA, which a mountain of evidence suggests was secretly
backed by Washington, into government structures, and to more
vigorously pursue privatisation strategies.
The country now has a government headed by President Branko
Crvenkovski’s Social Democratic Alliance in coalition with the Liberal
Democratic Party and the NLA’s successor organisation, the Democratic
Union of Integration.
Last year the EU took command of the NATO mission in Macedonia in
Operation Concordia. Though it was a relatively small operation
sponsored by Germany, France and Belgium, it was the first military
operation in EU history.
Bosnia Herzegovina
The EU is also planning to take command of the much larger and more
complex NATO operation in Bosnia Herzegovina (BiH) involving 7,000 NATO
troops at the end of the year, although the US will maintain its base
at Tuzla.
The Office of the UN High Representative set up under the Dayton
Agreement to oversee BiH is being restructured and downsized, with UN
High Representative Paddy Ashdown saying “my own role as EU Special
Representative is growing.”
Ashdown admitted, “The international community does not have an exit
strategy here,” but “it has an entry strategy for BiH to join Europe.
And we will stay until the job is done.”
BiH remains divided into the virtually independently operating
Republika Srpska and Croat-Muslim Federation, both of which have
Assemblies run by the same nationalist parties that came to power
during the 1992-95 war. Local elections that are taking place on
October 2 seem certain to reinforce that division.
Ashdown exerts all real power in the country and recently fired 60 Serb
officials, including the interior minister and parliament speaker, whom
he accused of helping war crimes fugitives, Bosnian Serb leaders
Radovan Karadzic and Ratko Mladic.
The UN recently said that nearly half of the 2.2 million refugees from
Bosnia had returned, but Udo Janz, the UN High Commissioner for
Refugees representative in Bosnia added, “The situation remains
volatile in many parts of the country” and 500,000 people had decided
to permanently settle elsewhere.
Earlier this month there were riots in Konjevic Polje between Serbs and
Muslims. Political analyst Tanja Topic told the Centre for Peace in the
Balkans that war could break out again at “any time” and that “in
post-war Bosnia neither local politicians, nor the international
community succeeded in politically stabilising the country.”
This view was shared by political and military analyst Gostimir
Popovic, who said, “The current peace in Bosnia and the region is not
permanent. This territory is still referred to as a ‘powder keg’ and
very little is needed for new conflicts to emerge.”
Hungarian intervention
Ethnic tensions have also risen in the Vojvodina province of Serbia,
which has a Hungarian-speaking minority. The province is also the home
to about 220,000 Serb refugees expelled from Croatia and Kosovo. During
the 1990s there was relative ethnic peace, but ethnic Hungarian parties
aided by Hungary have raised the temperature there, blaming refugees
influenced by the SRS. In early August, Hungary’s Foreign Minister Lszl
Kovcs complained of “atrocities” being committed against 300,000 ethnic
Hungarians, and Interior Minister Mnika Lamperth said, “Hungary is very
concerned about the increasing reports of atrocities including physical
attacks and abuses, against the ethnic kin.”
Jzsef Kasza, leader of the Vojvodina Alliance of Hungarians (VMSZ), has
said repeatedly the attacks were reminiscent of the ways the wars in
Croatia, Bosnia and Kosovo started.
The “atrocities” cited relate to 67 incidents including graffiti and
defacing tombstones linked to the SRS reported by the Serbian Interior
Ministry. The Hungarian government claims the number of incidents is
closer to 300 and called for the “internationalization” of the issue.
It has suggested sanctions be imposed and a “solution to the minority
issue” before Serbia and Montenegro is admitted to EU.
The two major Hungarian-American Lobby groups, the Hungarian-American
Coalition and the Centre for Hungarian-American Congressional
Relations, are trying to focus US policymakers on the issue. The
Hungarian-born US Congressman Tom Lantos has written to Serbian Prime
Minister Kostunica, and 13 Congressmen signed another letter.
Although Hungary’s President Ferenc Madl later said the incidents were
“the effects of the recent [Balkan] wars and the difficult economic
situation” and Kroly Pl, deputy chairman of the VMSZ, blamed the
attacks on the economy’s collapse and lack of opportunities for the
young in particular, the Hungarian bourgeoisie still appeal to a
diaspora of Hungarian speakers in neighbouring countries.
The previous Fidesz party administration introduced a Status Law in
January 2002 that it saw not simply as a benefits package covering
employment, health and education, but “a means of supporting
self-organisation by Hungarians outside Hungary.”
The Hungarian Socialist Party-Alliance of Free Democrats coalition
replaced the Fidesz government in 2002 and has continued its policies
in all essential aspects.
Prime Minister Pter Medgyessy said, “Hungary’s political parties may
debate many issues, but they have all agreed that they bear
responsibility for the cause of Hungarians beyond the country’s borders
and that everything possible must be done in the interest of the
Hungarian nation, in terms of national identity and consciousness.”
His government is considering a referendum in support of granting dual
citizenship to Hungarian speakers in neighbouring countries, but is
wary that this would encourage emigration from poorer areas into
Hungary itself
The situation in the Balkans is a bitter indictment of the western
powers’ intervention. Poverty, corruption and ethnic separation have
become endemic in the Balkan region as a result of the attempt to
dismantle the former Yugoslavia.
That intervention was carried out under the cloak of humanitarianism,
but signalled the legitimisation of the naked use of overwhelming
military power against small countries in pursuit of strategic of “Big
Power” interests, the cynical violation of the principle of national
sovereignty, the de facto reestablishment of colonialist forms of
subjugation, and the revival of inter-imperialist antagonisms that
carry within them the seeds of a new war.
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