Informazione

Foibe: una mistificazione storica

1. Presentazione del libro SCAMPATI O NO di Pol Vice (Kappa Vu)

2. INTERVENTO di Claudia Cernigoi al convegno PARTIGIANI! (Roma 7
maggio 2005)

NOTA IMPORTANTE: diversamente da quanto precedentemente indicato, il
testo di Giacomo Scotti sulle foibe istriane messo in circolazione
alcuni giorni fa (
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4399 ) NON È
il testo dell'intervento al convegno PARTIGIANI! bensì un testo
diverso, consegnato da Scotti a margine della iniziativa. Ci scusiamo
per l'equivoco.


=== 1 ===

www.resistenze.org - segnalazioni resistenti - libri - 18-05-05

Pol Vice: Scampati o No. I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba


Diciamo subito che "SCAMPATI o NO" non è un (altro) saggio sulla
storia delle foibe e degli infoibati.

E' invece una denuncia puntuale,rigorosamente documentata, non solo e
non tanto dell'uso politico di quella storia, quanto delle palesi
contraffazioni sulla cui base è stata costruita e diffusa la leggenda
delle foibe. "Sovrapposta" alla storia, continuamente alimentata da un
gruppo ben determinato di manipolatori dell'informazione negli
ambienti degli esuli giuliano ­ dalmati, e a partire dal 1991 (data
non casuale) diffusa a livello nazionale con mezzi sempre più potenti,
tale leggenda è diventata ormai luogo comune nella cosiddetta opinione
pubblica, sull'onda del dilagante revisionismo storico,con
l'autorevole avallo anche di alcuni fra gli studiosi più seri.
La tesi specifica qui sostenuta, sempre più evidente man mano che
l'autore ci accompagna alla sua scoperta nel difficile percorso di
analisi comparata dei testi documentari, è che le "testimonianze
dirette di chi si salvò dopo essere stato gettato nella foiba"
dimostrano senza alcun dubbio una sola cosa: la loro completa
inattendibilità.

Introdotto da un prologo (narrante) che inquadra nel contesto
dell'epoca la figura (peraltro piuttosto misteriosa) del primo
protagonista, il discorso poi affronta i vari temi della storia
organizzando opportunamente i riferimenti alle numerose fonti
documentarie, per non disperdere l'attenzione del lettore fra le
diverse e confuse ipotesi di ricostruzione dei fatti, che continuano a
sovrapporsi ed intrecciarsi, in un groviglio "solo apparentemente
casuale", fino alle inevitabili conclusioni (con tanto di premio) per
chi riesca a trovare un finale coerente alla storia che, da
documentaria, si è via via trasformata in un thrilling con finale
aperto, appunto.

In appendice, oltre ad illuminanti schede personali dei protagonisti e
dei loro interpreti (in gran parte basate su preziose informazioni
fornite da C. Cernigoi), anche alcune note di commento testuale e
storico su altri interessanti documenti collegati alla operazione foibe.

Pol Vice
SCAMPATI O NO
I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba
Edizioni Kappa Vu 2005 - collana Resistenza storica
Prezzo di copertina: 9.50 Euro


=== 2 ===

Claudia Cernigoi

INTERVENTO PER IL CONVEGNO "PARTIGIANI!", ROMA 7/5/05

È in atto ormai da diversi anni uníoperazione di riscrittura della
storia delle vicende della seconda guerra mondiale, operazione non
solo italiana ma europea, il cui scopo finale Ë líequiparazione delle
due cosiddette ìideologieî del Ventesimo secolo, fascismo e comunismo
(gli artefici di questa rilettura storica evidentemente non
considerano che esistono anche altre ìideologieî nÈ che non Ë
possibile semplificare cosÏ categoricamente i due fenomeni),
classificate ambedue come ìtotalitarismiî che hanno causato lutti e
sofferenze in eguale maniera e per questo devono venire condannate e
rimosse dalla societ‡ cosiddetta ìdemocraticaî, allíinterno della
quale dovrebbe avere quindi diritto di cittadinanza soltanto quella
ìideologiaî (che perÚ, chiss‡ perchÈ, non viene mai considerata tale),
cioË il liberismo capitalista, che governa ormai quasi uniformemente
tutti i paesi del cosiddetto blocco occidentale.

Per la riuscita di questo obiettivo di condanna del ìcomunismoî Ë
fondamentale líoperazione alla quale stiamo assistendo da tempo, e che
ha avuto una recrudescenza a livello nazionale negli ultimi mesi,
líoperazione di criminalizzazione della Resistenza di classe, cioË
quella che si ispirava a valori di sinistra e non accettava il
riciclaggio nei Comitati di Liberazione di ìvecchi arnesiî del
fascismo o di militari che comunque avevano operato perfettamente
inquadrati sotto il regime fascista. In questo contesto di
criminalizzazione della Resistenza si inserisce anche la
riabilitazione dei combattenti repubblichini di SalÚ, dove il
risultato finale Ë la parificazione delle due componenti in una logica
di ìopposti estremismiî.

Rientra in questa logica di equiparazione anche líistituzione della
ìGiornata del ricordo delle foibe e dellíesodoî, da celebrare il 10
febbraio, richiesta a gran voce dalle organizzazioni della destra
nostalgica e nazionalista (ma poi approvata acriticamente da quasi
tutto il centrosinistra) subito dopo líistituzione della ìGiornata
della memoriaî del 27 gennaio, dedicata questa alle vittime del
genocidio nazista.

Questíanno, nellíambito delle celebrazioni della ìGiornata del ricordo
delle foibe e dellíesodoî, si Ë scatenata a livello politico e
mediatico una potente campagna di denigrazione della Resistenza,
soprattutto di quella jugoslava per i presunti ìcrimini delle foibeî
(ricordiamo líorribile fiction falsificatrice della storia prodotta
dalla televisione di stato su suggerimento del ministro Gasparri,
nella quale i partigiani ìslaviî sono rappresentati come barbari
animati unicamente da feroce livore antiitaliano), ma che si Ë poi
allargata anche alla Resistenza italiana, con la ripresa della
propaganda sul cosiddetto ìtriangolo rossoî e delle altre esecuzioni
sommarie che sono avvenute alla fine del conflitto, senza considerare
che, pur deprecabili a livello morale, tali avvenimenti non
rappresentano altro che una fatale conseguenza del comportamento
criminale dei regimi nazifascisti che gettarono líEuropa in un baratro
di violenza e devastazione.

Nel mio intervento vorrei stigmatizzare la cosiddetta ìquestione delle
foibeî, che Ë stata un poí il punto di partenza di questa campagna di
denigrazione della Resistenza nel suo insieme. Mentre a Trieste ed in
genere nelle regioni del Nordest la destra nazionalfascista ha sempre
tirato fuori le ìfoibeî come uno dei propri cavalli di battaglia per
propagandare líanticomunisno e líodio etnico e politico controla
Jugoslavia, Ë solo negli ultimi anni che il fenomeno Ë esploso a
livello nazionale, coinvolgendo nella non comprensione del fenomeno,
anche esponenti della sinistra, arrivando addirittura alle posizioni
estreme della dirigenza di Rifondazione comunista, che, pur non
conoscendo assolutamente líentit‡ dei fatti, si Ë arrogata il diritto
di condannare senza appellola Resistenzajugoslava ed i partigiani
italiani che con essa hanno collaborato, per dei presunti ìcriminiî
dei quali non solo non vi Ë prova, ma che dalle risultanze storiche
risultano addirittura non avvenuti.

Il problema Ë che di ìfoibeî si Ë parlato finora molto, ma a livello
di mera propaganda. Per decenni si Ë parlato di ìmigliaia di infoibati
sol perchÈ italianiî, senza che i propagandisti esibissero le prove di
questo loro dire. Per decenni i propagandisti hanno scritto e
riscritto sempre le stesse cose, citandosi líun líaltro e non
producendo alcun documento ad avvalorare quanto da loro asserito: e si
Ë giunti, nel corso degli ultimi cinque anni, al fatto che questo ìsi
diceî senza alcun valore storico sia stato avvalorato anche da storici
considerati ìseriî e ìprofessionaliî, in quanto facenti parte degli
Istituti storici della Resistenza.

Qui vorrei aprire una parentesi per citare i triestini Raoul Pupo e
Roberto Spazzali, che hanno dato alle stampe nel 2003 un libretto dal
titolo ìFoibeî edito da Bruno Mondadori, redatto, stando a quanto
sostenuto dagli stessi autori, in previsione di un suo uso negli
istituti scolastici, nel quale vengono riproposte acriticamente le
stesse affermazioni che per decenni erano state patrimonio della
propaganda nazionalfascista, avallando testimonianze che non hanno
fondamento di verit‡ e dando addirittura interpretazioni del tutto
personali e fuorvianti a documenti díarchivio che in realt‡
asseriscono líesatto contrario di quanto sostengono i due storici. Ma
su questo particolare tornerÚ pi˘ avanti.

In seguito a questa escalation mediatica, abbiamo deciso di
riproporre, in forma ampliata e corretta delle precedenti
imprecisioni, lo studio che avevo pubblicato nel 1997, ìOperazione
foibe a Triesteî, che metteva in luce gli aspetti pi˘ eclatanti della
propaganda sulle foibe nel dopoguerra, rispetto agli avvenimenti
triestini del maggio 1945: innanzitutto in merito alla quantificazione
dei presunti ìinfoibatiî (che a Trieste non furono ìmigliaiaî, ma
cinquecento e per la maggior parte non furono uccisi nelle ìfoibeî, ma
morirono in campi di prigionia per militari oppure furono condannati a
morte dopo essere stati processati per crimini di guerra), ma anche
sulle ìqualificheî di questi, stante che le vittime delle esecuzioni
sommarie e gli arrestati e giustiziati erano in gran parte
appartenenti a forze armate collaborazioniste oppure collaborazionisti
ìciviliî. Un capitolo a parte era stato dedicato al monumento
nazionale noto come ìfoiba di Basovizzaî (un vecchio pozzo di miniera
abbandonato), dove sia la propaganda, sia la motivazione ufficiale per
dichiararlo monumento asseriscono che vi siano state gettate
ìmigliaiaî o ìcentinaiaî di vittime. In realt‡, stando ai documenti
che avevo pubblicato gi‡ allíepoca e che sono poi stati integrati con
altri nella nuova edizione del libro, appare chiaramente che non solo
non vi sono testimoni oculari delle presunte esecuzioni sul posto, ma
che il pozzo era stato esplorato e svuotato pi˘ volte nel dopoguerra,
dopo essere stato usato spesso come discarica, e che nel corso di
tutte queste esplorazioni erano stati recuperati pochi corpi,
presumibilmente di militari germanici e quindi non di ìinfoibati sol
perchÈ italianiî.

Per comprendere a quale punto sia arrivato il livello di
disinformazione sullíargomento, va detto che, per quanto concerne le
testimonianze su questi mai avvenuti ìinfoibamentiî, viene spesso
citato un rapporto redatto da un anonimo ìinformatoreî angloamericano
che si firma ìSourceî, il quale avrebbe intervistato due sacerdoti che
avrebbero ìassistitoî alle esecuzioni. Il commento introduttivo a
questo documento che appare nel libro ìFoibeî di Pupo e Spazzali Ë il
seguente:

< Va sottolineato che dal testo si puÚ evincere sia che alcuni degli
infoibati erano ancora vivi quando vennero gettati nel pozzo, sia che
a Basovizza vennero fucilati anche coloro che non erano stati
condannati a morte >.

PerÚ se leggiamo il rapporto, non comprendiamo assolutamente come i
due storici arrivino ad ìevincereî un tanto:

< Il 2 maggio egli (don Scek, n.d.a.) andÚ a Basovizza (...) mentre
era lÏ aveva visto in un campo nelle vicinanze circa 150 civili ìche
erano riconoscibili dalle loro facce quali membri della Questuraî. La
gente del luogo voleva far giustizia in modo sommario ma gli ufficiali
della IV Armata erano contrari. Queste persone furono interrogate e
processate alla presenza di tutta la popolazione che le accusÚ (...)
Quasi tutti furono condannati a morte. (...) Tutti i 150 civili furono
fucilati in massa da un gruppo di partigiani, e poi, poichÈ non
cíerano bare, i corpi furono gettati nella foiba di Basovizza >. A
questo punto vogliamo evidenziare una successiva affermazione
attribuita al sacerdote, che viene invece regolarmente omessa da
coloro (storici e no) che citano il rapporto: < quando Source chiese a
don Scek se era stato presente allíesecuzione o aveva sentito gli
spari questi rispose che non era stato presente nÈ aveva sentito gli
spari >.

Quindi secondo il rapporto di ìSourceî don Scek fu testimone oculare
sÏ, ma dei processi e non degli infoibamenti. Inoltre, nonostante
questo rapporto venga costantemente presentato come la prova degli
infoibamenti a Basovizza, se andiamo a verificare quanti ìmembri della
Questuraî sono scomparsi nel corso dei ìquaranta giorniî di
amministrazione jugoslava, arriviamo ad un totale di circa 150 nomi,
della maggior parte dei quali si sa come e dove sono morti (fucilati a
Lubiana, recuperati da altre foibe, morti in prigionia).

Questo Ë un chiaro esempio di come i documenti storici possono venire
manipolati a seconda della teoria che si vuole dimostrare: quello che
a mio parere risulta inaccettabile in questo caso, Ë che questa
operazione sia fatta non tanto da propagandisti quanto da due storici
considerati ìseriî e preparati e che vengono spesso intervistati ed
invitati a tenere conferenze sullíargomento.

Nella seconda edizione del libro, che si intitola ìOperazione foibe
tra storia e mitoî, ho ampliato lo studio anche agli avvenimenti
dellíIstria del settembre í43, dove la vulgata parla di ìmigliaia di
infoibati sol perchÈ italianiî. Nel periodo, dopo che líarmistizio
dellí8 settembre aveva lasciato allo sbando líesercito italiano e le
sue stesse istituzioni, in alcune zone dellíIstria, nel corso di una
rivolta popolare furono uccise sommariamente circa quattrocento
persone, per lo pi˘ dirigenti ed esponenti del Fascio, squadristi,
possidenti, alcuni carabinieri e poliziotti. La cifra risulta sia dai
recuperi effettuati alcuni mesi dopo (dopo che líesercito nazifascista
ebbe ripreso il controllo dellíintera zona, al prezzo del massacro di
tredicimila ñ dicono le cronache dellíepoca, che forse riportano cifre
esagerate ñ istriani: ma forse, visto che questi erano per lo pi˘ di
etnia slovena e croata, non hanno diritto di cittadinanza tra le
vittime dellíIstria, secondo propagandisti e storici di regime?), sia
dai diversi necrologi apparsi sui giornali dellíepoca, nei quali
vengono inoltre evidenziati i ruoli rivestiti dalle varie vittime di
questa jacquerie.

Quanto agli ìinfoibatiî del 1945, bisogna dire che anche qui le cifre
sono sempre state esagerate: da Trieste scomparvero, nel corso dei
quaranta giorni di amministrazione jugoslava, meno di cinquecento
persone; da Gorizia circa 550, considerando in questo contesto tutti
coloro che furono arrestati da forze armate jugoslave (quindi
militari, che essendo prigionieri di guerra dovevano venire internati
in campi lontani dal posto dove erano stati catturati, ma anche
collaborazionisti che furono poi inviati per lo pi˘ a Lubiana per
essere processati) e non fecero ritorno, sia perchÈ morti nei campi,
sia perchÈ processati e condannati a morte; ma anche le vittime di
vendette personali e di esecuzioni sommarie, per le quali furono
celebrati diversi processi nel dopoguerra. E dei recuperi dalle
ìfoibeî triestine e goriziane effettuati tra il 1945 ed il 1948
risultano riesumati circa 450 corpi, la maggior parte dei quali erano
militari (per lo pi˘ germanici, ma anche partigiani) morti nel corso
della guerra, e soltanto per cinque di queste ìfoibeî, per un totale
di una quarantina di vittime, si puÚ parlare di esecuzioni sommarie,
compiute nel maggio 1945 o da singoli per vendetta personale, oppure,
nel caso della ìfoiba Plutoneî, da un gruppo di criminali comuni che
si erano infiltrati nelle formazioni partigiane e che derubarono ed
uccisero 18 persone.

Come si puÚ in questo contesto parlare di un unico ìfenomeno foibeî,
come pretendono oggi i propagandisti anche di sinistra? Come abbiamo
potuto vedere, si trattÚ di una serie di ìfenomeniî, il cui minimo
comune denominatore puÚ essere soltanto la guerra: perchÈ queste
esecuzioni si svolsero durante o subito dopo la guerra, una guerra che
non era stata iniziata certamente dai partigiani, nÈ dal popolo
jugoslavo, e che era stata preceduta, nella Venezia Giulia, da
ventíanni di fascismo che aveva negato ogni diritto ai popoli sloveno
e croato, che pure vivevano in quelle zone da sempre, persino il
diritto di parlare e pregare e nella propria lingua, e che aveva
ferocemente represso gli oppositori politici ed aveva commesso crimini
orribili nel corso dellíoccupazione della ìprovincia di Lubianaî,
aggredita senza alcuna dichiarazione di guerra.

PerÚ accomunare le vendette dei singoli o le condanne a morte eseguite
in Jugoslavia dopo la fine della guerra a tutti i crimini commessi
dallíesercito fascista occupante non Ë assolutamente accettabile, nÈ
da un punto di vista storiografico nÈ da un punto di vista politico:
nÈ Ë accettabile, a mio parere, trinciare giudizi di tipo moralistico,
perchÈ se Ë vero che oggidÏ Ë giusto essere contrari alla guerra ed
alla violenza e condannare tutti questi fenomeni di violenza, tale
giudizio nostro dovrebbe essere sospeso per quanto riguarda i
combattenti del movimento di liberazione dellíepoca, perchÈ noi siamo
vissuti in uníepoca di relativa pace e non abbiamo mai dovuto patire
quello che hanno patito i resistenti, i morti come i sopravvissuti.
Non possiamo noi oggi ergerci a giudici del comportamento di questi
combattenti: avranno anche sbagliato coloro che alla fine si sono
fatta giustizia da soli, perÚ non sta a noi giudicarli.

NÈ Ë possibile liquidare come ìviolenza di statoî e quindi condannare
per questo líallora costituendo stato jugoslavo, il fatto che delle
persone siano state arrestate, giudicate e condannate a morte, senza
entrare nel merito dei processi che furono celebrati e del ruolo che
avevano svolto questi condannati, perchÈ ricordiamo che nel dopoguerra
la pena di morte non esistÈ soltanto in Jugoslavia.

Ed in ogni caso non Ë accettabile che carnefici e vittime vengano
giudicati con gli stessi pesi e misure, per cui oggi si vogliono
parificare i combattenti di SalÚ ai combattenti partigiani ed erigere
monumenti alle vittime di tutti i totalitarismi.

» inoltre inaccettabile la manovra che si sta svolgendo a Trieste che
vuole delegittimare tutti coloro che combatterono con líEsercito di
Liberazione Jugoslavo, compresi i partigiani triestini (italiani e
sloveni) che facevano riferimento alla Osvobodilna Fronta ñ Fronte di
Liberazione ed ai nuclei di Unit‡ Operaia ñ Delavska Enotnost ed ai
GAP, asserendo che il 1∞ maggio 1945, quando líEsercito di Liberazione
arrivÚ a Trieste coadiuvato dallo sforzo insurrezionale delle altre
forze collegate presenti in citt‡, questa non fu una vera liberazione,
perchÈ portÚ alla ìoccupazione titinaî della citt‡, mentre la ìveraî
insurrezione sarebbe stata quella (subito rientrata per carenza di
forze) del CLN triestino collegato alla Osoppo e non aderente al
CLNAI, che aveva cercato allíultimo momento di riciclare formazioni
collaborazioniste per scongiurare líannessione di Trieste alla
Jugoslavia ed in previsione dellíarrivo degli angloamericani. Quel CLN
che, secondo le parole di uno dei suoi attuali esponenti, sarebbe
rimasto in clandestinit‡ fino al 1954 per lottare per líitalianit‡ di
Trieste (ricordiamo che Trieste fu amministrata dagli angloamericani
fino al 1954); e che avrebbe lottato con le armi che venivano
segretamente passate dallíItalia tramite la struttura Gladio (questo
almeno Ë quanto risulta da incartamenti dellíinchiesta di Carlo
Mastelloni su Argo 16): ed Ë questo lo stesso CLN nel quale operato si
identifica uno storico come Raoul Pupo.

Questi sono fatti molto gravi, forse ancora pi˘ gravi
dellíequiparazione tra fascisti e comunisti, tra repubblichini e
partigiani, tra carnefici e vittime. Sono pi˘ gravi perchÈ legittimano
un sistema che si dice democratico ma ha basato la propria continuit‡
su strutture occulte armate che al momento giusto hanno operato
violentemente, senza voltarsi indietro se rimanevano sul terreno delle
vittime innocenti. E sono questi i fatti che bisogna mettere in
evidenza ed ai quali opporci, se vogliamo che democrazia sia una cosa
concreta e non solo una parola che legittima il capitalismo e non la
libert‡ di opinione.

http://www.resistenze.org/sito/os/mo/osmo5e15.htm
www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 15-05-05

A Mosca! a Mosca!

di Mauro Gemma


Com'era largamente prevedibile, la vittoria della "rivoluzione
arancione" in Ucraina (e quella "a metà" della "rivoluzione dei
tulipani" in Kirghizia (1) ) ha dato ulteriore impulso all'offensiva
imperialista nello spazio post-sovietico, dissipando ogni dubbio sui
reali obiettivi della campagna avviata dall'amministrazione Bush, a
sostegno dell'esportazione dei "valori della democrazia occidentale"
negli stati dell'ex URSS: da un lato, il definitivo assoggettamento
degli stati della CSI agli interessi economici e geopolitici della
massima potenza imperialista, e, dall'altro, il totale disinnesco
delle capacità competitive della Federazione Russa, attraverso
l'assalto diretto al potere politico, da realizzarsi probabilmente
addirittura (come molti segnali lascerebbero ad intendere) con
l'estromissione dello stesso attuale gruppo dirigente di Mosca.

All'inizio di aprile, il nuovo leader ucraino Juschenko ha suggellato
il proprio trionfo, con una serie di viaggi in Occidente e, in
particolare, negli USA, dove, al termine di una serie di incontri con
il presidente americano, ha avuto modo di esplicitare, con chiarezza
inequivocabile, la funzione che gli viene attribuita dai padroni
occidentali del suo paese. Basta leggere il testo del comunicato
congiunto, rilasciato al termine della sua visita:
"Impegniamo anche le nostre nazioni a sostenere insieme le
trasformazioni, la democrazia, la tolleranza e il rispetto reciproco
in tutti i paesi, attraverso il regolamento pacifico dei conflitti in
Georgia e Moldavia e la promozione della libertà in paesi come la
Bielorussia e Cuba".

Accomunando Bielorussia e Cuba, il nemico storico nel "cortile di
casa" USA, Juschenko lascia chiaramente intendere quali saranno le
direttrici della politica estera dell'Ucraina "rivoluzionaria", che
nutre velleità di leadership regionale nell'ambito della nuova
alleanza. Scrive l'intellettuale marxista russo Dmitrij Jakushev:
"Le continue dichiarazioni di Juschenko in merito al fatto che
l'Ucraina è pronta a diventare leader regionale, vale a dire il
principale gendarme locale, fanno presagire enormi sciagure a tutti i
vicini, nonché allo stesso popolo dell'Ucraina…La politica estera (di
Juschenko) porterà a un duro confronto con la Russia e la Bielorussia,
fino alla creazione di alleanze militari, prima di tutto con la
Georgia e la Moldavia, dirette contro la Russia e le repubbliche ad
essa amiche della Transdnistria, dell'Abkhazia e dell'Ossezia" (2).

A distanza di pochissime settimane dall'incontro Bush-Juschenko, c'è
stato, alla fine di aprile, il viaggio del Segretario di Stato USA
Condoleeza Rice a Mosca. In quell'occasione, abbandonata completamente
ogni ipocrisia diplomatica, la dirigente USA, senza perifrasi, ha
inteso esprimere con brutalità le finalità della sua visita,
provocando, tra l'altro, una durissima reazione della controparte
russa. Incontrando nella stessa capitale russa, in aperto spregio di
ogni etichetta, gli esponenti della tanto insignificante quanto
prepotente opposizione "democratica" bielorussa e assicurando il
proprio contributo morale e materiale (è di questi giorni uno
stanziamento americano di decine di milioni di dollari a sostegno
dell' "offensiva democratica" in Bielorussia), la responsabile della
politica estera USA ha addirittura indicato precise scadenze temporali
(le elezioni del 2006) alla nuova tappa della scalata aggressiva
indirizzata al rovesciamento di quello che è attualmente considerato
il principale alleato della Russia nell'ambito della Confederazione
degli Stati Indipendenti e il più conseguente sostenitore delle
esigenze di integrazione economica, politica e militare dello spazio
ex sovietico: il presidente Aleksandr Lukashenko.

Abbattuto l'ultimo bastione della CSI, che con ostinazione si oppone
ai progetti di espansione della NATO verso est, alle armate
dell'Occidente non si frapporrebbe più alcun ostacolo in direzione di
Mosca. In tal modo, dopo l'ingresso di tutti i paesi dell'Europa
orientale e baltica nell'alleanza nord-atlantica e il definitivo
sbilanciamento in senso filo-occidentale dell'Ucraina, la Russia
verrebbe a trovarsi completamente sguarnita sul versante europeo, con
una virtuale "linea del fronte" fissata a poche centinaia di
chilometri dalla capitale federale.

Certo, il cammino verso Minsk, potrebbe rivelarsi più difficile del
previsto. La Bielorussia non è certo un qualsiasi paese della CSI. In
Bielorussia, il consenso attorno alle scelte operate negli ultimi anni
da Lukashenko pare, secondo le testimonianze più obiettive, ben più
vasto di quanto non cerchino di far credere le operazioni
propagandistiche occidentali (3)che, in generale, parlano della
presenza di un oppressivo regime dittatoriale. A tal proposito vale la
pena citare l'analista russo Jurij Krupnov che, intendendo smentire le
argomentazioni largamente utilizzate per giustificare il pressing in
corso ai danni della Bielorussia, osserva:
"La repubblica di Belarus rappresenta attualmente il leader indiscusso
nello spazio dell'ex URSS. Persino coloro che non amano il regime
politico in Bielorussia o il suo presidente, non possono negare
l'evidenza. A differenza di tutte le altre ex repubbliche dell'URSS,
la Bielorussia sotto la direzione di Lukashenko è stata in grado di
conservare le realizzazioni del periodo sovietico e di avviare una
prudente e assennata ristrutturazione dell'economia e del sistema
sociale. L'anno scorso l'economia della Bielorussia è rientrata nei
parametri raggiunti dalla Bielorussia sovietica del 1990 (nella
Federazione Russa si pensa di realizzare tale obiettivo nel giro di
dieci, quindici anni). La quota delle esportazioni di macchinari e
tecnologie e il PIL superano di alcune volte gli analoghi indicatori
della Federazione Russa. Nella repubblica è stata conservata
interamente la rete delle strutture sanitarie e degli istituti
scolastici e vengono sostenute con la massima cura le infrastrutture
di base (…) Nella repubblica è assente qualsiasi scontro nella sfera
civile, etno-nazionale o religiosa, la gente vive dignitosamente e
dispone di un lavoro…" (4).

A qualcuno questa analisi potrà anche sembrare eccessivamente
ottimistica. Ma una cosa è certa. Se tale quadro corrispondesse a
verità e se il consenso plebiscitario di cui apparentemente ha goduto
Lukashenko in questi anni tra i settori meno privilegiati della
popolazione, in particolare nelle campagne, non rappresentasse solo
un'operazione di propaganda di regime, allora il tentativo di
estromettere la dirigenza bielorussa potrebbe non essere una
passeggiata e l'intera Europa rischierebbe di trovarsi di fronte a
scenari imprevisti e drammatici, a causa del probabile coinvolgimento
diretto in una nuova impresa di Washington. D'altronde anche la Russia
non sembra certo intenzionata a "scaricare" con leggerezza l'ultimo
alleato sicuro che le rimane (con il quale è vincolata da un patto di
"Unione", che dovrebbe sfociare nell'unificazione tra i due paesi),
come testimoniano le più recenti prese di posizione dello stesso
presidente Putin. L'alleanza è stata consolidata in un recente
incontro tra Putin e Lukashenko a Soci, sul Mar Nero, al punto che il
leader bielorusso, anche per sottolineare l'avvicinamento oggettivo in
corso tra i due paesi, ha voluto ringraziare pubblicamente le autorità
russe "per il sostegno senza precedenti che ci stanno accordando
nell'arena internazionale" (5).

Del resto, la Rice non ha mancato di accompagnare sempre i suoi
attacchi alla Bielorussia con una serrata polemica nei confronti della
stessa amministrazione russa, lasciando chiaramente intendere chi è il
vero bersaglio strategico della "campagna d'oriente" di Washington.
Confortata dal sostegno del solito coro di associazioni umanitarie
("Reporters sans frontières" le ha indirizzato una "lettera aperta"
per chiedere un suo pesante intervento), il cui compito sembra essere
sostanzialmente quello di offrire giustificazioni etiche ad ogni
iniziativa aggressiva dell'imperialismo, si è esibita nella solita
sequela di recriminazioni in merito alla "regressione della democrazia
in Russia", alla "persecuzione" del malversatore Khodorkovskij
(definito "prigioniero politico del Cremlino") e alla "concentrazione
eccessiva di poteri nelle mani di Putin". In questo caso, la Rice, più
prosaicamente, aveva a mente la decisione che, in quei giorni, Putin
aveva assunto di incaricare il governo russo dell'elaborazione, entro
il 1 novembre prossimo, di un disegno di legge volto a limitare
l'accesso dei potenziali investitori stranieri ai settori e alle
infrastrutture legati alla sicurezza nazionale, all'industria per la
difesa e ai monopoli naturali, e della preparazione di una lista di
giacimenti strategici, il cui sfruttamento verrebbe concesso
esclusivamente a compagnie nazionali.

In seguito, le intenzioni aggressive nei confronti di Minsk sono state
confermate dallo stesso presidente Bush durante il suo ultimo viaggio
europeo. Ma Bush non si è limitato a questo. Evocando gli spettri
della guerra fredda, Bush ha azzardato una provocazione senza
precedenti nei confronti dell'interlocutore russo, impegnato nei
preparativi delle celebrazioni della vittoria contro il nazi-fascismo.
Bush, parlando a Riga, di fronte ad interlocutori che non esitano a
riabilitare il passato nazista delle dirigenze baltiche, quasi
accusando di viltà il suo predecessore Roosevelt per non avere avviato
la guerra contro l'Unione Sovietica, è arrivato al punto di definire
"un errore" persino il patto di Yalta concluso dalle potenze
vincitrici della seconda guerra mondiale, dando evidentemente ad
intendere che oggi egli non esclude affatto la possibilità di
riprendere la guerra allora interrotta, per assestare un colpo
definitivo allo storico nemico.
"Siamo alla sostanza di una dichiarazione di guerra con l'obiettivo di
un impero mondiale. Il disegno annunciato è questo. Finita la guerra
fredda si stanno mettendo le premesse per un'azione di conquista", ha
giustamente fatto notare, in un suo editoriale, Valentino Parlato(6).

Non è poi certo casuale che Bush abbia concluso il suo giro di visite
proprio a Tbilisi, capitale della Georgia uscita dalla prima delle
"rivoluzioni colorate", la cosiddetta "rivoluzione delle rose".
Con Saakashvili, al di là dei discorsi di circostanza sulle "conquiste
democratiche" del nuovo governo del disastrato paese caucasico (di
fronte ad una folla in realtà di molto inferiore alle aspettative, a
testimonianza di quanto stiano "sbollendo" gli ardori "rivoluzionari"
della prima ora), il presidente USA ha definito i particolari della
stretta cooperazione in corso tra i due paesi, in vista dell'ormai
quasi certo ingresso di Tbilisi nei ranghi della NATO. Lo ha
confermato il 10 maggio davanti ai giornalisti di tutto il mondo
convenuti nella capitale georgiana. Per rendere più rapidi i tempi
dell'integrazione nei meccanismi dell'alleanza nord-atlantica, qualche
settimana prima della visita di Bush, il parlamento georgiano aveva
chiesto al governo un pronunciamento unilaterale in merito al ritiro
integrale delle truppe russe che stazionano nelle due basi di Batumi,
sul Mar Nero, e Akhalkalaki, al confine con l'Armenia, già a partire
dal gennaio del 2006, nel caso non venga raggiunto un accordo a
riguardo con Mosca, che, invece, ha annunciato di avere in programma
la chiusura delle installazione entro un lasso di tempo non inferiore
a 11 anni. Una vera e propria provocazione, quella delle autorità
georgiane, che non ha mancato di aumentare il già incandescente clima
delle relazioni tra i due stati e che si è aggiunta alla mancata
presenza di Saakashvili alle celebrazioni di Mosca.

La visita di Bush, che non poteva che assumere il significato di
ulteriore sfacciato atto di sfida nei confronti di Putin, si proponeva
in realtà di ottenere assicurazioni circa il grado di realizzazione
degli obiettivi stabiliti dal cosiddetto "Piano di azione individuale
per il partneriato" (IPAP), in base al quale la Georgia si è impegnata
solennemente a modernizzare il proprio apparato militare, in linea con
i requisiti richiesti per l'adesione all'alleanza nord-atlantica. Dal
2002 al 2004 gli USA hanno stanziato 64 milioni di dollari per
progetti di assistenza militare e hanno inviato oltre 200 esperti per
addestrare l'esercito georgiano (i cui effettivi dovrebbero passare da
16.000 a 23.000 unità) destinato oggi prevalentemente a supportare le
forze USA, impegnate in vari scenari bellici, a cominciare da quello
iracheno (tra l'altro, proprio nel momento in cui assistiamo al ritiro
dei soldati di altri paesi), ma che, domani, potrebbe costituire un
agguerrito contingente sul fronte del Caucaso, in funzione anti-russa,
finalmente in grado di risolvere alla radice lo spinoso problema delle
repubbliche separatiste, amiche di Mosca, dell'Abkhazia e dell'Ossezia
del Sud. Non è, inoltre, un mistero che il versante georgiano della
catena caucasica costituisce ormai da anni il retroterra logistico
delle attività militari del terrorismo ceceno, che, a differenza di
quanto sostengono alcuni propagandisti dei "diritti umani", che
invocano irresponsabilmente un massiccio coinvolgimento dell'Occidente
a fianco della "resistenza cecena" e lamentano il "silenzio" della
"comunità internazionale", gode del massiccio sostegno di apparati
politici e militari negli USA, in Europa e in Turchia, nonché delle
oligarchie russe (7).

C'è da dire che, al pressing americano sulla Russia, si aggiunge
naturalmente quello rappresentato dall'intensificazione delle attività
del variegato fronte interno, coordinato dai gruppi oligarchici
estromessi da Putin, che non nasconde certamente la propria intenzione
di rimuovere dal potere, in un modo o nell'altro, il presidente e gli
uomini a lui più vicini. A tal proposito, appaiono di un certo
interesse i probabili, inquietanti futuri scenari descritti in un
articolo di Mikhail Cernov, giornalista dell'agenzia RBC. Vi si
possono leggere considerazioni di questo tenore:
"Un tentativo di estromettere dal potere il presidente della Russia
Vladimir Putin verrà realizzato entro la primavera del 2008. Di ciò è
convinta la maggior parte degli esperti, indipendentemente dalle
personali simpatie politiche…I giocatori cominciano a puntare.
Recentemente ha fatto così il proprietario del gruppo "Menatep" Leonid
Nevslin. Egli ha dichiarato che sosterrà l'ex primo ministro Kasjanov
(estromesso da Putin e definito "Juschenko russo", si è autocandidato
alla presidenza). "Se avrà bisogno di aiuto, naturalmente, siamo
pronti"…Gli oligarchi hanno detto "pora" ("è arrivato il momento",
slogan della "rivoluzione arancione" di Kiev), "occorre passare
all'azione" e sono passati all'azione". Cernov sottolinea come,
attraverso il finanziamento di movimenti politici di destra e di
sinistra e facendo leva su ambienti della stessa amministrazione
presidenziale e del partito di governo "Russia Unitaria" (e "non è
neppure escluso che alla guida delle sinistre possa venirsi a trovare
lo stesso Mikhail Khodorkovskij, che ha avuto modo di meditare in
carcere sugli errori commessi dagli oligarchi russi"), si intenda
"sferrare un attacco simultaneo da entrambi i fianchi…L'obiettivo dei
processi avviati è la ristrutturazione dello spettro politico russo,
la creazione di un sistema che possa rappresentare uno strumento
efficace per l'ulteriore destabilizzazione della nave "Stato Russia"
fino al punto di farla affondare…Tale schema potrebbe funzionare molto
efficacemente: una parte si occuperebbe della lotta parlamentare,
mentre i "reparti combattenti" scenderebbero dietro a parole d'ordine
incitanti al rovesciamento del potere nei "maydan" (il luogo simbolo
della "rivoluzione arancione" ucraina) di Mosca e di San Pietroburgo" (8).

Se quanto denuncia Cernov fosse vero, non ci vuole molta fantasia per
immaginare quale alternativa a Putin si stia preparando. Non certo,
dunque, un impetuoso sviluppo dei processi democratici e una
fuoruscita "da sinistra" (oltretutto, in presenza di un movimento
comunista ed operaio ai suoi minimi storici, incapace di iniziativa di
massa, e solcato da profonde divisioni), ma, piuttosto, la rivincita
della "borghesia compradora" e il probabile avvento alla direzione del
paese di uno "Juschenko russo" (non importa se Kasjanov o altri),
l'interruzione drastica dei processi di riappropriazione da parte
dello stato delle risorse strategiche, la fine di una politica estera
indipendente che contribuisca a fare da contrappeso all'egemonia USA,
e il conseguente veloce assorbimento negli ingranaggi delle alleanze
occidentali. La ripresa, insomma, del corso filo-occidentale e
perfettamente funzionale agli interessi imperialistici avviato con la
vittoria controrivoluzionaria dell'agosto del 1991, proseguito per
quasi un decennio con tenacia (ed esiti disastrosi) dal "clan Eltsin"
e interrotto con la penosa uscita di scena del suo capofila e
l'affermazione della politica "nazionalista" di Putin (non priva di
richiami non solo strumentali al passato della potenza sovietica, la
cui caduta è stata proprio da lui definita "la più grande tragedia
geopolitica del XX secolo"), tesa a riaffermare un ruolo di primo
piano per la Russia nell'ambito di una dimensione "multipolare" delle
relazioni internazionali.


Per tutte queste ragioni, ci permettiamo allora di dubitare che
l'insieme del movimento antimperialista mondiale possa trarre qualche
utile da simili sviluppi della situazione.



NOTE

(1) Del parziale fallimento della "rivoluzione dei tulipani", condotta
con dovizia di mezzi e di personale forniti dall'amministrazione e
dalle fondazioni USA, che ha portato alla destituzione del presidente
kirghiso Askar Akayev, sembra convinto lo studioso cubano Rodolfo
Humpierre Alvarez del Centro di Studi Europei, quando afferma che:
"esistono ragioni per pensare che tale strategia (dell'Amministrazione
USA) questa volta ha presentato serie lacune, in ragione delle quali i
risultati non sono stati gli stessi degli esperimenti precedenti (…)
Non esistono i presupposti politico-ideologici, né tanto meno
religiosi (…) Non si pone il dilemma "a favore della Russia o
dell'Occidente" (…). Bakiev (il presidente provvisorio) ha confermato
il proposito non solo di mantenere, ma anche di sviluppare le buone
relazioni con la Russia e ha sollecitato aiuto materiale (…) La Russia
ha promesso ed ha iniziato immediatamente ad inviare aiuti (…)
Possiamo affermare che le incertezze derivanti dalla futura evoluzione
degli avvenimenti in Kirghizia, sommate alle reiterate assicurazioni
date dalle nuove autorità circa il mantenimento e lo sviluppo dei
legami con la Russia, fanno registrare al momento differenze
sostanziali rispetto a quanto è avvenuto nelle altre "rivoluzioni dei
colori" attuate nello spazio postsovietico (…)"
"La Kirghizia come parte della Teoria del Domino",
http://www.cubasocialista.cu ,aprile 2005
La versione italiana in
www.resistenze.org - popoli resistenti – kirghisia – 06-05-05

(2) http://left.ru/2005/7/yakushev124.phtml
La traduzione della seconda parte dell'articolo di Dmitrij Jakushev,
con il titolo "Juschenko negli USA", in
http://www.resistenze.org/ - popoli resistenti – russia –27-04-05

(3) Va segnalato il particolare attivismo delle varie ONG
"umanitarie", religiose, ecc. (compresi gruppi organizzati italiani)
che, dopo avere operato in Serbia, Ucraina, Georgia e Kirghizia, oggi
stanno convergendo massicciamente in Bielorussia.

(4) Jurij Krupnov, "Perché la Bielorussia non diventerà la
Kirghizia?", http://www.contrtv.ru/common/1110/

(5) http://left.ru/2005/7/yakushev124.phtml

(6) "Il Manifesto", 10 maggio 2005
C'è da dire che altri esponenti della "sinistra alternativa" non
sembrano prendere nemmeno in considerazione la lucida analisi
formulata dal giornalista del "Manifesto". E' il caso, ad esempio, di
Salvatore Cannavò ("Liberazione", 10 maggio 2005) che, a dispetto
dell'evidenza e sottovalutando le velleità egemoniche ed
espansioniste, con tratti fascisti, dell'attuale amministrazione USA,
appare persuaso che all'ultimo insidioso attacco di Bush alla Russia
possano solo " seguire accordi e mediazioni che permettano ai due
progetti di rimanere complementari e di non scornarsi troppo".

(7) Sull'entità del massiccio sostegno americano e occidentale al
terrorismo ceceno: John Laughland, "The Cechens' American friends",
The Guardian, September 8 2004,
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,1299318,00.html

(8) Mikhail Cernov, "Come cercheranno di rovesciare Putin",
http://www.contrtv.ru/common/1091
La traduzione in italiano in
www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 03-05-05

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4291/1/51/

Il ritorno del Bottone Bianco

20.05.2005 - Sono tornati. La band più famosa dell'ex Jugoslavia
suonerà nuovamente insieme. In giugno saranno a Sarajevo, Zagabria e
Belgrado. E' già partita la corsa ai biglietti. "Il bottone è come la
bicicletta, una volta che si impara ad andare non si dimentica", così
ha descritto Goran Bregovic - leader della band - questa nuova avventura

Di Mirella Vukota

E' l'evento musicale dell'ultimo decennio nelle Repubbliche della
ex-Jugoslavia, i Bijelo Dugme (Bottone bianco), la più famosa rock
band in ex-Jugoslavia di tutti i tempi, si sono riuniti ed hanno
programmato tre concerti, a Sarajevo, a Zagabria ed a Belgrado. Lo
stadio Kosevo nella capitale bosniaca, lo stadio Maksimir a Zagabria e
l'Ippodromo belgradese risuoneranno della loro musica nel mese di
giugno. La band ha confermato le date dei concerti in due conferenze
stampa tenutesi a metà aprile a Sarajevo e Zagabria. Naturalmente il
breve tour inizierà nella loro culla, nella loro città natale,
Sarajevo, il prossimo 15 giugno, si sposteranno poi in Croazia il 22
ed infine nella capitale serba il 28.

La ri-unificazione dei dugmici (bottoncini) è stata fortemente voluta
dal loro ex manager, Radoslav Raka Maric. Negli anni nella band sono
entrati nuovi componenti e suoneranno in concerto tutti quelli che
hanno risposto all'invito. Vi saranno tre cantanti, Zeljko Bebek,
Mladen Vojicica Tifa e Alen Islamovic. Tutti e tre molto conosciuti.
Ciascun vocalist durante il concerto canterà le proprie canzoni. Vi
sarà poi Goran Bregovic alla chitarra, Zoran Redzic al basso, Milic
Vukasinovic alla batteria e Lazo Ristovski e Vlado Pravdic alla tastiera.

I Bijelo Dugme hanno iniziato a riscontrare successo alla metà degli
anni '70 ed in pochi anni hanno raggiunto il grande pubblico. Scontato
dire che la maggior parte dei loro fans hanno oramai superato la
trentina, ma molte delle loro canzoni sono divenute dei "classici"
molto conosciuti anche tra le generazioni più giovani. Canzoni come
Djurdjevdan, Napile se ulice, Tako ti je mala kad ljubi bosanac,
Selma, Lipe cvatu, Ruzica si bila sono solo alcune dei loro hit che
ancor oggi si possono trovare nelle memorie dei lettori MP3 delle
ragazze e dei ragazzi dei Balcani. Naturalmente attualmente sono altre
le star, ma la loro nomea durerà a lungo come quella dei Bijelo Dugme?

I Bijelo Dugme si sono costituiti nel 1974. Nel novembre dello stesso
anno sono usciti con il loro primo album Kad bi' bio bijelo Dugme (Se
fossi un bottone bianco). Agli inizi suonavano in città e villaggi nei
pressi di Sarajevo. Zeljko Bebek, il primo cantante, nonostante avesse
una moglie ed un figlio a carico lasciò il lavoro per concentrarsi
completamente sui Bijelo Dugme. In poco tempo arrivò il successo e
divennero una delle band più amate nella ex Jugoslavia.

I Bijelo Dugme
Il leader dei Bijelo Dugme, Goran Bregovic, è senza dubbio il più
conosciuto anche a livello internazionale. La sua musica ci è
familiare soprattutto grazie alle colonne sonore composte per i film
del regista sarajevese Emir Kosturica: Il tempo dei gitani, Arizona
Dream e Underground, quest'ultimo Palma d'Oro al Festival di Cannes
nel 1995. Tra le altre produzioni di Bregovic vi è l'antologia
Ederlezi che raccoglie le sue canzoni più famose. Nella musica di
Bregovic le melodie gitane e tradizionali dei Balcani incontrano suoni
high-tech ed un ritmo irregolare. L'incontro tra la melanconia ed
un'irresistibile energia positiva è il suo aspetto più affascinante.
Nonostante Bregovic non sia di origini gitane a volte è stato definito
il più grande gitano tra i gitani, per l'abilità di "rubare" musica
tradizionale e trasformarla in brani di successo mondiale.

Bregovic ha abbandonato il rock ed i Bijelo Dugme nella metà degli
anni '80. Non è più apparso in pubblico sino al 1995 quando ha avviato
un tour in Grecia e Svezia accompagnato da un gruppo zigano, un coro
bulgaro e l'orchestra sinfonica di Belgrado. Da allora si è affrancato
dalla definizione di "compositore della musica dei film di Kusturica".
La sua fama attraversa i confini statali e le barriere etniche ed è
apprezzata da un pubblico molto variegato. Naturalmente ai suoi
concerti all'estero non mancano mai emigrati originari della ex
Jugoslavia.

In molti sembrano aver accolto la ricostituzione dei Bijelo Dugme con
forte gioia e sono in trepida attesa delle tre date. Potremmo
definirli dei "fan dormienti", rapidissimi a "riattivarsi". E' già
partita la caccia ai biglietti anche se ancora non ve ne sono a
disposizione. Ma vi sono anche voci contro ciò che viene percepito
come una rinascita dello "jugoslavismo". Ci si chiede: perché proprio
adesso? Dov'erano durante al guerra? Non sono pochi quelli che
considerano questo "jugoslavismo" una vera e propria disgrazia ora che
le varie Repubbliche hanno intrapreso strade differenti e si sono
liberate dal "giogo" yugoslavo e sono del tutto allergici al motto
"fratellanza ed unità" che imperversava sotto Tito.

Goran Bregovic, da leader dei Bijelo Dugme, si è assunto l'incarico di
spiegare questo ritorno: " "Dugme je kao voznja biciklom: Jednom
naucis, i nikad ne zaboravis" . Il "bottone" è come andare in
bicicletta: una volta che impari non di dimentichi mai come si fa.

Lo si può veramente dire. Una volta che i fans hanno imparato le loro
canzoni non se le sono più dimenticati. Anche se sono passati oramai
15 anni dall'ultima volta che i Bijelo Dugme sono saliti su di un
palco non vi è dubbio che il pubblico canterà a memoria le loro
canzoni proprio come accadeva negli anni '70, '80 e '90.

Uno dei principali siti sui Bijelo Dugme: http://www.bijelodugme.net/

THE REHABILITATION OF CHETNIKS BY THE US IMPERIALISTS AND THEIR
SERBIAN LACKEYS

(english / srpskohrvatski / italiano)

1. Serbian Government celebrates the defeat!
(Young Communist League of Yugoslavia SKOJ / NKPJ)

The Government in Serbia has accepted the absurd, shameless and
incivilized Law of balancing the rights of chetnik and partisans...
This isn't surprising because we know that the government is the ideal
heir of the forces that lost the war - chetniks!

2. Da Tito a Draža, con gli USA
(L. Zanoni, da Osservatorio Balcani)

Nell'anno del 60mo anniversario della vittoria sulle forze
nazifasciste, lo stato serbo finanzia la festa dei cetnici, mentre gli
USA consegnano la medaglia d'onore alla figlia di Draza Mihailovic,
capo dei cetnici... Gli organizzatori [della cerimonia di Ravna Gora]
di fronte al dilemma, hanno tolto la bandiera serba e al suo posto
hanno issato quella statunitense...

3. SAD ipak odlikovao vođu četnika Dražu Mihailovića
(Novi List, HR)

Beogradski dnevnik »Blic« jučer je objavio da je uručenje odličja
odgođeno, ali vijest se pokazala netočnom...

SEE ALSO / VEDI ANCHE:

THE DRAZA MIHAILOVIC TRIAL (1946)

http://trial-mihailovic-1946.chiffonrouge.org

The website http://www.draza-mihailovic.net which was publishing on
the web the trancript of the 1946 TRIAL of Mihailovic and 11 other
traitors has been hacked and is out of reach...

SERBIA 2004-2005: I CETNICI AL POTERE
"Cetnicima isto sto i partizanima"

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4118

La destra al potere in Serbia, su iniziativa del Ministro degli Esteri
Vuk Draskovic, ha fatto passare una legge che equipara nei diritti i
partigiani ai cetnici. Il Partito Socialista della Serbia e' stato tra
i pochissimi a votare contro la nuova legge...


=== 1 ===

Serbian Government celebrates the defeat!

The Government celebrates the defeat!
Since the collapse of the Socialistic Federal Republic of Yugoslavia,
especially after the reforms in 2000, attempts have been frequent to
falsify the past with making the merit out of treason and showing
traitors as the saviors of the nation.
The Government in Serbia has accepted the absurd, shameless and
incivilized Law of balancing the rights of chetnik and partisans, in
which the supporters of Draza Mihailovic are shown as heroes.
Nowadays, the government emphasizes with pride that it will sponsor
the celebration of the War against Fascism in Ravna Gora, the place
which is related to Draza Mihailovic.
In that place, the chetnik movement will be praised, the treason and
collaboration.
This isn't surprising because we know that the government is the ideal
heir of the forces that lost the war - chetniks!

There are hundreds of irrefutable proves from Yugoslav, Soviet,
American, British and German sources regarding the collaboration of
chetniks with Hitler's and Italian's occupants, and with the Quisling
gangs of Nedic and Ljotic. There are thousands of unverified proves of
brutal mass and individual crimes of chetnik against armless people,
patriots, partisans and their sympathizers. Also, thousands of
documents regarding meetings, agreements and joint actions against
partisans, weapon aid, ammunition, clothes, footwear and food have
been preserved. Moreover, documents on aiding the chetnik forces by
Germans, Italians, supporters of Nedic and Ljotic, have also been
preserved as proves.

Since the agreement in the August 1941., the Germans fully equipped
and paid 72 chetnik offices and 7.963 troops of chetnik duke Kosta
Peæanac, as well as three thousand members of a formation under the
direct order of Draza Mihailovic.
For their cooperation with the Wehrmach and against the People's
Liberation Struggle Forces, Hitler handed the Iron Cross medal to
chetnik duke Pavle Djurisic.

On the 12th of September 1944, the king Petar II. had called to all
Chetniks to "join the People's
Liberation Struggle Forces under Marshall Tito", under the pressure of
Allied forces, who owned many proves of cooperation of the Chetniks
with the occupants. King Petar II. sais in the note: "Everyone who
relies on the enemy on the behalf of its people and future, and those
who will not reply to this call, will not succeed to liberate
themselves from the proves of treason neither in front of the people
nor of the history."
Petar II. condemns "the attempts of justifying the cooperation with
the enemy, causing the strife inside the people in the worst moments
of its history".

The strong anti-fascist Partisan movement consisted of more than 800
000 members, while other 14 nations, apart from the USSR, had 1 275
000 fighters. It destroyed more than 447 000 enemy soldiers, the
highest number after the USSR. The Partisan movement with the aid from
the Red Army defeated the
enemy in 1944.-1945. Then, the chetnik forces escaped to the West,
together with the enemy.

There have also been individuals and smaller chetnik formations that
opposed to the occupant, but such acts were against the policy and
collaboration of chetnik movement led by Draza Mihailovic.

The Chetniks forces weren't mentioned as anti-fascist forces in any of
the conferences of the allied countries, while at the same time, there
have been resolutions of collaboration and aiding the People's
Liberation Struggle Forces as the only true anti-fascist force in
Yugoslavia.

The history will throw the resolutions of the Serbian Assembly into
the shameless grave of the past, in which the treason gets the reward
which should be given to anti-fascism.


Kubik Marijan, International secretary of Young Communist League of
Yugoslavia SKOJ - youth organization of the New Communist Party of
Yugoslavia NKPJ

Source: http://groups.yahoo.com/group/ml-yu/ . English text reviewed
by AM for the CNJ/JUGOINFO.


=== 2 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4276/1/51/

[vai al sito originale per vedere le significative vignette e
copertine dei giornali]

Da Tito a Draža, con gli USA

16.05.2005 [Luka Zanoni] Finiti i tempi delle celebrazioni di Tito e
dei partigiani, nell'anno del 60mo anniversario della vittoria sulle
forze nazifasciste, lo stato serbo finanzia la festa dei cetnici,
mentre gli USA consegnano la medaglia d'onore alla figlia di Draza
Mihailovic, capo dei cetnici


Bisogna riconoscere la genialità di Predrag Koraksic, in arte Corax,
noto disegnatore di satira a fumetti e quotidianamente presente sulle
pagine di molta stampa belgradese. Il suo stile è fenomenale, con
pochi colpi di pennello e di inchiostro riesce a dire molto di più di
quanto si possa fare con un lungo articolo. La vignetta qui accanto,
pubblicata sull'ultimo numero del settimanale belgradese "Vreme", è
più che eloquente e sarebbe sufficiente a spiegare il titolo di queste
poche righe. Tuttavia, nonostante la bravura di Corax e trattandosi di
satira politica, è necessario avere un'idea del contesto grazie al
quale la vignetta in questione può strapparci un sorriso a denti
stretti, così tipico della satira. Vediamo, quindi, di spiegare con
poche parole cosa ha ben sintetizzato Corax, perché si tratta di una
notizia che ha avuto risonanza ben oltre la Serbia.

A sinistra, nel fumetto, compare Josip Broz Tito in uniforme, al quale
l'attuale ministro degli esteri nonché presidente del Partito per il
rinnovamento serbo (SPO), di orientamento monarchico, Vuk Draskovic
strappa delle medaglie e le consegna allo "zio Sam" che le fissa al
petto di Dragoljub Draza Mihailovic, capo del movimento dei Cetnici,
corpo armato del re durante la II Guerra mondiale.

Ora la vignetta è un po' più chiara, ma mancano ancora alcuni elementi
per capirla fino in fondo. Andiamo con ordine. Il 9 maggio, giornata
mondiale di celebrazione per la vittoria sulle forze nazifasciste,
l'amministrazione americana consegna, nei locali dell'ambasciata degli
USA, la medaglia al merito alla nipote di Draza Mihailovic. Come
confermato dai giornalisti, lontano da sguardi indiscreti, a Gordana
Mihailovic viene consegnata la medaglia della Legion of Merit, la più
alta onorificenza degli USA. L'altisonante titolo era stato attribuito
post mortem a Draza Mihailovic, dal presidente americano Henry Truman
nel 1948, per aver salvato 500 piloti dell'aviazione americana i cui
arei erano caduti sulla Serbia, nel 1944.

La notizia, nonostante la discrezione della cerimonia ufficiale, pare
voluta dalla stessa nipote di Draza Mihailovic, non ha tardato a
suscitare reazioni. I media ne parlano, senza dimenticare che il 21
dicembre 2004 il parlamento serbo, mediante procedura accelerata e su
proposta del partito del ministro degli interni, l'SPO di Vuk
Draskovic, aveva per legge equiparato i cetnici di Mihailovic ai
partigiani di Tito, considerati entrambi componente attiva nella lotta
all'antifascismo. Una legge adottata con 176 voti a favore, 24
contrari e una manciata di astenuti.

Che la storia e la storiografia abbiano dei tempi lunghi per accertare
i fatti e per fornire delle interpretazioni che possano vantare il
diritto alla verità, è risaputo, ma a distanza di oltre mezzo secolo è
piuttosto noto che il movimento dei cetnici fosse, durante la II
Guerra mondiale, impegnato più che altro nella lotta contro i
partigiani che non contro i nazifascisti, anzi non sono pochi gli
storici che li qualificano come collaboratori di questi ultimi.

Ad ogni modo la notizia desta un certo malumore anche oltre frontiera.
In particolare nelle vicine Croazia e Bosnia Erzegovina, memori dei
crimini commessi dai cetnici di Mihailovic. Il settimanale croato
"Feral Tribune" dedica la copertina alla vicenda, mentre il
settimanale di Sarajevo DANI, non solo vi dedica la copertina, ma
pubblica un articolo, un editoriale e un'intervista con uno storico
americano esperto di questioni balcaniche.

Lo storico Robert J. Donia, nell'intervista non nasconde il suo
stupore e dice "Sono rimasto scioccato e deluso quando la medaglia è
stata consegnata, dopo così tanto tempo, questo è il momento peggiore
per farlo", facendo ovvio riferimento alla celebrazione del 60mo
della vittoria sul nazifascismo.

Dal canto suo l'ambasciatore americano a Belgrado, Michael Polt,
intervistato dall'emittente belgradese B92, si difende dicendo che la
medaglia è stata consegnata, quasi mezzo secolo dopo, alla nipote di
Draza Mihailovic solo perché è stata richiesta dalla Serbia, e che con
tale gesto non si vuole entrare nel merito delle questioni che sono
accadute durante la guerra, ma semplicemente ringraziare i cetnici
per il salvataggio di 500 piloti dell'aviazione statunitense.

Resta comunque poco chiaro perché proprio adesso sia stata consegnata
la medaglia, dal momento che – come scrive Emir Suljagic sulle colonne
di DANI – da anni molti appartenenti al movimento dei cetnici
chiedono agli USA la consegna della medaglia d'onore.

Intervistato dal settimanale "Feral Tribune", Zarko Korac, già
vicepresidente del governo serbo e presidente del Partito
socialdemocratico - tra i pochi partiti ad opporsi alla legge che ha
equiparato i cetnici ai partigiani [insieme al Partito Socialista che
fu di Milosevic: si noti la "rimozione" di questo particolare
cruciale, ndCNJ] - ritiene che la Serbia dal 2000 (anno dell'uscita di
scena di Slobodan Milosevic) sta cercando di mettere in mostra il
movimento dei cetnici come antifascista. Aggiungendo che "è mia
impressione che in Serbia sia in atto un forte tentativo di
reinterpretazione della storia, ed è forte la pressione delle forze
filo-cetniche. È significativo che i sondaggi mostrino come la maggior
parte dei cittadini sia a favore di tutto questo".

Che questa non sia solo opinione di Korac, lo si evince dal fatto che
il 15 maggio, il consueto e annuale incontro del movimento cetnico a
Ravna Gora, quest'anno sia finito sotto il budget statale. Un
anniversario introdotto dal leader del SPO, Vuk Draskovic, nel 1990
per commemorare la venuta, il 13 maggio 1941, del generale Draza
Mihailovic a Ravna Gora, un luogo di montagna tra le città di Cacak,
Valjevo e Uzice, non lontano da Kragujevac. Anniversario fino ad ora
finanziato dal SPO di Draskovic [grazie ai soldi che questo ha sempre
percepito dai paesi della NATO, ndCNJ].

A fronte dei cambiamenti in atto, il 10 maggio l'emittente B92 batte
le prime righe della notizia con queste parole: "Dopo 60 anni di
finanziamenti col budget statale delle manifestazioni partigiane, il
Governo della Serbia quest'anno pagherà la festa dell'avvento dei
cetnici". La notizia è sulle pagine di tutti i quotidiani nazionali.
Ma ancora non è noto quanti soldi lo stato ha stanziato per l'evento,
al quale era prevista la partecipazione di rappresentanti stranieri e
locali.

La cosa è andata diversamente. La manifestazione cetnica si è spaccata
in due: il sabato hanno festeggiato circa diecimila persone, in
disaccordo coi vertici del partito SPO, e fondatori di un nuovo
partito l'SDPO (Movimento democratico serbo per il rinnovamento), tra
cui Vojislav Mihailovic, il nipote del generale cetnico e Velimir
Ilic, leader del partito di governo Nova Srbija e ministro degli
investimenti del governo in carica. Mentre la domenica, coi soldi
dello stato alla manifestazione hanno partecipato circa 15.000
cosiddetti ravnogorci, oltre al ministro della cultura del governo
serbo, Dragan Kojadinovic, il ministro per la diaspora, Vojislav
Vukcevic, e Vuk Draskovic, questa volta in qualità di ministro degli
esteri. Nessun altro funzionario dello stato ha preso parte alla
manifestazione e dei promessi e tanto attesi partecipanti stranieri
nemmeno l'ombra.

Ma c'è un fatto relativo alla manifestazione che può fungere da
conclusione a questa storia. Come scrivono i quotidiani serbi,
all'inizio delle celebrazioni, mentre si stavano issando le bandiere
degli USA, della Francia, della Gran Bretagna e della Serbia, qualcuno
ha avuto la ben pensata di andare ad abbattere con un paio di colpi
d'ascia la staffa della bandiera a stelle e strisce, facendola cadere
nel fango. Secondo quanto riporta il quotidiano "Glas Javnosti",
qualcuno ha poi cercato di profanare ulteriormente la bandiera oramai
a terra, ma alcuni veterani di vecchia data glielo hanno impedito
dicendo "vuoi che ci bombardino di nuovo". Sicché gli organizzatori di
fronte al dilemma, hanno tolto la bandiera serba e al suo posto hanno
issato quella statunitense.


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Novi List (Rijeka), Utorak, 10.5.2005.

JUČER U BEOGRADU KĆERI OSUĐENOG RATNOG ZLOČINCA URUČENO NAJVIŠE
ODLIČJE KOJE SAD DODJELJUJU STRANCIMA

SAD ipak odlikovao vođu četnika Dražu Mihailovića

Beogradski dnevnik »Blic« jučer je objavio da je uručenje odličja
odgođeno, ali vijest se pokazala netočnom. Mihailovićevi vojnici
spasili oko 500 američkih zrakoplovaca

BEOGRAD/ZAGREB – Unatoč prosvjedima iz Hrvatske, BiH, ali i Srbije,
potomcima četničkog vođe Draže Mihailovića jučer je u Beogradu uručen
Orden za zasluge (Legion of merit), najviše američko odličje za
strance, kojim je američki predsjednik Harry Truman 1948. posthumno
odlikovao zloglasnoga ratnog zločinca s Ravne Gore, kojega su četnici
devedesetih smatrali svojim nenadmašnim uzorom.
Američki ratni veterani taj su orden u Beogradu uručili
Mihailovićevoj kćeri Gordani »u povodu 60. obljetnice pobjede nad
fašizmom«, objavio je Srpski pokret obnove (SPO) Vuka Draškovića na
svojoj Internet stranici www.spo.org.yu. Beogradski dnevnik »Blic«
jučer je objavio kako je dodjela odgođena na neodređeno vrijeme, ali
ta se vijest tijekom dana pokazala netočnom.
Truman je, tvrdi SPO u toj vijesti, Mihailovića odlikovao »na
preporuku legendarnog američkog ratnog komandanta Dwighta
Eisenhowera«. Učinjeno je to zato što su Mihailovićevi vojnici spasili
oko 500 američkih zrakoplovaca čije su letjelice 1944. nad Srbijom
srušili Nijemci.

Clinton ignorirao zahtjev

Građanski odbor za ljudska prava (GOLJP) iz Zagreba, kao i dio
nevladinih organizacija u BiH i Srbiji pokušale su spriječiti tu
dodjelu podastirući američkim veleposlanstvima i javnosti dokaze o
genocidnim zločinima Mihailovićevih četnika za koje je njihov
zapovjednik znao, ali se čini da ti prosvjedi nisu urodili plodom.
»Neki naši susjedi poduzeli su neshvatljivu kampanju da SAD odustanu
od predaje odlikovanja. Sličnom kampanjom spriječena je i inicijativa
američkih ratnih veterana i mnogih američkih kongresmena da se
generalu Mihailoviću podigne spomenik u Washingtonu«, stoji u
priopćenju SPO-a objavljenom na Internetu.
Zahtjev za uručenjem odličja poslije više od pedeset godina prošle
je godine američkome državnome tajniku Colinu Powellu uputio
predsjednik SPO-a Vuk Drašković, sadašnji ministar vanjskih poslova
Srbije i Crne Gore. Time je ponovio svoj zahtjev iz 1992., kada ga je
predsjednik Bill Clinton ignorirao.

Hoće li Washington reagirati na tvrdnje SPO-a

»Povijesna istina više se ne smije prikrivati ni prekrajati. Draža
Mihailović je prvi gerilac protiv nacizma u tada porobljenoj Europi.
Odbio je priznati kapitulaciju jugoslavenske vojske u travanjskom ratu
1941., a 13. svibnja iste godine s Ravne Gore svim jugoslavenskim
patriotima uputio je poziv na ustanak. Bio je komandant legalne vojske
u otadžbini i ratni vojni ministar legalne jugoslavenske vlade u
izbjeglištvu. Njegov doprinos pobjedi saveznika je golem, kao što je
neprocjenjiva i generalova uloga u obrani srpskog naroda od genocida u
tadašnjoj nacističkoj hrvatskoj državi«, piše u priopćenju koje je SPO
jučer objavio na internetu. Bit će zanimljivo vidjeti hoće li SAD
reagirati na te tvrdnje SPO-a. Isto tako, zanimljiv je podatak da SAD
nije odlikovao sina Draže Mihailovića, koji je od 1942. bio – Titov
partizan.
Draža Mihailović osuđen je kao četnički zapovjednik i izdajnik i
pogubljen 17. srpnja 1946. u Beogradu a ni danas se ne zna gdje je
pokopan.

Boris PAVELIĆ, Bojana OPRIJAN ILIĆ

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Zoran Pusić: Vlada treba protestirati u Washingtonu

Ako je odličje doista uručeno, Hrvatska treba nepristrano i
argumentirano protestirati američkoj vladi, reakcija je Zorana Pusića,
predsjednika GOLJP-a, jednoga od rijetkih koji su se u Hrvatskoj
pobunili protiv ove povijesne nepravde. »Citirali smo ne komunističke,
nego četničke dokumente iz kojih je jasno da je Mihailović znao da su
njegovi vojnici »postupili po naređenju« i pobili 8.000 žena, staraca
i djece. Ako to radite, ne morate se zvati fašistom da biste to bili«,
kazao nam je Pusić.
Po njemu, »Amerikanci su uistinu izabrali nesretan trenutak« za
dodjelu toga priznanja. »Odgovornog za masovne ratne zločine ne možete
proizvesti u antifašista, iako se prvih nekoliko ratnih mjeseci jest
suprotstavio silama Osovine. Ne treba zaboraviti da je Mihailović
odbio ponudu partizana da bude vrhovni komandant ako pokrenu
zajedničku borbu. On jest pokrenuo ustanak, ali nije jedini koji je
promijenio mišljenje«, komentira Pusić. »Dodjela odličja ide na dušu
Amerikancima koji su se dali zavesti, ali i SPO-u koji je od početka
zagovarao pročetničku politiku, prešućujući četničke zločine«.

Jakić: SAD trebaju objasniti političku poruku dodjele

»Činjenica da je američko odlikovanje vođi četničkoga pokreta
Draži Mihailoviću, neospornom savezniku fašizma i nacizma, predano
upravo na dan 60. obljetnice pobjede nad fašizimom, u najmanju ruku
izaziva iznenađenje«, izjavio je jučer za naš list savjetnik
predsjednika Republike za vanjsku politiku Tomislav Jakić. »Teško je
oteti se dojmu da ta činjenica nosi i određenu političku poruku. Stvar
je SAD-a kako će tu poruku objasniti, s obzirom na to da je SAD bio
jedan od vodećih članica antifašističke koalicije«, kazao je Jakić.