Informazione

www.ilmanifesto.it
da "IL MANIFESTO" del 9 aprile 2005

KAROL WOJTYLA: Tutte le guerre dell'ultimo papa

di TOMMASO DI FRANCESCO

Appena è terminata la lunga, teatrale liturgia del saluto per l'ultima
volta in terra, in piazza S. Pietro, al papa globale Giovanni Paolo
II, un'altra «liturgia» non smetteva di lavorare, recitando la sua
parte. Migliaia e migliaia di militari hanno continuato a vigilare
sulla cerimonia e in una città blindata che ha visto all'opera agenti
dei servizi segreti di tutto il mondo, tiratori scelti, navi da guerra
allertate nei porti, spazio aereo chiuso pattugliato da bombardieri.
Non era certo l'eco di un temuto attentato al papa, visto che il
seggio è, ancora per pochi giorni, vacante. E' stato invece il segno,
tutto terreno, della reale rappresentazione del mondo nel quale ci è
dato vivere. Era l'ombra imperante della guerra. Così come
inverosimile invece era il recinto che faceva tutti eguali i potenti e
i governi della terra. Mentre le contrapposizioni del mondo, mal
sopite davanti all'essenziale bara in cipresso del papa, erano solo
nascoste dalla scelta del rituale: elencare il potere terreno sulla
base dell'alfabeto.

Quando tra alcuni giorni il conclave annuncerà il «gaudio» del nome di
un altro papa, allora si capirà che Karol Wojtyla è stato davvero
l'ultimo papa. Non certo nel senso della progressione numerica e
temporale. In quello profondo della inimitabilità e irriproducibilità
insieme della sua esperienza e della sua autorità.

Si è detto che questo papa ha fatto crollare il comunismo, i regimi
dell'Est, quello che insomma più correttamente abbiamo chiamato
«socialismo reale». Poco si è riflettuto sul principio d'autorità
derivato al papa proprio dal crollo di quel sistema che, è bene
ribadirlo, è precipitato nel baratro delle sue contraddizioni. Basta
ricordare che nel 1972 gli operai in rivolta in Polonia contro il
«loro» potere socialista a Danzica e Stettino sventolavano ancora
bandiere rosse e cantavano l'Internazionale, poco prima che la polizia
di regime sparasse sulla folla. Il sindacato Solidarnosc e il ruolo
politico della Chiesa nascono da questa sconfitta precedente. E un
pontefice non a caso venuto dall'Est, non poteva non esserne il primo
interlocutore ed essere quindi investito di questa eredità che, con la
caduta del Muro di Berlino prima e la fine dell'Unione sovietica poi,
di fatto cambiava la faccia della terra.

La conquista dell'est. E dei Balcani

Ma l'interrogativo profondo è chiedersi ora come Wojtyla ha speso
subito il bene prezioso dell'autorità derivatagli dalla fine di quel
mondo, proprio interagendo con quel processo. Se vogliamo rispondere
onestamente non possiamo non riconoscere che il papa globale è stato,
nell'occasione, parziale, nazionalista, ossequiente al «Cesare» di
turno, revisionista storico e co-responsabile di secessioni che hanno
alimento guerre sanguinose. E' stato un papa con le mani sporche di
sangue. Come potremmo definire altrimenti il ruolo del Vaticano
all'inizio del disastro dei Balcani nel 1991?

I governi europei uniti avevano deciso alla fine di quell'infausto
anno, di comune accordo, che di fronte alle pericolose secessioni che
si annunciavano in tutto l'est, si sarebbero dovute riconoscere solo
quelle che avvenivano «democraticamente, non in modo unilaterale,
senza il ricorso alla violenza e nel rispetto delle minoranze
interne». Solo dopo pochi giorni la Germania e il Vaticano riconobbero
l'indipendenza dalla Jugoslavia della Slovenia e della Croazia,
nonostante che si fossero autoproclamate indipendenti con la violenza,
nel disprezzo delle minoranze e sulla base dei princìpi etnici della
slovenicità e della croaticità, ben fissati nei primi articoli delle
rispettive costituzioni. Che fine avrebbero fatto in non sloveni -
mentre la Slovenia stato indipendente tagliava la Jugoslavia dal resto
dell'Europa - e in non croati nella cattolicissima Croazia, Wojtyla
non se lo chiese o se se lo chiese pensò ad un nodo facilmente
districabile. Quel nodo intanto veniva «sciolto» con lo scatenarsi di
una guerra nazionalistica da tempo preparata e da tutti, serbi, croati
e musulmani. Mentre ancora esisteva una Federazione jugoslava, con le
sue istituzioni, il suo esercito, il suo governo con tanto di sede
all'Onu. Fu l'innesco della guerra in Bosnia-Erzegovina, lì dove tutte
le etnie erano rappresentate quasi in una piccola Jugoslavia, con il
massacro dell'assedio di Sarajevo, ma anche con la strage di Mostar.
Era tornata la guerra in Europa, per la prima volta dopo la Seconda
guerra mondiale. Certo per responsabilità dei nazionalismi (alimentati
anche dall'esterno) e dei limiti della costituzione jugoslava, ma è
bene sottolineare che non sarebbe stato possibile senza la
deflagrazione dei riconoscimenti internazionali delle indipendenze
autoproclamate sulla base di identità etniche, grazie al ruolo della
Germania forte allora della riunificazione, e al suggello del
rappresentante in terra del dio cattolico, al secolo il polacco Karol
Wojtila. Era così tanto amato dai croati quel papa, quanto era odiato
dai serbi e dai musulmani. Apostolicamente il papa andò a Sarajevo nel
1997 alla fine della guerra ed accadde che, insieme alla curiosità di
una città sostanzialmente laica e moderna che aveva sopportato un
feroce assedio, e alla presenza mal sopportata di tanti cattolici
arrivati per l'occasione, ci fu un tentativo di uccidere il papa - una
potente carica di esplosivo sotto un ponte, qualcosa di più deleterio
degli spari di Ali Agca. Sventato all'ultimo momento grazie alla
scoperta di un complotto, così misterioso che nei mesi successivi
furono uccisi capi dei servizi, vice-ministri, e pezzi del governo di
Sarajevo vennero defenestrati dagli americani e dalla Nato. Eppure -
ecco il punto - il papa, accettando il nuovo principio dell'«ingerenza
umanitaria» aveva dato il suo benestare al bombardamento della Nato
delle postazioni serbe che circondavano Sarajevo ad agosto-settembre
1995. Fu l'ingresso della Nato nei Balcani, la prima trasformazione da
patto militare difensivo ad azione armata offensiva. E invece lo
stesso papa aveva taciuto su Mostar, sui massacri che le
cattolicissime milizie croate compivano a danno dei serbi e dei musulmani.

Fu proprio nell'occasione del viaggio a Sarajevo, alla fine di quella
guerra - ma può mai finire una stagione che riporta la guerra in
Europa - che il papa si domandò se era stato fatto tutto il possibile
per evitare quella guerra. Non poteva rispondersi pubblicamente,
riconoscendo di avere avuto le mani insanguinate. Da quel che
sappiamo, pronunciò solo un enfatico ma significativo: «Che abbiamo
fatto..!».

Una Via Crucis tra i conflitti

Si parla tanto di Via Crucis. E' proprio da allora che Giovanni Paolo
II ha cominciato, solo cominciato, sulla guerra una sorta di road-map
dolorosa, un viatico insieme autocritico da inverare, volta a volta
però, o con il rifiuto secco e netto o con il silenzio assenso - come
era del resto accaduto per la prima guerra del Golfo nel 1990-91 e
poi, più ambiguamente, per la sanguinosa avventura militare in Somalia
nel 1993-1994. Una Via Crucis, ma restando fedele allo spirito di
conquista delle sue prime iniziative verso l'Est negli anni Novanta. A
partire dalla nomina in Russia di 11 vescovi in regioni dove il
cattolicesimo era a dir poco improbabile, appena venne ammainata sul
Cremino la bandiera rossa, così compromettendo per sempre il rapporto
con la chiesa ortodossa; oppure con il suggello dato al revisionismo
storico, quando beatificò nel 1998 la figura del cardinale Alojs
Stepinac che aveva benedetto il regime nazi-fascista di Ante Pavelic
in Croazia; o ancora, più recentemente nel 2000, quando beatificò
sacerdoti in Slovacchia demonizzando il comunismo, ma semplicemente
tacendo sulle responsabilità della Chiesa che aveva visto il vescovo
Josef Tiso, la massima autorità ecclesiale slovacca negli anni
Quaranta, governare il paese ed allearsi con Hitler - e dei 90mila
ebrei slovacchi non si salvò nessuno.

Una Via Crucis che, da allora in poi, ha portato questo papa ad essere
strenuamente contrario ad ogni guerra o presunta ingerenza umanitaria,
e limpidamente facitore del messaggio della «pace attraverso la pace».
E' accaduto nel 1999 con la guerra «buona», «umanitaria», quella che
ha visto protagonista il centrosinistra mondiale al governo in Europa
e negli Stati uniti con Bill Clinton, scatenare una guerra impari
contro la piccola Jugoslavia. Allora il papa non si limitò a ricordare
che c'era ancora la possibilità di trattare e a insistere che nulla
sarebbe stato risolto ma anzi aggravato. Lanciò una campagna mediatica
per denunciare il sangue degli innocenti ch si stava versando. Non
possiamo dimenticare le prime pagine dell'Osservatore romano
dell'aprile 1999 che denunciavano i sanguinosi «effetti collaterali»
sui civili in Serbia e in Kosovo prodotti dai raid aerei della Nato e
vantati da ineffabili premier occidentali che si sono ben guardati dal
riflettere poi sui risultati drammatici di quella guerra.

Così all'annuncio del conclave capiremo che è morto l'ultimo papa.
L'ultimo capace di passare dalla dimensione trionfale a quella
agonale. Il papa sconfitto che voleva portare l'est e il resto del
mondo nell'ecumene e lo ha invece portato nel mercato. Che lascia un
pianeta più diseguale e misero, più senza speranze di come l'aveva
incontrato. Che si esalta nel suo testamento per la guerra nucleare
evitata con la fine della guerra fredda, mentre ogni stato costruisce
ora la sua atomica. L'ultimo però ad essersi opposto alla guerra di
civiltà contro il mondo arabo scatenata dai neocon americani e
post-moderni con l'avventura della guerra all'Iraq nel 2003 che non è
apparsa al mondo musulmano come guerra di religione solo grazie al no
del papa. Bush ieri l'ha pianto e preventivamente seppellito.

A music show by the Norwegian KFOR?

(francais / english)

[ "Milosevic, sei figlio di un cane... E tu, Milos Obilic, figlio di
puttana... Lanceremo bombe sui serbi ovunque essi si nascondano..."
Ecco alcuni dei versi di una canzone cantata in un video-clip
realizzato dal battaglione norvegese della KFOR (sic). Evidentemente
le truppe dei paesi della NATO che occupano il territorio del
Kosovo-Metohija non stanno lì semplicemente per garantire la
secessione prossima ventura della provincia su basi etno-razziali,
bensi' anche allo scopo di sostenere, persino con strumenti
"artistici", la "propaganda culturale" guerrafondaia a sostegno
dell'estremismo pan-albanese e contro la convivenza tra le varie
comunità nazionali. (a cura di IS) ]

1. Une chanson de très mauvais goût (AFP, 20 mai)
2. Letter To Norwegian Embassy, 5-17-05 (T. Jankovic)
3. Scandalous move by Norwegian KFOR (Blic, May 17, 2005)


=== 1 ===

Une chanson de très mauvais goût

AFP, 20 mai

Tension politique entre Oslo et Belgrade après une parodie
politico-satirique de soldats norvégiens

BELGRADE Un vidéo-clip, réalisé sur un air des Beach Boys par des
soldats norvégiens de la Force de paix au Kosovo, a provoqué un
malaise diplomatique entre la Norvège et la Serbie tout en alimentant
les critiques contre les forces de l'Otan dans la province. Le clip de
trois minutes montre des soldats norvégiens de la Force de l'Otan au
Kosovo (Kfor) chantant leur propre version de «Kokomo », un des grands
succès des désormais mythiques «garçons de la plage ».

«Kokomo » revisitée, devenue une satire des interventions
internationales au Kosovo ou au Rwanda, a été largement diffusée dans
les Balkans grâce à internet.

«Somalie, Grenade, sauvons le Koweït, on a foiré au Rwanda, embargo en
Irak », chantent les militaires, passablement débraillés en ajoutant :
«Au Kosovo nous allons botter quelques derrières et nous verrons
comment ça va. Et après on ne sait pas. Bonne chance Kosovo ». La
plaisanterie n'a pas été du goût du gouvernement serbe, en particulier
l'évocation de «méchants Serbes » et les allusions à l'oppression
exercée dans le passé par Belgrade sur les Albanais du Kosovo.


« Quelque part au delà des mers il y a un endroit appelé Kosovo. C'est
vraiment là où ne veut pas aller si l'on n'est pas Albanais...
Milosevic, tu es un fils de chienne », chantent les soldats. «Nous
protégeons les droits de l'homme (...) nous lâcherons des bombes
partout où les méchants Serbes se cachent », indique un autre couplet.
Dès que la télévision serbe l'a diffusé, le vidéo-clip a provoqué un
malaise entre Belgrade et Oslo, et l'ambassadeur de Norvège à Belgrade
a du présenter des excuses.

« J'espère sincèrement que cet incident ne perturbera pas la profonde
et ancienne amitié entre nos deux pays », a-t-il dit en promettant
qu'une enquête serait ouverte. Auparavant, les autorités serbes
n'avaient pas caché leur mécontentement. « De telles initiatives ne
font que conforter l'opinion serbe selon laquelle ni la sécurité, ni
les droits de l'homme ni la multiethnicité ne sont respectés au Kosovo
», avait fulminé Slobodan Samardzic, conseiller du Premier ministre
serbe, Vojislav Kostunica.

L'Otan a déployé quelque 18.000 soldats au Kosovo afin de maintenir la
paix entre les Albanais qui, largement majoritaires, réclament
l'indépendance et la minorité Serbes qui souhaite que le Kosovo
demeure une province de Serbie. Le Kosovo est administré par l'Onu
depuis la fin de la guerre en juin 1999. Belgrade reproche
régulièrement à l'Otan de ne pas garantir la sécurité des Serbes qui
redoutent d'être attaqués par des extrémistes albanais comme ils l'ont
été en mars de l'année dernière lors de violentes émeutes.

Mais l'Etat-major de la Kfor n'a pas apprécié non plus les talents de
chanteurs des soldats norvégiens. « Leur conduite et les paroles de la
chanson sont indignes de l'Otan et la Kfor », a indiqué l'Etat-major
dans un communiqué. « Cette blague inadmissible ne doit pas cacher le
haut niveau professionnel et d'impartialité des soldats de la Kfor qui
tous les jours travaillent à l'instauration d'un environnement sûr au
Kosovo », a-t-il ajouté.

En revanche, auprès des Albanais du Kosovo, le vidéo-clip a fait un
véritable tabac. « Il montre avant tout que les soldats internationaux
au Kosovo ne sont pas des machines mais des êtres humains avec leurs
propres sentiments et leurs opinions sur la réalité. Je ne le trouve
pas offensant mais instructif », a dit Arif Muharremi, responsable de
la rubrique artistique du quotidien Express.


Pour vous désabonner de cette liste de diffusion, envoyez un email à :
alerte_otan-unsubscribe@...

Pour retrouver les messages précédemment envoyés :
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages


=== 2 ===

Embassy of Norway Tika Jankovic
The Honorable Ambassador 6083 Loma Prieta Drive
2720 34th Street, NW San Jose, CA 95123
Washington, DC 20008-2714 T:( 408 ) 435-3450
T: (202 ) 333-6000 F: (408 ) 224-0420
F: (202 ) 337-0870

Copies: Permanent Mission of Norway
to the UN
Missions to the UN
International News Outlets
US Congress and Senate
The White House

May 17, 2005

Your Excellency,

I would like to bring to your attention and care an ugly and
reprehensible incident that occurred in Kosovo the other day,
involving a unit of the Norwegian contingent of KFOR.

As you may have already heard a group of exhilarated, looking and
sounding like being drugged, Norwegian soldiers, were depicted in a TV
spot dancing on a huge military transporter with glee while singing
anti-Serb ethnic and racial slurs. The lyric like : " We will toss
bombs at the bad Serb boys wherever they happen to hide.." and "You,
Milos Obilic, son of a bitch.." (Milos Obilic is a Serbian hero, slain
in the historic Battle of Kosovo against the invading Ottoman Turks on
June 28, 1389) has been fashioned into a music spot by the KFOR
"musical artists" to an American ensemble "Beach Boys" theme and
distributed on Internet.

I am urging you to immediately notify your government of this
unforgivable act of such a crass and to the Serbs humiliating and
painful racial attack by the Norwegian soldiers, unbecoming to any
civilized person anywhere in the world, including Kosovo and the
international military and civilian forces charged with the
responsibility for peace and protection o human rights in this Serbian
province of Kosovo and Metohija ( It is incorrectly referred to as
"Kosovo" only!). If you, and your government, ignore this horrific
incident, and do not take a serious investigation into it and bring
the perpetrators to justice, the world will rightfully deem this act
as being tacitly approved of by the Norwegian authorities. Your
respectful and freedom loving people do not deserve a besmirched image
of the nation of savages because of the condemning behavior of a bunch
of unruly Norwegian soldiers in a foreign country and under the UN banner.

In the anticipation of your favorable reply,
I remain faithfully yours,

Tika Jankovic

SOURCE: http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/


=== 3 ===

Scandalous move by Norwegian KFOR
Blic - May 17, 2005

Norwegian KFOR soldiers are dancing in untidy uniforms. They are in
Kosovo, on a personnel carrier. Everything would be o.k., but let us
hear what they are singing: 'We shall drop bombs wherever bad Serb
guys are hiding' and 'Obilic Milos, you son of a bitch'. This song has
a musical spot directed by KFOR members and is on Internet. It is in
the rhythm of a famous hit of the 'Beach Boys'.

'KFOR is not leading anti-Serb policy. That is by no means the policy
of NATO mission in Kosovo. We are working on the case of Norwegian
soldiers and the matter will be investigated', on of KFOR spokesman
said for 'Blic'.

In a way the spot can be understood as ironical stance that young
soldiers have regarding not only Kosovo, but the whole NATO mission
throughout the world. Although the message can be 'why on earth are we
going there' and the soldiers do not mention Kosovo only but other
area of crisis in the world, this is not the first case that KFOR
soldiers in Kosovo and Metohija have gone beyond their competencies.
After March violence in Kosovo in 2004, KFOR soldiers opened a café in
the churchyard of burnt St. Sava Church in southern Mitrovica. A
French priest, without asking anybody took with him the holy bones
from the destroyed Devic Monastery.

'The song by Norwegian soldiers is unacceptable behavior that hurts
the historic feelings of our people. Such relation towards the history
of a nation is to say the least absence of culture', Oliver Ivanovic,
one of Kosovo Serbs leaders says for 'Blic'.

Norwegian soldiers were stationed in Kosovo Polje and then were
transferred. Today they are almost not present in Kosovo and Metohija.


SOURCE: http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/

DALLA PARTE DI CUBA

1. NOTA STAMPA DELL'AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI CUBA IN ITALIA
(23/5/2005)
2. L'ITALIA E CUBA. REALTA' E STRUMENTALIZZAZIONI (Radio Città Aperta)
3. Le " relazioni pericolose" tra Reporter Sans Frontieres e la Cia
(di Thierry Meyssan)
4. Una alleanza tra radicali e Mussolini sostiene i gruppi della
destra filo-Usa a Cuba

5. Intervento pronunciato dal presidente Fidel Castro all'inizio della
Marcia del Popolo Combattente contro il Terrorismo


=== 1 ===

NOTA STAMPA DELL'AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI CUBA IN ITALIA

In base alle norme internazionali ed agli accordi bilaterali, nessun
cittadino può entrare nel territorio di un altro Stato senza aver
previamente ottenuto un visto, qualunque sia il motivo del viaggio:
per turismo, per lavoro, per studio o anche per ragioni di salute.

Naturalmente, la Repubblica di Cuba ha un proprio regolamento
migratorio assistito dagli strumenti giuridici che il paese si é dato.

Recentemente, gli organi di stampa italiani Corriere della Sera e La
Repubblica, entrambi al corrente dei regolamenti esistenti nel nostro
paese concernenti lo svolgimento dell'attività giornalistica da parte
di professionisti stranieri, hanno mandato a Cuba dei loro inviati
provvisti soltanto di tessera turistica con la deliberata intenzione
di violare i suddetti regolamenti, come é stato ampiamente dimostrato
dal modo di agire di tali inviati nel territorio nazionale cubano
dove, fin dal primo momento, essi hanno svolto attività giornalistica.
Nessuno dei due inviati rimpatriati aveva chiesto il corrispondente
visto per l'ingresso nella Repubblica di Cuba.

Di conseguenza, le autorità cubane competenti hanno proceduto ad agire
in base alle leggi vigenti che regolano l'esercizio dell'attività
della stampa estera a Cuba.

Entrambi gli organi di stampa, nel violare le leggi di un altro Stato
e in aperta provocazione verso le nostre autorità, hanno con ciò dato
dimostrazione di un atteggiamento irresponsabile. Per quanto riguarda
il Corriere della Sera, il caso é ancora più grave dato che tale
quotidiano aveva ricevuto un chiaro segnale secondo cui le autorità
cubane non avrebbero permesso l'ingresso nel paese di un inviato che
non avesse presentato neanche la richiesta diaccredito, come occorso
in una precedente occasione, quando un altro giornalista dello stesso
organo di stampa era stato reimbarcato.

Il trattamento informativo dato a tali fatti ha scatenato una nuova
campagna contro Cuba, facendo intendere all'opinione pubblica che era
stato impedito a due giornalisti l'esercizio della loro professione,
mentre si é taciuto sui veri motivi che hanno provocato il loro
rimpatrio, e cioè la violazione delle leggi del nostro paese. E'
inoltre passato sotto silenzio il comportamento disonesto,
manipolatore e poco obiettivo che, come in tante altre occasioni,
viene applicato contro Cuba dai mezzi di informazione.

A differenza di quanto sopra segnalato, organi di stampa italiani (tra
cui un importante canale televisivo) che, nel rispetto dei regolamenti
vigenti, hanno fatto richiesta di inviare un loro gruppo per svolgere
attività giornalistica in questo periodo, hanno ottenuto
l'autorizzazione ed il relativo visto. Ciò pone in evidenza
chiaramente la nostra disponibilità ad accogliere e a lasciar lavorare
ogni professionista che agisca seriamente rispettando le istituzioni e
le leggi cubane.

Roma, 23 maggio 2005


=== 2 ===

L'ITALIA E CUBA. REALTA' E STRUMENTALIZZAZIONI

La campagna contro Cuba ridà spazio allo squadrismo fascista. Il flop
dei radicali. I due pesi e due misure del governo italiano. Cosa farà
l'Unione Europea?

In questi ultimi giorni, le relazioni tra l'Italia e Cuba hanno
subito una escalation ampiamente prevista ma non per questo meno violenta.

La natura della Conferenza dei gruppi anticastristi a l'Avana

- Una parte del mondo politico e giornalistico italiano aveva deciso
di sostenere apertamente l'Assemblea per la promozione della società
civile a Cuba messa in campo il 20 maggio dai gruppi anticastristi
cubani più legati all'amministrazione Bush. Nonostante le vistose
dissociazioni di altri esponenti del "dissenso", preoccupati della
deriva estremistica della conferenza, dell'appoggio dei gruppi
paramilitari di Miami e dell'appiattimento sulle posizioni USA
dell'evento, alcune forze politiche e giornali italiani non hanno
esitato ad appiattirsi in modo piuttosto miope quanto strumentale con
l'operazione messa in cantiere dall'amministrazione Bush contro Cuba,

Il Corriere della Sera si è prestato ad una operazione politica degli
Stati Uniti

- Alcuni quotidiani italiani - in particolare il Corriere della Sera e
la Repubblica - avevano deciso di forzare la situazione inviando per
vie traverse e non ufficiali dei giornalisti che potessero seguire la
conferenza a l'Avana. La scelta dei due quotidiani ha privato i
colleghi espulsi della copertura legale necessaria a poter svolgere il
loro lavoro nel quadro di relazioni "normali". Se da un lato a Cuba
viene ancora impedito dalla politica degli USA e della miopia europea
di poter essere un paese "normale", dall'altro la neutralità
professionale del giornalista viene meno quando si presta -
consapevolmente o meno - ad una imboscata politica. Non è successo
solo a Cuba. Succede ripetutamente all'aereoporto Ben Gurion di Tel
Aviv (dal quale si viene espulsi sue due piedi se l'obiettivo del
viaggio non è consono alle esigenze di sicurezza della autorità
israeliane) ma succede anche nelle strade e nelle piazze del nostro
paese quando i funzionari dell'oridne pubblico sempre più spesso non
sembrano affatto "rispettosi" dei nostri tesserini da giornalisti
individuando nei soggetti più l'attivista politico che l'operatore
dell'informazione (non è accaduto solo a Genova nel 2001, accade più
frequentemente di quanto si immagini).
Che il Corriere della Sera abbia scelto di partecipare all'imboscata
politica del 20 maggio a Cuba, lo dimostra l'allestimento preventivo
delle prime due pagine del giornale di sabato 21 sull'avvenimento.
Tanta "sensibilità" alla situazione di Cuba non è affatto casuale. La
direzione del Corriere aveva predisposto il giornale ad una funzione
politica anticubana. L'espulsione del collega Battistini è stata solo
un incidente che ha arricchito una cronaca ed un posizianamento
politico-editoriale già predisposto in anticipo. A questo punto la
deriva filo statunitense del Corriere della Sera, dovrebbe cominciare
a preoccupare il nostro paese un pò più della vicenda Battistini.

Il flop della manifestazione del Partito Radicale

- A Roma e a Milano, per il 20 maggio erano state annunciate
manifestazioni sotto l'ambasciata e il consolato cubani sia da parte
del Partito Radicale sia dai "neo" fascisti di Azione Giovani (il
"post" è stato ormai superato dal brusco ritorno alle origini di AN).
Queste manifestazioni si sono rivelate un clamoroso flop in quanto
oscurate dalle contromanifestazioni in solidarietà con Cuba avvenute a
Roma, Milano e Firenze e da una sovraesposizione mediatica assai
maggiore data al caso Battistini. Ma il fallimento delle
manifestazioni dei Radicali e dei fascisti non sta solo nel loro
oscuramento. Essi hanno infatti dovuto misurarsi con la realtà
rappresentata da un movimento di solidarietà con Cuba estremamente
deciso, liberato dalla logica eurocentrista e profondamente connesso
con i movimenti sociali a livello internazionale che, nel mondo e in
modo particolare in America Latina, hanno una percezione assai diversa
di Cuba e su Cuba di quanta se ne possa avere in Europa. La
contromanifestazione di solidarietà con Cuba organizzata all'ultimo
momento sotto l'Ambasciata, ha sovrastato, allontanato e interdetto
quella dei radicali che si sono dovuti tenere a distanza dall'entrata
dell'ambasciata davanti alla quale campeggiavano invece gli striscioni
contro il blocco USA, per la libertà dei cinque patrioti cubani e
cartelli di solidarietà con Cuba.

- La campagna contro Cuba ha ridato spazio anche allo squadrismo fascista

I fascisti hanno provocato ancora una volta una gazzarra davanti
l'ambasciata cubana con un blitz non autorizzato che ha potuto godere
dell'inerzia delle forze dell'ordine. Iniziativa e modalità queste
impensabili davanti a qualsiasi ambasciata straniera. Se
all'Ambasciata USA o israeliana qualcuno avesse cercato di fare
altrettanto, sarebbe stato oggetto di una repressione immediata e
feroce sia da parte delle forze dell'ordine sia da parte della
sicurezza dell'ambasciata. I fascisti hanno invece dovuito subire solo
degli spruzzi d'acqua da un pompa da giardinaggio e l'affronto di tre
attivisti tre (italiani) del Comitato 28 giugno che li hanno
contrastati apertamente davanti al cancello dell'ambasciata. La
reazione dei fascisti è stata la più tradizionale calci e insulti
contro uno tre attivisti che aveva buttato via il loro volantino.
Anche in questo caso le forze dell'ordine hanno lasciato fare i
fascisti per poi intervenire contro gli esponenti del Comitato 28
giugno identificandoli per "disturbo a manifestazione non autorizzata"
?! Un paradosso: una manifestazione non autorizzata e aggressiva
contro una sede diplomatica non solo non viene fermata dalle forze
dell'ordine ma non può nemmeno essere disturbata.
Verrebbe da chiedersi cosa accadrebbe se qualcuno cercasse di
generalizzare questa modalità di manifestazione all'ambasciata USA di
via Veneto.

Le ripercussioni diplomatiche nei rapporti tra Italia e Cuba. Due pesi
e due misure?

Il Ministro degli Esteri Fini, è stato estremamente tempestivo nel
condannare Cuba per l'espulsione di Battistini. Mentre i suoi ragazzi
attaccavano l'ambasciata Cubana a Roma, il ministro non poteva essere
da meno. Non ricordiamo alcun intervento del Ministero degli Esteri
quando nel 2002 furono espulsi all'areoporto di Tel Aviv Luciana
Castellina, Vittorio Agnoletto ed altri esponenti dei movimenti
italiani che intendevano recarsi in Palestina devastata dai carri
armati di Sharon. Nè quando due giovani ricercatori italiani
provenienti dal Chiapas furono espulsi dagli USA qualche anno fa.
Insomma la manifestazione muscolare del Ministro Fini non sfugge al
mefitico schema dei due pesi e delle due misure nè, ed è ancora
peggio, ad un servilismo verso gli Stati Uniti che sembra contagiare
anche qualche pezzo del centro-sinistra ma che incontra la crescente
ostilità dell'opinione pubblica italiana ed europea.

Cosa farà l'Unione Europea?

A giugno l'Unione Europea dovrà aggiornare la sua posizione comune
adottata contro Cuba. E' probabile che un vasto arco di governi e
forze politiche europee sfrutterà l'occasione per accentuare le
sanzioni contro Cuba ed appiattirsi ancora un pò di più
sull'escalation dell'amministrazione Bush contro l'isola. Potrebbero
però sottovalutare due questioni:
1) i loro interlocutori tra i gruppi del "dissenso" cubano (Osvaldo
Payà, Manuel Cuesta Morua) si sono dissociati dalla conferenza
dell'Avana e si ritroveranno in balìa dei gruppi estremisti
filostatunitensi
2) Cuba sta dimostrando di poter fare a meno dell'Unione Europea. Le
relazioni con il resto dell'America Latina, con la Cina, con l'India
cominciano a rappresentare una alternativa reale al ricatto degli USA
e dell'Unione Europea.

Le relazioni internazionali sembrano orientate verso un maggiore
policentrismo che sta logorando il monopolio mondiale delle vecchie e
nuove potenze coloniali...e imperialiste. Forse un altro mondo sta
diventando più possibile di qualche anno fa.

di Redazione - www.radiocittaperta.it


=== 3 ===

Le " relazioni pericolose" tra Reporter Sans Frontieres e la Cia

di Thierry Meyssan*

Reporters sans frontières gode, in Francia, di un onorevole
reputazione, mentre i media latino americani l'accusano di essere
assoldato dalla NED/CIA. L'associazione raccoglie più di 2 milioni di
euro all'anno grazie al pubblico francese che contribuisce
economicamente ad aiutare i giornalisti oppressi nel mondo. In realtà,
solo il 7% del budget totale di RSF è destinato alla sua missione
principale. La vera attività dell'associazione, da quando ha firmato
un contratto con la fucina d'Otto Reich, si è trasformata in lotta ai
regimi progressisti latino-americani (Cuba, Haïti, Venezuela).
Durante il processo alla Havana, nel 2003, Nestor Baguer ha
pubblicamente chiamato in causa Robert Ménard , e l'ha accusato di
collusione con i servizi segreti statunitensi. Nello stesso periodo,
reporters Sans Frontières (RSF), di cui M. Ménard è il direttore
esecutivo, ha condotto una campagna contro il governo cubano e lo ha
anche accusato di imprigionare giornalisti dissidenti.

Da allora, la polemica non ha smesso di inasprirsi fino a quando la
giornalista statunitense Diana Barathona, del Northern California
Media Guild, facesse un passo in più avanti accusando Reporters Sans
Frontières di essere finanziato dalla NED/CIA e di scrivere i suoi
rapporti sotto l'influenza dell'amministrazione Bush.
Robert Ménard, direttore di Reporters sans Frontières<

Abbiamo ritrasmesso questa controversa sul nostro sito spagnolo, Red
Voltaire, e rimpiangiamo di averlo fatto senza sfumature. Difatti,
l'indagine del nostro corrispondente canadese Jean-Guy Allard, e le
altre verificazioni del nostro comitato francese, dimostra che il
finanziamento diretto di RSF dalla NED/CIA è aneddotico e recente, in
modo tale che non abbia potuto influenzare la sua attività. Intanto ci
scusiamo nei confronti di RSF. Rimpiangiamo, tanto più che questo
errore nasconde fatti davvero sorprendenti.

Inizialmente fondata per mandare reporters a testimoniare dell'azione
d'ONG umanitarie, Reporters Sans Frontières si è evoluto per diventare
un'organizzazione internazionale di sostegno ai giornalisti repressi.
L'associazione è stata riconosciuta d'utilità pubblica dal decreto del
Primo ministro Alain Juppé, il 19 settembre del 1995. Questa posizione
le ha permesso di accedere più facilmente ai finanziamenti pubblici
che rappresentano, negli ultimi conti pubblicati [1] 778 000 euro.
Provengono dai servizi del Primo ministro francese degli Affari
Esterni, dall'Agenzia intergovernativa della francofonia, dalla
commissione europea, dall'OSCE e dall'UNESCO. RSF può anche contare
sul mecenate privato (FNAC,CFAO, Hewlett Packard, Fondation Hachette,
Fondation EDF etc.) per circa 285 000 euro. Tuttavia, la maggior parte
del budget proviene dalla generosità del pubblico, in particolare per
la vendita dell'album annuale per la libertà della stampa e altre
operazioni speciali ossia 2 125 000 euro su un budget totale di 3 474
122 euro.

Ora, l'attività concreta di Reporters sans frontières è molto distante
da ciò che i donatori credono finanziare. Il fondo d'assistenza ai
giornalisti oppressi, vale a dire il pagamento della parcella degli
avvocati che difendono i giornalisti oppressi, il sostegno materiale
alle loro famiglie, lo sviluppo delle Case dei giornalisti, tutto ciò
che rappresenta il cuore dell'attività ufficiale e la ragione della
generosità del pubblico riceve solo … il 7% del budget generale ! Sì,
avete letto proprio bene : per 1 euro dato per i giornalisti oppressi,
solo 7 centesimi arrivano a destinazione.

Dove va a finire il resto?

La vera attività di Reporters sans Frontières è di condurre campagne
politiche con bersagli ben determinati. Sarebbero legittimi se, come
la Fondazione Soros [2], non strumentalizzassero la libertà della
stampa al punto di evocarlo per giustificare gravi violazioni del
diritto internazionale. A titolo di esempio, RSF si è congratulato del
rapimento del presidente costituzionale d'Haïti da parte delle Forze
speciali statunitensi appoggiate da una logistica francese [3], in
quanto Jean-Bertrand Aristide sarebbe stato un "predatore della
libertà della stampa"; un qualificativo sostenuto da una visione
troncata di avvenimenti che mirava a far passare il presidente
haïtiano per il responsabile dei crimini di giornalisti. È giocoforza
osservare che Reporters sans Frontière sosteneva tramite i media
un'operazione nella quale il governo francese si era smarrito, mentre
lo stesso governo francese sovvenzionava l'associazione.

Il carattere ideologico delle campagne di Reporters sans Frontières
mette l'associazione a volte in ridicolo. Così l'associazione si è
indignata del progetto di legge venezuelano mirando a sottomettere i
media al diritto generale, ma non si è preoccupata del ruolo del
magnate dell'audiovisivo Gustavo Cisneros e dei suoi canali TV nel
tentativo del colpo di stato militare per destituire il presidente
costituzionale Hugo Chavez [4].

Alla fine, è a proposito di Cuba che la polemica si è cristallizzata,
tanto è vero che RSF ha fatto del regime castriste l'asso principale
delle sue campagne. Secondo l'associazione, i 21 giornalisti
imprigionati sull'isola sarebbero stati accusati abusivamente di
spionaggio a favore degli stati Uniti e sarebbero in realtà vittime
della repressione governativa. Per lottare contro questo governo, RSF
ha organizzato diverse manifestazioni, tra le quali quella del 14
aprile 2003 davanti all'Ambasciata di Cuba a Parigi la quale è andata
a finire male. Nel suo entusiasmo, l'associazione ha ugualmente
disturbato la sessione della Commissione dei diritti dell'Uomo, alla
sede dell'ONU a Ginevra.
I suoi militanti avevano preso da parte la presidenza libica della
Commissione e molestato anche dei diplomatici. Di conseguenza, RSF è
stato sospeso per un anno del suo stato d'osservatore al Consiglio
economico e sociale (Ecosoc) dell'ONU. Robert Ménard ha stigmatizzato
le derive della commissione perché secondo lui, la violazione dei
diritti dell'uomo si trova nelle mani di specialisti.
Però le sanzioni contro RSF sono state votate dagli Stati
perfettamente democratici come l'Africa del Sud, il Brasile, Il Benino.

Interrogato via telefono, Robert Ménard ricusa le allegazioni secondo
le quali RSF sarebbe stato comprato grazie ai soldi della NED/CIA [5]
per condurre una campagna contro Cuba. Spiega che l'associazione ha
richiesto una sovvenzione all'Agenzia statunitense per aiutare i
giornalisti oppressi in Africa e che alla fine ha ricevuto solo 40 000
dollari à metà gennaio 2005. Di cui atto.

Proseguendo la discussione, M. Ménard ricusa anche le accuse del
nostro collaboratore Jean-Guy Allard, d'altronde giornalista
all'agenzia nazionale Granma Internacional. Nella sua opera, il
Dossier Robert Ménard. Perché RSF si accanisce contro Cuba, questo
ultimo riporta i legami personali stretti che il direttore esecutivo
dell'associazione mantiene con gli ambienti di estrema destra
anticastriste a Miami, e in particolare con Nancy Pérez Crespo.
Alzando la voce, ci accusa di proiettare dei presupposti ideologici
sulle cose, mentre la sua associazione e lui stesso si sottopongono
alla più grande neutralità. Poi, ci accusa di accordare credito alla
"propaganda comunista" (sic).

Dopo verificazione, Robert Ménard frequenta davvero l'estrema destra
di Miami e RSF è finanziata dal lobby anticastriste per condurre una
campagna contro Cuba. Nel 2002, RSF ha firmato un contratto con il
Center for a Free Cuba e i cui termini non sono conosciuti. Al termine
di questo contratto, ha ricevuto una prima sovvenzione di 24 970 euro
e poi è stata aumentata e ha raggiunto il 59 201 euro nel 2003.
L'importo del 2004 non è ancora conosciuto.

Il Center for a Free Cuba è un'organizzazione creata per rovesciare la
rivoluzione cubana e riportare al potere il regime di Battista [6]. È
presieduta dal padrone dei Rhum Bacardi, diretta dal vecchio
terrorista Frank Calzon, e articolata a una fucina della CIA, la
Freedom House [7].

Il contratto firmato con il Center for a Free Cuba è stato negoziato
nel 2001 con il responsabile allora dell'organizzazione : Otto Reich,
il campione della contro-rivoluzione in tutta l'America latina[8]. Lo
stesso Otto Reich, diventato vice segretario di Stato per l'emisfero
occidentale, fu l'organizzatore del colpo di stato fallito contro il
presidente eletto Hugo Chavez ;poi, diventato capro espiatorio
speciale del presidente Bush, soprintese l'operazione di rapimento del
presidente Jean-Bertrand Aristide.

RSF: il 7 % di sostegno ai giornalisti oppressi e il 93 % di
propaganda imperialista statunitense.

* Thierry Meyssan, Giornalista e scrittore, presidente del Réseau
Voltaire. www.reseauvoltaire.net

Fonte: www.contropiano.org


=== 4 ===

Una alleanza tra radicali e Mussolini sostiene i gruppi della destra
filo-Usa a Cuba
Con loro una manciata di reazionari polacchi e di "amerikani" europei


Venerdì 20 maggio alle ore 18 davanti all'Ambasciata di Cuba a Roma
(in via Licinia 7) si terrà una manifestazione in sostegno
dell'"Assemblea per la promozione della società civile a Cuba" che in
quelle stesse ore si svolgerà all'Avana. Quella di Roma è una delle
manifestazioni promosse in questo senso dal Partito Radicale che si
terranno davanti alle ambasciate o ai consolati di Cuba anche a
Milano, Madrid, Barcellona, Bruxelles e Parigi. La mobilitazione
voluta dai radicali fa seguito alla conferenza organizzata da Marco
Pannella che si è tenuta il 27 aprile scorso al Parlamento Europeo,
alla richiesta di visto già avanzata da 17 Parlamentari europei di
potere partecipare ai lavori dell'incontro dell'Avana e alle adesioni
di alcuni parlamentari italiani .

L'Assemblea per promuovere la società civile a Cuba è organizzata da
tre militanti per la democrazia e la libertà, militanti anche
radicali, vittime loro stessi di condanne e detenzione per motivi
politici e reati di opinione: Martha Beatriz Roque Corbello, Felix
Bonne Carcassés e René Gomez Manzano.

I deputati europei che hanno richiesto il visto per l'Avana sono:
Emma BONINO, radicale, italiana, già Commissaria europea; Philip
BUSHILL-MATTHEWS, conservatore, inglese; Pilar del CASTILLO VERA,
popolare, già Ministra spagnola; Ryszard CZARNECKI, gruppo misto, già
Ministro polacco; Christofer FJELLNER, popolare svedese; András GYÜRK,
popolare, ungherese; Milan HORÁČEK, verde, tedesco; Jules MAATEN,
liberale, olandese; Edward Mc MILLAN-SCOTT, conservatore, inglese,
Vice Presidente del PE; Alessandra MUSSOLINI, gruppo misto, italiana;
Miroslav OUZKÝ, popolare, ceko, Vice Presidente del PE; Marco
PANNELLA, radicale, italiano; Jacek PROTASIEWICZ, popolare, polacco;
Zuzana ROITHOVA, popolare, già Ministra ceka; Libor ROUCEK,
socialista, già portavoce del Governo ceko; Leopold Jozef RUTOWICZ,
gruppo misto, polacco; Boguslaw SONIK, popolare, polacco.

I parlamentari italiani che, ad oggi, hanno sottoscritto un messaggio
da inviare agli organizzatori all'Avana sono:
ON. ROBERTO GIACHETTI –MARGHERITA; ON. DARIO RIVOLTA – FI; ON. LUIGI
RAMPONI – AN; ON. GUSTAVO SELVA – AN; SEN. FORLANI ALESSANDRO – UDC;
SEN. LUCIO MALAN – FI; SEN. GUGLIELMO CASTAGNETTI – FI; SEN. ENRICO
MORANDO – DS; ON. CARLA MAZZUCA –UDEUR;
SEN. NATALE D'AMICO – MARGHERITA.

Fonte: www.contropiano.org


=== 5 ===

Da: "associazionediamiciziaitaliacuba"
Data: Sab 21 Mag 2005 19:31:37 Europe/Rome
A: associazionediamiciziaitaliacuba @yahoogroups. com
Oggetto: [associazionediamiciziaitaliacuba] L'intervento pronunciato
dal presidente Fidel Castro

L'Avana. 17 Maggio 2005

L'intervento pronunciato dal presidente Fidel Castro all'inizio della
Marcia del Popolo Combattente contro il Terrorismo

Compatrioti:

Dal 10 ottobre 1868 fino ad oggi, per 137 anni, il popolo di Cuba ha
lottato per la sua indipendenza, contro il colonialismo spagnolo
prima e contro la politica espansionistica e imperialista dei
governanti degli Stati Uniti poi.
Il 1º gennaio 1959 raggiungemmo per la prima volta la completa
sovranità politica. Il governo della nazione cominciò a venire
esercitato totalmente dallo stesso popolo cubano, che spazzò via la
sanguinosa tirannia imposta dall'estero. Da allora questo nobile ed
eroico popolo non ha smesso di lottare un solo giorno, difendendo il
suo diritto allo sviluppo, alla giustizia, alla pace ed alla libertà.
A causa di questa così giusta e irrinunciabile aspirazione, il nostro
paese è stato oggetto della più prolungata guerra economica della
storia e di un'incessante e feroce campagna terroristica che dura già
da più di 45 anni.
Uno dei primi e più cruenti atti di questo tipo fu l'esplosione della
nave "La Coubre" nel porto dell'Avana, che costò 101 vite e centinaia
di feriti.
L'invasione della Baia dei Porci, tentata il 17 aprile 1961 da una
forza militare organizzata, addestrata ed equipaggiata dal governo
degli Stati Uniti, venne preceduta da un attacco aereo a sorpresa e a
tradimento, con aerei da bombardamento nordamericani che portavano
insegne della
Forza Aerea cubana. Le truppe di invasione entrarono nel nostro
territorio scortate, custodite e accompagnate da unità navali, aeree
e da truppe degli Stati Uniti, i quali speravano che i mercenari
acquisissero il controllo di almeno una piccola parte di territorio
per sbarcare allo scopo di sostenere, con la complicità dell'OSA, un
governo provvisorio, che non ebbe nemmeno il tempo di decollare da un
aeroporto in Florida.
Nello stesso tempo, fin dai primi anni del trionfo, il territorio
nazionale venne disseminato in lungo e in largo di gruppi armati che
assassinarono contadini, operai, maestri e alfabetizzatori;
bruciarono
case e distrussero centri agricoli e industriali. Atti di sabotaggio
con fosforo vivo ed esplosivi vennero compiuti contro la popolazione
e l'economia del paese.
I nostri porti, le navi mercantili e da pesca furono oggetto di
costanti attacchi. Le attrezzature e il personale diplomatico
all'estero furono vittime di attentati compiuti con esplosivi e armi
da fuoco.
Funzionari diplomatici vennero uccisi, fatti sparire o mutilati.
Aerei per il trasporto di passeggeri saltarono in aria prima del
decollo o in pieno volo, come quello di Barbados il 6 ottobre 1976,
strapieno di passeggeri, i cui resti irrecuperabili andarono a finire
nel fondo del mare, a centinaia di metri di profondità.
Malattie che danneggiavano la vita degli esseri umani o di animali
domestici e piante destinate all'alimentazione del popolo, vennero
introdotte più di una volta nel paese.
Queste azioni furono ideate dai governi e dai servizi speciali degli
Stati Uniti. E i loro autori vennero addestrati tra questi.
Il terrorismo, nel senso più moderno e drammatico del termine,
praticato con l'ausilio di sofisticati mezzi tecnici e con esplosivi
di grande potenza, venne creato e sviluppato dagli stessi governanti
degli Stati Uniti per distruggere la nostra Rivoluzione, e non è
cessato un istante in più più di quattro decenni, dentro e fuori
l'Isola.
Orlando Bosch e Posada Carriles, i più sanguinari esponenti del
terrorismo imperialista contro il nostro popolo, hanno compiuto
decine di atroci azioni in numerosi paesi dell'emisfero, includendo
il territorio degli Stati Uniti. Migliaia di cubani hanno perso la
vita o sono rimasti mutilati in seguito a queste vili e abominevoli
azioni.
Le stesse istituzioni e servizi nordamericani che addestrarono i
terroristi di origine cubana, come è noto addestrarono anche
accuratamente gli autori del brutale attacco contro le Torri Gemelle
di
New York l'11 settembre 2001, nel quale migliaia di nordamericani
hanno perso la vita.
Posada Carriles non solo partecipò insieme a Bosh (allora capo del
CORU, organizzazione creata dalla CIA) alla distruzione dell'aereo
della `Cubana', ma per molti anni organizzò decine di piani di
attentati alla vita dei più alti dirigenti della Rivoluzione Cubana,
e fece scoppiare numerose bombe in alberghi turistici a Cuba. Intanto
Orlando Bosch, apparentemente fuggiasco dalle autorità nordamericane,
partecipò, assieme ai corpi repressivi di Augusto Pinochet, al
sequestro e
all'assassinio di importanti personalità cilene come Carlos Prats e
Orlando Letelier, o alla scomparsa di numerosi combattenti
antifascisti in Cile, e perfino al sequestro e all'uccisione di
diplomatici cubani. Dalla stessa prigione venezuelana (Bosch) ordinò
ai suoi sicari la realizzazione di piani terroristici. Questi
tenebrosi personaggi agirono sempre agli ordini dei governi e dei
servizi speciali degli Stati Uniti, o furono (e sono stati)
illegalmente scagionati da ogni accusa ed esonerati da ogni
punizione, com'è il caso del perdono concesso a Bosch dal presidente
George Bush (padre), o tollerata la loro presenza per settimane
intere in territorio nordamericano, come ha fatto l'attuale
Presidente degli Stati Uniti con Posada Carriles, fatto che
costituisce una flagrante violazione alle stesse leggi del paese da
parte di coloro che hanno la massima responsabilità di proteggere il
popolo
nordamericano dagli attacchi terroristici.
Tutti i misfatti di Posada Carriles, comprese le bombe negli hotel
dell'Avana e i piani di attentati, vennero finanziati dai governi
degli Stati Uniti per mezzo della famigerata Fondazione Nazionale
Cubano Americana, fin da quando Reagan e da Bush la crearono nel
1981. Mai prima si era agito con tanto inganno e ipocrisia.
Questa non è una marcia contro il popolo degli Stati Uniti, come
abbiamo detto prima e ripetiamo oggi. È una marcia contro il
terrorismo, a favore della vita e della pace del nostro popolo e del
popolo fratello degli Stati Uniti, nei cui valori etici abbiamo
fiducia.
Abbasso il terrorismo! Abbasso le dottrine e i metodi nazi! Abbasso
il genocidio! Abbasso le menzogne. Evviva la solidarietà, la
fratellanza e la pace tra i popoli! Abbasso le menzogne! Evviva la
verità! Avanti, valorosi soldati dalle nobili idee, sprezzanti di
ogni timore, noncuranti dell'immenso potere dell'avversario,
sprezzanti del pericolo, perchè l'umanità ha sete di giustizia!

FONTE: http://it.groups.yahoo.com/group/associazionediamiciziaitaliacuba/

La seguente recensione di ?Italiani senza onore?, di Costantino Di Sante,
è apparsa sull'ultimo numero de L'ERNESTO (2/2005 - per l'indice vai a:
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=4 )

Stefano G. Azzarà

I crimini italiani in Jugoslavia e il paradigma antifascista

E? probabile che l?idea di un?egemonia marxista sulla cultura italiana del
secondo dopoguerra sia stata niente più di una leggenda alla quale, per autocompiacimento,
molti di noi hanno finito per credere. Per tanti aspetti, la storia della
reale incidenza del materialismo storico sul mondo delle lettere e delle
arti, dell?università e della ricerca, dell?intellettualità in senso lato
del nostro Paese, andrebbe scritta per intero. Andrebbe fatta, in altre parole,
un?accurata ricognizione di tipo gramsciano, capace di mettere in questione
anche e in primo luogo gli stessi ceti intellettuali ? per così dire - ?di
sinistra? e di mostrarne le reali radici culturali e la reale collocazione
nell?ambito della lotta ideologica. Tuttavia, tra tanti dubbi una cosa sembra
certa: in Italia, e più in generale anche in ambito internazionale, è esistita
una salda ?egemonia? del paradigma antifascista di interpretazione delle
vicende storiche della Seconda guerra mondiale e, per analogia, dell?intera
storia del Novecento che ne è seguita. Non soltanto nel campo degli studi
storiografici, proprio questa impostazione, molto più che ogni fondato e
consapevole riferimento al marxismo, è stata la cifra dell?appartenenza e
del riconoscimento culturale ?di sinistra?.
Se si guarda appena al di sotto della superficie e delle stanche retoriche
celebrative, non è difficile vedere come tale impostazione ? che pure ha
avuto una sua nobile legittimità e ha consentito al PCI di incontrare numerosi
?compagni di strada? - sia oggi a pezzi e difficilmente possa essere ricostruita,
se mai fosse utile farlo. L?offensiva culturale delle classi dominanti, a
lungo inosservata o sottovalutata, si è soffermata infatti in particolar
modo proprio sulla sua destrutturazione. Il prevalere di una classe nei rapporti
di forza tra i grandi raggruppamenti sociali (e i simultanei riaggiustamenti
nell?ambito dei rapporti tra le nazioni) si consolida dando vita gradualmente
ad una mentalità diffusa e non è affatto vero che le visioni del mondo passino
in maniera lineare, nella loro formazione, dall?alta cultura al senso comune
? dalla storiografia accademica alla cultura di massa. I meccanismi dell?egemonia
sono più complessi ed ogni livello di produzione ed elaborazione delle forme
di coscienza è intrecciato ad ogni altro. Ripetiamo cose già dette: siamo
di fronte ad un passaggio d?epoca, ad un fenomeno di portata mondiale che
ha a che fare con una sconfitta storica di fase e che, in quanto ristruttura
la realtà nel suo complesso, ristruttura anche le forme di coscienza, ciò
che oggi è in voga chiamare ?il simbolico?, ?l?immaginario?.
Tuttavia l?Italia, che ha sempre avuto un ruolo geopolitico del tutto peculiare,
è stata anche un laboratorio di sperimentazione ?geoculturale?. Esiste da
molto tempo nel nostro Paese un revisionismo storiografico che ha certamente
fatto il suo lavoro di scavo: pensiamo a Renzo De Felice e alla sua scuola,
oppure alla rivista ?Nuova Storia Contemporanea?. In questo campo, però,
si può dire che gli sforzi di gran lunga maggiori verso una radicale revisione
del paradigma antifascista siano da attribuire in primo luogo proprio alla
stessa sinistra culturale sconfitta. Non si tratta affatto di un paradosso:
anche per via della pochezza della storiografia conservatrice - a lungo ancorata
ad un impresentabile nostalgismo repubblichino, oltre che del tutto priva
della minima credibilità metodologica e scientifica -, il revisionismo storiografico
in Italia è un fenomeno pressoché interamente ?di sinistra?. Impossibile
spiegare qua come esso sia al tempo stesso una forma di elaborazione del
lutto e una strategia di sopravvivenza, per alcuni influenti gruppi sociali
e accademici. Basti dire, per citare diversi campi di intervento, che è ben
più efficace un Pansa che mille Petacco; un Mieli che mille Perfetti; un
Violante che mille Tremaglia.
Esiste poi la cultura di massa in senso lato, nella quale la capacità di
controllo delle classi dominanti - a partire dalla proprietà dei mezzi di
produzione dell?informazione e dello spettacolo, nonché dalla presenza di
un ceto effficiente di ?intellettuali organici? -, è più diretta, come più
immediata è la capacità di costruzione dell?immaginario collettivo. E? quanto
dimostra, ad esempio, l?operazione mediatica di falsificazione della memoria
nazionale orchestrata negli ultimi anni attorno alla questione delle foibe.
Un prodotto culturale ?militante? come lo sceneggiato trasmesso dalla televisione
pubblica Il cuore nel pozzo, per citare un titolo, è emblematico di una precisa
strategia politico-comunicativa ad ampio raggio, che andrebbe studiata accuratamente
in tutti i suoi risvolti.
Di fronte a questa offensiva culturale organica ed articolata, appare persino
controproducente impegnarsi in una difesa di retroguardia del paradigma antifascista
così come lo abbiamo conosciuto e praticato sinora. Qual è infatti il nuovo
uso che oggi se ne fa? Scrive Pierluigi Battista, a proposito della guerra
in Iraq, che gli «?insorti? iracheni che si oppongono con le armi del terrore
al nuovo governo di Baghdad» vanno definiti «non guerriglieri, o terroristi,
o ?resistenti?? ma ?fascisti?, semplicemente e brutalmente ?fascisti?» (?Corriere
della sera?, 7 febbraio 2005). Se anche per Fassino i veri «resistenti» sono
«gli iracheni che si sono recati alle urne» e non quelli che combattono gli
americani, è chiaro che risulta sconvolta «l?attitudine politico-culturale
sin qui dominante», tanto da «ribaltare persino il senso delle vecchie analogie
storiche». Il giornalista ha ragione: con questa semplice definizione, si
sancisce «il tracollo di un quadro concettuale» e si ottiene un «cambio di
prospettiva» che riguarda sì l?Iraq ma riguarda ancor di più l?interpretazione
generale delle vicende storico-politiche del secolo alle nostre spalle e
di quello appena iniziato. Qualcosa è cambiato per sempre: conclusa la Guerra
Fredda, il paradigma antifascista ha perduto il suo senso originario e ne
ha assunto - come si vede nell?uso che ne fanno non solo Battista e Fassino
ma soprattutto Bush e il ?Weekly Standard? - uno nuovo. Un senso del tutto
interno al liberalismo trionfante e del tutto funzionale alla legittimazione
dell?offensiva ?internazionalista? degli Stati Uniti, nella sua versione
umanitaria prima, in quella neoconservatrice dopo. Difendere acriticamente
questo paradigma, significa purtroppo ? ferme restando le buone intenzioni
- essere culturalmente subalterni a tale offensiva.
Intendiamo forse dire che bisogna piegarsi all?egemonia del revisionismo
storico e cessare di essere antifascisti? Esattamente il contrario. Essere
?antifascisti? alla maniera di Bush significa però oggi sposare l?ideologia
dell?universalismo liberaldemocratico statunitense, per la quale il ?terrorismo?
e la guerriglia attuali, come il nazifascismo e lo stesso comunismo di ieri,
si confondono l?uno nell?altro in quella notte nera che porta il nome di
totalitarismo. E? atto elementare di resistenza culturale, allora, prendere
atto dei cambiamenti semantici avvenuti e contrapporre offensiva ad offensiva,
operando consapevolmente una diversa ed autonoma ?revisione? delle categorie
e dei paradigmi storiografici sinora utilizzati e ridefinendo integralmente,
in chiave storico-materialistica, lo stesso antifascismo, per capire cosa
esso oggi e per noi debba significare.
Il materiale per una rilettura di questo tipo è immenso. La storiografia
legata al PCI ? ad un partito che doveva giustamente presentarsi come l?erede
della storia e della cultura nazionale ? aveva un interesse particolare nello
studio e nella valorizzazione della Resistenza come movimento di liberazione
popolare e di costruzione dell?unità del Paese, un fenomeno tutto interno
alla storia italiana e quasi un completamento dell?impresa risorgimentale.
In tal modo, però, essa ha finito per dedicare meno energie sia all?analisi
di determinati aspetti del regime fascista, sia alle guerre condotte dagli
italiani in Africa prima, nel quadro del conflitto mondiale poi. Allo stesso
modo, esigenze realpolitiche legate alla Guerra Fredda hanno dissuaso questa
storiografia dall?indagare a dovere sia sulle stragi tedesche in Italia,
sia sui bombardamenti alleati, sia su quell?occupazione americana dalla quale
è scaturito lo status semi-coloniale che il nostro Paese ha avuto nel dopoguerra
e tuttora mantiene. Soprattutto, però, il paradigma antifascista e la conseguente
vulgata ?resistenziale? hanno impedito di cogliere adeguatamente la complessità
delle diverse dimensioni e dei diversi conflitti che si sono intrecciati
nella Seconda guerra mondiale. In essa era in gioco principalmente l?ordinamento
eurocentrico della Terra. Affermatosi in cinquecento anni di colonialismo
ed imperialismo, il primato europeo era stato messo in discussione sia da
quella «guerra fratricida dei bianchi» (Spengler) in cui si era risolta la
Grande Guerra, sia dal risveglio dei popoli colonizzati. L?ondata di lotte
per la liberazione nazionale e l?indipendenza prima e dopo il 1939 ? strettamente
connesse con la rivoluzione d?Ottobre ?, va intesa come un movimento di Resistenza
internazionale che costituisce il contesto della stessa Resistenza europea
e italiana. Il nazifascismo è infatti essenzialmente il tentativo di restaurare
in nuove vesti, su scala planetaria e persino nel continente europeo, l?ordine
coloniale e razziale che il vecchio imperialismo inglese e francese non era
più in grado di mantenere. A questa dinamica si andava intrecciando, poi,
la presenza del progetto egemonistico statunitense: una nuova forma di imperialismo
non territoriale che, consolidatasi già dalla fine del XIX secolo, troverà
proprio nel corso della Seconda guerra mondiale la possibilità di insediarsi
anche nella piattaforma europea.
Non è possibile approfondire questo discorso in questa sede, ma i nodi storici
da affrontare non mancano: si tratta di lavorare consapevolmente nella direzione
di un?integrale rilettura del Novecento, della quale da anni si avverte l?esigenza
ma che troppo poco viene ancora concretamente praticata. Basti dire che,
se quello che abbiamo delineato è un significato possibile del nazifascismo,
anche il significato dell?antifascismo deve per noi cambiare, con tutte le
conseguenze che ciò comporta per la nostra collocazione politica rispetto
alla persistenza e al rilancio odierni del progetto coloniale occidentale
nella sua versione ?postmoderna? statunitense. Proprio in questa direzione
ci sembra che fornisca un notevole contributo il libro, a cura di Costantino
Di Sante, Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati
1941-1951 (ombre corte, Verona 2005). Già da tempo gli studi di Angelo Del
Boca sulla guerra italiana in Africa orientale hanno definitivamente smantellato
il mito montanelliano del ?buon soldato? italiano ? propenso a fraternizzare
con le popolazioni civili ed incapace di qualunque eccesso -, mostrando invece
la sistematicità di una guerra coloniale, di sterminio e razziale, condotta
con metodi brutali e del tutto interna alla tradizione dell?imperialismo
occidentale. E? quanto Di Sante comincia a fare, ora, per le operazioni militari
italiane sul fronte slavo, raccogliendo in questo libro una gran mole di
importante materiale documentario, che si rivela indispensabile per comprendere
il contesto delle successive vicende legate alle foibe.
«Soldati d?Italia, combattenti nel Montenegro!» - recitava l?appello del
Governatore militare del Montenegro, Generale d?Armata Alessandro Pirzio
Biroli - «La guerra che qui conducete non è separata dalla grande guerra
che divampa in tutto il mondo» (82-3). Essa si inserisce per intero in un
disegno di vasta portata, perché è parte integrante di quella strategia imperialista
di costruzione di un Nuovo Ordine Europeo di cui l?Asse si è fatto portatore.
Questa guerra ha però bisogno, come tutte le guerre, di costruirsi un un
passato immaginario e di elaborare un?immagine del nemico. Ecco che alle
truppe italiane, impegnate a portare «la millenaria civiltà di Roma», risponde
allora, «con l?aggressione vile e subdola», un nemico particolare: gli eterni
slavi «presuntuosi, incostanti e vendicativi che conservano nell?animo le
stesse stigmate delle antiche orde asiatiche». Sì, gli Slavi, barbari e selvaggi,
«rifiutano la nostra civiltà romana nel nome della falce e martello»; essi
«odiano la nostra superiorità di razza e di ideali, per la stessa ragione
che spinge il Male contro il Bene». Essi sono «barbari briganti» che il «fertile
sangue latino» deve «punire secondo le leggi incorruttibili della giustizia».
Ed ecco allora che scatta l?invito esplicito alla guerra di sterminio: «bisogna
che per ogni compagno caduto paghino con la vita dieci ribelli». Una guerra
di sterminio che diventa ben presto guerra totale, indifferente a distinguere
il nemico in armi dalla popolazione civile, come nella tradizione consueta
delle conquiste coloniali: «Ricordate che il nemico è dappertutto; il passante
che incontrate e che vi saluta, la donna alla quale vi avvicinate, il padrone
di casa che vi ospita, l?albergatore che vi vende un bicchiere di vino».
«Odiate questo popolo», dunque; «esso è quel medesimo popolo contro il quale
abbiamo combattuto per secoli sulle sponde dell?Adriatico», per cui «ammazzate,
fucilate, incendiate e distruggete questo popolo!».
Sono direttive prontamente rispettate, come mostra la documentazione raccolta
dalla commissione sui crimini di guerra italiani istituita dal governo jugoslavo.
Rappresaglie, rastrellamenti, violenze e stupri, incendi di interi villaggi,
violazione sistematica di ogni convenzione internazionale di guerra, razzizzazione
integrale dei popoli slavi e, in determinate fasi, tentativi sistematici
di cancellarli come tali: questo è il contesto al di fuori del quale non
si comprende nulla della guerra di liberazione e unificazione nazionale condotta
dai partigiani titini. «La politica italiana di espansione nei Balcani»,
dice Di Sante, «venne contraddistinta da inaudite violenze, che non furono
episodi isolati o eccessi di singoli, ma componenti essenziali della strategia
di dominio territoriale dell?Italia fascista» (11). Alla fine della guerra,
il tentativo jugoslavo di ottenere giustizia attraverso la consegna dei criminali
di guerra italiani, inchiodati da innumerevoli prove, darà però il via ad
una precisa strategia della «rimozione» e dell?«oblio» da parte italiana.
Sin dall?inizio, le autorità militari italiane e lo stesso governo si impegneranno
a minimizzare gli eventi, a distorcerli e falsificarli, sino a ricondurli
a limitati ?eccessi? di singoli. In questa strategia difensiva, inoltre,
«la maggior parte delle violenze e degli ?eccessi? erano stati commessi?
in risposta alle ?barbare sevizie? subite dai soldati italiani ad opera dei
?ribelli comunisti?», mentre « la responsabilità delle efferatezze più gravi
risultava quasi sempre addossata ai tedeschi», oppure «agli ustasa», ma soprattutto
« alle lotte intestine tra le popolazioni locali». Al contrario, «venivano
evidenziate le gesta di ?umanità ed aiuto? prestate agli abitanti delle zone
sotto il controllo dfelle autorità fasciste» (20). Già allora, le responsabilità
vengono dunque completamente ribaltate sui ?barbari? slavi e in particolare
sulle formazioni partigiane titine, secondo una precisa strategia che è possibile
ancora oggi vedere all?opera nel dibattito sulle foibe. In questo modo, le
autorità italiane riusciranno efficacemente a prendere tempo fino ad insabbiare
del tutto la vicenda, sebbene tutto ciò comportasse la rinuncia a processare
i criminali di guerra tedeschi responsabili delle stragi in Italia.
Dopo i numerosi libri usciti di recente sulla questione delle foibe, il libro
curato da Di Sante sui crimini italiani in Jugoslavia è un?importante eccezione
che va in controtendenza. Immenso è però il lavoro ancora da fare nello studio
di un secolo, il Novecento, che troppo in fretta si cerca di dimenticare
senza averlo nemmeno compreso sino in fondo. L?apertura di molti importantissimi
archivi ? in Russia come negli Stati Uniti e nel nostro stesso Paese - offre
adesso alla storiografia un materiale prezioso, che integrerà e modificherà
inevitabilmente la nostra conoscenza del passato recente dell?Europa. Sull?interpretazione
di questo materiale si gioca una partita culturale e politica cruciale, quella
della costruzione di una nuova memoria e di una nuova egemonia. Non è il
caso di lasciare l?iniziativa all?avversario.



__________________________________________________________________
TISCALI ADSL 6 MEGA FLAT CON 3 MESI GRATIS!
Con Tiscali Adsl 6 Mega Flat navighi con la SuperVelocita'
a soli 29.95 euro al mese, senza limiti di tempo.
E se attivi entro il 31 maggio, 3 MESI sono GRATIS!
Scopri come risparmiare navigando veloce su
http://abbonati.tiscali.it/adsl/sa/6flat_tc/